7 ottobre: Giornata della resistenza palestinese
Proposta di proclamazione
«Quest’uomo nuovo comincia la sua vita d’uomo dalla fine; si considera come un morto in potenza. Sarà ucciso: non è soltanto che ne accetta il rischio, è che ne ha la certezza; quel morto in potenza ha perso sua moglie, i suoi figli; ha visto tante agonie che vuol vincere piuttosto che sopravvivere»
Frantz Fanon
Il 7 ottobre del 2023 è stata scritta una pagina di Storia da parte della Resistenza arabo-palestinese. L’Operazione Diluvio di al Aqsa è stato un atto rivoluzionario per la liberazione della Palestina, che ha mostrato come una popolazione indigena, da quasi 80 anni espropriata da una entità colonizzatrice di ogni diritto all’esistenza sociale e politica, possa tentare l’impossibile, ovvero mettere in ginocchio una potenza nucleare, avamposto dell’imperialismo occidentale.
Quell’assalto “Ha insegnato che ci si può tirare fuori dalla fossa più profonda del pianeta – quella dove i palestinesi sono stati sepolti dai sionisti e dagli occidentali – senza alcun punto d’appoggio. I combattenti di Gaza sui deltaplani sono diventati folate di vento e grida che hanno sovvertito il tempo, hanno dipinto un’immagine di liberazione tra le più elevate della recente storia dell’umanità. Un quadro immortale di gioia che nessun palestinese, nessuna donna, nessun uomo schiavizzato dal totalitarismo liberale, si leverà mai dallo sguardo. L’atterraggio sul suolo violentato dai colonizzatori è una nascita per i combattenti. E non si viene alla luce senza coprirsi di sangue. Non ci si libera da un’eterna brutalità senza violenza”*.
Un’azione che portava in sé la dirompente richiesta di liberazione della Palestina dal Fiume al Mare, senza concessioni ai sionisti. Il destinatario non era solo l’entità sionista, ma l’intero Occidente sionistizzato, compreso lo Stato italiano, che in quella data lo hanno recepito forte e chiaro, spaventandosi a buona ragione. Perché quella operazione ha minato nelle fondamenta la deterrenza della copiosa propaganda dell’invincibilità e della “democrazia” imperialista.
La paura di perdere tutto ha scatenato le oligarchie dei regimi liberisti della NATO, che hanno scatenato il proprio main stream mediatico, tentando di minimizzare la portata rivoluzionaria, non solo per i palestinesi, avviata col 7 ottobre, definendola un’azione terroristico-religiosa, grottescamente come «un pogrom antisemita», paradossalmente condotto dai semiti palestinesi.
Un vano tentativo propagandistico coadiuvato dai pompieri “democratici e umanitari”, che hanno sfoggiato termini alla moda, come “decolonizzazione”, “messa in discussione della visione eurocentrica”, “assumere la prospettiva dei colonizzati” e altre simili amenità. Nella maggior parte dei casi, invece, rivelandosi come sintomo di una refrattaria paura, quasi isterica, di ascrivere gli avvenimenti del 7 ottobre come momento rivoluzionario, condotto dalla Resistenza palestinese all’interno di una lotta di liberazione anticoloniale, cercando di isolarlo dalla dinamica storica che rappresenta.
In ogni angolo del pianeta, soprattutto nella parte più oppressa, al contrario è stato compreso che quella iniziativa, va contestualizzata nel quadro in un ben preciso scontro storico di civiltà: quello tra oppressori e oppressi, tra sfruttatori e sfruttati.
“Rivoluzione”, “movimento di liberazione”, “colonialismo”, “lotta armata”, quindi non sono elucubrazioni di estremisti, ma semplicemente i termini del discorso secolare, e con rinnovata passione dal 7 ottobre scorso, con cui nel mondo arabo e nel Sud del mondo storicamente oppressi, viene descritto ciò che accade in Palestina e nelle loro stesse altre realtà politiche e sociali.
Infatti in Occidente, purtroppo anche chi sostiene i palestinesi, ha paura di usare i concetti precisi che usano i colonizzati, alla faccia del politicamente corretto. Va ribadito che la questione palestinese, quindi l’antisionismo, è eminentemente politica. Il disastro umanitario, a cui spesso e volentieri la si vorrebbe ridurre, non è che un effetto del dato politico, perciò il Genocidio e le passioni da questo suscitate, non devono distoglierci dall’agire sulle cause. Il Colonialismo, l’Occupazione e l’Apartheid che contraddistinguono l’esistenza stessa dello Stato di Israele, in quanto estensione di una visione messianica e ariana di un sedicente “popolo eletto”.
Israele è una entità statuale coloniale, in quanto tale è illegittima, a prescindere da qualsiasi riconoscimento internazionale. Nessun popolo può accettare l’invasione e il furto della propria terra, l’annientamento e l’espulsione della propria gente e quello arabo-palestinese non fa eccezione. Ogni popolo ha il diritto imprescindibile di resistere a un’occupazione coloniale con ogni mezzo, soprattutto quello della lotta armata, che la Storia ha dimostrato essere il mezzo decisivo in più di un’occasione.
Ogni israeliano è un colono. I coloni non hanno alcuna proprietà sulla terra, a prescindere da qualsiasi previsione di diritto, ne detengono solo il possesso illegittimo, le cui uniche garanzie sono la forza e la violenza coloniale.
Le organizzazioni della Resistenza palestinese non possono essere definite “terroristiche”, a prescindere da qualsiasi previsione di diritto manipolato; sebbene nemmeno ai sensi del diritto internazionale vigente possono essere considerate tali. Le organizzazioni della Resistenza palestinese legittimamente agiscono all’interno di una lotta e di un movimento di liberazione anticoloniale.
Un evento è rivoluzionario quando trasforma lo stato di cose vigenti al punto che non è più possibile ripristinare lo status quo precedente. Indipendentemente dagli esiti militari il 7 ottobre è stato per lo Stato coloniale d’Israele l’inizio della peggiore crisi della sua storia, che sancisce il fallimento del suo presunto “diritto a esistere” in terra altrui. Quella sovrastruttura imperialista non potrà mai più ristabilire l’immagine della sua forza, anche morale, in quanto la sua credibilità internazionale è stata avviata in un declino inarrestabile.
Per il popolo palestinese, invece, il 7 ottobre significa una nuova fase della lotta di liberazione. Significa infatti il recupero della lotta armata come strumento politico e l’esercizio concreto del diritto al ritorno e un colpo mortale al collaborazionismo con l’Occupazione come strategia di conseguimento di legittimi diritti anticoloniali. Il popolo palestinese non potrà mai tornare a sedersi come prima al tavolo delle trattative con i sionisti e le potenze imperialiste, né a fidarsi del diritto internazionale, ormai smascherato nel suo infame doppio standard. Da questi punti di vista il 7 ottobre rappresenta un’inscalfibile vittoria politica e strategia, oltre che morale.
Il 7 ottobre rende questa storia visibile, gettando un’ombra pesantissima sulla civiltà occidentale, sulla sua pace, sui pretesi diritti e sulle pretese libertà, ricordando che la civiltà capitalistica, liberale e democratica, si fonda e si mantiene col sangue e le menzogne.
Il merito dell’operazione dei fedayn palestinesi nella Palestina occupata (2023) è stato di portata storica, rappresentando una pietra miliare di ribellione e resistenza di livello mondiale del XXI secolo; così come lo furono le gesta dei comunardi di Parigi (1871), dei bolscevichi in Russia (1917), dei sovietici a Stalingrado (1942) e degli ebrei del Ghetto di Varsavia (1943).
Per questo proponiamo di proclamare il 7 ottobre GIORNATA DELLA RESISTENZA PALESTINESE, in modo da salvaguardare la memoria dell’audacia e la determinazione politica dei partigiani arabi, come una indicazione di prospettiva storica per tutti i popoli oppressi e le classi sfruttate dall’imperialismo.
DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE
PER LA LIBERAZIONE DELLA PALESTINA
DAL FIUME AL MARE
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Dieci,cento, mille sette ottobre e lunga vita ai palestinesi