La “sinistra” che guarda a New York
di Dante Barontini
Sarà il caso di fermarsi un attimo a ragionare, dopo aver letto e metabolizzato una buona parte dei commenti “sinistri” sulla vittoria di Zhoran Mamdani alle elezioni per il sindaco di New York.
Inevitabile e persino giusto che ci siano molte opinioni diverse, che in tanti scavino tra le sue dichiarazioni – pre o in campagna elettorale – per trovare debolezze, ambiguità contraddizioni con la sua immagine ufficiale (auto-assegnata, e negli Usa era quasi un suicidio politico) di “socialista”.
Inevitabile, comprensibile, ma per nulla giusto, che in tanti si affrettino a trasferire su di lui, e sui “socialisti democratici” Usa, le proprie speranze o le proprie idiosincrasie.
C’è però, secondo noi, da tenersi distanti da queste considerazioni frettolosamente pro o contro proprio perché manifestazioni da tifosi, anziché sforzi di giudizio analitico serio.
Del resto lo stesso avviene sulla guerra in Ucraina, dove qualsiasi analisi oggettiva degli interessi – e persino dei combattimenti – in campo viene liquidata come “putinismo”, fino a certe curiose esibizioni di “comprensione antifa” per un governo infestato di nazisti rei confessi.
Nella “sinistra radicale” italiana, non da oggi, sembra andata perduta la capacità di analizzare i fenomeni in modo “scientifico” per poi poter prendere una “posizione” autonoma. E quindi anche efficace.
Qualsiasi sia il tema, lo “stile” della discussione è ridotto all’ansia di “schierarsi” pro o contro. E le poche notazioni sul merito concreto vengono portate più per giustificare un posizionamento istantaneo che non come argomentazione agganciata a molte altre. L’esempio limite è ormai una barzelletta da meme: “la sinistra riparta da…”. Che equivale a “io sto con…”
Da queste parti invece preferiamo “l’analisi concreta della situazione concreta”, che ci appare l’unico modo di orizzontarsi in un mondo in cui molte vecchie categorie politiche – in testa a tutte “sinistra”, ma anche “pensiero liberale” o “democrazia” – nella realtà quotidiana hanno perso le caratteristiche fondamentali e quindi la rinoscibilità.
Se può esistere una gang che si autonomina “sinistra per Israele” avete la misura dell’enormità dei rovesciamenti logici o culturali avvenuti. Del resto, quanto ad ossimori, ormai c’è l’inflazione. Avevano cominciato con “guerra umanitaria” e di lì in poi si è potuto dire di tutto per significare il contrario…
Torniamo perciò a Zhoran Zamdani e al “socialismo democratico” statunitense attuale.
E’ verissimo che il programma con cui ha vinto – affitti calmierati, ristoranti o mense popolari, trasporti gratuiti, tasse più alte ai ricchi (a New York c’è Wall Street, mica bruscolini…), ecc – è quasi più moderato dei democristianissimi “piani Fanfani” degli anni ‘60. Se appare “rivoluzionario” è solo perché gli States e tutto l’Occidente neoliberista ormai sono strutturati sul dominio totale dell’impresa privata e sulla negazione pressoché assoluta di qualsiasi welfare per le “masse popolari”. Anche l’elemosina viene bollata come “comunista”…
E’ verissimo pure che buona parte di quel programma non è realizzabile, o perlomeno di difficile attuazione. Per esempio, la tassazione compete in parte al governo federale e in parte a quello statale (gli Usa sono composti da 50 “Stati”), ma non al sindaco.
E’ altrettanto verissimo che – contraddicendo il suo dichiarato “socialismo” – ha definito i leader Maduro e Diaz Canel come “dittatori”, come un Biden o un Trump qualsiasi.
Ma è altrettanto vero che sul genocidio dei palestinesi è stato non ambiguo, anzi persino un po’ sbrasone (“se viene Netanyhau a New York lo facciamo arrestare“). E comunque a sostenerlo c’è un blocco sociale metropolitano fatto sostanzialmente dalle classi povere, dagli immigrati da poco naturalizzati (e magari a rischio espulsione violenta da parte dell’Ice), da quel ceto medio-basso che nella città più cara del mondo o quasi vive arrabattandosi per mettere insieme il pranzo con la cena.
Contraddizioni evidenti.
Ma la realtà è contraddittoria, sempre. Anzi. La contraddizione è l’anima dei processi reali, prima ancora che della dialettica materialistica. Mentre nel mondo delle idee (quelle sbagliate, almeno) tutto procede linearmente, senza ostacoli rilevanti se non le idee contrapposte, che vanno ovviamente a quel punto “combattute” o ignorate.
Cosa vuol dire? In primo luogo che Zamdani o il “socialismo democratico statunitense” non possono costituire il “nostro ideale” di riferimento, per cui tifare, entusiasmarci, ecc. In secondo luogo che la loro avanzata è però una rottura con l’ordine stabilito negli Usa, ovvero con l’establishment bipartisan – “dem” o “repubblicano perbene” (si fa per dire…) – che domina da sempre.
E’ una rottura rivoluzionaria? Non diciamo cazzate, please… E’ una rottura irreversibile? Idem.
E’ una risposta ancora molto acerba all’impoverimento di massa, e dunque alla dimensione sociale del declino statunitense come potenza egemone sul mondo.E’ il “sentore”, non ancora la piena consapevolezza, che “socialismo” – in accezioni tanto diverse quante sono le teste, da quelle e da queste parti – è l’unica possibilità di uscire dalla corsa verso il baratro.
E’ perciò l’altra faccia della risposta trumpiana alla stessa crisi – “tutto il potere al capitalismo delle piattaforme”, e alle criptovalute che nascondano l’insostenibilità del dollaro, al capitalismo finanziario e al complesso militare-industriale.
Che ci sia quest’altra risposta, che si rompa il monopolio trumpiano sulla politica e la “cultura di massa”; che si rompa (lo dimostra Andrew Cuomo, battuto anche come “indipendente”) il controllo dell’establishment “dem”, che si radicalizzi il conflitto politico e sociale interno, è insomma positivo.
Non perché ci si debba attendere “il sol dell’avvenire” da una singola vittoria socialdemocratica. Ma perché, per il resto del mondo, i regimi imperiali internamente “solidi” sono molto più pericolosi di quelli con problemi di consenso e governabilità.
Questo se, dalle nostre parti, non ci si limita a “fare il tifo” o “coltivare la speranza”, ma se ci si organizza e mobilita per cambiare tutto.
E’ un altro gioco. Non si fa alla tastiera, ma nelle strade, tra la nostra gente, tra quelli che si arrabattano per mettere insieme il pranzo con la cena. E’ uno “sport” da praticare, non da guardare e tifare…







































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