Dal Tevere al Giordano: Gaza chiama Roma risponde
di Militant
L’indiscutibile riuscita della piazza di ieri ha relegato, almeno per il momento, ogni manovra da “piccolo cabotaggio” che aveva caratterizzato il movimento di solidarietà per la Palestina nel passato, generando una grande giornata di mobilitazione che ha esondato tutti i soggetti organizzati di movimento. Questo è stato possibile grazie a una straordinaria mobilitazione delle coscienze di fronte a un genocidio in corso e al rigetto della complicità totale e asservita di ogni singolo governo occidentale all’infame colonizzazione sionista.
La generalizzazione dello sciopero di ieri, che più che uno sciopero dei soli lavoratori, almeno a Roma, è stato uno sciopero sociale e politico “per Gaza” è un chiaro segnale per tutto il movimento che si batte al fianco della Resistenza palestinese in questo paese.
Il virtuosismo delle piazze del 22 settembre crediamo sia stato possibile principalmente grazie alla capacità che è stata dimostrata da larghi settori di movimento di intercettare il sentimento dominante nella società italiana rispetto alla questione palestinese – una diffusa solidarietà che trova paragoni solo episodici con altri paesi europei. A questo va sommato il sempre più profondo processo di scollamento tra la società italiana e il Palazzo, che vede la stragrande maggioranza della popolazione su sentimenti “filo-palestinesi” e “contro il massacro”, mentre il governo italiano segue inesorabilmente la parabola sionista ritrovandosi sempre più chiaramente in una condizione di isolamento.
Le piazze di ieri non sono state solo larghe e generalizzate, arrivando a coinvolgere i settori più atomizzati e “fragili” della società italiana in una giornata di mobilitazione. Le piazze di Milano, Bologna, Napoli, Palermo, Pisa e Roma sono state capaci di unire partecipazione e radicalità, mobilitazione e conflitto riportando nell’agenda politica di movimento una serie di ragionamenti che per troppo tempo avevano vegetato in una fase di stagnazione politica.
Il blocco delle arterie principali del Paese, i picchetti diffusi nelle stazioni centrali, l’arresto dei principali porti italiani complici del Genocidio ci forniscono il chiaro segnale della necessità e della praticabilità di piazze larghe e allo stesso tempo conflittuali, di momenti di mobilitazione generalizzata che trovino allo stesso tempo, come a Milano, spazi di conflittualità e radicalità prive di mediazione o “tappi” sindacali.
E’ alla luce di questo processo che va ragionata la costruzione della grande manifestazione del 4 ottobre lanciata da GPI, UDAP e tutto il movimento di solidarietà con la Palestina. Se il 22 è stato il primo segnale che “qualcosa si muove”, e di profondo nella nostra società quando si parla di Palestina, l’appuntamento del 4 non può che essere un “secondo atto” teso a dare continuità al processo di generalizzazione e conflitto che ha preso piede in numerose piazze italiane e, laddove non si è verificato, a stimolarlo sull’esempio delle altre città. Il rischio che la piazza del 22 sia qualcosa di episodico e non replicabile è, come sempre, dietro l’angolo.
Ma proprio per questo sta a noi non sprecare la carica di mobilitazione che sembra essersi accumulata nella società italiana, bilanciando intelligentemente gli appuntamenti di piazza e le pratiche conflittuali che devono riempirli, unire la partecipazione larga (e quello che accadrà quando la Global Sumud Flottilla approccerà le acque di Gaza è parte integrante di questo ragionamento) con la necessaria radicalità tesa a spezzare la cappa di pacificazione che è il principale fattore di tacita complicità con il Genocidio a Gaza.
Per fare questo bisogna stare con Gaza, ma tentare di andare oltre Gaza e alimentare questo sentimento di ostilità al massacro in atto ancorandolo a questioni materiali e generali di cui una sinistra di classe non può non farsi portatrice. Perché il massacro di Gaza è direttamente legato all’aumento delle spese militari di questo paese; perché il massacro di Gaza è diretta responsabilità di un governo che preferisce dare mano libera ai vari “venditori di morte” come la Leonardo piuttosto che costruire una sanità pubblica diffusa sul territorio; perché il massacro a Gaza è direttamente legato al riarmo generale e generalizzato imposto dall’imperialismo a questo paese, che significa distruzione del Welfare e logoramento dei salari.
Un’ultima considerazione su questa piazza crediamo sia necessaria: per troppo tempo le nuove generazioni militanti hanno fatto fatica a uscire dalle riserve indiane o a superare l’attivazione episodica tipica del mondo universitario e di alcune “ritualità” di movimento. Ieri in piazza c’era tutt’altro: c’erano giovani e giovanissimi, studenti medi e universitari o semplici ragazzi di quartiere decisi a gridare e a sfogare la propria rabbia per Gaza e contro il governo italiano. Una gioventù decisa a “scoprire la propria missione” e a perseguirla, una nuova generazione di compagni che non ha paura di una giornata di piazza vissuta fino in fondo. E questa è forse la speranza più concreta che il 22 non morirà qui.
Dal Tevere al Giordano, Dal Fiume al Mare. Palestina Libera.
Comments
Leggo da Televideo del 26.09.26 a proposito del sostegno alla Somud Flotilla:
Landini:se Flotilla rischia è sciopero
"Se ci dovesse essere un intervento
dell'esercito israeliano che sequestra,
blocca, arresta navi della Flotilla,noi
siamo pronti a reagire con la proclama-
zione dello sciopero generale perché
pensiamo che un'azione di quel genere
del governo israeliano significhi con-
fermare le porcherie che sta facendo".
"Il governo israeliano sta facendo delle porcherie". Quindi, se dovesse attaccare la Flotilla, Netanyahu si confermerebbe, tutt'al più, uno "sporcaccione" . E se non lo fa? Si confermerebbe persona dabbene?
Giorgio Stern