Critica dell’economia politica e strategia della rivoluzione socialista nel pensiero di Lenin
di Eros Barone
Quando trionferemo su scala mondiale utilizzeremo l’oro per edificare pubbliche latrine nelle vie di alcune delle più grandi città del mondo. Questo sarebbe l’impiego più «giusto» e più evidentemente edificante che si possa fare dell’oro per le generazioni che non hanno scordato come per l’oro furono massacrati dieci milioni di uomini e altri trenta furono storpiati nella «grande» guerra «liberatrice» del 1914-1918… Chi vive tra i lupi impara a ululare. E in quanto a sterminare tutti i lupi, come converrebbe in una società umana ragionevole, ci atterremo al saggio proverbio russo: «Non vantarti quando parti per la guerra ma quando ne ritorni»…
V. I. Lenin, L’importanza dell’oro oggi e dopo la vittoria completa del socialismo, 6-7 novembre 1921.
1. La specificità del capitalismo russo
Parlare della teoria economica di Lenin può apparire un po’ singolare se si considera la sterminata letteratura concernente il grande rivoluzionario russo. Lenin è infatti assai più noto come politico e come filosofo, che non come economista, e i motivi di questa differenza non sono certamente addebitabili al fatto che la produzione di scritti economici sia di minor valore, ma nascono dal segno più marcato che egli impresse in certi settori, anziché in altri: è il caso per Lenin, ovviamente, della politica. Eppure Lenin aveva esordito proprio come economista e nella sua produzione pubblicistica i primi dieci anni di lavoro intellettuale furono largamente dominati dagli studi economici. Sennonché la ragione del tardivo riconoscimento tributato agli scritti economici sembra quanto mai significativa: si è scambiata l’analisi dell’economia russa, che occupa un posto centrale in quegli scritti, per una indagine di storia locale con scarsi addentellati teorici generali. È vero, invece, proprio il contrario: quell’analisi costituisce la parte scientificamente più robusta dell’intera opera di Lenin, quella in cui, soprattutto, opera con gran forza una metodologia scientifica.
D’altra parte, proprio su questa analisi poggia l’intero edificio del progetto politico-sociale di Lenin e la stessa strategia della rivoluzione socialista in Russia. Rispetto a questo corpo di studi, infatti, il gruppo delle opere prettamente politiche – Che fare? o Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica – costituisce un corollario, per l’appunto politico, delle premesse economiche da lui definite con le analisi della struttura agraria della Russia e, più in generale, della questione agraria.1 Sicché, da un punto di vista biografico, si può dire che le ricerche economiche degli anni novanta dell’Ottocento restano dominanti nell’opera e nel pensiero di Lenin fino alla prima guerra mondiale.
Tutta la prima attività intellettuale di Lenin sembra dunque ruotare attorno agli studi economici e all’economia si riferisce il primo scritto di Lenin che si conosca, cioè Nuovi spostamenti economici nella vita contadina, che risale al 1893 e apre le ricerche di Lenin sulle trasformazioni dell’economia russa. 2 L’articolo, che costituisce una sorta di lunga recensione critica del libro di uno studioso russo, ha già al suo centro la tematica che occuperà per un decennio Lenin: l’individuazione e l’analisi della nuova stratificazione sociale nelle campagne. È questo un tema in cui si annodano due importanti indagini successivamente sviluppate da Lenin: quella sulla peculiare composizione sociale della popolazione russa e quella sui caratteri specifici del capitalismo russo. Tali indagini alimentano poi sia gli interessi teorici che gli interessi politici di Lenin: da una parte infatti lo inducono alla polemica con le concezioni populiste e verso ricerche di teoria economica, ma dall’altra lo sospingono ad articolare progressivamente la peculiare strategia che la rivoluzione socialista avrebbe dovuto seguire in Russia rompendo tanto con il populismo russo quanto con la tradizione socialdemocratica occidentale e specialmente tedesca. Da questo punto di vista, gli studi economici di Lenin sono molto significativi. Egli, infatti, solitamente considerato come un discepolo ortodosso della tradizione marxista è in realtà un grande rinnovatore di questa tradizione e non soltanto per i suoi notissimi apporti (la teoria del partito, la teoria dell’imperialismo, la teoria della guerra ecc.), cui è legato il successo politico del suo movimento, quanto per il fatto di essere stato il solo che, dopo Marx, abbia saputo rifare genialmente l’intero ‘iter’ intellettuale di Marx: condurre una critica dell’ideologia dominante nella sua epoca (e nel suo paese) sulla scorta di una originale critica dell’economia politica per giungere a elaborare una diagnosi originale della situazione storico-politica in una grande area dell’Europa, e proprio in quella rispetto alla quale era rimasta carente l’analisi di Marx.3
Così, la ricerca sugli spostamenti economici nella vita delle campagne russe si collega assai presto con una importante riflessione teorica depositata nel saggio A proposito della cosiddetta questione dei mercati, composto nel 1893:4 quella relativa al rapporto che intercorre fra modo di produzione capitalistico e dominanza del mercato. Una tale questione era essenziale per rispondere al quesito con cui si apre appunto il citato saggio sul mercato: «Da noi, in Russia, si può sviluppare, e sviluppare integralmente, il capitalismo, quando la massa del popolo è povera e s’impoverisce sempre più?». 5 Se è il mercato a far decollare il modo di produzione basato sulla compravendita del lavoro salariato, come sarà mai ipotizzabile una crescita del capitalismo nella Russia povera di strutture mercantili? Ma se, invece, il mercato è da considerare in linea teorica piuttosto il risultato che non la premessa del rapporto di produzione capitalistico, allora non solo quella crescita apparirà possibile, ma forse bisognerà riconoscere che il capitalismo in Russia esiste già da tempo, checché ne pensino i teorici populisti della “eccezionalità” della storia russa e anche i teorici marxisti che applicano in modo meccanico il “caso inglese” alla situazione russa. Si trattava infatti di definire con lo schema teorico che Marx aveva ricavato dalla sua analisi del capitalismo inglese la configurazione del capitalismo in Russia, tenendo conto delle specifiche articolazioni e dei tratti differenziali attraverso cui l’economia russa era giunta ad assumere tale configurazione. Si trattava dunque non di una semplice “applicazione” della teoria di Marx alla Russia, bensì di una nuova indagine scientifica. Si capisce allora perché la formazione di Lenin sia, al tempo stesso, caratterizzata da problemi di analisi economica e da problemi di teoria economica.
Nell’intraprendere una sua autonoma e originale diagnosi della società russa Lenin procede quindi, non differentemente da Marx, a un confronto scrupoloso con la coeva ideologia russa, della quale coglie gli aspetti fuorvianti ma con la quale stabilisce un serrato dialogo fondato sulla valutazione dei dati e sull’analisi globale dei fatti. D’altra parte, questa sua battaglia teorica, proprio perché non vuole essere un puro confronto di assunti dogmatici, affronta con altrettanta scrupolosità gli aspetti specifici dello sviluppo storico della Russia e non si rinserra mai dietro argomentazioni di carattere generale. Procedendo su queste basi e con questo metodo Lenin sviluppa un’analisi del capitalismo in Russia che è in pari tempo una originale conferma delle ricerche di Marx, non meno che una corrosiva e persuasiva critica dell’ideologia russa degli anni novanta. Tale analisi si salda a un ragionamento complessivo che si può così riassumere: non è affatto vero che la condizione storica della Russia sia sostanzialmente diversa da quella dell’Europa occidentale (e dell’Inghilterra), giacché, pur situandosi in una storia diversa, essa rivela a uno sguardo attento le differenti articolazioni che il modello del capitalismo assume in un ambiente diverso.
2. Il rapporto tra economia, politica e strategia
La strategia di Lenin, che è stata quasi sempre interpretata come figlia di un’astratta volontà tesa ad “applicare” in Russia la teoria di Marx, risulta piuttosto figlia di una peculiare indagine scientifica della società capitalistica russa e come tale riesce a esprimere, per così dire, la capacità teorica di contestare molti aspetti della tradizione marxista e socialista rappresentata dalla Seconda Internazionale. Basti qui rammentare qualche elemento essenziale di questa autentica novità che Lenin incarna. In un’epoca in cui il pensiero marxista europeo è attestato sulla teoria del crollo del capitalismo come inevitabile esito della forbice che si apre fra aumento della concentrazione e impoverimento delle grandi masse, Lenin propone una interpretazione della crisi storica del capitalismo in una chiave completamente diversa sia da quella proposta da Bernstein sia da quella proposta da Rosa Luxemburg. Rispetto a Bernstein Lenin ribadisce la diagnosi di Marx relativa al carattere sostanzialmente contraddittorio del modo di produzione capitalistico, poiché per Lenin la contraddizione del capitalismo non implica necessariamente e primariamente né il ristagno della produzione né l’impoverimento assoluto dei lavoratori. Già nella Questione dei mercati, anzi, Lenin annota che «nella società capitalistica la produzione dei mezzi di produzione cresce più rapidamente della produzione dei mezzi di consumo».6 Da ciò deriva che la natura stessa del capitalismo consiste nell’espansione “anticipata” della produzione dei mezzi di produzione e, quindi, nella funzione propulsiva che questa viene ad avere nei confronti del mercato. Sempre nella Questione dei mercati Lenin sottolinea che l’impoverimento delle grandi masse «non solo non ostacola lo sviluppo del capitalismo, ma, al contrario, è precisamente l’espressione del suo sviluppo, è una condizione del capitalismo e lo rafforza».7 L’espressione, che è certamente da ricondurre al campo di osservazione di un capitalismo che si sta sviluppando, conserva tuttavia un valore generale. In primo luogo, essa significa che l’impoverimento constatabile in Russia verso la fine del secolo è in realtà un complesso fenomeno di disgregazione e differenziazione sociale («un processo di disgregazione e divisione in borghesia e proletariato»). In secondo luogo, essa costituisce già una importante premessa per una concezione diversa della riproduzione capitalistica e del meccanismo della crisi.
Assume così un rilievo crescente nella riflessione di Lenin la necessità di una concezione del rapporto economico che comprenda i suoi connotati sociali. Diviene quindi centrale l’esigenza di interpretare il pensiero di Marx, riconquistando il livello di una “critica dell’economia politica” e precisando quel concetto di “formazione economico-sociale” che può considerarsi un altro essenziale apporto teorico di Lenin. Come si sa, sono questi i due temi centrali di Che cosa sono gli amici del popolo?,8 il testo che realizza un sistematico nesso teorico fra economia e sociologia e che cerca di rivestire «di carne e sangue» lo «scheletro» del capitalismo analizzato da Marx a un alto livello di astrazione. La polemica sviluppata nel Contenuto economico del populismo9 svolge questi temi in varie direzioni. Basti rammentare gli importanti spunti per una definizione materialistica del concetto di “gruppo sociale” che riesca a dar conto sia del determinismo sociale sia delle varianti particolari e individuali che esso non impedisce affatto. Del resto, è proprio una tale definizione quella che consente di agganciare stabilmente all’elemento economico la fenomenologia psicologica che altrimenti farebbe aggio sull’economia politica riducendola a pura e semplice analisi dei comportamenti. È questa “integrazione” dell’analisi che consente a Lenin, nello stesso testo, di fornire una delle sue più acute pagine di teoria dello Stato e anche interessanti spunti sul diritto, sulla teoria della popolazione, sulla psicologia e sull’etica.
La terza grande opera economica di Lenin è costituita da Le caratteristiche del romanticismo economico,10 autentica confutazione critica di Sismondi e del sismondismo populista. L’opera comparve nel 1898, quando in Occidente si era già aperta la Bernstein-Debatte. Proprio per questo appare persino sorprendente la forza teorica con cui Lenin affronta l’insieme dei problemi su cui si spaccherà non soltanto la dottrina teorica della Seconda Internazionale, ma anche lo stesso movimento politico del socialismo. Egli riesce infatti a sottrarsi sia alle illusioni del sottoconsumismo e della teoria economicistica del crollo del capitalismo, sia alla suggestione teorica nascente dall’idea di un capitalismo ormai “organizzato”. Per Lenin è adesso chiaro che la crisi economica del capitalismo affonda le sue radici nel meccanismo dei rapporti di produzione assai più che nella distribuzione e nel consumo, ma egli sa altrettanto bene, ormai, che distribuzione e consumo sono momenti distinti sussunti alla produzione.11 Egli non nega affatto, quindi, né i fenomeni di sottoconsumo né i fenomeni di crisi ricorrente; tende però a leggerli come elementi relativamente secondari rispetto alla fondamentale contraddizione tra il carattere sociale della produzione e il carattere privato dell’appropriazione. Questa teoria – nota Lenin - «riconosce pienamente che il sottoconsumo esiste, ma lo riconduce al posto subordinato che gli spetta, indicandolo come un fatto concernente solo un settore di tutta la produzione capitalistica. Essa insegna che questo fatto non può spiegare le crisi provocate da un’altra, più profonda, fondamentale contraddizione del sistema economico contemporaneo, precisamente dalla contraddizione fra il carattere sociale della produzione e il carattere privato dell’appropriazione».12
Infine, Lenin fornirà, a fianco di nuove importanti analisi dei mutamenti socio-economici della Russia, la sua quarta e più complessa opera economica: Lo sviluppo del capitalismo in Russia.13 Scritta tra il 1896 e il 1898, l’opera uscì nel 1899: essa segna il completamento di quella critica dell’ideologia russa già menzionata e anche il solido basamento analitico su cui viene ora a poggiare la strategia politica della rivoluzione socialista in Russia. Lo noterà Lenin stesso nel 1907, quando scriverà la prefazione alla seconda edizione: «L’analisi del regime economico-sociale e, quindi, della struttura di classe della Russia, esposta nella presente opera sulla base dell’indagine economica e dell’elaborazione critica dei dati statistici, viene oggi confermata dall’intervento politico aperto di tutte le classi nel corso della rivoluzione. La funzione dirigente del proletariato è venuta pienamente in luce. È anche apparso chiaro che nel movimento della storia la sua forza è incomparabilmente maggiore della sua entità numerica rispetto alla massa generale della popolazione. Nella presente opera si dimostra che l’uno e l’altro fenomeno hanno una base economica».14
Partendo, dunque, dalla ricognizione di questa base economica Lenin giunge ad affermare che la peculiare strategia della rivoluzione socialista russa va radicata nella profonda differenza che il capitalismo russo presenta rispetto a quello classico (un proletariato la cui entità numerica è incomparabilmente minore della sua forza storica): egemonia proletaria nella rivoluzione democratico-borghese, alleanza stabile con la grande massa dei contadini, rivendicazione delle libertà politiche. Si tratta di tesi che Lenin sviluppa nel primo quinquennio del nuovo secolo delineando una teoria del partito rivoluzionario, una teoria della egemonia e una tattica politica completamente diverse da quelle, considerate canoniche, del socialismo occidentale, così insensibile al primato della teoria nel partito, alla professionalizzazione dei rivoluzionari, alla organizzazione centralizzata, così come era insensibile alla “questione contadina” e alla problematica dell’uso rivoluzionario delle libertà democratico-borghesi.
3. Le basi materiali dell’alleanza tra la classe operaia e le masse contadine
La lunga ricerca sulla questione (della inesistenza) del mercato interno come questione indipendente e sulla “realizzazione” del plusvalore perde ogni carattere scolastico e si rivela strettamente funzionale alla precisazione dei particolari lineamenti che assume n Russia la configurazione generale del capitalismo moderno. La conclusione tratta da Lenin, secondo cui «il “mercato interno” per il capitalismo è creato dallo stesso capitalismo nel corso del suo sviluppo, che approfondisce la divisione sociale del lavoro e divide i produttori diretti in capitalisti e operai»,15 è in realtà la registrazione teorica di un dato storico “sorprendente”: il mercato interno si va sviluppando in Russia con lo svilupparsi della divisione sociale del lavoro e cioè con lo svilupparsi del capitalismo. Gli economisti populisti, occupati nel dimostrare che la ristrettezza del mercato interno aveva impedito e avrebbe impedito la crescita del capitalismo in Russia, vengono ora messi di fronte alla documentata dimostrazione che in realtà in Russia il capitalismo esiste già.
Con questa analisi scientifica Lenin taglia via dal dibattito politico tutto un filone culturale che verrà presto estromesso anche dal movimento politico. Se infatti, nonostante le obiezioni sull’assenza di un mercato, Lenin prova l’esistenza del capitalismo in Russia, che senso ha più la teoria della “eccezionalità” della storia russa e quindi la teoria di un socialismo innestato nelle strutture comunitarie di carattere precapitalistico della Russia? Certo, il mercato russo ha dei “limiti”, ma questi sono i limiti e cioè i caratteri specifici del capitalismo russo: «perciò la questione: come si forma il mercato interno per il capitalismo russo? si riduce a quest’altra: come e in qual direzione si sviluppano i diversi aspetti dell’economia nazionale russa? In che cosa consiste il nesso e l’interdipendenza di questi diversi aspetti?».16 Così, l’analisi dei diversi aspetti dell’economia nazionale russa trova il suo fondamento alla luce del Capitale, proprio mentre essa si va configurando come analisi della crescita e dei nessi delle moderne classi sociali individuate da Marx.
In questo quadro spicca l’indagine leniniana sulla curvatura russa della “questione agraria”, laddove l’attenzione di Lenin non ha più niente a che fare con la concezione “eccezionalista” dei populisti. In effetti, dal punto di vista teorico gli è chiaro che, pur essendo la questione quantitativamente più rilevante da analizzare, la questione contadina è in Russia, come nell’Europa occidentale, ormai soltanto una variante interna alla dialettica di una economia in cui la proletarizzazione, che accompagna lo sviluppo del capitalismo, riduce tendenzialmente a due classi la composizione sociale: borghesia e proletariato. Sotto questo profilo «a onta delle teorie invalse da noi nell’ultimo mezzo secolo, i contadini russi membri dell’obščina non sono gli antagonisti del capitalismo, ma, al contrario, la sua base più profonda e più salda. La più profonda, perché precisamente qui, lontano da qualsiasi influenza “artificiale” e nonostante le istituzioni che intralciano lo sviluppo del capitalismo, noi scorgiamo l’ininterrotto costituirsi degli elementi del capitalismo nel senso stesso dell’obščina. La più salda, perché sull’agricoltura in generale e sui contadini in particolare, gravano con la massima forza le tradizioni del buon tempo antico, le tradizioni della vita patriarcale e, per conseguenza, l’azione trasformatrice del capitalismo (sviluppo delle forze produttive, cambiamento di tutti i rapporti sociali ecc.) vi si manifesta con la massima lentezza e nel modo più graduale».17
Sul piano politico le conseguenze sono evidenti: per Lenin la “rivoluzione contadina” di matrice populista-patriarcale non ha alcuna prospettiva, così come la stessa “rivoluzione operaia” modellata sullo stampo della socialdemocrazia tedesca. Si tratta invece, per Lenin, di porre in atto una rivoluzione socialista in cui la questione contadina stia al centro della lotta e sia tuttavia orientata dalla strategia teorica del proletariato. Nel 1905 Lenin fornisce un’efficace formulazione della sua concezione: «Il carattere effettivamente piccolo-borghese dell’attuale movimento contadino in Russia non può esser posto in dubbio e noi dobbiamo spiegare questo carattere, con tutte le nostre forze, e lottare implacabilmente, inflessibilmente contro tutte le illusioni che i vari “socialisti-rivoluzionari” o socialisti primitivi nutrono a questo riguardo. Il nostro scopo costante, lo scopo che non dobbiamo mai perdere di vista neppure per un istante, è la creazione di un’organizzazione particolare del partito autonomo del proletariato, che tende alla rivoluzione socialista totale, attraverso tutti i rivolgimenti democratici. Ma volgere, per questa ragione, le spalle al movimento contadino sarebbe prova di incurabile filisteismo e pedantismo. No, il carattere democratico-rivoluzionario di questo movimento è indubbio, e noi, con tutte le nostre forze, dobbiamo appoggiarlo, svilupparlo, dargli una coscienza politica e una precisa impronta di classe, spingerlo avanti, procedere al suo fianco, gomito a gomito, fino alla sua conclusione, giacché noi trascendiamo di molto il termine ultimo di qualsiasi movimento contadino nel marciare verso la completa scomparsa di ogni divisione della società in classi».18 Questa linea non sarà più abbandonata. Nel 1913 Lenin la ribadisce così: «I marxisti difendono gli interessi delle masse spiegando ai contadini: non c’è altra salvezza per voi all’infuori della vostra adesione alla lotta proletaria. I professori borghesi e i populisti ingannano le masse con favole sulla piccola azienda agricola “dei lavoratori” in regime capitalistico».19 Sennonché in Russia la “via prussiana” avrebbe rinsaldato l’oppressione tradizionale del contadino e la “via americana” era sbarrata: il socialismo era dunque l’unica via d’uscita.20
La possibilità di una rivoluzione socialista in un paese “arretrato” come la Russia scaturiva dunque da una profonda riflessione sulle differenti forme del capitalismo moderno. Per Marx l’intero pianeta sembrava destinato a ricalcare la via già percorsa dal capitalismo sviluppato dell’Occidente. Un destino che era stato teorizzato da Rosa Luxemburg sulla base di argomentazioni economiche secondo le quali, per sfuggire alla crisi economica cui ogni capitalismo nazionale era esposto dalla impossibilità di realizzare il plusvalore, il capitalismo era sospinto alla conquista e alla trasformazione di ogni altro sistema economico, cosicché il destino economico del capitalismo si sarebbe compiuto quando ogni altro residuo di organizzazione economica precapitalistica sarebbe stato annesso e sottoposto a tale trasformazione.21
4. La possibilità di una rivoluzione socialista in Russia e la questione dell’imperialismo
La possibilità di una rivoluzione socialista in un paese arretrato come la Russia scaturiva dunque da una profonda riflessione sulle differenti forme del capitalismo moderno. Ora, l’analisi del capitalismo russo sembrava confermare la possibilità di organismi capitalistici nazionali fra loro assai differenti (come appunto quello inglese e quello russo) e per di più si profilava come realistica una rivoluzione socialista atipica, condotta cioè non nelle zone più avanzate del modo di produzione capitalistico, ma in quelle meno sviluppate, dal momento che – come in Russia – anche in un paese eminentemente contadino poteva prospettarsi una originale rivoluzione “operaia”. Una tale possibilità implicava una valutazione nuova e diversa dell’intero processo di trasformazione socio-politica del mondo: questa, infatti, sembrava ormai dipendere non tanto dallo sviluppo “assoluto” delle classi sociali moderne (borghesia e proletariato), bensì dal “relativo” rapporto di forze che fra di esse si veniva a stabilire in un paese dato e in una determinata congiuntura storica. Concorrevano a fondare tale possibilità due altri elementi: la crescita del movimento politico socialista e, soprattutto, l’avanzare del processo di integrazione mondiale dei meccanismi economici.
Valutati in questo quadro gli scritti giovanili di Lenin sul capitalismo russo e il più famoso “saggio popolare” (come Lenin lo definì) sull’imperialismo appaiono meno distanti teoricamente di quanto si potrebbe a prima vista supporre. Ma, certo, fra questi due periodi della biografia intellettuale di Lenin dovettero pesare fortemente le esperienze compiute attorno alla “questione nazionale” e specialmente attorno al cosiddetto diritto delle nazioni all’autodecisione, che aveva suscitato orientamenti differenti nel movimento socialista. È infatti specialmente su questo problema che Lenin, discutendo proprio con Rosa Luxemburg, approfondisce la distinzione tra paesi avanzati e paesi arretrati.22
È certamente la prima guerra mondiale, comunque, che determina nel pensiero di Lenin una riflessione approfondita sull’imperialismo, che sboccherà in quella esposizione organica delle caratteristiche nuove dell’economia capitalistica, consegnata al celebre saggio L’imperialismo fase suprema del capitalismo. L’opera uscì nel 1917 a Pietrogrado, ma venne scritta a Berna e a Zurigo nella prima metà del 1916. Tuttavia, già nel 1915 Lenin aveva definito l’imperialismo come una nuova epoca del capitalismo (la “terza epoca” dell’età moderna): questa epoca, scrive Lenin, «appena incominciata, pone la borghesia nella stessa “situazione” in cui erano i feudatari durante la prima epoca. È l’epoca dell’imperialismo e degli sconvolgimenti imperialisti, o derivanti dall’imperialismo».23
Orbene, la valutazione teorica dell’analisi leniniana solleva due specifici problemi. Il primo concerne la portata innovativa reale che tale analisi viene ad assumere rispetto a quella classica di Marx; il secondo concerne la sua validità di fronte ai successivi sviluppi storici. Quanto al primo problema è indispensabile rammentare la polemica che Lenin ebbe con Bucharin a proposito del rapporto tra la nozione di imperialismo e la nozione di capitalismo. Nel Rapporto sul programma del partito presentato all’VIII congresso del Partito comunista (bolscevico) di Russia il 19 marzo 1919, discutendo un precedente Rapporto di Bucharin, Lenin afferma: «L’imperialismo puro, senza il fondamento del capitalismo, non è mai esistito, non esiste in nessun luogo e non potrà mai esistere. Si è generalizzato in modo errato tutto ciò che è stato detto sui consorzi, i cartelli, i trust, il capitalismo finanziario, quando si è voluto presentare quest’ultimo come se esso non poggiasse affatto sulle basi del vecchio capitalismo».24 È chiaro che Lenin, consapevole dell’importanza di questo problema teorico, intendeva escludere l’autosufficienza, per così dire, della nozione di imperialismo, che è quanto dire che egli intendeva escludere che l’imperialismo connotasse una formazione economico-sociale diversa dal capitalismo. È pertanto essenziale innestare la diagnosi dell’imperialismo condotta da Lenin nella diagnosi del capitalismo condotta da Marx. Ciò comporta non soltanto che, per esempio, il sistema dei monopoli coesiste con il sistema della libera concorrenza (Lenin parla proprio di concorrenza tra monopoli), ma che il sistema dei monopoli viene prodotto e riprodotto dal sistema della libera concorrenza.
Quanto al secondo problema, non v’è dubbio che tutta una serie di conclusioni dell’analisi di Lenin hanno retto benissimo allo sviluppo dei fatti. Basti qui pensare alla essenzialità che ancora conservano nozioni come “capitale finanziario”, “monopolio”, “esportazione di capitale” ecc. Del resto, è opportuno rilevare che lo sconvolgimento della prima guerra mondiale ha imposto a Lenin una visione generale del processo economico e politico in parte diversa da quella che si può ricavare dai suoi lavori giovanili. In questa nuova concezione prende spicco la centralità della violenza armata, della conquista territoriale e dell’asservimento coloniale, mentre sul piano delle conseguenze sociologiche trovano legittimazione teorica concetti come “Stato ‘rentier’”, aristocrazia operaia, “corruzione” dei lavoratori metropolitani, che corrispondono tutti ad un giudizio negativo tanto sulle capacità di ammodernamento politico degli Stati capitalistici quanto sulla integrazione del movimento operaio occidentale.25
5. La concezione innovatrice di Lenin riguardo alla sfera della lotta tra i capitali
Una importante innovazione introdotta da Lenin riguarda la stessa categoria del capitale e implica una concezione del capitale più complessa rispetto a quella di Marx. Del resto, questo sviluppo dell’apparato teorico marxista appare inevitabile, se con Marx si definisce la lotta tra i capitali, la loro concorrenza, come la «relazione del capitale con sé medesimo in quanto altro capitale, ossia la condizione reale del capitale in quanto capitale», dunque una caratteristica decisiva che si afferma in quanto conseguenza del dominio del capitale e ne rappresenta l’indispensabile complemento.26
Sennonché nell’ottica di Lenin questa sfera della lotta tra i capitali viene ad avere un più vasto sviluppo analitico, soprattutto riguardo alla dimensione verticale. Non si può dire che questo aspetto sia assente nell’opera di Marx, poiché egli nota, ad esempio, che il capitale di ciascun settore è ripartito su molti capitalisti i quali si contrappongono tra di loro come produttori di merci indipendenti e in concorrenza tra di loro. Ma il cambiamento della grandezza e del numero dei capitali non svolge una funzione attiva nell’analisi, se si esclude la questione della centralizzazione del capitale. In questo caso l’indagine di Marx si distacca dalla concezione dell’equilibrio di concorrenza propria del pensiero classico inglese, ma sfocia in una sequenza logica in cui i capitali più grossi sconfiggono quelli minori, che farà da base alla interpretazione darwinista dell’ortodossia kautskiana.
Nel terzo libro del Capitale Marx prende in considerazione la dimensione verticale del capitale, sviluppando il tema della autonomizzazione del capitale commerciale e del capitale finanziario, ma non pone questo processo, causato dalla crescita della divisione del lavoro, in rapporto a un’accumulazione capitalistica ineguale in cui queste diverse funzioni del capitale si distinguono gradualmente all’interno di un capitale sociale complessivo ordinato verticalmente. Eppure questa dimensione verticale faceva parte dell’esperienza: basti pensare a quei romanzi di Balzac che Marx leggeva con grande interesse, in cui si trova un’intera galleria di capitali e capitalisti dei diversi gradi della piramide sociale: dal piccolo capitale agricolo di cui è detentore il padre di Eugenia Grandet alla fabbrica di berretti del Deputato d’Arcy, su su fino al grande finanziere, il barone di Nucingen, che specula nella borsa di Parigi. Quanto poi al piano internazionale, la gerarchia evidente tra i diversi paesi sembra venir attribuita da Marx ed Engels non alla natura del sistema e dunque del capitale, ma piuttosto al fatto storico dei diversi livelli di sviluppo; da qui, all’opposto capo della scala, la previsione di una rapida industrializzazione che Marx avanza per l’India e per la Cina. Da qui ancora il punto di vista di Marx ed Engels sull’opportunismo della classe operaia inglese, che sarebbe dovuto venir meno con la perdita del predominio della Gran Bretagna sul mercato mondiale. Ciò nondimeno, esistono in Marx alcune pagine importanti sul mercato mondiale, sia come premessa dell’analisi (che si concentra poi sul rapporto di produzione), sia come generalizzazione sviluppo dei suoi risultati. Ma in questa costruzione rimane in ombra la dimensione del rapporto tra i capitali: un limite significativo, che diviene particolarmente palese sul piano dell’analisi internazionale.
Infine, riguardo al lavoro salariato non si può dire che nel Capitale sia assente la dimensione verticale (rappresentata dalle mansioni e dai salari); ma essa non ha un ruolo attivo: viene considerata solo per tener conto della disomogeneità dei lavori e delle retribuzioni (per ridurre il lavoro complesso a lavoro semplice, per esaminare il caso anomalo dei lavori meno richiesti in cui vige un più basso saggio di plusvalore, per discutere del lavoro delle donne e dei fanciulli o delle differenze nazionali dei salari). La sovrappopolazione relativa o esercito di riserva viene esaminata dal punto di vista dell’aggravamento delle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia, ma solo marginalmente riguardo all’aspetto collegato della stratificazione del corpo di classe. In questo senso l’analisi di Marx punta alla comprensione della tendenza rivoluzionaria di lungo periodo, non studia la controtendenza che il sistema sviluppa per tenere sotto controllo l’antagonismo di classe. Eppure è vero che ci sono anche altre pagine nell’opera di Marx, che meritano di essere valorizzate: da quelle sulla gerarchia dello sviluppo capitalistico tra diversi paesi europei contenute nell’Ideologia tedesca a quelle, assai importanti, sull’Irlanda e sull’assoggettamento all’Inghilterra:27
6. Sviluppo ineguale, flussi e riflussi, gerarchia dei capitali
In un articolo del 1910, intitolato Alcune particolarità dello sviluppo storico del marxismo,28 Lenin rileva le oscillazioni prodotte dai cambiamenti dei rapporti di forza tra le classi nel periodo 1904-1910 e paragona le ondate successive dei movimenti di massa ai flussi e riflussi di un mare in tempesta. Queste le immagini che Lenin usa per indicare l’evolvere della realtà concreta: il flusso e il riflusso, la svolta improvvisa, il sonno e il risveglio, il cammino e la sosta; e ancora il movimento, la sua stasi, le sue fasi alterne, la necessità di “digerire” gli insegnamenti di una fase per poter aprire quella successiva. A giudizio di Lenin il marxismo si deve mostrare all’altezza di questi processi, deve essere –secondo la formulazione di Engels - una guida per l’azione. Se perdiamo di vista questo aspetto «facciamo del marxismo una cosa unilaterale, deforme e morta; lo svuotiamo del suo vivo contenuto, scalziamo le sue basi teoriche fondamentali: la dialettica, la dottrina dell’evoluzione storica multiforme e piena di contraddizioni; indeboliamo il suo legame con i precisi compiti pratici dell’epoca, che possono cambiare a ogni nuova svolta della storia».29
Sennonché il centro del ragionamento innovatore di Lenin va individuato nella tesi dello sviluppo ineguale e della gerarchia dei capitali. Accanto all’opposizione nei confronti della forza-lavoro, viene così approfondita l’analisi dell’opposizione tra i capitali. Si ha quindi l’emergere di tre principali tipi di opposizione che, nella loro profondità rispettiva e nel loro effetto complessivo, sono la causa dei processi sociali.
L’accumulazione ineguale del capitale nel suo svolgimento incessante mette in moto contemporaneamente questo vasto fronte di contraddizioni tra capitali e lavoratori, tra diversi capitali (e anche tra diversi lavoratori) e le loro influenze reciproche a livello nazionale e internazionale. Di conseguenza, l’acuirsi della crisi sociale può procedere a fasi alterne per diversi settori w zone, per diversi livelli della piramide sociale di ciascun paese e di tutto il mondo. Il “fuoco” delle contraddizioni – il punto di massimo attrito – può spostarsi, come è infatti avvenuto storicamente. Parimenti, le stesse esperienze socialiste si trovano ad affrontare alterne vicende in conseguenza di questa grande complessità del reale.
Gli andamenti del flusso e riflusso dei processi di massa, delle diverse tendenze che si agitano al loro interno, furono per anni al centro della riflessione di Lenin. Da qui nacque in lui l’esigenza di comprendere e articolare le diverse contraddizioni che li animano. Che cosa crea i “tempi burrascosi”? È chiaro che per rispondere a questa domanda bisogna concentrare l’attenzione, oltre che sul rapporto tra capitale e lavoro salariato, su un secondo rapporto: quello della lotta tra i capitali, fondamento della lotta tra le potenze. In questo senso, ogni capitale, oltre a opporsi al lavoro salariato, si contrappone anche ad altri capitali, poiché è in questo modo che si esprime la sua spinta interna alla valorizzazione. Lo sviluppo ineguale (a fasi alterne) modifica allora la struttura gerarchica dei capitali creando improvvise contraddizioni. Questo processo presenta due aspetti: quello della lotta orizzontale (vale a dire tra capitali in concorrenza sul mercato) e quello della lotta verticale tra capitali (che si trovano a livelli diversi della scala gerarchica). Trattare separatamente i due aspetti obbedisce ad una semplice comodità espositiva, poiché in realtà ciò che si verifica è una unità degli opposti, nel senso che capitali in concorrenza sul mercato si oppongono orizzontalmente, mentre, nello stesso tempo, l’esistenza stessa della loro collocazione nella piramide capitalistica li oppone verticalmente l’uno contro l’altro. Sicché, parlando dell’uno o dell’altro aspetto si intende in realtà discutere della prevalenza dell’uno rispetto all’altro e viceversa. Ad esempio, la rivalità tra l’Inghilterra e la Germania pone in risalto l’aspetto orizzontale della contraddizione, ma nello stesso tempo la Germania, come sfidante, parte dal basso; dunque si oppone anche verticalmente al predominio mondiale inglese. È da notare che le stesse argomentazioni che vengono usate a livello di massa, come il jingoismo30 da una parte e lo sciovinismo vittimistico dall’altra, risentono di questa diversa collocazione di partenza. E però avere introdotto l’analisi di questi due aspetti è probabilmente il maggior contributo teorico di Lenin, anche rispetto a Marx.
7. Economia della rivoluzione
Come si configura l’‘iter’ della riflessione teorico-economica di Lenin, quando la rivoluzione d’Ottobre pone all’ordine del giorno il problema della costruzione di un’economia socialista?31 Non v’è dubbio, infatti, che in un primo momento l’impeto della critica anticapitalistica, coniugato con lo slancio dell’entusiasmo comunista e, soprattutto, con la speranza di una espansione a raggiera della rivoluzione in Europa, inducono Lenin a previsioni e programmi economici ottimistici. Certamente il tema centrale di teoria economica che matura in Lenin nel primo periodo della transizione è in sostanza questo: «…il socialismo non è altro che un monopolio capitalistico di Stato messo al servizio di tutto il popolo e che, in quanto tale, ha cessato di essere monopolio capitalistico».32 Tuttavia, per quel che riguarda la storia dell’economia sovietica le cose furono meno semplici di quanto suggerisce questa tesi, esatta sul piano dell’astrazione scientifica ma destinata a confliggere nella pratica con la peculiare struttura del capitalismo monopolistico russo, isola sperduta in un oceano contadino. Si potrà davvero affermare, senza scaglionare di molto i tempi, anche per la Russia che «il capitalismo monopolistico di Stato è la preparazione materiale più completa del socialismo, è la sua anticamera, è quel gradino della scala storica che nessun gradino intermedio separa dal gradino chiamato socialismo»?33 È lecito chiedersi dunque quale relazione vi sia tra questa lineare previsione e le virate del comunismo di guerra, della Nep e infine della pianificazione. Non a caso, il baricentro della riflessione di Lenin si sposterà dal pathos pieno di ottimismo storico verso una dimensione sempre più critica. Tuttavia, nonostante le perplessità e le riserve suscitate dagli ostacoli incontrati (ma anche superati), la fiducia del rivoluzionario nella prospettiva non viene incrinata dai duri limiti che la lucidità dello statista individua e Lenin ne conclude che la costruzione di un’economia socialista è un «compito di una difficoltà gigantesca, ma è in compenso un compito fecondo, perché solo quando l’avremo praticamente risolto avremo piantato l’ultimo chiodo sulla bara della società capitalistica da noi seppellita».34
Nel processo di costruzione dell’economia socialista due sembrano subito gli ostacoli che incontra l’ottimismo storico di Lenin: il primo è la constatazione della arretratezza tecnica generale del paese e del personale disponibile, il secondo è il pericolo del burocratismo. Più tardi, nel marzo del 1922, Lenin formulerà questa significativa ammissione: «Abbiamo detto fin dall’inizio che dovevamo accingerci a un’opera del tutto nuova, e che se i compagni operai dei paesi capitalisticamente più sviluppati non ci fossero venuti al più presto in aiuto la nostra opera sarebbe stata incredibilmente difficile, e nel compierla si sarebbero commessi molti errori».35
Di fatto, Lenin resta convinto che la giovane Russia dei soviet supererà anche il periodo del suo apprendistato tecnico-economico. Scriverà nel maggio del 1923, alla fine ormai della sua esistenza: «I nostri avversari ci hanno detto più volte che noi intraprendiamo un’opera insensata, nel voler impiantare il socialismo in un paese che non è abbastanza colto. Ma si sono ingannati; noi abbiamo cominciato non da dove si doveva cominciare secondo la teoria (di ogni genere di pedanti), e da noi il rivolgimento politico e sociale ha preceduto il rivolgimento culturale, la rivoluzione culturale di fronte alla quale pur tuttavia oggi ci troviamo. Ora a noi basta di compiere questa rivoluzione culturale per diventare un paese completamente socialista; ma per noi questa rivoluzione culturale comporta delle difficoltà incredibili, sia di carattere puramente culturale (perché siamo analfabeti), che di carattere materiale (poiché per diventare colti è necessario un certo sviluppo dei mezzi materiali di produzione, è necessaria una certa base materiale)».36 Così, nella circolarità dialettica del rapporto tra il rivolgimento politico e sociale, lo sviluppo della base materiale e la rivoluzione culturale si dispiega tutta l’enorme tensione che è implicita in quella che è stata felicemente definita “la misteriosa curva della retta di Lenin”, ovvero la teoria e la prassi della transizione dal capitalismo al socialismo/comunismo nell’epoca della formazione imperialistica mondiale.37
Note
1 Per un confronto, fondamentale sia dal punto di vista teorico che dal punto di vista politico, tra l’approccio di Kautsky e l’approccio di Lenin riguardo alla questione agraria si veda il seguente articolo:
2 V. I. Lenin, Opere complete, vol. I, Roma 1970, pp. 1-68.
3 Per un profilo teorico e politico dell’opera di Lenin cfr. https://contropiano.org/fattore-k/2024/01/20/la-misteriosa-curva-della-retta-di-lenin-0168469, da integrare con il pregevole contributo di Emilio Quadrelli esposto in https://contropiano.org/interventi/2024/08/16/emilio-un-comunista-un-leninista-un-internazionalista-0174865. Fondamentale per la ricostruzione critica di un dibattito decisivo per il movimento socialista e nella storia del Novecento è il libro di L. Meldolesi, La teoria economica di Lenin, Roma-Bari 1981. Sempre utile, infine, è la valida sintesi tracciata da L. Gruppi, Il pensiero di Lenin, Roma 1971.
4 V. I. Lenin, Opere cit., vol. I, pp. 69-121.
5 Ivi, p. 71.
6 Ivi, p. 81.
7 Ivi, p. 97.
8 Ivi, pp. 122-339.
9 Ivi, pp. 340-523.
10 V. I. Lenin, Opere cit., vol. II, Roma 1954, pp. 120-256.
11 L’analisi della complessa dialettica tra produzione, consumo, distribuzione e scambio è fondamentale anche dal punto di vista epistemologico e metodologico. Circa l’elaborazione di questa problematica nel pensiero di Marx, coerentemente e creativamente ripreso da Lenin, si veda il seguente articolo: https://www.resistenze.org/sito/te/pe/dt/pedtml08-025588.htm.
12 Ivi, p. 156.
13 V. I. Lenin, Opere cit., vol III, Roma 1969, pp. 1-689.
14 Ivi, p. 8.
15 Ivi, pp. 221-222.
16 Ibidem.
17 Ivi, p. 161. Il termine obščina si riferisce, come è noto, alle terre coltivate in comune dai contadini russi, in contrasto con la proprietà rurale individuale. L’analisi di Lenin ne mette in luce il carattere di forma precapitalistica di transizione al capitalismo.
18 Cfr. < https://www.marxists.org/italiano/lenin/1905/Marx-Kriege.htm >.
19 V. I. Lenin, Opere cit., vol. XIX, Roma 1967, p. 339.
20 «Si deve a Lenin la distinzione fra “la via prussiana e quella americana”. La prima è caratterizzata dal fatto che i rapporti medievali nella proprietà terriera non sono liquidati d’un colpo: essi si adattano in qualche modo al capitalismo, e per questa ragione lo stesso capitalismo conserva in sé a lungo caratteristiche semifeudali. Egli fa notare che in Germania dopo il 1848 il latifondismo prussiano non fu distrutto dalla rivoluzione borghese; esso sopravvisse e divenne la base dell’economia ‘Junker’, che è essenzialmente capitalistica, ma tiene ancora la popolazione rurale in un certo grado di servitù. Pertanto la dominazione sociale e politica fu rafforzata per molti decenni dopo il 1848, e lo sviluppo delle forze produttive dell’agricoltura tedesca procedette molto più lentamente che non in America; nel caso di quest’ultima, tuttavia, invece dell’economia fondata sui rapporti di servitù del grande latifondo, riuscì a svilupparsi l’economia del libero coltivatore, libera da ogni ceppo medievale, libera da servitù e da residui feudali. Quindi per la Russia del tempo in cui Lenin scrive la sua opera economica più importante “l’intera questione del futuro sviluppo del paese può essere ridotta a questo: quale delle due vie prevarrà alla fine e, in conseguenza, quale classe sociale porterà avanti i necessari e inevitabili cambiamenti – il vecchio latifondista oppure il libero agricoltore” (Lenin)» (Maurice Dobb, Considerazioni su “Lo sviluppo del capitalismo in Russia” di Lenin, Annali Feltrinelli, anno 1973).
21 Per un approfondimento di questa fondamentale problematica attraverso il confronto fra le tesi della Luxemburg, di Bucharin e di Lenin si veda il seguente articolo: https://sinistrainrete.info/marxismo/20254-eros-barone-la-controversia-sull-imperialismo-e-l-accumulazione-del-capitale-tra-rosa-nikolaj-e-ilic.html.
22 Cfr. Sul diritto di autodecisione delle nazioni in V. I. Lenin, Opere cit., vol. XX, Roma 1966, pp. 375-434. La distinzione viene ripresa nella polemica successiva con P. Kievskij (Ju. Piatakov): cfr. V. I. Lenin, Intorno a una caricatura del marxismo e all’«economismo imperialistico» in Opere cit., vol. XXIII, pp. 25-74.
23 Sotto la bandiera altrui, in V. I. Lenin, Op. cit., vol. XXI, Roma 1966, pp. 119-139.
24 Cfr. Vi I. Lenin, Opere cit., vol. XXIX, Roma 1967, p. 147.
25 Riguardo alla questione dell’aristocrazia operaia in rapporto ad una strategia rivoluzionaria può suggerire qualche utile indicazione il seguente articolo:
26 K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, Firenze 1970, pp. 333-334. «Il dominio del capitale – sostiene infatti Marx – è il presupposto della libera concorrenza, proprio come il dispotismo imperiale romano fu il presupposto del libero “diritto privato”. Nello stesso tempo «le leggi interne del capitale – che nei primi livelli di sviluppo si presentano come semplici tendenze – giungono a porsi come leggi… in quanto e nella misura in cui si sviluppa la libera concorrenza, giacché questa è il libero sviluppo del modo di produzione basato sul capitale».
27 Ho svolto una disamina delle radici storiche e delle ricadute attuali di questi temi nel seguente articolo, che mi permetto di segnalare: https://sinistrainrete.info/estero/12948-eros-barone-aporie-della-dipendenza-e-sviluppo-ineguale-tra-inghilterra-irlanda-e-russia.html.
28 V. I. Lenin, Opere cit., vol. XVII, Roma 1970, pp. 29-34.
29 Ivi, p. 29.
30 Il termine, nato da una canzone popolare in cui si perorava la causa britannica nel periodo della guerra russo-turca (1877-1878), indica una variante dello sciovinismo diffuso nella cultura anglo-americana. Questo sciovinismo di stampo guerrafondaio e suprematista ebbe un ruolo importante nella preparazione di massa della guerra ispano-americana del 1898-1899 e fu rivendicato apertamente dal presidente degli Stati Uniti Theodor Roosevelt. La retorica e (almeno in parte) le azioni dell’attuale presidente degli Stati Uniti si ispirano esplicitamente a questo tipo di tradizione.
31 Il titolo del paragrafo riprende il titolo dell’utile antologia di scritti economici curata da Vladimiro Giacché, Lenin - Economia della rivoluzione, Milano, 2017.
32 V.I. Lenin, La catastrofe imminente e come lottare contro di essa, in Opere cit., vol. XXV, Roma 1970, p. 340.
33 Ivi, p. 341.
34 Id., Discorso al I Congresso dei Consigli dell’economia nazionale, in Opere cit., vol. XXVII, Roma 1970, p. 382.
35 Id., Rapporto politico del Comitato centrale presentato all’XI Congresso del PCR(b), in Opere cit., Roma 1967, p. 244.
36 Id., Sulla cooperazione, in Opere scelte, vol. XXXIII, Roma 1967, pp. 434-435.
37 L’immagine matematica, la cui paternità si deve allo scrittore russo Isaak Babel’, esprime con efficacia il carattere dialettico e ‘algebrico’ del metodo di ricerca, dell’analisi scientifica e della politica rivoluzionaria sviluppati, sulle orme di Marx e di Engels, prima da Lenin e poi da Stalin. Per un approfondimento dei lineamenti teorici della problematica della transizione dal capitalismo al socialismo/comunismo si veda anche il seguente articolo: