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Dal fondo umanitario alla critica del capitalismo: brevi note sulle mobilitazioni del 22 settembre

di Ugo Boghetta

Il grande movimento sceso in piazza il 22 settembre non si ferma. Le navi dirette verso Gaza, attaccate da droni che sembrano lanciati da ignoti (mentre altri sono sempre russi), mantengono alto il livello della mobilitazione.

All’Onu, intanto, è andato in scena il Nuovo Mondo, a cui Trump e Israele rispondono con un’arroganza suicida.

Il fondo umanitario che caratterizza questo movimento non va inteso come mero umanitarismo. È un fondo politico, che condensa anche anni di frustrazioni su tanti temi vissuti con impotenza: scuola, sanità, lavoro, precarietà, salario, casa. L’instabilità internazionale si somma a queste difficoltà e alimenta l’incertezza della vita quotidiana. Byung-Chul Han la definisce “società ansiogena”.

La domanda è: quale quadro di riferimento, quale consolidamento nel tempo potrà darsi questo imponente movimento, che non si spegnerà nemmeno con la fine delle mobilitazioni?

Essere un agente capace di incidere sul quadro internazionale proietta l’aspetto umanitario oltre la pura indignazione, trasformandolo in contestazione dei cosiddetti “valori occidentali”. Valori ormai giunti alla fine che meritano. L’Occidente altro non è che il capitalismo giunto, dopo secoli di eccellenze ma anche di barbarie — colonialismo, imperialismo, schiavismo, razzismo — alla sua disfatta umana, morale ed etica. Esaurita la spinta propulsiva, resta solo la forza militare. Ma con la sola violenza non andrà lontano, anche se, se non fermato, potrà ancora produrre morte e distruzioni immani.

In questo contesto, l’antioccidentalismo umanitario, morale, etico può diventare anticapitalismo.

 

Il nodo politico

Il movimento sta già producendo risultati concreti: ha spinto il riposizionamento di paesi come Francia e Inghilterra, ha messo in difficoltà il governo Meloni per il suo accodarsi al “cane pazzo” americano, ha costretto il PD a tentare un recupero nei confronti del movimento ProPal.

Tuttavia, questo recupero è intrinsecamente opportunista. Non solo perché fino a ieri lo stesso PD sosteneva Israele, ma anche perché l’emblema di questo nuovo corso — “due popoli, due stati” — è in realtà un’illusione. Ed è anche una soluzione concettualmente sbagliata, ancorata com’è al vecchio legame fra Stato ed etnia. In realtà, non ci sarà pace finché non si metterà mano radicalmente alla risoluzione ONU del 1948, ridisegnando da capo la questione palestinese.

Anche il riposizionamento di Macron e Starmer è opportunistico, determinato più dalle crisi interne, dalle oscillazioni di Trump sulla questione ucraina e dalle guerre commerciali e valutarie fra dollaro ed euro che da convinzioni reali.

Nel contempo, non si può ignorare che anche in Ucraina è in corso un massacro: di ucraini e di russi. È umano, morale, etico? La differenza è che la Russia ha potuto rispondere alla provocazione dell’espansione NATO ai propri confini e al posizionamento di missili alle sue porte. Parafrasando il cancelliere tedesco Mertz, gli ucraini fanno in Europa lo stesso “lavoro sporco per noi” che Israele compie in Medio Oriente.

 

Le contraddizioni interne

Il movimento ProPal contiene dunque al suo interno soggetti portatori di grandi contraddizioni. Alcuni — non solo il PD — sostengono la guerra contro la Russia. È una contraddizione non solo politica, ma ontologica. Un movimento a base umanitaria non può permettersi a lungo un doppio standard in perfetto stile occidentale. Ciò al netto delle difficoltà ad affrontare questo problema.

 

Il capitalismo neoliberista e la vita quotidiana

Un terzo aspetto riguarda il fatto che il capitalismo neoliberista ha reso inumani e immorali ampi settori della vita quotidiana. L’attacco è quotidiano, insistente, strutturale. Gaza non è che la manifestazione estrema del disprezzo per la vita per interessi di parte. Non è forse l’immane capitalismo finanziario occidentale a voler trasformare un cimitero a cielo aperto in un grande resort?

Anche da noi si resiste, spesso in silenzio, senza riflettori. La coscienza di ciò è ancora debole e frammentata. Ma gli eventi in corso possono favorire un cambio di passo anche all’interno del Paese. La questione di classe si manifesta spesso in forme nuove.

Tutto ciò, al momento, è latente. Le tensioni agiscono anche in silenzio. La consapevolezza ha i suoi modi e i suoi tempi.

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