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La funzione dell’URSS nel benessere collettivo occidentale

di Andrea Balloni

 

Fantasmi

Il fantasma dell’Unione Sovietica ha aleggiato per settant’anni sull’Occidente capitalista, togliendo il sonno ai grandi accumulatori di ricchezze che hanno dovuto confrontarsi costantemente con un esempio diverso di economia che non fosse necessariamente ed esclusivamente quella del “laissez faire” e del profitto privato.

La Rivoluzione Russa e la nascita di uno Stato comunista grande territorialmente e pieno di risorse furono un episodio che sfuggì al controllo della storia; qualcosa che non fu possibile arginare da parte dei ceti dominanti, colti di sorpresa. E tuttavia contro questo episodico esperimento sociale e politico, fu fin da subito scatenata una guerra totale e via via più raffinata; una guerra ibrida portata in profondità, fatta di propaganda e manipolazione del pensiero, boicottaggi, spionaggio, minacce e di guerra reale ove, dall’Asia al Sudamerica, si presentassero nuovi esperimenti di emancipazione delle masse lavoratrici, finché…

…il 25 dicembre 1991 venne abbassata definitivamente la bandiera rossa sul Cremlino: il grande capitale aveva vinto sul sogno socialista. La lotta di classe era finita e, come ebbe a dire Warren Buffett, “L’hanno vinta i ricchi”1. Il capitalismo trionfante dimostrava l’inadeguatezza della prassi economica comunista alla guida delle nazioni e per il benessere dei popoli.

 

L’illusione di un trionfo

Il quattro agosto scorso, il giornalista americano Mark Ames commenta così su X2 uno studio presentato da Marjorie Taylor, membro del Congresso USA che illustra come il numero degli americani trentenni sposati e proprietari di una casa sia drasticamente diminuito, dal 1991, dal 44%, all’attuale 12%:

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Il grafico crolla bruscamente non appena si dissolve l’URSS, quando la classe dirigente americana non subisce più le pressioni esterne che la costringevano a lasciare qualche briciola dal tavolo ai semplici americani. Dal 1991 la loro posizione è stata: depredare tutto fino all’ultima briciola, prendere tutto ciò che è possibile e ingannare i cittadini.

Quella di Buffett e amici era una evidente illusione; la vittoria del capitale occidentale, la vittoria del pensiero liberale era un’illusione.

Paradossalmente, fu proprio la presenza dell’Unione Sovietica, ovvero l’esempio in carne e acciaio della possibilità di una alternativa economica e sociale a creare le condizioni per quella effimera vittoria: l’Unione Sovietica fu il modello con cui confrontarsi qui in questa area ovest del mondo, sempre più unicamente in mano al capitale privato, dove, e qui viene il punto, il confronto continuo con il modello comunista ha impedito una deriva troppo estrema sulla via della sottrazione dei diritti e delle risorse ai lavoratori, riuscendo invece a mantenere acrobaticamente in piedi un sistema di equilibri tra teorie keynesiane e l’estrema volontà di potenza di un capitale che replica se stesso e moltiplica la sua capacità di accumulazione invece proprio attraverso la debolezza della classe sociale antagonista.

In altre parole, per tenere buone le masse, quelle masse che avevano come miraggio il paradiso in terra rappresentato plasticamente dal grande Stato sovietico, si doveva dimostrare che questa parte di mondo poteva garantire un benessere diffuso, che un operaio poteva comprarsi una casa e una automobile e che poteva trasmettere una eredità ai figli.

 

Il via libera al bullismo capitalista.

E così la fine del sogno socialista dette il via libera definitivo al pensiero liberista che spadroneggia da allora in Occidente come un’orda di bambini su un campo di calcio abbandonato dall’avversario e dall’arbitro: chi gioca con due palloni, chi si attacca alla rete, chi si picchia, chi fa le buche per terra nel mezzo del campo, preda di frenesia distruttiva. Le oligarchie vincitrici irridono gli avversari di classe, annientando ogni residuo sogno di masse di “lavoratori produttori coscienti, liberi e uguali”3.

Si passa dunque, e neanche troppo dolcemente, alla dissoluzione del sistema economico che usciva dal secondo dopoguerra, fatto di un intervento forte dello Stato a garanzia di uno stato sociale efficace e plurale, fino allo sradicamento dal governo degli Stati del concetto stesso di “giustizia sociale”, contrario all’asciutta autodeterminazione distributiva del libero mercato4, come volevano le teorie neoliberiste.

 

La sinistra occidentale

La scelta di quella costellazione di movimenti e partiti riconducibili, seppur in maniera disomogenea, alla sinistra occidentale di abbandonare l’idea di una azione di politica reale, cioè di impegno intorno alla redistribuzione delle risorse e di lasciare la conduzione della politica economica nelle mani della classe padrona, conduce oggi quella parte politica a una visione fuorviante della storia, per cui, quando percepisce la riduzione o l’alienazione di un rimpianto stato di benessere diffuso, tende a pensare che ci sia un errore estemporaneo e correggibile nella gestione della finanza, piuttosto che un errore nella scelta del sistema politico-economico.

In altri termini, l’idea dell’ineluttabilità del liberismo si è talmente radicata negli eredi della tradizione della sinistra occidentale che non riescono a capire invece che il processo intellettuale da applicare in questo caso non è l’aumento della dose di liberismo, ma quello contrario, ovvero quello dell’accettazione dell’errore; cioè che è stato proprio l’allontanamento della sinistra dalla propria essenza politica che ha creato le condizioni per cui in questa parte del pianeta fossimo le vittime sacrificali di quel mostro tra le spire del quale stiamo terminando la nostra esperienza di liberi cittadini di paesi sovrani.

 

Una buona notizia

La distruzione dell’impalcatura economica e sociale che ha retto lo stato di benessere mediamente diffuso in Occidente e che si realizza pienamente nell’effimero trionfo neoliberista degli anni novanta sta facendo sentire oggi i suoi peggiori effetti.

Diventa ogni giorno più evidente che la strada dell’accumulazione della ricchezza senza freni e spostata sempre più in alto in favore di pochissimi individui, la strada del denaro che riproduce solo se stesso senza produrre beni reali, la strada dell’imposizione autoritaria e monopolista di un’unica visione del mondo, la strada dello sfruttamento come metodo economico non è più percorribile.

E per quel fenomeno che si manifesta spesso nella storia dei destini umani, che qualcuno chiamerebbe “eterogenesi dei fini”, quasi si trattasse di una Nemesi della storia, nel Regno Unito, che è stato il portabandiera dai tempi della Thatcher, della diffusione del pensiero unico neoliberista e della privatizzazione della produzione, per arginare il forte malcontento della popolazione è iniziato un processo di rinazionalizzazione che va, per adesso, dalle infrastrutture ferroviarie, fino alle reti di distribuzione dell’energia elettrica.5

La buona notizia è che la storia non è affatto finita6 e che un’alternativa c’è ancora, c’è sempre stata ed è sempre la stessa: la socializzazione delle risorse produttive e uno Stato presente e ispirato alla giustizia sociale.

Per cercarne l’esempio noi italiani non dobbiamo neanche andare troppo lontano: basta richiamare alla memoria il lavoro di chi ha dimostrato che un’impresa pubblica poteva generare profitto, sviluppo e ricerca, pur rimanendo nello spirito un’impresa pubblica, ricordare il lavoro di chi ha sognato e applicato una funzione di servizio sociale all’impresa privata7, ricordarsi di quando lo Stato era la soluzione e non il problema8  lo stato sociale creava equità e prosperità; quando si investiva sul futuro collettivo di una nazione, le idee ancora non erano in vendita e si sognava Jurij Gagarin che nuotava fra le stelle.


Fonti e note
1 -M. D’Eramo, Dominio, Feltrinelli, 2020
2 –https://x.com/MarkAmesExiled/status/1952159551702327595
3 -Clara Mattei -L’Economia è Politica
4 -F. A. von Hayek, The Constitution of Liberty -London, 1982, V. 2
5 –https://scenarieconomici.it/il-regno-unito-nazionalizza-loperatore-della-rete-elettrica/
6 -Francis Fukuyama -The End of History and the Last Man, 1992
7 -Fabio Sarzi Amadè -Zappa sui piedi, 2024
8 -Cfr Ronald Reagan, discorso inaugurale del primo mandato presidenziale -1981: “Nella crisi presente, il Governo non è la soluzione al nostro problema; il Governo è il problema”.
 
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Comments

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Mario Galati
Monday, 29 September 2025 07:42
L'articolo è un po' monco. Dovrebbe proseguire con il sottolineare i grandi cambiamenti in atto nel mondo e i grandi successi guidati dal grande partito comunista cinese, che è parte piena ed integrante del movimento dei lavoratori e del processo avviato dalla rivoluzione di ottobre, dall'URSS, dal movimento comunista.
Questa è la più grande rottura dell'ebbrezza della vittoria e dell'illusione capitalistica, non solo le contraddizioni interne al nostro sistema capitalistico, le quali possono essere fuorviate, represse e assorbite.
La Cina è la contraddizione esterna a tutto ciò (anche se una vera distinzione tra interna ed esterna non è corretta).
Fino a quando non ci legheremo a questo processo mondiale in atto e non diffondiamo questa rinnovata speranza e concreta possibilità mostrata dalla Cina e dal partito comunista cinese e dai cambiamenti in atto nel mondo saremo limitati e inadeguati.
Siamo stati temporaneamente sconfitti, ma non abbiamo fallito.
La lotta continua ed è in atto proprio adesso.
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Enzo Rossi
Sunday, 28 September 2025 08:38
un intervento dei padroni italiani che confermano l'assunto di questo opportunissimo articolo di Balloni:

“Il deficit pubblico, se vogliamo, è la somma di tutti i mali. All’origine c’è un grande partito comunista che, alla fine degli anni settanta, era arrivato alla soglia del potere. Per sbarrargli la strada sono state fatte concessioni assurde. In un certo senso, in Italia è stato comprato il consenso anticomunista.
Poi si è visto, il partito comunista è caduto, ma per ragioni internazionali. Ciò detto, alcune riforme sono indispensabili. La più urgente è il rafforzamento del governo per sottrarlo alle richieste dei partiti politici. Poi il presidente della repubblica dovrà essere eletto a suffragio universale diretto, ma ci vorrà del tempo”:

GIANNI AGNELLI, dall’intervista a “Le Monde” del 16-6-1992 (corriere della sera 12-6-1992)

“L’equilibrio è stato garantito con ingenti risorse pubbliche, destinate a vaste categorie sociali e funzionali all’acquisizione del consenso, in presenza del rischio di comunismo e di una elevata conflittualità antisistema. In questa chiave si spiegano lo scambio fiscale degli anni sessanta, la dilatazione dello stato sociali degli anni settanta, l’ipergarantismo del mercato del lavoro. Sono stati tasselli di un “patto sociale improprio” per consolidare l’assetto democratico del Paese: un obiettivo conseguito pur con molte contraddizioni”.

LUIGI ABETE, primo discorso da presidente della confindustria del 28-5-1992 (l’Unità 29-5-1992)
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Mario Galati
Monday, 29 September 2025 07:24
Anche Innocenzo Cipolletta, all'epoca, se non erro, presidente di Confindustria, di affrettò a dire che, caduta l'URSS, non vedeva le ragioni dello stato sociale e che gli individui (la solita solfa) dovevano avere il coraggio di provvedere a loro stessi e non chiedere assistenza.
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