Venezuela. Gli Usa sono i nuovi pirati dei Caraibi
di Davide Malacaria
Abbiamo ripreso il titolo da un editoriale del Washington Post del 28 ottobre, perfetto per fotografare quanto sta avvenendo, con le forze statunitensi che infestano i mari del Venezuela e affondano navi e naviganti.
Omicidi, peraltro, niente affatto chirurgici: i video dei droni che affondano le barche dati in pasto ai media sono l’ennesima trovata propagandistica volta a magnificare l’efficienza dell’Us Army.
In realtà, come rivelato il 16 ottobre da The Intercept, per affondare le prime barche – e si presume anche le successive – sono serviti “molti attacchi missilistici” e, in un caso, il naviglio colpito è stato finito a colpi di mitragliatrice. Cambia poco per gli sfortunati naviganti, ma il particolare macchia l’immagine “chirurgica” per virare sulla ferocia.
E ancora, un articolo del New York Times, dopo aver sottolineato l’illegalità di tali azioni, che dovrebbe spingere i militari alla disobbedienza, prosegue annotando che si stanno uccidendo persone che non hanno intenzioni ostili contro gli Stati Uniti e che “potrebbero essere arrestate facilmente anziché uccise sommariamente”.
Quest’ultima annotazione, in combinato disposto con quanto accennato in precedenza sugli attacchi, evidenzia il sadismo sotteso a tale operazione: nessuna pietà per i naviganti, nonostante la Us. Navy sia perfettamente attrezzata per recuperare gli uomini in mare.
Il sospetto è che non si vogliano sopravvissuti: c’è il rischio che si scopra che non sono narcotrafficanti (d’altronde, il senatore Rand Paul ha fatto notare che il 25% delle barche fermate al largo della Florida perché ritenute dedite al narcotraffico risultano pulite).
Ma al di là, quanto accade nel mar dei Caraibi, pura pirateria secondo il diritto internazionale come annota l’editoriale del Wp citato, potrebbe essere presto dimenticato, seppellito dalle bombe che gli States minacciano di sganciare sul Venezuela.
La droga non c’entra niente, vogliono il petrolio sul quale galleggia il Paese, ma questo è chiaro a tutti anche se nessun governo occidentale ha osato mettere in dubbio la motivazione e la legittimità di questa aggressione “illegale e immotivata“, per usare il refrain utilizzato alla nausea per l’attacco russo all’Ucraina.
Né un lamento europeo si è levato per allarmare sulle mire statunitensi, che si estendono ben oltre il Venezuela, avendo ampliato la portata della minaccia anche a Messico e Colombia, di fatto mezzo continente sudamericano (perché l’altra metà intenda), nonostante gli stessi leader pigolino sull’inesistente ambizione russa a muovere guerra all’intera Europa.
Al di là delle usate ambiguità nostrane, e per tornare all’aggressione al Venezuela, più incombente rispetto alle minacce rivolte a Bogotà e Città del Messico, va registrato che gli Usa hanno rafforzato il contingente militare, portandolo a 16mila uomini, avendo preso atto che i 5mila iniziali non sarebbero stati sufficienti.
Il fatto che stiano rivedendo i piani indica che qualcosa non sta andando come pensavano. È ovvio che, sottotraccia, gli agenti della Cia, scatenata da Trump, stanno provando a portare dalla loro parte politici, generali e capi dell’intelligence, come accadde al tempo del tentato regime-change con Juan Guaidò. Ma, come allora, stanno incontrando difficoltà (sui retroscena di allora, vedi Piccolenote).
Per inciso, i 5mila soldati stanziati all’inizio del dispiegamento sono esattamente quanti allora si prevedeva di inviare in Colombia in previsione dell’attacco, come fu rivelato da un’improvvida svista dell’allora Consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton, che si presentò a un incontro pubblico con un foglio sul quale era appuntato il piano.
Evidentemente il piano iniziale era lo stesso ed è stato cambiato in corso d’opera. Come simile ad allora è la figura prescelta per dare un’immagine pubblica al regime-change: a Guaidò è subentrata la Nobel per la pace (sic) Corina Machado, che, come annota Strana, nel 2000 lasciò Caracas per trasferirsi negli States per partecipare a “un corso di leadership presso la Kennedy School di Harvard per poi essere selezionata per il prestigioso Global Leadership Program della Yale University. Programmi considerati utili dal governo degli Stati Uniti per preparare leader potenzialmente leali per i paesi del Terzo Mondo”. Dell’accordo poi siglato per conto del suo partito col Likud del genocida Netanyahu, di cui è fervente sostenitrice, abbiamo già scritto.
La strana signora, dopo anni di opposizione sente l’odore del potere e, insieme, del sangue, dal momento che ha chiesto agli Usa di bombardare la sua gente per cacciare Maduro. Bizzarra davvero perché, in una recentissima intervista, ha negato che in Venezuela ci sia una dittatura, smentendo tutti i media mainstream che la sostengono…
Ma, nonostante ciò, Maduro ha i giorni contati, ha concordato Trump acconsentendo a quanto chiesto/affermato da una cronista che lo intervistava. Il fatto è che, oltre a governare un Paese pieno di petrolio, ha il torto, per i neocon, di essere alleato con Cina e Russia.
E, però, Trump resta ambiguo sull’attacco, avendo già negato la sua imminenza quando era dato per certo per la notte di Halloween, e correggendo il tiro anche nell’intervista citata, aggiungendo di non credere che fosse imminente.
Probabile che non sia entusiasta della guerra che Marco Rubio e i neocon vogliono a tutti i costi, ma non sa come uscirne, soprattutto dopo aver avviato la macchina bellica. Da questo punto di vista, la sparata su un intervento in Nigeria per difendere i cristiani dai terroristi sembra appunto un tentativo di svicolare: gli Usa non possono permettersi due guerre aperte in contemporanea.
Diversi aspetti dell’intervento lo preccupano: gli negherà il Nobel per la pace; i marines che torneranno in patria in sacchi di plastica macchieranno la sua presidenza; complicherà il rapporto con Putin.
A proposito di quest’ultimo punto, avevamo scritto che probabilmente l’incontro con Putin a Budapest era saltato a causa del Venezuela. Lo conferma un analista russo, che conferma anche come decisiva sia stata la ratifica della Duma, su sollecitazione dello zar, dell’alleanza strategica Mosca-Caracas avvenuta subito dopo la telefonata Rubio-Lavrov che avrebbe dovuto preparare l’incontro tra i due presidenti. Niet inequivocabile.







































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