Evaporazione
di Leonardo Mazzei
A.D. 2025, piccole verità crescono.
«Per anni l’Unione europea ha creduto che la dimensione economica, con 450 milioni di consumatori, portasse con sé potere geopolitico e nelle relazioni commerciali internazionali. Quest’anno sarà ricordato come l’anno in cui questa illusione è evaporata».
Evaporazione! Così ha parlato il “Vile affarista” (copyright Francesco Cossiga) al meeting dei ciellini a Rimini. Un’ammissione sostanziata da innumerevoli ovvietà: l’Ue ha dovuto subire i dazi americani, aumentare le spese militari nelle forme dettate da Washington, mentre il suo peso sulle grandi questioni internazionali dell’ultimo periodo (Ucraina, Gaza, bombardamento dell’Iran) è stato – parole sue – “abbastanza marginale”. Da qui la sensazionale scoperta che la dimensione economica da sola non basta per assicurarsi quel potere geopolitico tanto ambito. Da qui la confessione di un’Unione europea irrimediabilmente subalterna agli Usa.
Domanda: ma Draghi finora dov’era? Davvero dovremmo credere alla storiella secondo cui solo ora ci si rende conto delle panzane raccontate per decenni? Ove volessimo crederci, quelli come lui dovrebbero andarsi a nascondere da qui all’eternità; qualora invece si propenda (come naturale) verso l’ipotesi della piena consapevolezza, dunque della menzogna continuata e aggravata delle oligarchie euriste, l’unica risposta minimamente seria avrebbe da essere la cacciata immediata a calci nel sedere.
Un obiettivo, quest’ultimo, magari non vicinissimo, ma che certamente cova nel profondo delle società europee.
Sul vero ruolo dell’Ue, la verità la proclamò qualche anno fa un irridente George Friedman, uno dei massimi esperti americani di geopolitica: «l’Europa non può essere un impero visto che fa già parte di un altro impero, il nostro». Per cui, se davvero volesse giocare in grande, prima dovrebbe liberarsi della Nato e degli Usa, dei loro soldati e delle loro basi, per poi stabilire rapporti di amicizia con la Russia. Tutto ciò è però l’esatto contrario della politica di Draghi come di tutti i membri della cupola eurista. L’Ue non si è ridotta per caso a quel che vediamo oggi. Essa è nata come un’articolazione della Nato. La sua subalternità a Washington non è acquisita, bensì congenita.
Ora, i palchi del Draghi si van facendo via via sempre più modesti. Dopo aver pontificato per 7 anni da Francoforte e per 17 mesi da Palazzo Chigi, adesso gli è rimasta, come ultima spiaggia, la platea di Rimini. Ecco una bella smentita a chi, nel 2022, già lo vedeva riemergere ai più alti livelli (Commissione europea, segretario della Nato, capo di tutto), dopo aver firmato, col muso del ragazzino imbronciato per il mancato approdo al Quirinale, una delle più grottesche pagine della storia politica italiana. Dunque, vivaddio, il banchiere dalle infinite porte girevoli conta assai meno di un tempo, ma l’uscita riminese qualche attenzione la merita.
In realtà il discorso di Draghi è comunque interessante, sia per la piena ammissione del fallimento europeo, sia per l’incredibile testardaggine con la quale viene riproposto il solito disco rotto del “più Europa”. Una “soluzione” cocciuta quanto impraticabile, proprio per questo indicativa del vicolo cieco in cui l’Ue è andata a cacciarsi.
Breve digressione sulla questione ucraina. Il fatto che il peso dell’Ue sia sempre più declinante non significa che esso sia nullo. E possono darsi situazioni dove anche un peso piuma può far pendere la bilancia da una parte o dall’altra. Come denuncia anche Mosca, la scelta guerrafondaia dell’Ue, peraltro perfettamente allineata ai vertici della Nato, ha oggi un peso non secondario nel richiudere alla svelta ogni possibilità di trattativa che ponga fine a quella guerra.
Insomma, sullo scenario internazionale l’Ue conta poco, ma quel poco che conta va nella direzione sbagliata. Bingo!
Ma torniamo al discorso dell’ex banchiere. Dopo aver detto che il ritorno alla sovranità nazionale non farebbe altro che peggiorare la situazione, la sua soluzione si chiama “debito comune”, una ricetta che si vorrebbe basata sul precedente del Next generation EU, che in realtà “debito comune” non è, anche se la narrazione così ce lo presenta.
Il punto è che non potrà mai esserci vero debito comune senza unità politica, ma se l’unità politica si è rivelata impossibile in quasi settant’anni di storia (i Trattati di Roma sono del 1957) una ragione ci sarà. Ecco allora che ogni serio discorso sul futuro da lì dovrebbe partire. Dalle ragioni storiche, politiche, culturali, che rendono impossibile il progetto federalista. Ma se un progetto è irrealizzabile, esso è anche sbagliato. E se è irrealizzabile e sbagliato non lo puoi certo rilanciare con qualche trovata finanziaria. Punto.
E’ chiaro che nell’italica politichetta uno come Draghi, liberista e mercatista come pochi, troverà sempre delle élite adoranti e dei partiti di plastica plaudenti. E così è stato anche questa volta: dal Pd al gran completo ai forzisti, fino agli eurosfegatati renziani, calendiani, +europeisti. Ma davvero egli ha detto qualcosa di nuovo? Assolutamente no, a dimostrazione dell’assoluta mancanza di prospettive credibili.
Ma se grande è la confusione nel campo eurista, non per questo la situazione è eccellente. Non lo è per un motivo semplice assai: gli zombi al potere in Europa non se ne andranno da soli, e nel frattempo continueranno a nutrirsi di carne umana. Il mostro tecnocratico che hanno costruito non imploderà se non verrà attaccato da forze coscienti e determinate. Al dato oggettivo della sua crisi dovrà sommarsi quindi quello soggettivo della coscienza e dell’organizzazione.
Questo processo soggettivo, sul quale nel nostro piccolo insistiamo da almeno quindici anni, registra tuttavia un ritardo che appare incolmabile rispetto alla crisi galoppante del progetto unionista. Uno iato che potrebbe spingere i caporioni euristi verso le peggiori avventure. Il mix di bellicismo e autoritarismo, che abbiamo conosciuto in questi anni, nutrito da una russofobia sempre più conclamata, sembra essere la vera risposta dell’oligarchia europea. Draghi lo sa, ma finge di ignorarlo. Altro che debito comune!
Alla fine, la domanda decisiva è una: potrà mai funzionare questo gioco criminale? Noi pensiamo di no, ma bisogna fermarli prima che sia troppo tardi. L’Ue sta evaporando? Bene, la si lasci al suo destino, se ne venga fuori il prima possibile e si cominci a guardare al futuro. Altro che Draghi!
Comments
La scelta guerrafondaia della NATO e dell'UE deriva dal fatto che trent'anni di dirigenze globaliste nella capitale dell'impero han plasmato classi dirigenti dello stesso orientamento nei Paesi-satellite, e ora queste vengono utilizzate dalle cabale mondialiste per giocare l'Europa contro il progetto trumpiano, nel più perfetto disinteresse verso la possibilità che il continente ne esca rovinato.