Francia e Gran Bretagna, due populismi a confronto
di Nico Maccentelli
Uno dei cavalli di battaglia degli atlantisti che santificano le attuali (false) democrazie liberali è spalare merda sulle opposizioni qualificandole come populiste e sovraniste. In realtà c’è una bella differenza tra forze politiche che rilanciano il sovranismo populista nel nome dei valori occidentali, e forze che ritengono che in Europa, l’UE sia una gabbia e ponga dei diktat ai parlamenti e alle popolazioni che non possono più decidere autonomamente cosa sia meglio sul piano economico e sociale, per non parlare della politica estera.
Che l’Unione Europea abbia condotto con la sua politica economica i suoi paesi aderenti alla crisi, abbia imposto parametri liberisti e penalizzato stato sociale, salari, pensioni e che dulcis in fundo con la politica estera NATO abbia portato a un’escalation bellica preparata da tempo, dal 2014 con il golpe di Euromaidan, è un dato di fatto che difficilmente i media a libro paga di Bruxelles e della finanza anglosassone possono dissimulare. Oltre che una “pallottola spuntata” nella macelleria ucraina vediamo che anche la propaganda militarista lo è, con sparate del tutto grossolane sulla “Russia che ci minaccia”.
È per questo che il populismo sovranista ha gioco forza nel proporre alternative che spesso non sono. Non è un’alternativa per esempio la forza di massa che si è riversata nelle strade di Londra (1) con tutto il suo carico islamofobico e razzista che fa da corollario a una visione nazionalista aderente alle suggestioni suprematiste dell’antica Inghilterra, quale paese colonizzatore per eccellenza.
Come la massa popolare britannica ha a casa effigi varie dei reali inglesi, anche l’eco di una nazione che ha dominato i continenti aleggia ancora oggi persino nei sobborghi periferici delle metropoli inglesi. L’estrema destra gioca in casa.
Cosa potrebbero fare un simile movimento e le forze politiche che lo caratterizzano se non rimodulare lo sfruttamento capitalistico in chiave autarchica, riproducendo ancora più divisioni nel corpo di classe e della divisione sociale del lavoro in base alle categorie sociali: autoctoni e migranti di seconde generazioni, per non parlare della storica vocazione all’autoritarismo che ha ogni formazione fascista? Senza disdegnare una volontà di potenza tutt’altro che pacifista e rispolverando antiche usanze espansionistiche di Albione.
Basta solo vedere cos’è stato il fascismo italiano nel ventennio con le sue suggestioni culturali sull’antica Roma e il suo impero, che ha portato Mussolini e i suoi da Tripoli all’Etiopia. Ogni mondo è paese e il fascismo è la perfetta declinazione della patria che ci vuole per gli appetiti materiali e spirituali di una borghesia capitalista alla ricerca di un posto al sole.
Altra questione è il populismo sovranista francese, dove l’esperienza delle masse popolari in lotta da quasi 250 anni hanno radicato sul piano culturale una visione della lotta di classe da «liberté egalité fraternité» alla Comune di Parigi, alla Resistenza dei Maquis, al maggio ’68, che in Europa non teme confronti. E lo si vede in tutte le ondate di protesta popolare sin dai Gilet Gialli. I contenuti sono di rivendicazione dei diritti del lavoro e dei cittadini in relazione alle politiche liberiste dei governi al servizio delle oligarchie euroatlantiche.
Il maggio in Francia porta bene: infatti in questi giorni stiamo assistendo alle mobilitazioni di Bloquons Tout (2), Blocchiamo Tutto, movimento di protesta che si è rapidamente diffuso in tutto il paese, raccogliendo adesioni trasversali da diverse forze politiche e sociali. Il movimento ha visto la partecipazione di studenti, lavoratori precari, pensionati e cittadini comuni, uniti dalla protesta contro le politiche di austerità e le disuguaglianze sociali. Le azioni includevano blocchi stradali, occupazioni simboliche di edifici pubblici e scioperi. Alla manifestazione del 10 settembre hanno partecipato decine di migliaia di persone principalmente a Parigi, con scontri tra manifestanti e forze dell’ordine e con oltre 470 arresti.
Il confronto tra i due populismi è bell’e che fatto. Ma ciò che ci deve suggerire questo confronto è che occorre allontanarsi dalle suggestioni di un superamento tra destra e sinistra. Ovviamente se consideriamo la sinistra che si qualifica tale, quella dem, al pieno servizio dell’euroimperialismo in salsa cosmopolita, non come tale ma come altra destra, ossia parte della grande famiglia neoliberista che caratterizza tutto il panorama politico delle forze borghesi e del capitale, questo superamento regge. Ma se consideriamo la sinistra come forza o insieme di forze caratterizzate da un’identità politica basata sulla rappresentanza e il sostegno dei salariati e delle classi subalterne, allora il discorso cambia.
Quindi, ciò che ci deve suggerire questo confronto è che se in Francia abbiamo dei compagni di lotta che si battono per una redistribuzione equa della ricchezza sociale e dei frutti del lavoro, per il diritto ai servizi, a tutto vantaggio delle classi popolari, in Gran Bretagna abbiamo dei nemici che preludono a una svolta autoritaria che non può che portare a più sfruttamento e distruzione delle stesse libertà borghesi liberali. Insomma, se la questione che si pone in Francia nel Movimento Blocchiamo Tutto sono le riforme o la rivoluzione, a Londra, non sanno neppure dove stia di casa la lotta di classe.
Questo metro di giudizio nell’analisi delle forze politiche in campo deve essere un faro guida anche per noi in Italia, dove non mancano forze che si dicono di sinistra ma reggono il mantello del re di Prussia, forze di destra che parlano di sovranità in chiave interclassista e sostengono valori reazionari, forze di sinistra che chiudono il perimetro del loro intervento a una visione astratta di classe, imprigionate tra l’operaio massa e quello sociale, mentre la composizione di classe oggi è ben altro e ben oltre.
La soluzione è stare ed essere con quei movimenti che anche solo embrionalmente pongono la questione del pane e delle rose e quindi del cambio sociale nel paese, che sia in chiave sovranista o internazionalista diviene un sofisma, poiché è evidente che il migliore internazionalismo è riacquisire la sovranità nazionale sotto la direzione politiche delle forze popolari del lavoro, che abbia come nucleo quella che oggi è la classe in tutte le sue variegate posizioni che occupa nella produzione sociale.
Il nostro «fuori dall’UE e dalla NATO» non è in chiave nazionalistica, da piccola potenza verso il posto al sole, ma in quella di un’alleanza politica tra settori della società che non possono più vivere sotto il tallone di un sistema di predazione, sottomissione alle politiche generali delle euroburocrazie e del capitalismo finanziario e multinazionale di impronta USA e tedesca, sia sul piano economico che geopolitico.
La corsa al riarmo che taglierà la spesa pubblica, i salari, le pensioni, produrrà nello stato di guerra condizioni sociali intollerabili. Questo è un conto che non hanno fatto i ceti dominanti. E questo è ciò su cui faremo leva nelle lotte sociali e nei movimenti, unificando le esperienze dei popoli europei in un fronte unico che spezzi la gabbia dell’UE.