Fai una donazione

Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________

Amount
Print Friendly, PDF & Email

piccolenote

L'Occidente e la pericolosa isteria della minaccia russa

di Davide Malacaria

La spinta isterica per dar vita a un’escalation contro la Russia si intensifica, con i Paesi Nato a inventare sempre nuovi pretesti per favorire tale sviluppo. Dapprima i droni russi sui cieli polacchi, capitati lì a causa di un disturbo elettronico che li ha deviati – come dimostra anche lo sconfinamento in Bielorussia, paese alleato di Mosca, che certo non aveva alcuna necessità di minacciare. Sconfinamento che ha avuto una coda nella distruzione di una casa – per fortuna nessuna vittima – e nella violazione delle spazio aereo della residenza del presidente polacco da parte di un drone.

Le solite accuse roboanti alla Russia per entrambi gli episodi, seguite poi dalle sussurrate smentite perché si è scoperto che la casa era stata distrutta da un missile partito da un F-16 Nato, dicono impazzito, e che il drone era teleguidato da un ragazzo ucraino e una ragazza bielorussa. Poi c’è stato l’allarme per lo sconfinamento di un drone, dicono russo, in Romania e l’asserito sconfinamento di jet russi nei cieli di Paesi Nato.

Un’escalation progressiva che hanno avuto il suo momento epifanico nell’allarme lanciato dalla guerrafondaia Ursula von der Lyen su un asserito attacco hacker russo al suo velivolo in fase di atterraggio in Bulgaria, allarme dimostratosi del tutto infondato, anzi inventato di sana pianta.

Se ricordiamo l’episodio è perché l’invenzione della Von der Lyen era, oltre che sciocca, di una gravità assoluta: il fatto che non sia stata rimossa dall’alto incarico che presiede getta luce sugli allarmi successivi.

Tutti incidenti usati per adire a un confronto con la Russia, nulla importando se siano stati causati da disturbi elettronici o se siano da ascriversi a quegli sconfinamenti limitati che si registrano con tanta frequenza nei cieli dei Paesi Nato ad opera dei jet russi e nei cieli russi ad opera di jet Nato.

Né ovviamente, si prende minimamente in esame l’ipotesi di una false flag per indurre la Nato a impegnarsi nella guerra, trame oscure di cui l’Ucraina e i suoi sponsor, da Maidan in poi, hanno dato prove a iosa.

Non scriviamo a caso l’ipotesi di false flag: l’allarme per i droni fantasma che sono apparsi nei pressi degli aeroporti di Copenaghen e Oslo causandone la chiusura è alquanto lapalissiano in tal senso.

I droni russi non possono arrivare sui cieli danesi senza essere avvistati da nessuno dei Paesi che avrebbero dovuto sorvolare per giungervi o dai sofisticati sistemi di allarme Nato che scandagliano ogni centimetro di mare e di cielo del Mar Baltico e del Mar del Nord. Peraltro, dopo aver seminato allarme, questi droni sono scomparsi nel nulla, come non fossero mai esistiti…

Qualcuno, anzi tanti, stanno giocando col fuoco, con il ministro degli Esteri britannico Yvette Cooper, Paese che da tempo fa pressione per uno ingaggio Nato-Russia, che si è spinta a dichiarare: “Al Presidente Putin dico: le vostre azioni sconsiderate rischiano di provocare uno scontro armato diretto tra NATO e Russia […] Siamo vigili. Siamo risoluti. E se dovessimo affrontare aerei che operano nello spazio aereo della NATO senza autorizzazione, lo faremo”. Monito incendiario di cui si è subito appropriato il premier polacco Donald Tusk.

Tutto è apparecchiato per abbattere un velivolo russo tacciato di aver invaso spazio aereo Nato, anche perché, come è accaduto per asserite violazioni precedenti, non c’è nessun obbligo di portare prove sull’asserita invasione aerea.

L’abbattimento avrebbe diverse conseguenze. Anzitutto farebbe collassare il dialogo Russia – Stati Uniti portato avanti da Trump, iniziativa che ha irritato non poco il partito della guerra globale. In secondo luogo spingerebbe Trump a riprendere il sostegno alzo zero a Kiev ripristinando il flusso di dollari verso l’apparato militar industriale Usa, ridotto a un rivolo dalla trovata del presidente Usa di far pagare agli europei le armi di Kiev.

Inoltre, azzererebbe le resistenze dell’opinione pubblica europea al riarmo continentale, che la sua stolida leadership vede come unica via di uscita dal tunnel che la destina all’impoverimento progressivo (causato dalle sanzioni comminate alla Russia e alla recessione dei legami energetici con la stessa). Last but not least, consentirebbe a Netanyahu e soci di costruire la Grande Israele senza il disturbo dell’opinione pubblica occidentale; e, se la situazione dovesse precipitare, anche di dilavare l’onta del genocidio palestinese nel bagno di sangue globale.

Ad oggi, nonostante tutte le ombre che possono gravare sul personaggio, e non sono poche, la forza che più trattiene tale sviluppo è Trump, che sta resistendo a suo modo – alternando minacce ad aperture – alle pressioni per far tornare gli States ai fasti dell’era Biden. Resistenza sempre più difficile in mancanza di eventi che possano aiutarlo o di sponde all’interno della leadership occidentale.

Di ieri il discorso di Putin nel quale ha lanciato un avvertimento puntuale e non obliterabile: nell’affermare che il suo Paese è pronto ad affontare qualsiasi minaccia, ha specificato che la Russia risponderà “non a parole, ma con misure tecnico-militari”. È lo stesso monito che aveva lanciato quando la presidenza Biden sfidò apertamente Mosca aprendo a Kiev le porte della Nato.

Insieme al monito, però, una nuova apertura: la Russia, ha detto, è pronta a prolungare di un anno il trattato New Start, l’ultimo accordo rimasto sul controllo delle testate atomiche, che scade a febbraio, a patto che gli Usa facciano altrettanto.

Trump ha risposto che si tratta di una “buona idea“. L’opzione, oltre a conservare il filo del dialogo tra le due potenze, data la scadenza temporanea, potrebbe riaprire un tavolo negoziale sul tema, con le delegazioni dei rispettivi Paesi chiamate a confrontarsi. Un confronto che apre spazi di dialogo ad ampio spettro a margine di quello ufficiale. Aprirebbe prospettive.

Pin It

Add comment

Submit