Ucraina. Il “pacco” di Trump è stato consegnato. Contiene dinamite
di Dante Barontini
Sul conflitto in Ucraina è importante seguire i giornali europei più “bideniani” e guerrafondai per capire quale sia il “clima” all’interno dei vertici della UE (più la Gran Bretagna), e quali soluzioni siano in ballo sia per la prosecuzione della guerra che per la sua eventuale conclusione.
L’evento più rilevante delle ultime settimane è stata certamente la “svolta” verbale di Trump, che si è prima detto “deluso” da Putin (come se nelle relazioni tra superpotenze i sentimenti avessero anche solo un minimo di ruolo), quindi ha dichiarato che “l’Ucraina può vincere” (tre mesi prima Zelenskij aveva ammesso che proprio non era possibile), poi ha detto “sì” all’eventuale abbattimenti di “oggetti volanti russi” sul territorio della Nato, poi ha rimproverato la stessa Ue perché continua a comprare gas e petrolio da Mosca anziché da Washington, esortando a mettere dazi al 100% sulle merci di Cina e India perché fanno la stessa cosa.
Nell’insieme queste sconclusionate affermazioni erano state accolte positivamente, dai guerrafondai nostrani. Poi anche i più entusiasti hanno cominciato a rifarsi i conti.
Tenuta sottotraccia come notizia, a Bruxelles hanno comunque dovuto registrare che gli Stati Uniti, nel frattempo, stavano smettendo di mandare armi “efficaci” – anche se pagate dalla UE – per scarsità di produzione e mutate esigenze yankee. E questo mentre l’attore di Kiev chiedeva nientepopodimeno che dei missili Tomahawk per bombardare direttamente Mosca o San Pietroburgo. A quel punto mancava solo la richiesta di testate nucleari e il sogno poteva arrivare in fondo…
Non serve aver studiato alla scuola del “realismo politico” – basta aver appreso qualcosa da Lenin – per sapere che molto prima di quei “trasferimenti” di armi saremmo già dentro la Terza Guerra Mondiale. E subito oltre(tomba), perché col nucleare non si scherza…
Fantasie belliche a parte, è cominciato a serpeggiare il sospetto che la “svolta di Trump” fosse in realtà la versione yankee del “vieni avanti, cretino!” dell’antica tv anni ‘60. Insomma, un “pacco”, come si dice a Napoli.
Ha cominciato il Donald dei poveri, il polacco Tusk, avvertendo che la svolta trumpiana in realtà maschera “una promessa di ridotto coinvolgimento americano e un trasferimento di responsabilità all’Europa per porre fine alla guerra“. Poi, su X, ha sintetizzato: “Meglio la verità che le illusioni“. Detto da quello che aveva fatto bombardare una casa polacca per dimostrare che era riuscito ad abbattere dei “droni russi” non è poco…
Ma la sveglia è suonata anche a Bruxelles. “Questo è l’inizio di un gioco delle colpe“, ha detto un funzionario sotto anonimato. “Gli USA sapevano che i dazi su Cina e India sarebbero stati impossibili” da accettare per l’UE. Trump “sta costruendo la via di uscita” per “poter incolpare l’Europa del fallimento, quando e se ne avrà bisogno”.
Insomma, “Trump vuole evitare che, dopo nove mesi al potere, questa guerra diventi anche la sua guerra” e non sia più solo “la guerra di Biden“, ha spiegato Carlo Masala, professore di affari internazionali all’Università della Bundeswehr (l’esercito tedesco) di Monaco.
Persino Kaja Kallas – cosiddetto “alto rappresentante della UE per la politica estera” – a lungo considerata fedele esecutrice dei desiderata Usa, sentita da POLITICO, sembra colta da dubbi amletici prima inammissibili: “Capisco ciò che stanno dicendo gli americani – che non possono esercitare pressioni sulla Russia perché ciò chiuderebbe i canali di comunicazione che hanno con la Russia, e loro sono gli unici a mediare“.
Però, se “offri tutto questo affinché [la Russia] venga al tavolo delle trattative, ma loro in realtà non fanno che escalare… questa buona volontà viene abusata da Putin. Ora la domanda è: cosa si fa a questo punto?“
Il problema è che proprio mancano le basi per impostare una risposta realistica, visto che il ragionamento si fonda su presupposti buoni per la propaganda spicciola, non certo per una postura strategica razionale.
Parte infatti dalle balle messe su dalla stessa UE (“Putin ci sta mettendo alla prova, per vedere fino a che punto può spingersi. Vuole vedere la nostra reazione“), per poi ammettere che “Se la tua risposta è troppo forte, anche questo ha un effetto [negativo, ndr] sulle nostre società“, perché i cittadini sono in ansia per un possibile tracimare della guerra nei loro territori (in realtà, come dicono i sondaggi, sono totalmente contrari a stragrande maggioranza). “Quindi questo è l’equilibrio che i leader devono trovare: non alimentare la paura all’interno della nostra società“. Pur alimentando la corsa alla guerra…
Gente che ragiona così ha problemi gravi. Da una parte partecipi entusiasticamente ad una guerra “fino all’ultimo ucraino”, spingi perché la Nato venga coinvolta più direttamente, metti in piedi una campagna di falsi allarmi che avrebbe l’unico scopo di creare consenso per un riarmo che altrimenti verrebbe rifiutato a furor di masse… E dall’altra ti preoccupi perché la paura – contrariamente ai tuoi obbiettivi – sta moltiplicando l’ostilità sociale alla guerra.
Dei governanti seri – non “comunisti”, ma almeno seri – si fermerebbero a ragionare sulla pesantezza del “pacco” consegnato via Casa Bianca (oltrepassava di molto i limiti di Amazon). E invece questi si mettono a ragionare su come espropriare 300 miliardi di depositi di cittadini o società russe fermi nelle banche europee.
E lo spiegano anche con un altro ragionamento delirante: “Se abbiamo raggiunto la conclusione per cui nessuno attorno al tavolo possa nemmeno lontanamente immaginare che la ricostruzione dell’Ucraina venga pagata dalle tasche dei nostri contribuenti, allora abbiamo bisogno di soluzioni. La Russia dovrebbe pagare per i danni che ha causato”.
Suona quasi logico, nel mondo astratto dei format propagandistici: prendiamo i soldi dei russi e li diamo agli ucraini, senza che noi ci rimettiamo un soldo. Anzi…
Peccato che nel mondo reale del capitalismo funziona tutto in un altro modo. Se un intero continente decide di sequestrare beni finanziari depositati nelle proprie banche o, in altre “attività”, in base a una decisione politica fondata su qualsiasi motivo (non importa se eticamente condivisibile o meno, sapete come sono fatti i miliardari…), è certo che dal giorno dopo cominceranno le manovre di qualsiasi altro investitore straniero per evitare in anticipo di finire nel mirino di politici così volubili. Anzi, sono probabilmente già cominciate per il solo fatto che se ne stia parlando…
Per esempio: quelle centinaia o migliaia di miliardi appartenenti a soggetti sauditi, secondo voi, resteranno lì in attesa che magari un giorno Bruxelles si ricordi di un giornalista dissidente – Kashoggi – fatto a pezzi in un’ambasciata di Bin Salman? O non correranno piuttosto verso lidi meno ciclotimici e senza doppio standard?
Il rischio che la signora Kallas e i suoi co-equipier non vedono – non importa se per ignoranza o suprematismo deficitario – è che il capitale finanziario europeo si ritrovi in tempi medi svuotato di asset di passaggio.
Ma c’è sempre di peggio, per dimostrare l’insufficiente Q.I, di questa classe politica presa sugli scaffali dei supermercati. Non si erano neanche accorti che abbiamo vissuto per oltre tre decenni nella “globalizzazione”, quando era possibile spostare capitali praticamente ovunque. E dunque, come Mosca ha voluto ricordare, se è pur vero che 300 miliardi russi sono investiti in Europa, ci sono pur sempre 150 miliardi di capitali europei investiti in Russia.
Sono la metà, e quindi un danno ci sarebbe. Ma vuoi mettere la dimensione del danno per “l’Europa” che dovrà sommare ai 150 miliardi bloccati in Russia anche quelli che fuggiranno da questo continente per normale “cautela dell’investitore”?
Resta perciò senza soluzioni la domandina della signora Kallas: chi paga il costo della guerra e della ricostruzione in Ucraina se gli Usa si sfilano e metterli a conto dei contribuenti potrebbe generare terremoti sociali?
Non c’è il classico mattone in quel “pacco”, ma dinamite….