Il canzoniere del proletariato. Le canzoni di Lotta Continua
di Diego Giachetti
Il libro, curato da Massimo Roccaforte, Il canzoniere del proletariato. Le canzoni di Lotta Continua, i testi e le musiche (Interno4, Rimini 2024), ha richiesto più di cinque anni di ricerca da quando è stato pensato e poi pubblicato. Le parole e le musiche suonate e cantate dal Canzoniere del Proletariato e dal gruppo del Canzoniere pisano prima, tornano alla luce nella loro versione originale grazie a un lavoro di gruppo che ha coinvolto tra gli altri, oltre al curatore, Luigi Manconi, Pino Masi, Piero Nissim, Antonio Giordano, Giuseppe Barbera, Piero Lanfranco, Alessandro Portelli ed Emiliano Sisto dell'archivio La Lunga Rabbia. Insieme alle 41 canzoni, raccolte e rimasterizzate in due CD, il libro contiene la riproduzione delle grafiche dei dischi originali, i testi delle canzoni, alcuni scritti critici e alcune strisce di fumetti di Roberto Zamarin dedicate al suo protagonista Gasparazzo. Particolarmente interessanti i contributi utili a ricostruire il clima di quel tempo agitato, come il saggio Canti della lotta dura, curato da Piero Nissim, il reperto del Canzoniere del Proletariato di Pino Masi, l’articolo di Alessandro Portelli estratto dal libro La chitarra e il potere, che collocano criticamente il contributo delle canzoni di protesta nella storia culturale italiana.
Cantautori proletari
Il testo è dedicato alla memoria di Alfredo Bandelli, un operaio che faceva il cantautore e firmava le sue canzoni con la dicitura “Parole e musica del proletariato” e a Sergio Martin, uno dei promotori dei Circoli Ottobre, l’associazione culturale promossa da Lotta Continua per l’organizzazione di concerti, spettacoli teatrali e cinematografici, con una propria etichetta discografica, uno dei primi esempi di autoproduzione e autogestione musicale.
Il libro incrocia la musica popolare con i protagonisti della stagione di lotte che si apre nel 1960, quella dei ragazzi dalle magliette a strisce, di Piazza Statuto a Torino per giungere al biennio delle lotte studentesche e operaie del 1968-69, fino al 1976.
Gli anni che precedettero il 1968 registrarono una spinta nella lotta operaia e studentesca caratterizzata da una riappropriazione della politica in una forma più attiva. Parallelamente si consolidava l’iniziativa del Canzoniere Pisano i cui componenti, militanti del gruppo Potere Operaio di Pisa, mettevano al primo posto il tema del lavoro, della violenza del sistema borghese, dello sfruttamento di uomini e donne. Nascevano le canzoni “nate nella lotta, fatte per la lotta”, con un duplice repertorio. Da una parte affrontavano questioni politiche generali nazionali e internazionali. Dall’altra erano ispirate dalle lotte operaie in Toscana, incitavano alla lotta collettiva. Quella notte davanti alla Bussola, invece, raccontava la contestazione organizzata da Potere Operaio contro i frequentatori del veglione di capodanno al locale la Bussola delle Focette di Viareggio, finito tragicamente, con una sparatoria dei carabinieri che ferirono Soriano Ceccanti, un giovane che restò paralizzato. Erano canzoni cantate nei comizi, nelle assemblee, dentro le Case del popolo, che funzionavano come “elemento di rottura” e stimolavano il dibattito politico. Erano le voci dei cantautori usciti dalle fila del Nuovo Canzoniere Italiano, dove il recupero della canzone di protesta del passato si coniugava alla scrittura di testi nuovi sui temi della contestazione sociale e politica.
Gli elementi di novità consistevano nell’essere, sovente, canzoni prodotte da cantautori operai, partecipanti loro stessi alla lotta, non più osservata, descritta e cantata da una voce esterna, per quanto competente e qualificata. Inoltre rompevano coi tradizionali canti del lavoro, per collocarsi nella proposizione di canti contro il lavoro. A seguito delle trasformazioni avvenute nel ciclo della produzione, i testi esprimevano la lotta contro l’organizzazione del lavoro e il rifiuto della sua ideologia lavorista. Rispetto al passato, i protagonisti che intonavano quei canti facevano parte di una classe lavoratrice sradicata dai luoghi di origine, dequalificata dall’organizzazione scientifica del lavoro, irrispettosa dei sindacati, alla ricerca di forme nuove di espressione per comunicare la propria forza collettiva.
Le canzoni di Lotta Continua
A partire dal 1969, molte canzoni riproposte nei CD s’intersecano con la storia di Lotta Continua, alla quale la casa editrice ha già dedicato due libri di Guido Viale: Niente da dimenticare. Verità e menzogne su Lotta Continua e Prendiamoci la città. In questo caso si tratta di una storia riproposta non a partire dai documenti politici, ma attraverso le promozioni creative: canzoni, fumetti, stampe. Le grafiche dei dischi originali e le illustrazioni d’epoca tratte da libri, volantini, manifesti, giornali, trasformano le pagine del libro in fonte documentaria di storia e di arte grafica. Un prodotto tutto da assaporare assieme all’imprescindibile ascolto delle canzoni contenute nei due CD. Tra i nomi più significativi spiccano quelli di Alfredo Bandelli, Pino Masi, Piero Nissim, autori e interpreti della gran parte delle canzoni del Canzoniere del Proletariato, nato dall’esperienza del Canzoniere Pisano.
Quelle canzoni accompagnarono dal 1969 al 1975 il ciclo di lotte sociali e politiche che attraversò l’Italia e la stessa Lotta Continua: dalla rivolta degli studenti del 1968, alle occupazioni e i cortei nelle grandi fabbriche italiane; dalle lotte nei quartieri, nelle scuole, nelle caserme, nelle carceri, alla campagna contro la strage di stato del 12 dicembre fino alle lotte internazionaliste e il movimento per il diritto alla casa. Emerge, con evidenza dai testi, la pluralità dei soggetti in rivolta: operai, studenti, donne, giovani, carcerati, soldati, braccianti, pastori sardi. Testi che ancora una volta ripropongono la forza evocativa delle canzoni, capace di rievocare a fior di pelle la storia, calandoci nel contesto, scalzando quel fastidioso processo inverso del presente che riassume e legge il passato alla luce del grigio, fastidioso e limitativo senno di poi, suggerito da una triste contemporaneità.
Si ritrovano temi e lotte che contraddistinsero Lotta Continua, narrate mantenendo vivo il vortice di rabbia, denuncia e passione contenuto nella canzone popolare e di protesta. La ballata della Fiat, La violenza, La ballata di Pinelli, L’ora del fucile, solo per citarne alcune, ebbero un’ampia diffusione dovuta a numerosi giovani che si cimentavano nel fare musica per esprimere il loro rapporto con la politica e la società, senza delegare il diritto di parola ad altri. Erano ascoltatori che diventavano “parlatori”, diffusori dei testi. Quelle canzoni divennero strumento di propaganda delle lotte, d’indicazione di obiettivi da perseguire, collante tra le varie esperienze di lotta, strumento divulgativo, voce collettiva di denuncia politica. Erano infatti cantate e condivise da un numero considerevole di persone che diventavano, allo stesso tempo, autori, esecutori, produttori, proprietari.
La ballata della Fiat
La ripresa della lotta operaia alla Fiat di Torino nella primavera del 1969, sfociata negli scontri di Corso Traiano del 3 luglio, è esemplarmente raccontata a caldo nella canzone La ballata della Fiat, capace di cogliere lo spirito spontaneo della rivolta e le sue ragioni: abolizione delle qualifiche, aumenti salariali uguali per tutti, riduzione dell’orario di lavoro, disponibilità allo scontro: “ne abbiamo visti davvero tanti/ di manganelli e scudi romani/ però si è visto anche tante mani/ che a cercar pietre cominciano andar”. Si apriva una stagione di lotte e di creatività, di rabbia rivoltosa e di gioia. Gioia per la ritrovata felicità pubblica nell’occupazione delle piazze e delle strade delle città, rabbia per la repressione, per le denunce, per le sospensioni subite a scuola, per i genitori che non capivano, per l’autorità che puniva, per l’indifferenza della gente per bene. Gioia e violenza erano presenti dentro i cortei: “oggi ho visto nel corteo/ tante facce sorridenti” (La violenza).
I cortei esploravano la città e scoprivano i luoghi del potere istituzionale. Risa dissacranti si alternavano a scoppi di rabbia difensiva, a parole violenta, di reazione alle cariche della polizia. Disponibilità a difendersi da un’aggressione poliziesca, repressiva e subdola, da parte di una generazione impressionata da due esperienze vitali, forti e opposte: il ‘68 e il 69 operaio da una parte e Piazza Fontana, Pinelli, Valpreda dall’altra: “l’allegria e la morte, la luminosità e il torbido, la confidenza e la paura, la cordialità e il senso di persecuzione”, secondo la testimonianza di Adriano Sofri (Memoria, Sellerio, 1990, p. 181). La reazione alla violenza delle istituzioni, in un miscuglio di rabbia e paura, voleva dimostrare che si poteva sfidare il sistema, combatterlo e forse vincerlo.
Tutto il mondo sta esplodendo
Quella ribellione si collocava in un mondo che stava “esplodendo”, secondo l’incipit della canzone L’ora del fucile. Pino Masi, l’autore, elencava il Vietnam, l’America Latina, Cuba, l’Angola, la Palestina, mentre gli stessi Stati Uniti, baluardo dell’imperialismo mondiale, imparavano una lezione dalle pantere Nere. Anche in Europa “le masse non stanno più a guardare/ la lotta esplode ovunque/ e non si può fermare, ovunque barricate/ da Burgos a Stettino/ da Orgosolo a Marghera/ da Battipaglia a Reggio/ la lotta dura avanza”; fino alla Polonia dove gli operai in sciopero “gridavano in corteo/ polizia Gestapo/ gridavano: Gumulka, per te finisce male/ e marciavano cantando l’internazionale”.
Le canzoni “s’induriscono”, ci restituiscono punti di vista netti, con elementi di controinformazione in appoggio alle campagne politiche di quegli anni, dalle stragi di Stato, alle esperienze di lotta nelle fabbriche e nei quartieri delle città. Prendiamoci la città interpretata da Pino Masi, ampliava gli obiettivi della lotta, che non riguardava solo lavoratori delle fabbriche, ma si indirizzava contro il sistema borghese dell’istruzione, toccava la questione dell’occupazione delle case da parte di chi ne era privo. Tema ripreso nella Canzone per Tonino Micciché di Enzo del Re con la quale raccontava l’omicidio del giovane venticinquenne siciliano emigrato a Torino, del comitato di occupazione del quartiere Falchera, assassinato il 17 aprile 1975. E in Roma San Basilio, in cui si raccontava dell’occupazione dell’omonimo quartiere romano e della rivolta scoppiata l’8 settembre 1974 in cui gli abitanti si opposero alle forze di polizia, colpevoli dell’uccisione del manifestante diciannovenne Fabrizio Ceruso. L’interesse dei militanti si estese anche alle lotte condotte altrove, contro la dittatura in Cile (Il Cile è già un altro Vietnam), per l’indipendenza in Irlanda, tra i brani Libera Belfast, No! Nessuno mai ci fermerà, I volontari di Bogside. Certo, abbondano in alcuni casi i toni trionfalistici ma, per dirla con Alessandro Portelli, quelle canzoni politiche restano un fatto culturale rilevante. Rappresentano la “poesia civile di quegli anni, non semplicistica, ricca di implicazioni, di sottintesi, di simboli, di immagini, che esprimono un movimento”.