Le guerre di Israele sono (anche) guerre per procura
di Antiper
La difesa compatta del genocidio israeliano a Gaza e delle operazioni militari dell’entità sionista e terrorista da parte delle “cancellerie” di tutti i paesi dell’impero americano viene spesso letta come la manifestazione evidente di una sudditanza nei confronti di Israele. Questa idea degli ebrei che dominano il mondo sembra però la semplice riproposizione della vecchia teoria della “cospirazione giudaica” e non spiega efficacemente il reciproco e dialettico interesse che nutrono Israele (assieme a larga parte della comunità ebraica internazionale) e i gruppi dominanti del blocco imperialista a guida USA.
Certo, all’interno di questo blocco, Israele non è un semplice stato-vassallo come lo sono l’Italia o la Lituania o (ancora per poco) l’Ucraina. Israele è un paese che ha un grande peso politico che si mostra platealmente nelle standing ovation che il Congresso americano, senza alcuna forma di pudore, tributa a un criminale genocida le cui azioni non hanno nulla da invidiare a quelle di Adolf Hitler.
Dopo la Seconda guerra mondiale (e per diversi aspetti anche in precedenza, visto che la dichiarazione di Balfour avviene durante la Prima guerra mondiale) gli ebrei stipulano un patto con le potenze imperialiste e colonialiste vincenti (gli USA e soprattutto la Gran Bretagna, a cui era stato assegnato il protettorato della Palestina dopo il crollo dell’Impero Ottomano alla fine della Grande guerra):
in cambio della terra dei palestinesi Israele deve diventare il cane da guardia degli interessi inglesi (e poi americani, dopo che gli USA si saranno comprati l’impero britannico in cambio dell’appoggio contro la Germania nazista) e non c’è bisogno di spiegare quanto importante sia, dal punto di vista strategico, quell’area. Nella sua strategia di polizia etnica della Palestina Israele è sostenuto dall’imperialismo occidentale ma in cambio ne deve difendere gli interessi. In fondo gli ebrei hanno ricevuto il via libera inglese all’occupazione della Palestina proprio perché i sionisti sono ebrei, europei, occidentali, bianchi e la loro colonizzazione può sopravvivere in un contesto come quello medio-orientale solo con la forza e con l’appoggio occidentale. Questo vuol dire che se l’Occidente non può permettersi di abbandonare Israele, Israele da parte sua non può permettersi di abbandonare l’Occidente.
Lo ha capito anche una persona dall’intelligenza limitata come Javier Milei, presidente di quel disgraziato paese che si chiama Argentina
“Una delle dichiarazioni più taglienti riguardo agli attacchi israeliani contro l’Iran – sostenuti dagli Stati Uniti – è arrivata dal presidente argentino Javier Milei. In un’intervistaa LN+, il canale televisivo La Nacion, Milei ha dichiarato che “l’Iran è il nemico dell’Argentina” e ha inquadrato le azioni di Israele come una difesa dei valori capitalistici occidentali radicati nelle tradizioni giudaico-cristiane.
Nonostante la sua incomprensione dei valori religiosi e di civiltà – in netto contrasto con l’eredità della teologia della liberazione in America Latina – Milei articola una logica geopolitica cruciale: Israele funge da avamposto per gli interessi capitalistici occidentali nel continuo confronto con l’Iran, un attore sovrano nel Sud del mondo. Pur operando in un quadro capitalista, l’Iran rimane una delle nazioni politicamente più indipendenti dell’Asia occidentale, che cerca di preservare la propria autonomia sostenendo al contempo il movimento di liberazione palestinese contro l’interventismo statunitense e israeliano.” [1]
Quando Milei va a frignare al Muro del pianto a Gerusalemme indossando la kippa non fa altro che testimoniare il legame indissolubile tra Israele e l’imperialismo a guida USA di cui gli argentini sono, sì, solo dei camerieri, ma dei camerieri molto utili per spezzare il tentativo di sviluppo dei BRICS+ in America Latina.
In uno dei suoi classici momenti di auto-esaltazione Trump ha etichettato l’aggressione di Israele all’Iran come la “guerra dei 12 giorni” (per scimmiottare la famosa “guerra dei 6 giorni” del 1967), attribuendo a sé stesso il merito di avervi posto fine rapidamente. Ma lo scontro non nasce, e tanto meno finisce, con questi 12 giorni e il primo errore da non fare è quello di isolare l’aggressione di Israele all’Iran dalle altre aggressioni statunitensi e israeliane nell’area: Iraq, Afghanistan, Libano, Siria, Palestina, Iran, Somalia sono tutti passaggi di una vasta operazione di ristrutturazione delle aree di influenza strategica a livello globale e, nel caso specifico, in Medio Oriente.
“Il generale statunitense Wesley Clark, già comandante della campagna di bombardamenti NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia durante la guerra del Kosovo e Comandante supremo delle forze alleate in Europa dal 1997 al 2000, ha rivelato in una celebre intervista del 2007 un retroscena inquietante: pochi giorni dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, apprese all’interno del Pentagono dell’esistenza di un piano strategico per avviare operazioni militari contro sette paesi nell’arco di cinque anni. I paesi indicati nel piano erano: Iraq, Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan e, infine, Iran” [2]
Le guerre che l’impero americano ha condotto (e conduce) in Medio Oriente e in Asia occidentale avevano l’obbiettivo di portare (o riportare) sotto il controllo occidentale paesi che per lungo tempo erano stati una spina nel fianco ed evitare che potessero sviluppare, direttamente o indirettamente, relazioni pericolose con il Sud globale emergente e segnatamente con la Cina.
E anche uno degli obbiettivi del recente attacco sionista all’Iran (e di quelli alla Palestina, al Libano e alla Siria che lo hanno preceduto) è certamente quello di indebolire in modo decisivo il ruolo che la Cina ha assunto in questi anni in Medio Oriente.
Sull’importanza strategica dell’Iran per la Cina circolano in rete molti ottimi interventi, ma forse gli elementi principali si possono riassumere in due: il rifornimento di petrolio e la conservazione di una direttrice fondamentale della (multi) via della seta. [3]
Al fatto che Israele abbia attaccato l’Iran davvero per ragioni di sicurezza nessuno può seriamente credere [4]. E che tutto il mondo (Israele, l’Europa, gli USA) si muova a rimorchio di un personaggio che, secondo la vulgata, vorrebbe solo salvarsi dai propri guai giudiziari è un’altra sciocchezza talmente enorme che c’è da provare imbarazzo anche solo a parlarne.
La posta in gioco in Medio Oriente è assai più ambiziosa del “salvare Netanyahu”. E un’ulteriore tappa dell’accerchiamento dell’Iran potrebbe essersi compiuta proprio in questi giorni con l’accordo tra Armenia e Azerbaijan [5] che potrebbe essere problematico sia per l’Iran [6] sia per la Russia (ma anche per la Cina).
L’attacco (diretto) all’Iran e (indiretto) alla Cina e al Sud globale emergente è ancora in corso e il fatto che i missili siano volati solo per 12 giorni, purtroppo, non significa nulla.
Comments
E odio per il popolo, il popolo che chiede democrazia e diritti.
Perché è vero che Prima Sono Venuti per i Palestinesi, e poi per tutti noi.
Più che per il denaro, sono le risorse della terra, la terra stessa come bottino insanguinato, e così la santificano, con il sangue dei vinti, per creare nuovi Imperi basati sullo sterminio e l'annientamento dei popoli più deboli. Questa storia del Grande Israele è una ripetizione delle vecchie guerre di conquista coloniali, in cui i "selvaggi" furono decimati a milioni. Siamo ancora lì, possiamo riconoscere sui volti dell'élite sionista la cicatrice purulenta del vecchio colonialismo.
L’Impero Britannico non possedeva la Palestina, però a cavallo tra Otto e Novecento ne sentiva il bisogno:
a) per entrare e dominare la regione del petrolio (vedi la gara con la Germania in quello scacchiere);
b) per un ulteriore controllo delle vie di comunicazione con l’India (canale di Suez).
c) e, nel 1917, per creare un argine alla Russia, non più controllabile dopo la Rivoluzione.
In questo quadro la convergenza Impero Britannico/sionismo, è solo una mascheratura del colonialismo inglese classico nel gioco delle sue varie componenti.
E la stesura della “dichiarazione Balfour” un teatrino, una farsa, dove gli interpreti della commedia “Prendiamoci la Palestina” sono gli stessi a ruoli alterni.
Gli ebrei c’entrano, se sionisti.
E i sionisti, pur pretendendo di rappresentare l’ebraismo (cosa che non è) sono europei, occidentali, bianchi e, aggiungo, nel 1917 anglosassoni per nascita, formazione, cultura..
Nell’America del Nord, qualche decennio prima di Herzl, il “Destino Manifesto” era il portato ideologico della bianca civiltà occidentale anglosassone.
Proprio come il sionismo fin dalle sue intime origini.
Nel suo opuscolo Herzl, chiede al Sultano di concedergli la Palestina, e garantisce l’Europa scrivendo: “rappresenteremmo colà un pezzo del vallo contro l’Asia, copriremmo l’ufficio di avamposti della civiltà contro le barbarie”.
Uno schietto pamphlet colonialista, che Herzl chiama “Lo Stato Ebraico”, posto umilmente al servizio delle potenze coloniali.
Infatti, poco dopo il club sionista si offrirà come alibi al colonialismo dello stesso British Empire di cui fa parte.
In tutto questo andazzo fa capolino l’antisemitismo nelle parole di lord Balfour (quello che firmò la “dichiarazione”) che il 10 luglio 1905 in un suo intervento al Parlamento disse: “Non andrebbe a vantaggio della civiltà del nostro Paese la presenza di un immenso corpo sociale i cui membri, per loro stessa iniziativa, restano un popolo a parte, e non solo professano una religione diversa da quella della maggior parte dei loro concittadini, ma contraggono matrimonio solo all’interno della loro comunità” Nella mente di lord Balfour mandare i sionisti in Palestina, equivaleva a “liberarsi” degli ebrei. E il sionismo è sempre stato in sintonia con l’antisemitismo europeo. Perfino con Hilter.
Giorgio Stern