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Un paese ridotto alla fame e alla guerra per un punticino in più di rating

di Sergio Scorza

L’agenzia statunitense di rating, Fitch, ha appena alzato il punteggio dell’Italia, portandolo da BBB (merda di cane) a BBB+(merda di vacca). Può sembrare una differenza minima, ma era dal 2021 che non succedeva. Tra le motivazioni principali c’è il fatto che il debito pubblico sta scendendo.

Ora, facciamo pure finta che Fitch non sia la stessa agenzia di rating accusata, insieme ad altre agenzie come Standard & Poor e Moody’s, di aver assegnato rating eccessivamente elevati a titoli finanziari legati ai mutui subprime, contribuendo così alla devastante crisi finanziaria del 2008 e prendiamo per buona(con riserva) questa ultima valutazione sui conti pubblici italiani. Ed, allora, chiediamoci: perché il debito pubblico italiano sta scendendo?

La risposta è quella che stanno dando anche alcuni economisti liberal-liberisti ed è la seguente: il debito pubblico italiano si è abbassato quasi esclusivamente grazie all’inflazione che si sta mangiando salari e stipendi.

In un paese come l’Italia, in cui lavoratori e pensionati pagano circa il 96,72% dell’IRPEF; un paese con i salari e gli stipendi più bassi dell’area UE e più magri di 30 anni fa 1; un paese con milioni di trattamenti pensionistici da fame (a proposito: che fine ha fatto la proposta del governo Meloni di portare le pensioni minime a 1′.000 euro?), a fronte di un inflazione che, da qualche anno ha ricominciato a viaggiare a due cifre, chi è che ha fatto aumentare in modo considerevole il prelievo fiscale? Ma certo, lavoratori e pensionati!

C’è solo da sperare che, prima o poi, gli interessati si accorgano in massa di questa rapina del secolo ai loro danni e facciano come i loro omologhi francesi, quelli che stanno mettendo a ferro e fuoco la Francia. E pensare che le riforme “lacrime e sangue” proposte dal governo Lecornu non sono minimamente comparabili ai tagli al Welfare e ai salari che sono stati fatti passare in Italia, negli ultimi 30 anni, invariabilmente dai governi di centrosinistra e di centrodestra, con il decisivo avallo quando non con la sostanziale, organica, complicità delle tre maggiori centrali sindacali.

Ed il quadro futuro si delinea ancora più fosco se consideriamo il piano europeo “Rearm Europe” che prevede di portare la spesa militare al 5% del PIL per rispondere alle richieste della NATO: una scelta gravissima che punta a militarizzare il bilancio pubblico, sacrificando non solo salari e pensioni ma anche scuola, sanità, ambiente e diritti sociali sull’altare della guerra.

Un piano che viene sostenuto da una narrazione dominante ossessiva che mette al centro di tutto la presunta volontà russa di aggredire l’Europa e che serve, in realtà, a supportare un rapido riarmo al quale destinare la gran parte delle risorse pubbliche, in deroga al Patto di stabilità, ricorrendo al debito comune, ai debiti nazionali e al risparmio privato.

La conseguenze di questa deriva bellicista che ora pare inarrestabile, porterà a un ulteriore approfondirsi delle disuguaglianze; a una povertà sempre più generalizzata; alla svalorizzazione del lavoro; ad una più netta ingiustizia giustizia fiscale; alla ulteriore perdita di potere d’acquisto di salari e stipendi; al definitivo smantellamente del Servizio Sanitario Nazionale e della scuola pubblica; a un abbandono della manutenzione e della tutela dei territori e dei servizi ai cittadini.

In tal senso l’Italia appare già perfettamente allineata alll’orizzonte di Rearm Europe. Un piano mirato a creare un mercato unico dei capitali e a favorire strategie di massiccia finanziarizzazione verso il settore delle armamenti. Un piano che risponde ai desiderata dei grandi fondi di investimento statunitensi, BlackRock, in testa.

Il risultato di questa riconversione dei sistemi produttivi europei è già riscontrabile nella decisa impennata dei titoli azionari delle principali imprese di armamenti europee. Le borse europee, infatti sono già strascinate berso l’alto dalle industrie di armamenti come Rheinmetall, Leonardo, Thales et. L’Europa è già in guerra, vuole un’economia di guerra e il Welfare sta per essere rimpiazzato dal warfare.


Note
[1] secondo i dati delle retribuzioni italiane forniti dall’L’Organizzazione internazionale del lavoro(ILO) l’Italia, dal 2008, risulta essere il Paese del G20 che ha registrato la maggiore contrazione, dell’8,7%, dei salari reali, posizionandosi all’ultimo posto, in termini di crescita salariale.

 

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