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Il trionfo del moralismo fuorviato sulla precisione descrittiva

di Lorenzo Forlani*

Io davvero non riesco a capire come siamo finiti in questo tombino dialettico permanente, fatto di dicotomie e polarizzazioni inutili, stupide, anti logiche, di timore reverenziale nei confronti della argomentazione, anzi della precisione delle parole, dell’utilizzo assennato dei loro significati, del vittimismo costante, del mal riposto riflesso d’indignazione, della sudditanza verso il vuoto conformismo del silenzio, oppure della frase di circostanza a corollario del lutto, della perdita, dello shock.

Un intellettuale di nome Odifreddi dice una cosa elementare, banale, del tutto circostanziata dalla sua accuratezza terminologica: “uccidere Kirk non è la stessa cosa rispetto a uccidere Martin Luther King”. Voglio dire, è ovvio che non sia la stessa cosa. Letteralmente non lo è, perché uno promuoveva l’opposto dell’altro in merito alla violenza della società stessa.

Non è la stessa cosa” nella misura in cui lascia una diversa eredità e diverse premesse, nella misura in cui stimola riflessioni differenti su come un omicidio possa essere maturato nella mente di una persona, e su come un omicidio possa verificarsi più facilmente se concepito all’interno di una società più violenta, che incidentalmente veniva promossa dalla vittima.

In che frangente o mediante quale interpretazione questa frase di Odifreddi può essere considerata sinonimo di “uccidere Martin Luther King sarebbe stato ingiusto, uccidere Kirk no”? [anche Martin Luther King è stato ucciso, ma da un suprematista bianco non troppo distante dal mondo di Kirk, ndr]

Per un bizzarro ma allo stesso tempo tipico corto circuito, le persone che agitano questi mal intendimenti strutturali sono poi le stesse che con disinvoltura ritengono che uccidere un portavoce o decine di giornalisti che magari si sono scattati una foto con un miliziano sia opportuno, anzi meritevole di celebrazione.

Ma al di là delle contraddizioni che si porta dietro come aggravanti, siamo di fronte ad una malattia del nostro tempo: il trionfo del moralismo spicciolo, ottusamente scandalistico, puntualmente fuorviato, sulla precisione descrittiva.

A ben vedere, alla radice è lo stesso meccanismo che si attiva quando si confonde volutamente una spiegazione, una contestualizzazione con una “giustificazione”:

guardate che ci sono dei motivi per cui il 7 ottobre 2023 l’apparente pace e l’apparente armonia vengono squarciate in Israele, e ci sono dei motivi per cui oggi c’è Hamas o il Jihad islamico. No, niente da fare: —> stai quindi dicendo che l’attacco del 7 ottobre era la “giusta” conseguenza di quel accadeva fino a quel momento in Palestina, una azione insomma raccomandabile.

Guardate che un movimento anti-coloniale di qualunque orientamento politico o religioso, un movimento di liberazione nazionale, un movimento che combatte una occupazione, tende nel corso della sua storia (avendo a che fare con nemici infinitamente più equipaggiati potenti) a commettere anche azioni “terroristiche”, azioni ahimè anche contro i civili, al fine di generare insicurezza e paura, per cui non sorprendiamoci troppo quando accade.

Ma insomma, bando alle ciance, mi serve una risposta che entri in una targhetta 3×4 cm:—>Hamas è un movimento terroristico o di liberazione nazionale? What about “movimento di liberazione nazionale che ha utilizzato anche il terrorismo”? No, per carità, me ne serve una sola, sennò mi perdo.

Guardate che per un movimento di guerriglia o un movimento paramilitare come il suddetto, costruire km di tunnel all’interno di un territorio occupato, sotto assedio ed embargo permanente, che verrebbe in ogni caso ciclicamente bombardato dall’aviazione, e dove in realtà nel corso degli anni sono state già costruite decine di scuole e ospedali (puntualmente distrutti da quella aviazione), non è una cosa così anormale o assurda: si tratta di una infrastruttura che da un lato fornisce una parziale difesa dai raid della stessa aviazione e dall’altro, soprattutto, contribuisce ad aggirare il problemino dell’embargo permanente, in base al quale un paese occupante, lo stesso che ha l’aviazione, decide appunto cosa deve entrare e uscire dal territorio che occupa.

Cioè, veramente voi, in un territorio del tutto pianeggiante e confinante con due paesi, non pensereste nemmeno una volta a dei tunnel per far circolare beni e persone, a maggior ragione se qualcuno pattuglia (e preclude) il vostro spazio terrestre, informatico, aereo e marittimo?

Think again and think slowly. Ma no, figurati: stai in fin dei conti dicendo che i tunnel per il contrabbando (che c’è perché i canali legali sono controllati e gestiti da Israele) sono più importanti degli ospedali, delle scuole, delle banche, delle biblioteche e delle start up. Tutte cose che non sono mai mancate nella striscia, peraltro. Finché non venivano rase al suolo.

Non so come ne usciremo, ma mi viene da dire che alcuni dovrebbero davvero tornare alle basi della sintassi, della grammatica, della logica verbale e testuale, per capire una volta per tutte che le parole, e le argomentazioni costruite con esse, sono costruzioni umane molto utili. Che se utilizzate in modo chiaro, corretto e coerente, nella cornice del loro significato, non hanno alcun bisogno di contrite espressioni facciali o schiamazzi a supporto, di impliciti, di pupille sgranate, di accuse latenti e di presunzioni di innocenza o colpevolezza.

Dovrebbero essere in sé stesse elementi che giocano un ruolo primario nel distinguerci dai bovini o dai felini.


* dal suo blog su Substack

 

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