Che fare se chi dovrebbe farlo non lo fa?
di Guido Ortona
Tutto il mondo occidentale ha seri problemi economici. Ma quelli dell’Italia sono particolarmente seri, come evidenziato dal fatto che il nostro Paese sta rapidamente perdendo terreno nei confronti internazionali. Nel 1995, fatto 100 il PIL pro capite dell’Italia, il valore della Francia era 93.2, quello del Regno Unito 86.3, quello della Germania 101.5 e quello della Spagna 75.6. In sostanza, l’economia italiana stava bene come quella tedesca, stava assai meglio di quelle della Francia e del Regno Unito, e stava molto meglio di quella della Spagna. Nel 2022 la situazione era invece la seguente (sempre facendo 100 per l’Italia): Francia 111.6, Regno Unito 110.1, Germania 126.0, Spagna 92.4 (dati IMF a parità di potere d’acquisto). Tre anni fa quindi l’economia italiana stava poco meglio di quella della Spagna, assai peggio di quelle della Francia e del Regno Unito, e molto peggio di quella della Germania (forse ultimamente si è recuperato qualcosa, ma solo per i disastri degli altri paesi). È evidente che esiste un “problema Italia” specifico e, appunto, grave.
Cosa dovrebbe fare la sinistra in queste condizioni, se fosse al governo, e cosa deve quindi proporre dall’opposizione? I problemi da affrontare sono molti, ma due sono prioritari: quello del conflitto con l’Europa e quello della assenza di una seria imposta patrimoniale. Il motivo per il quale questi problemi sono prioritari è che qualsiasi politica di sinistra richiede risorse, e richiede che non si sprechino quelle che ci sono.
Ne segue che l’Italia non può permettersi di continuare a versare parecchie decine di miliardi ogni anno nel pozzo senza fondo dei vincoli europei; e dato che non si può espandere ulteriormente il debito e che tassare i redditi elevati implica che questi scappino all’estero (cosa che in presenza di una legislazione opportuna la ricchezza non può fare) bisogna tassare la ricchezza dei più ricchi, preferibilmente quella finanziaria (non si faccia troppo affidamento sulla lotta all’evasione: i veri ricchi non evadono ma elidono, e obbligare l’idraulico a pagare è giusto, ma non si aggiungono risorse, si spostano solo risorse da un soggetto – l’idraulico – a un altro, lo Stato). E poiché i ricchi continueranno a portare i loro redditi all’estero, e i vincoli europei ci obbligheranno a sprecare sempre più risorse, il trend di decrescita dell’Italia continuerà, così come il suo progressivo allontanamento dall’Europa, se non si interviene con la necessaria energia.
Magari con qualche piccola variante, quanto sopra dovrebbe essere considerato corretto dagli economisti di sinistra. Sicuramente lo è per me (sono in pensione, ma prima ero professore ordinario di politica economica). Corretto e preoccupante; al punto che ho cercato di parlarne coi responsabili economici di Sinistra Italiana e del Partito Democratico, naturalmente (anche se non dovrebbe essere così) cercando di contattarli non tramite canali ufficiali ma tramite contatti personali. Non ci sono riuscito. In un primo tempo ho pensato a una normale maleducazione; poi mi sono accorto che la realtà è molto peggiore, e molto più preoccupante: i grandi problemi economici non interessano ai partiti della sinistra. Il PD e SI non hanno un programma, e quindi a fortiori non hanno un programma sui temi di cui sopra; e più in generale gli uffici, dipartimenti o quello che sono che si occupano di economia in Sinistra Italiana e nel PD, non esistono – o se esistono sono ben nascosti, e le strategie da essi elaborate non sono rintracciabili sul loro sito.
Credo che sia impossibile sopravvalutare la gravità di questo fatto. Fermiamoci un momento a considerarne le implicazioni: di fronte a gravissimi problemi economici e alla necessità di interventi di ampio respiro, quei due partiti non hanno una linea, anzi non se ne occupano nemmeno. I motivi di ciò andrebbero studiati seriamente, e spero che qualcuno lo faccia, o lo abbia fatto; io posso solo suggerire delle ipotesi.
Un primo motivo, e il meno importante, che penso valga soprattutto per SI, consiste nel fatto che la selezione dei dirigenti si basa sulla militanza. Semplificando un po’, diventa dirigente la persona più attiva nella partecipazione e organizzazione di manifestazioni, nel volantinaggio e in attività simili. Questa persona avrà poco tempo da dedicare allo studio, ancora meno ad attività, come l’elaborazione di proposte, che allontanano dal lavoro di massa. (Un ricordo di gioventù: nel ‘68 spesso si usava dire “la questione è politica” per indicare qualcosa di cui si sapeva poco ma che andava affrontata con la mobilitazione, e che quindi non richiedeva di essere conosciuta meglio). Semplificando, i dirigenti hanno troppe cose da fare, e troppo poco tempo, per potere occuparsi di cose di cui sanno poco e difficili da capire, come le regole europee sul debito pubblico. Ciascuno avrà le sue idee, poco elaborate e poco sicure, e cercare di produrre una linea comune è inutile, dato che i partecipanti alla discussione sanno bene di saperne poco. Anzi, è sbagliato, perché si rischia poi di fare proposte campate in aria o contraddittorie; meglio restare sul terreno sicuro dell’opposizione senza proposte impegnative, peraltro anch’esso importante e nel quale c’è moltissimo da fare, per esempio per il salario minimo o per il rilancio della sanità. Che le politiche alternative a quelle del governo richiedano risorse può essere trascurato, si fa affidamento sulla (presunta) indignazione dei cittadini per avere il loro consenso.
Però il secondo motivo, che ritengo riguardi soprattutto (ma non solo) il PD, è più importante, ed è radicato nella natura stessa del partito. Esso rappresenta interessi di diversi soggetti più o meno potenti, più o meno onesti, più o meno importanti per l’economia locale, e così via; e quindi anche gli interessi dei dirigenti sono diversi, e facilmente contraddittori. In queste condizioni si hanno inevitabilmente due conseguenze negative. La prima è che i temi divisivi (e i grandi temi economici lo sono di sicuro) vengono messi da parte. La seconda è che ciascun dirigente deve fare molta attenzione alla sua carriera (il rapporto fra “carriera” e “affermazione delle proprie idee” è molto ambiguo, qui non ce ne occupiamo); sollevare grosse questioni riguardanti la “linea generale” del partito non propizia certamente tale carriera. Ci aspettiamo quindi che si cerchi di ovviare alla mancanza di idee sui grandi temi con molta demagogia su quelli enormi, molti compromessi su quelli locali e un’opposizione molto urlata, contando anche qui sulla (presunta) indignazione delle masse per avere comunque il loro appoggio. Ed è quello che vediamo.
Ma le masse sono davvero disposte a seguire queste politiche? Anche su questo punto sarebbe necessaria un’indagine specifica; il mio suggerimento è che sono stanche di sentire proposte generiche e/o demagogiche. Il soggetto tipico (come direbbe un sociologo; un economista userebbe la locuzione “elettore mediano”, meno chiara, che vuole dire la stessa cosa), sa benissimo, o almeno intuisce, che i suoi problemi quotidiani hanno molto a che fare col debito pubblico e le distorsioni del sistema fiscale, e – giustamente – considera poco serio chi gli dice che, per esempio, che bisogna rilanciare la Sanità Pubblica senza dire dove si trovano i soldi, o che la questione più importante è Fermare il Fascismo che avanza (tra l’altro, sappiamo che l’avanzata del fascismo è molto propiziata dall’incapacità della sinistra di affrontare i grandi problemi). Che le cose stiano così è dimostrato dalla enorme, e crescente, tendenza all’astensione. Ho interrogato un sito di IA su “cosa pensano gli italiani della politica”, ottenendo questa risposta: “Gli italiani percepiscono un diffuso clima di sfiducia e stanchezza verso la politica e i politici, considerandoli spesso inaffidabili e dediti a interessi personali piuttosto che al bene comune”. E che ciò dipenda dalla natura dei partiti è suggerito dal fatto che i partiti di sinistra fanno pochissimi sforzi per recuperare gli elettori che si astengono. Tipicamente, in presenza di “qualunquismo”, non modificano le loro proposte, ma aumentano le iniziative propagandistiche a loro sostegno.
Insomma, da qualsiasi punto di vista osserviamo la questione, vediamo che trascurare i grandi problemi economici (cioè l’Europa e le politiche fiscali redistributive) è molto dannoso per la sinistra, persino sul piano dell’esito elettorale, nonostante che il mettere al primo posto l’obbiettivo di “vincere comunque le elezioni” sia molto probabilmente, come abbiamo visto, il motivo principale di questa trascuratezza. Questa è la situazione, e questa situazione ha radici profonde e non può essere modificata solo con degli appelli o delle denunce.
C’è qualcuno che può fare qualcosa, possibilmente prima che la rabbia degli elettori li porti a guardare con speranza a un Uomo Della Provvidenza che risolva tutto lui? Forse si. In Italia ci sono molte e-riviste e molti blog di sinistra. Molti di coloro che scrivono o intervengono su di essi sono militanti e studiosi (e spesso militanti e studiosi) con buona preparazione e buone capacità di analisi. La maggior parte, anzi la quasi totalità dei loro interventi è finalizzata a criticare le scelte del governo e quelle della sinistra tradizionale, o ad avanzare proposte che si collocano su un piano troppo elevato (“come salvare il pianeta”) o troppo poco elevato (“occorre una riforma della sanità”) rispetto ai grandi problemi di cui sopra. In buona parte ci scambiamo messaggi solo fra di noi, dicendo l’uno all’altro cose su cui siamo sostanzialmente tutti d’accordo. Tutto questo non basta. Bisogna assumere un atteggiamento più politico, bisogna porsi espressamente il compito di indicare una linea di politica economica su quei due grandi problemi. Occorrerà prendere delle iniziative e forse anche delle misure organizzative. E prima di tutto, quindi, cominciare a parlare di questa necessità. Mi permetto di chiudere suggerendo agli autori di interventi sui blog e sugli e-giornali (intendiamoci: sono molto spesso di alto livello e bene informati) di ridurre il peso del tradizionale approccio “dal basso in alto”, indicare cosa bisogna fare senza dare indicazioni su chi deve farlo, per assumere maggiormente un atteggiamento “dall’alto in basso”: individuare ciò che manca ai partiti di sinistra, e studiare il modo di rimediare a questa lacuna.
Comments
Marx sostenne che il peccato mortale è annichilire il punto di vista di sinistra, la cui costruzione è costata enormi sacrifici e sangue. Purtroppo ciò è stato compiuto con metodicità e spietatezza.
L’eliminazione fisica di Allende e Moro segnò in modo emblematico e inoppugnabile l’imposizione da parte dei dominanti del modello neoliberale fascista. Il cosiddetto popolo di sinistra venne diseducato dalla lettura di bollettini fintamente di sinistra, di fatto organi di propaganda del neoliberalismo fascista e del terrorismo, (oggi esaltano la grandezza della guerra e del terrorismo imperialistico a completare l’educazione e il destino dei “topi” delle classi inferiori), pertanto non studiarono minimamente in modo critico l’economia, il potere, il capitalismo, l’imperialismo del dollaro, ma si affidarono alle convenzioni e pseudometafisica, con cui venivano imboccati.
E ciò vale pure per gran parte degli sparuti frammenti di resistenza o nostalgia di sinistra, rimasti da un lato emotivamente antagonici e dall’altro, privi di una effettiva padronanza di una grammatica di sinistra, irretiti nella ripetizione dei giochi linguistici dei dominanti.
Sarebbe curioso avere una statistica da parte di Ortona su quanti ambiziosi nuovi politici di sinistra abbiano frequentato le sue lezioni e siano stati in grado di capire le basi della materia. (Probabilmente zero).
La rivoluzione colorata del 92 e mascherato colpo di stato, come un rassegnato e lucido notevole democristiano osservò, indirizzandosi inutilmente alla massa di illusi e teste vuote pseudorivoluzionari della antipolitica e antipartitocrazia, sarebbe servita agli interessi delle oligarchie parassitarie pubbliche e private descritte da Gramsci, per curarsi i loro interessi e ridimensionare il reddito dei più. E infatti, di passaggio, basta esaminare il caso del grande capitale industriale privato italiano, in buona misura scomparso e riposizionatosi nella rendita finanziaria, preferibilmente con residenza fiscale in paradisi fiscali. A aggiungere un nota di folclore, i suoi bollettini della propaganda si sono pure consolidati come fenomeni di demenzialità e rirtardo mentale.
La domanda e sollecitazione di Ortona resta però centrale, ancorché o soprattutto nel quadro di rapporti di classe e potere attuali, di capitalismo neoliberale fascista e di risorgente imperialismo guerrafondaio.
Le condizioni di fatalismo, rassegnazione o idealismo non sono molto marxiane.
È pur vero che l’impero attraversa nuove contraddizioni e qualche apparente ristrutturazione delle oligarchie dominanti, ma, lasciando da parte i fantocci e clown presentati sul proscenio a intrattenere e dividere i dominati, da relativamente parecchio tempo è consapevole che l’imperialismo finanziario non è riuscito a soggiogare il mondo intero come voluto e che pertanto deve ricorrere a leve terroristiche e alla integrazione di varie forme di guerre imperialistiche per affermare e difendere la supremazia, (si pensi, per esempio, ai momenti in cui introdusse il concetto di guerra secolare al terrorismo e di esportazione di democrazia).
Tutti i partiti e la balena-PD in particolare sono dei comitati d'affari che una volta ogni tanto sono costretti controvoglia a farsi comitati elettorali. Ancora vent'anni fa la cosa si realizzava commissionando un 'programma' di venti paginette a un'agenzia di public relations e poi mandandole a memoria la sera prima del comizio o del talk show; oggi si commissionano e si passano in rete slogans per i socials.
I politici entrano nel partito, ragionano e lavorano in qualità di faccendieri e questa è l'unica forma di competenza che sia loro richiesta. Tanto più sono scaltri, privi di scrupoli e muniti di pelo sullo stomaco tanto maggiori le loro probabilità di carriera.
Tanto in ambito economico, specie da trent'anni a questa parte, la politica la fanno i poteri forti per bocca dell'eurodittatura. Ai partiti di governo è richiesta solo la competenza di applicarne localmente le decisioni (e talvolta nemmen quella). Interessarsi di economia, per un politico, ha lo stesso valore professionale che interessarsi di trigonometria.
Il sistema non si spezzerà coll'arrivo d'un uomo della provvidenza, che finirebbe per esserne risucchiato (come accadde a Mussolini), ma col crollo dell'impero statunitense e l'avvento delle imponenti guerre civili, meno civili e razziali che si stagliano all'orizzonte.