
Nuovo umanesimo, vecchia ideologia: come trasformare il dissenso in stupidità
di Patrizio Paolinelli
Ha senso riflettere sulla stupidità umana? Sì, perché aiuta a capire cos’è l’intelligenza. In questa direzione muove il libro di Armando Massarenti intitolato, Come siamo diventati stupidi. Una immodesta proposta per tornare intelligenti, (Milano, Guerini e Associati, 2024, pp. 200). Prima di procedere, una nota sull’autore. Massarenti è caporedattore del Sole 24 Ore, giornalista culturale e divulgatore di filosofia per diletto. Dunque è utile occuparsi delle sue idee per l’influenza che esercitano sull’opinione pubblica tramite la testata della Confindustria; perché il suo libro fornisce un’aggiornata panoramica della psicologia umana in chiave cognitivista; e perché, come sosteneva Marx, per capire una società bisogna leggere i reazionari che produce.
Ma che cos’è la stupidità? Tra i germi di questa infezione del corpo sociale Massarenti individua: una generalizzata inclinazione al pessimismo; la scarsa propensione ad affidarsi ai dati statistici per leggere la realtà; la tendenza all’esibizionismo morale (comportamento espressivo che su Internet conduce a una “corsa incontrollata verso l’indignazione”); la scarsa razionalità nell’affrontare i problemi sociali; esercitarsi in “palestre di pregiudizi e regole arbitrarie” come la sociologia e in generale le scienze umane.
Da questo pur incompleto elenco risulta chiaro che la stupidità è un modo di pensare di cui occorre sbarazzarsi. Ma come? Per rispondere prendiamo l’ultimo punto dell’elenco: è davvero necessario rinunciare alle scienze umane tout court?
Nient’affatto. Bisogna buttar via solo l’acqua sporca e far proprio un “nuovo umanesimo”, ovvero una struttura del pensiero che muova dai seguenti postulati: non esiste un’età dell’oro a cui guardare; l’intelligenza è misurabile come qualsiasi altra cosa; è bene rendersi conto che il presente, pur con i suoi difetti, è meglio del passato; è necessario tenersi alla larga dalle ideologie (“basi della malvagità”); e soprattutto rendersi conto che il progresso non è finito, anzi, un radioso futuro ci attende.
Il “nuovo umanesimo” di Massarenti è saldamente ancorato all’Illuminismo. Ma quale Illuminismo? Quello che ha accompagnato l’ascesa al potere della borghesia e non quello che, con i suoi ideali di uguaglianza, ha contribuito alle rivoluzioni proletarie. A questo punto siamo giunti a un passaggio cruciale: la stupidità non è causata da chi controlla la produzione del sapere, ma da chi gli si oppone. Di conseguenza, per far sì che si torni a essere intelligenti non bisogna dar retta agli “anti-illuministi”. Chi sono costoro? In pratica tutti coloro che contestano o hanno contestato quello che Michel Foucault chiamava il regime epistemologico di un’epoca. Nel nostro caso il regime epistemologico neoliberale.
L’elenco è davvero lungo e ci troviamo chi non accetta la matematizzazione dell’intelligenza; chi critica il mercato e la tecno-scienza; chi si preoccupa troppo per la crisi ambientale; chi si occupa di Black Studies o di studi post-coloniali; chi per principio sta dalla parte delle vittime; chi pensa che lo sviluppo della ragione dipenda dai rapporti di forza tra classi sociali; chi pensa che nessuna disciplina scientifica sia neutrale; chi si oppone al pensiero dominante e chi adotta punti di vista eterodossi per spiegare il rapporto tra individuo e società. In sintesi: questi e altri soggetti impediscono il dispiegamento dei valori illuministi nel XXI secolo favorendo la diffusione della stupidità nella società.
Su questa discriminante e col suffragio di una nutrita produzione culturale prevalentemente di area anglosassone, Massarenti edifica una fortezza epistemologica al di fuori della quale pensare razionalmente è impossibile perché all’esterno vige il disordine, la confusione, la barbarie. L’ordine, la certezza e la civiltà regnano invece sovrane nella mente dell’attore razionale, in sostanza nell’homo oeconomicus. Infatti, ci fa notare il giornalista del Sole 24 Ore: a che serve misurare il quoziente di intelligenza se non a migliorare il PIL?
La disinvolta correlazione tra forma-merce e forma pensiero fa venire in mente un’altra domanda: dal momento che l’ideologia neoliberista è dominante perché c’è necessità di un libro come quello di Massarenti? Perché l’egemonia culturale non è mai definitivamente raggiunta. Perciò va quotidianamente sostenuta in virtù delle sue funzioni: dare spiegazioni di comodo a contraddizioni sociali come l’impressionante impoverimento culturale delle giovani generazioni; neutralizzare ogni teoria antisistema; confermare alle classi dominanti la bontà del loro stile di vita; prevenire la possibilità che i giovani borghesi si rivoltino contro la borghesia come accadde nel ’68; convincere i dominati a guardare la realtà con gli occhi dei dominatori.
Come siamo diventati stupidi è un libro che va preso in seria considerazione perché trasmette un’euristica, una visione del mondo e un modo di interpretare la realtà sociale che si presentano come scientifiche, come a-ideologiche, insomma intelligenti (nel senso attribuito a “vacanze intelligenti”) per proporre un’episteme che alla fin fine è finalizzata ad affermare la vecchia ideologia borghese senza dichiararlo apertamente, anzi occultandola dietro linguaggio farcito di nuove categorie. Sul piano sociologico una delle conseguenze più importanti dell’ordine del discorso “intelligente” è la rinuncia degli individui all’immaginazione sociologica; ossia, alla capacità del pensiero di connettere i problemi biografici con quelli della società. E per favorire il divorzio tra Io e Noi la manipolazione del linguaggio è decisiva. Per esempio, i distruttori del pensiero critico si appropriano dell’espressione “pensiero critico” incoraggiandone l’uso come fa Massarenti in alcuni passaggi del suo libro. Sì, perché dopo aver proposto come positiva un’intelligenza da robot, un’intelligenza che più conformista di così non si potrebbe, il caporedattore del Sole 24 Ore concede il diritto al dissenso sapendo bene che da un individuo forgiato dal “nuovo umanesimo” può venire una sola risposta: quella che rafforza la propria oppressione.
La critica sociologica, LIX · 235 · Autunno 2025






































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