Appunti sulla giornata di lotta del 22 settembre
di Cosimo Scarinzi
Sulla giornata di mobilitazione del 22 settembre 2025 contro il genocidio a Gaza riportiamo queste riflessioni di Cosimo
Ritengo si debba partire da un dato quantitativo, più di 80 manifestazioni, alcune con decine di migliaia di partecipanti, altre con migliaia portano a una presenza in piazza in occasione dello sciopero di lunedì 22 settembre di centinaia di migliaia di persone.
Un dato ancora più significativo se si tiene conto del fatto che lo sciopero e l’assieme delle mobilitazioni sono stati costruiti in pochi giorni, che la CGIL ha organizzato come controfuoco uno sciopero e una serie di manifestazioni su temi simili per venerdì 19.
Un dato che ci dice che lo sciopero ha coinvolto sui posti di lavoro molte/i lavoratrici e lavoratori che non hanno come riferimento sindacale il sindacalismo di base e che sono venuti in piazza anche lavoratori autonomi, insomma che si è andati ben oltre il mondo del sindacalismo di base e della sinistra radicale.
Questo senza, ovviamente, sottovalutare una robusta presenza di studentesse e studenti per i quali il 22 settembre non era, dal punto di vista della conduzione immediata, significativamente diverso dalle molte manifestazioni sugli stessi temi che si sono tenute negli ultimi mesi. Sarebbe anzi oggetto di un’interessante inchiesta militante la comprensione che gli studenti hanno della differenza fra sciopero delle lavoratrici e lavoratori e manifestazione.
Provo a descrivere come ho vissuto la manifestazione di Torino. Premetto un chiarimento, a causa di una condizione di salute, diciamo così, non brillante, di salute ho partecipato al corteo prima sul furgone della CUB e poi seduto al tavolino di un bar nei pressi della sede sempre della CUB. Comunque ho avuto modo, come in altre manifestazioni, di parlare con diversi compagni e compagne e non sono quindi mancati scambi di opinioni.
Ciò che mi ha sorpreso è stata la dimensione del corteo che ha sfilato per quasi un ora e, si badi bene, io ero assolutamente ottimista sulla partecipazione ma non mi aspettavo una partecipazione così consistente. I colleghi e le colleghe erano, oltre che numerosi, vivaci e motivati e non mancavano striscioni e cartelli di scuola.
A proposito di oggi, su “La Tecnica della Scuola”, Reginaldo Palermo scrive un articolo intitolato “Sciopero USB e CUB contro la guerra: tante piazze piene, molte scuole vuote. Bisognerà capire il perché” ponendo, con ogni evidenza, una buona domanda.
Nel suo articolo scrive
“E stando alle immagini che passano nei servizi televisivi di queste ore le manifestazioni di insegnanti, studenti e semplici cittadini stanno riempiendo le piazze.
Se questi primi dati dovessero essere confermati sarà necessario cercare di analizzarne i motivi.
Dopo i tanti scioperi, poco partecipati, per gli stipendi “non europei” e contro il precariato sempre più esteso, adesso arriva uno sciopero che “conta”: se anche si dovesse arrivare a pochi punti percentuali bisognerà considerare che a proclamarlo sono state pochissime sigle (tutti sindacati di base di modesto rilievo).
Questo significa che, probabilmente, a far muovere i docenti e gli studenti non sono solamente gli stipendi bassi, il precariato, il voto in condotta e il divieto di smartphone.
Forse, ci sono anche motivi più nobili, legati al tema – ormai ineludibile – della pace e della convivenza fra i popoli.”
Lasciamo stare il giudizio non proprio simpatico sui sindacati che hanno indetto lo sciopero, è innegabile che uno sciopero propriamente e strettamente politico e inteso come tale da chi ha scioperato ed è venuto in piazza anche se nelle piattaforme di sciopero alla condizione materiale delle lavoratrici e dei lavoratori in genere e di quelli della scuola in particolare qualche riferimento c’era ha avuto più consenso degli scioperi su retribuzioni, diritti, precariato.
È evidente che il fatto che i crimini dell’esercito israeliano a Gaza e in Cisgiordania siano resi pubblici dai media anche perché compiuti en plein air ha determinato un graduale ma significativo spostamento dell’opinione pubblica dall’indifferenza e/o da un’attitudine problematica a un orientamento pro pal sempre più forte.
Mi colpiva in particolare la simpatia verso i manifestanti di parte delle persone che assistevano alla manifestazione. In altri termini molti magari pensano che manifestare non serva a granché ma rispettano che lo fa e ne condividono in qualche misura le ragioni.
In estrema sintesi, siamo di fronte a una rivolta morale che può essere tipica e persino scontata per le giovani generazioni ma non è usuale per i lavoratori e che non va sottovalutata.
Ciò che si manifesta in prima battuta come giudizio morale è infatti una precondizione importante nella formazione di nuovi orientamenti culturali e politici.
Quanto sta avvenendo, in altri termini, sta ridisegnando i caratteri profondi dell’opposizione sociale e inevitabilmente modificherà le organizzazioni politiche e sindacali che in questa opposizione si collocano.
Passare dal rifiuto morale dei crimini dei poteri attuali a una critica radicale dell’ordine del mondo è un passaggio non scontato e non facile ma, nel contempo, è una necessità se si vuole lo sviluppo di un movimento capace di comprendere i caratteri dello scontro in corso e di darsi delle prospettive non determinate dall’emotività e tali da valere sul medio – lungo periodo.