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Approvato il primo scheletro di una finanziaria tutta improntata alla guerra

di Stefano Porcari

Presi dall’enorme mobilitazione che ha interessato il paese in questi giorni in solidarietà con la lotta palestinese e in sostegno della rottura del blocco illegale di Gaza da parte della Global Sumud Flotilla, è passato momentaneamente sullo sfondo il dibattito sull’approvazione della prossima manovra finanziaria, che si avvicina inesorabilmente con la fine dell’anno.

Giovedì, però, il Consiglio dei Ministri ha varato il Documento programmatico di finanza pubblica (o Dpfp), che ha sostituito la vecchia Nadef. La funzione è più o meno la stessa: serve a fare il punto della situazione dei conti pubblici e delle previsioni di crescita, e a dare così una cornice definita entro cui scrivere in maniera dettagliata la legge di bilancio per l’anno a venire.

Le previsioni di crescita tendenziale del PIL sono ancora più striminzite di qualche mese fa: +0,5% quest’anno, invece di +0,6%; +0,7% nel 2026 e nel 2027; +0,8% nel 2028. Il ministero dell’Economia mette però in chiaro che “tali dati si basano su stime assai prudenziali che allo stato risentono anche del contesto geopolitico internazionale“, innanzitutto dei dazi ‘amichevoli’ di Trump.

Rimane invece inflessibile la gabbia dei vincoli europei, e dunque dell’austerità imposta da Bruxelles. La spesa primaria netta, cioè quella che esclude gli interessi sul debito e componenti cicliche, è diminuita: la solerzia del governo Meloni nel tagliare spese e servizi pubblici ha fatto sì, dalla stima dello scorso aprila che lo dava al 3,3%, ora il deficit è proiettato sul 3%.

Si tratta della soglia richiesta dalla UE per uscire dalla procedura per deficit eccessivo, obiettivo che il governo vorrebbe raggiungere con un anno di anticipo rispetto ai termini concessi. Ma a Bruxelles un funzionario europeo ha preferito non sbilanciarsi: per la chiusura della procedura, ha detto, bisognare stare “sotto il 3%, credo che il 2,9% sia un buon valore“: non quello italiano, insomma.

Confermiamo la linea di ferma e prudente responsabilità che tiene conto della necessità della tenuta della finanza pubblica nel rispetto delle nuove regole europee e delle imprescindibili tutele a favore della crescita economica e sociale dei lavoratori e delle famiglie“, ha affermato in una nota Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia.

Ma la realtà è a che a Palazzo Chigi hanno già detto di non farsi illusioni: la tagliola dell’austerità europea continuerà a strozzare il paese, che Roma lo voglia o no. Ad ora, si prevede che la prima dota della finanziaria prevederà interventi per 16 miliardi, il cui finanziamento in parte proverrà da nuove entrate (circa 6 miliardi e mezzo), ma per la maggior parte da nuovi tagli: circa 10 miliardi.

Non su tutte le voci, però. Se le misure ad oggi annunciate sono molto specifiche e striminzite (legate all’Irpef, agli investimenti aziendali, ai provvedimenti per la natalità), al contrario per le spese militari è già prevista una crescita senza precedenti, soprattutto se paragonata con le previsioni di finanziamento per altri settori.

Giorgetti ha detto che non ci saranno “puntuali programmi di spesa” già da questa manovra, ma lo scopo è raggiungere una spesa militare pari al 2,5% del PIL già entro il 2028, ovvero lo 0,5% in più rispetto a oggi o 12 miliardi di euro in più l’anno. Milex ha poi fatto i conti sulla base dei dati forniti dal governo rispetto a uno scenario di spesa costante al 2% del PIL aggiornato al suo crescente valore nominale.

Si parla di un investimento nelle spese militari pari a 3,5 miliardi in più rispetto a oggi nel 2026, 7 miliardi in più nel 2027 e 12 miliardi in più nel 2028, per un totale di 23 miliardi nei prossimi tre anni.

Detto in altri termini, una vera e propria finanziaria, nel triennio a venire, sarà fagocitata da armi e armamenti, mentre i vincoli di bilancio continueranno a strozzare le spese sociali. Il documento finale dovrebbe essere approvato entro metà ottobre, e portato in Parlamento entro il 20 ottobre.

Lo abbiamo detto da tempo che il nostro paese è imbrigliato in una doppia gabbia, quella dei vincoli economici della gabbia europea e quella dei vincoli militari della NATO. Ora la sinergia tra i due trascinerà il paese verso un’economia di guerra, per le esigenze di difesa dell’imperialismo occidentale, mentre verrà cancellato quel che resta dello stato sociale.

La paura del governo è propria questa: che il risveglio delle coscienze di queste settimane si travasi dall’opposizione al sostegno al genocidio all’opposizione al sostegno verso il complesso militare-industriale, e infine all’opposizione all’intero modello di sviluppo che propina la guerra come unica soluzione, che sostiene Israele come proiezione dei suoi interessi in Medio Oriente, mentre toglie un servizio pubblico dopo l’altro.

La paura è che la sinergia negativa tra i due vincoli – riduzione della spesa sociale e aumento della spesa militare -, nella spinta alla politicizzazione resa visibilissima dalle piazze di questi giorni, crei il terreno adatto su cui organizzazioni consapevoli possano costruire un’opposizione sociale e politica che metta in discussione l’intero assetto strategico di questo pezzo di mondo, che va dalla carta bianca data al sionismo al riarmo e alla Difesa Europea.

È proprio in questa direzione che dobbiamo lavorare.

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