Reclutamento
di Leonardo Mazzei
La portata del piano di riarmo tedesco è enorme. Ma altrettanto gigantesca è la sua sottovalutazione. In tanti, sottolineando giustamente la difficoltà di adeguare le dimensioni della Bundeswher alla montagna di armi di cui verrà rifornita, concludono che alla fine tutto finirà in una bolla di sapone. Più esattamente in una mera operazione economica, utile a tener su l’economia in una fase in cui boccheggia, ma del tutto inadeguata al fine di far riemergere l’antica potenza militare di Berlino. Davvero stanno così le cose? Ne dubitiamo assai.
Ieri l’altro, il giornale Politico ha reso pubblico un promemoria classificato redatto dal capo dell’esercito tedesco, il tenente generale Alfons Mais, che espone il progetto di raddoppio degli effettivi entro il 2035. Il tutto “con l’obiettivo di diventare l’esercito dominante in Europa”. Così, tanto per cominciare.
In realtà i numeri di questo promemoria non rappresentano una novità, ma il fatto che qualcuno abbia deciso di renderlo pubblico un significato di sicuro ce l’ha. La svolta militarista ha bisogno dei suoi tempi e di un’ampia preparazione nella società, nella cultura e nella politica, ma la direzione di marcia è tracciata. E mentre si lavora alla conquista del consenso, sempre più si ragiona sui piani di reclutamento. Di gran lunga il passaggio più difficile.
Il capoccione della Bundeswher dice che, seppure in tempi di iper-tecnologizzazione della guerra, oltre alle armi servono comunque gli uomini. Il suo piano è dunque quello di passare dai 180mila effettivi di oggi, a 292mila nel 2029, a 352mila nel 2035. Sostanzialmente un raddoppio.
Ora il problema è come raggiungere questo obiettivo. Per reintrodurre la chiamata alle armi, alla fine di agosto il governo ha scelto di riunirsi in via straordinaria presso l’edificio prussiano del ministero della Difesa. Ne è uscito un Disegno di legge, predisposto dal ministro socialdemocratico Boris Pistorius, che andrà in discussione al Bundestag a dicembre.
Se il progetto verrà approvato, com’è pressoché certo, le cartoline-precetto torneranno ad arrivare a casa dei giovani tedeschi, ma l’arruolamento non sarà per ora obbligatorio. Tuttavia, se i reclutamenti volontari non risulteranno sufficienti in base ai nuovi obiettivi della Bundeswher, la legge contempla la possibilità di reintrodurre (previo voto parlamentare) la coscrizione obbligatoria, come avrebbe voluto fin da subito la Cdu. Insomma, in un modo o nell’altro, gli obiettivi del governo Merz (e della Nato) dovranno essere raggiunti.
Il Disegno di legge prevede che a partire dal compimento del 18° anno, tutti (uomini e donne) riceveranno un questionario con la richiesta della disponibilità a entrare nell’esercito. Rispondere al questionario sarà obbligatorio solo per gli uomini. Idem per la visita di leva che verrà reintrodotta dal 1° luglio 2027. Le persone disponibili al reclutamento saranno invitate a partecipare a una selezione successiva.
E’ chiaro come si tratti solo di un primo passo, cui altri ne seguiranno, ma intanto come iniziare a convincere i giovani tedeschi? Qui le cose si fanno più nebulose. Si è parlato del reclutamento di giovani stranieri che potrebbero avere in cambio la cittadinanza, ma soprattutto di “stipendi appetibili” per i futuri soldati. Per ora soltanto ipotesi, ma presto il governo dovrà scoprire le sue carte.
Al momento la situazione della Bundeswher non è facile. Nel 2024 l’arruolamento volontario è aumentato di 8mila unità (passando da 43.200 a 51.200), ma nello stesso periodo molte reclute hanno deciso di abbandonare, lasciando così inalterato il numero degli effettivi a fine anno.
Il progetto bellicista dei guerrafondai europei trova dunque grandi difficoltà anche in Germania, ma le ultime decisioni politiche non lasciano spazio ai dubbi: la strada è stata tracciata e l’intenzione è quella di andare fino in fondo.
Sfortunatamente, il riarmo europeo è una cosa seria. Ancora di più quello tedesco. Sbaglia, dunque, chi crede a un’operazione meramente speculativa. Nel capitalismo la speculazione c’è sempre, le guerre assai spesso. E le due cose non sono affatto in contraddizione. Le classi dirigenti europee sono quello che sono, ma guai a vedere soltanto le loro miserie. Oltre a queste c’è pure la loro aggressività, non particolarmente diversa da quella del passato. Il loro disegno – l’UE grande potenza politica oltre che economica – è fallito, ma proprio la disperazione che ne deriva le sta spingendo all’avventura bellica.
Di fronte al fallimento, questa classe dirigente avrebbe potuto sganciarsi dagli Usa per riaprire alla Russia, lavorando alla costruzione di un grande blocco euroasiatico. In pratica ha invece deciso l’esatto contrario, subordinandosi ancor più a Washington e decidendo di proseguire la guerra a est. La violenta narrazione antirussa di questi giorni una ragione ce l’avrà. Quale non è difficile da capirsi.