La solitudine dei palestinesi
di Ahmed Frenkel
L’attacco da parte dell’esercito israeliano deciso unilateralmente dal governo Netanyahu contro Gaza City assomiglia sempre più a una sorta soluzione finale di tragica memoria.
Avviene nella totale complicità e indifferenza non solo del mondo occidentale (con sporadiche eccezioni, vedi Spagna e Irlanda) ma anche del mondo arabo.
In questi giorni a Bruxelles si è riunita la Commissione Esteri della UE, che ha approvato un pacchetto di misure, che viene definito dalla stampa, “senza precedenti nei confronti di Israele: si va dalla sospensione di alcune concessioni commerciali alle sanzioni ai ministri estremisti” (Ansa Europa).
Più nel dettaglio, le sanzioni prevedono la sospensione del supporto finanziario dell’UE a Israele, garantito dallo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale – Europa globale (NDICI – Europa globale), adottato il 9 giugno 2021, secondo il quale Israele riceve in media circa 6 milioni di euro all’anno nel periodo 2025-2027. Si sospendono anche i progetti di cooperazione istituzionale, inclusi programmi gemelli e progetti nell’ambito della Regional EU-Israel cooperation facility a beneficio di Israele per un valore di circa 14 milioni di euro. A tali misure si aggiunge l’introduzione di dazi che colpirebbero il 37% delle esportazioni israeliane verso l’Europa, principalmente prodotti agricoli come datteri e avocado, prodotti chimici e macchinari industriali. Su questi beni, che valgono circa 16 miliardi di euro all’anno, verrebbero reintrodotti dazi tra l’8% e il 40%, con un costo aggiuntivo stimato in circa 220 milioni di euro per le aziende israeliane.
Tali sanzioni non entreranno però immediatamente in vigore. Perché diventino operative è necessario il lasciapassare del Consiglio d’Europa del prossimo fine ottobre (ovvero dei diversi Stati nazionali), con una maggioranza qualificata con il voto favorevole di almeno il 55% degli Stati membri (almeno 15 su 27) e che questi Stati rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Unione Europea. Risultato non scontato, dal momento che non tutti i paesi europei sono d’accordo. Ungheria e Repubblica Ceca si sono già dichiarate contrarie. La posizione di Germania e Italia è molto incerta, vista la riluttanza del Cancelliere Merz e l’assenza del commissario italiano Fico nel momento in cui si discuteva delle sanzioni la dice lunga sulle intenzioni del governo Meloni. Ricordiamo che Germania e Italia avevano già fatto fallire a luglio la proposta di bloccare i finanziamenti Horizon 2023 a favore di Israele.
La situazione potrebbe forse sbloccarsi se l’Unione Europea prendesse contatto con i paesi della Lega Araba (di cui fa parte anche l’Autorità Nazionale Palestinese ma non Hamas) per coordinare un’azione comune, ma questa prospettiva appare preclusa.
Il 15 settembre 2025 si è svolto a Doha (Qatar) il vertice straordinario della Lega Araba e dell’Organizzazione islamica mondiale, che ha visto emergere l’intenzione di creare una sorta di “meccanismo di difesa congiunto” inter-araba. Questa proposta nasce in risposta all’attacco israeliano contro una sede di Hamas nella capitale qatariota della scorsa settimana. Ma al di là di questa intenzione (declamata a parole), difficilmente seguiranno fatti concreti, in grado di arginare il genocidio israeliano contro il popolo palestinese (così lo ha definito ufficialmente la commissione indipendente dell’ONU). I profondi interessi che legano molti paesi arabi agli Stati Uniti potrebbero ostacolare l’attuazione di queste proposte e creano profonde differenze nel posizionamento geo-politico. Una difficoltà che è ingigantita anche dai cd “accordi di Abramo”, siglati tra Israele, Bahrein e Emirati Arabi Uniti nel 2020, sotto la supervisione della prima amministrazione Trump, e che dovrebbero essere estesi anche all’Arabia Saudita: allargamento oggi in stand-by ma non definitivamente archiviato.
Secondo i dati ufficiali israeliani, il commercio tra i Paesi arabi e Israele è aumentato costantemente durante la guerra nella Striscia di Gaza. Basandosi su questi dati, la testata web ArabicPost ha pubblicato un’indagine intitolata “Arabi di Miskhar”, dove “miskhar” in ebraico significa commercio. Il rapporto ha rivelato i cinque paesi che forniscono all’occupante il maggior numero di prodotti, che vanno dal cibo ai materiali da costruzione, alle forniture mediche e altro ancora. Si tratta degli Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania, Marocco e Bahrein, per il periodo compreso tra ottobre 2023 e febbraio 2025. Il commercio totale ha raggiunto i 6,1 miliardi di dollari, con esportazioni arabe per un valore di circa 4,6 miliardi di dollari.
Le relazioni commerciali tra UE e Israele sono altrettanto significative. Secondo Eurostat, l’Unione Europea è il principale partner commerciale di Israele e rappresenta circa il 32 per cento del suo commercio totale di beni nel 2024. Il 34,2 per cento delle importazioni israeliane proveniva dall’Ue in quell’anno, mentre il 28,8 per cento delle esportazioni del Paese era destinato all’estero. Il totale degli scambi di beni tra l’Ue e Israele nel 2024 è stato di 42,6 miliardi di euro, con l’Ue che ha esportato beni per 26,7 miliardi di euro in Israele.
Ma c’è di più. Secondo il centro di ricerca indipendente (SOMO), con 72,1 miliardi di euro nel 2023, l’Unione europea è il più importante investitore in Israele, doppiando di fatto gli Stati Uniti. E nel corso del 2024, nonostante la distruzione di Gaza e l’occupazione illegale della Cisgiordania, l’export verso Israele è persino cresciuto di un miliardo di euro mentre le importazioni sono rimaste stabili.
I dati qui riportati trattano solo i legami commerciali tra le diverse aree. Se dovessimo considerare le transazioni finanziarie, il rapporto di interdipendenza tra Israele e paesi della Lega Araba risulterebbe ancora più stretto, considerando gli investimenti speculativi grazie alla grande liquidità derivante dalla vendita dei prodotti energetici di alcuni paesi e che trovano sbocco non solo sulle piazze finanziarie degli Usa e dell’Europa ma anche nell’acquisto dei titoli di guerra emessi dal governo di Tel Aviv per finanziare l’occupazione di Gaza e della Cisgiordania.
Sul piano finanziario, anche l’Europa fa la sua parte nell’acquisto delle obbligazioni di guerra emesse da Israele. Come riportato già da Effimera, la parte del leone la fa la tedesca Deutsche Bank (2,5 miliardi) e la francese BNP Paribas (2 miliardi), che controlla l’italiana BNL (Banca Nazionale del lavoro). Chiude la britannica Barclays con 0,5 miliardi. A queste banche si devono affiancare le società di gestione patrimoniale che hanno aiutato la guerra di Israele acquistando oltre 2,7 miliardi di dollari in obbligazioni. Tra queste spiccano la tedesca Allianz (tramite la sua sussidiaria statunitense Pimco) con 960 milioni di dollari e anche l’italiana Bper (Banca Popolare dell’Emilia-Romagna) con 99 milioni.
Il costo delle sanzioni europee (240 milioni in totale) è quindi ben misero rispetto al valore complessivo dell’interscambio economico–finanziario con Israele.
Risulta evidente, in conclusione, che la promessa o la velleità di imporre sanzioni semplicemente commerciali o finanziarie (non parliamo della vendita di armi e strumenti bellici) difficilmente si potranno realizzare, sia da parte dell’Europa come dalla Lega Araba.
Il popolo palestinese si trova così in una drammatica solitudine. E l’unica speranza per indurre interventi sanzionatori realmente efficaci sta nell’azione della Global Sumud Flotilla, in grado di costringere – poiché chi sta su quelle navi è disposto/a a mettere interamente in gioco i propri corpi – un intervento più diretto degli Stati europei che non potranno fare orecchie da mercante (e proprio il caso di dirlo) di fronte a un possibile attacco alla missione dalle conseguenze imprevedibili. Per questo l’impresa della Sumud accende l’immaginazione delle tante persone che, diversamente dagli interessi dei propri governi, prova angoscia per il martirio della popolazione di Gaza City. Per questo i nostri cuori sono su quelle barche.