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La Palestina “non deve esistere”, e l’Onu neppure

di Dante Barontini

Non è difficile unire i puntini tra le notizie delle ultime ore riguardanti la Palestina e il relativo popolo.

Sul piano militare, Israele si è lanciata contro Gaza City – l’agglomerato più ampio e abitato della omonima Striscia – chiudendo completamente anche quel poco (e puramente propagandistico) di rifornimenti umanitari che venivano distribuiti durante delle “pause tattiche” durante la giornata. Tutta la città è stata dichiarata “zona di combattimento pericolosa”.

Non che le “pause” fossero effettive. I team delle Nazioni Unite hanno riferito che “sono stati comunque osservati bombardamenti nelle aree e nei momenti in cui tali pause erano state dichiarate“.

Nonostante questo, l‘Onu ha dichiarato che resterà a Gaza City. “Noi e i nostri partner – ha detto il portavoce, Stephane Dujarric – restiamo a Gaza City per fornire supporto salvavita, con l’impegno di servire le persone ovunque esse si trovino. Ci aspettiamo che il nostro lavoro sia pienamente facilitato e ricordiamo alle parti che i civili, compresi gli operatori umanitari, devono essere protetti in ogni momento. Le strutture umanitarie e le altre infrastrutture civili devono essere ugualmente salvaguardate“.

Speranze legittime, anzi “legali” ai sensi del diritto internazionale, ma deluse sempre sia dal criminale regime sionista che dal proprio alleato-protettore, gli Stati Uniti.

Non pago del “summit immobiliaristico” convocato a Washington con Blair e il genero Kouchner – gli affari di famiglia vengono comunque prima di quelli di Stato, pare – Donald Trump ha fatto la mossa che chiarisce come per lui l’Onu sia un organismo da chiudere.

Gli Stati Uniti, su suo ordine, hanno infatti revocato i visti ai funzionari dell’Autorità Palestinese e dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina in vista degli incontri previsti il mese prossimo presso la sede delle Nazioni Unite a New York. Secondo Washington, le iniziative portate avanti dall’Autorità Palestinese “hanno contribuito in modo significativo al rifiuto di Hamas di liberare i propri ostaggi e al fallimento dei colloqui per il cessate il fuoco a Gaza“.

Il più noto dei “funzionari” sanzionati è Abu Mazen, il letargico leader dell’Anp che negli ultimi due decenni si è preoccupato più di rinfocolare le divisioni all’interno del fronte politico palestinese che non di contrastare le politiche israeliane. Se uno così viene considerato a Washington un “alleato” di Hamas, magari “inconsapevole”, è palese che nessuno Stato, né nessuna classe politica palestinese vedrà mai il benestare degli Usa.

Proprio come vuole Israele (l’80% della popolazione).

Ma questo si sapeva…

La novità sta tutta nell’aspetto “diplomatico” e legale. New York, ossia gli Stati Uniti, ospita l’Onu al Palazzo di Vetro. Questo implica che il personale diplomatico e i leader politici di qualsiasi paese del mondo – tutti i paesi membri, e la Palestina lo è dagli Accordi di Oslo, nonostante siano poi stati svuotati di fatto da Israele – dovono poter entrare negli Usa almeno per il tratto dall’aeroporto alla sede Onu sul fiume Potomac. A prescindere dal tipo di regime politico-economico e dalle relazioni con Washington.

Altrimenti gli Stati Uniti cessano di essere la sede di una istituzione universale e pretendono di garantire l’accesso a una istituzione universale trattando tutti gli altri paesi secondo le proprie preferenze (alleati, sudditi, amici, nemici, avversari, ecc).

A questo punto l’Onu è messa in condizione di non poter più funzionare, perché né la sua Assemblea Generale né altri organismi minori altrettanto universali, possono più riunirsi al completo, visto che le presenze vengono permesse oppure no dalla discrezionalità del paese “ospitante”.

Ma l’Onu non può neanche cambiare sede – tornando a Ginevra o in altro paese “neutrale” sul piano internazionale – perché la mossa avrebbe senso solo “espellendo” gli Stati Uniti (membro permanente del Consiglio di Sicurezza) e anche Israele (unico paese a non aver mai rispettato nessuna direttiva dell’organismo internazionale).

Ipotesi campata in aria, notoriamente. E lo dimostra la “vittoria” ottenuta proprio ieri, nel Consiglio di Sicurezza, da Usa ed Israele: dopo quasi cinquant’anni, tutti e 15 i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite hanno votato all’unanimità per porre fine alla forza di interposizione al confine tra Libano e Israele, l’Unifil.

Dal 2027 la zona di confine tornerà sotto il controllo teorico dell’”esercito libanese”, ossia dell’Idf con la supervisione del Pentagono.

Non finirà bene…

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