L'”Europa” deve ora decidere come perdere
di Dante Barontini
Zelenskij si prepara al viaggio per Washington dove dovrà scegliere tra due sconfitte: aderire al canovaccio individuato in Alaska tra Trump e Putin (fare un accordo accettando molte, se non tutte, delle condizioni poste da Mosca), oppure rifiutare la proposta e restare in guerra con il solo appoggio dell’Unione Europea, manifestamente non in grado di “compensare” l’apporto statunitense (copertura satellitare, comunicazioni, droni, missili a medio raggio, ecc).
Scavando un po’ tra le indiscrezioni lasciate trapelare a valle del vertice, si può dire con una certa sicurezza che il principale risultato sia stata la convergenza tra due superpotenze nucleari – ma ce ne sono oggi anche altre… – nel definire un quadro di relazioni non apertamente conflittuale.
Detto in parole semplici, gli Usa di Trump vogliono svincolarsi dal conflitto in Ucraina per una lunga serie di ragioni.
Si sono impegnati in una guerra dei dazi con tutto il mondo, senza distinguere troppo tra avversari storici e “alleati-vassalli”, allo scopo esplicito di scaricare il costo del proprio debito (sia pubblico che commerciale) sugli altri.
Devono provare a favorire la re-industrializzazione del proprio paese, desertificato da 30 e più anni di delocalizzazioni produttive che hanno creato nuovi e potenti concorrenti. Ma è un obiettivo che appare praticamente impossibile, nonostante gli investimenti imposti ai vassalli nippo-europei, e proprio mentre le preoccupazioni per l’occupazione sono al livello della crisi del 1929, accompagnate da quelle per l’inflazione che dovrebbe scaturire dal peso dei dazi sulle importazioni.
Hanno semmai la Cina nel mirino come superpotenza al tempo stesso economica, politica e militare, inserita in una sistema di relazioni commerciali (i Brics) che la rende anche più “ingombrante”, anche se con un modello di business molto differente rispetto a quello occidentale (in estrema sintesi: accordi win-win, anziché la rapina coloniale).
E’ un’America fortemente claudicante, azzoppata anche nella credibilità militare (la fuga dall’Afghanistan non è stata ancora recuperata), che si è fatta due conti in tasca e ha deciso che la strategia “neocon” – che accomuna i repubblicani vecchio stile e i “democratici” – non è più sostenibile.
Il problema serissimo è fare accettare questo ennesimo scaricabarile – un classico della politica imperiale yankee – ai vassalli europei e agli ascari ucraini, convinti (con la “majdan” del 2014, col marchio neocon stampato bene in vista) a sfidare apertamente la Russia contando sul supporto entusiasta dell’”Occidente collettivo”, puntando a ripetere su scala leggermente minore il processo che aveva portato alla disgregazione dell’Unione Sovietica.
Per quanto incredibile possa sembrare, ventisette nanerottoli che hanno accettato senza fiatare le condizioni poste da Trump sui dazi e non solo (acquisti di armi ed energia per centinaia di miliardi, oltre a 600 miliardi di “investimenti” che saranno gli Usa a decidere come allocare), si ritrovano ora a recitare la parte degli irriducibili della guerra alla Russia “fino alla vittoria” (questo e non altro significano slogan come “non si deve permettere di ridisegnare i confini con la forza”, “Kiev deve riavere i territori conquistati”, “non è ammissibile nessun veto all’adesione alla Nato” e altre fantasticherie ripetute ogni giorno).
“Vasto programma”, diceva qualcuno…
Se dominasse la razionalità politica, economica e militare, sarebbe facile prevedere il rapido siluramento di Zelenskij e dei “battaglioni Azov”, il cambio di marcia – seppure obtorto collo – dell’Unione Europea dalla guerra alla pace.
Ma per cambiare marcia occorrerebbe una “macchina” ben progettata, funzionante, guidata da piloti esperti e ricchi di talento. L’esatto contrario di questa Unione Europea costruita come un trattato commerciale che favorisce alcuni paesi a scapito di altri, inadatta a esprimere una qualsiasi visione politica al di là del “libero mercato” e dell’austerità di bilancio, con fantasmi politici selezionati per applicare gli input del “pilota automatico” con un margine zero di autonomia.
Questo insieme ci metterà come minimo mesi a concordare qualsiasi rettifica alla “linea di condotta”, nel mentre gli Usa andranno sfilandosi a seconda della velocità con cui verranno raggiunti accordi globali che prescindono allegramente dai rachitici interessi europei.
Hanno di fatto introiettato la “visione strategica” dei nazisti di Kiev o di polacchi e baltici (“provochiamo la Russia, tanto ci stanno gli Stati Uniti a proteggerci”), e ora cominciano ad aver paura che “il protettore” li stia mollando quel tanto che basta.
E quindi, proprio come Zelenskij, “la vittoria sulla Russia” va in archivio come un delirio senza fondamento.
L'”Europa” deve ora decidere quale tipo di sconfitta preferisce. Se quella “morbida” del rientro nel gruppo dei vassalli completamente obbedienti (come per i dazi, rinunciano a qualsiasi velleità “competitiva” come imperialismo autonomo, disgregandosi in corrispondenza degli interessi Usa, magari con la speranza che tra tre anni e mezzo ritorni alla Casa Bianca un simil-Biden), oppure quella durissima del gettarsi in un’avventura senza avere l’equipaggiamento, la statura, il know how…
Pesano le prese di posizione sparate in questi anni come verità assolute, le minacce e ogni altra dabbenaggine che il suprematismo più o meno inconscio ha suggerito a minus habens di seconda schiera. Rimangiarsele ha un costo, come minimo la poltrona… Di qui anche la tentazione di tirare un altro po’ la corda.
E’ in questo sconnesso balbettare, tra stop and go, slanci guerrafondai e paure geostrategiche, tra fughe in avanti e precipitose ritirate mai ammesse, che si può creare lo spazio per avventurieri dal grilletto facile e dalla mente spenta. Quelli che creano guasti che poi nessuno sa come riparare.
Ai lavoratori, agli studenti, agli ambientalisti veri e ai pacifisti senza “doppio standard” il compito di attivarsi per rovesciare l’asfittica classe dirigente di questo continente. Ognuno nel suo paese, in uno sforzo corale e simpatetico.
L’alternativa alla barbarie è socialista. O non è…