Quando la sinistra ha smesso di capire il mondo
di Massimiliano Civino
C’è un momento, nella storia delle idee, in cui la politica smette di interpretare la realtà e comincia soltanto a inseguirla. È lì che nasce la sua miseria.
Antonio Gramsci, nei Quaderni del carcere, scriveva:
“Nella discussione scientifica si dimostra più ‘avanzato’ chi si pone dal punto di vista che l’avversario può esprimere un’esigenza che dev’essere incorporata nella propria costruzione.”
Per Gramsci, essere “avanzati” non significa essere più puri o più estremi, ma più capaci di capire, di includere nella propria visione anche ciò che l’avversario esprime, magari in forma distorta o regressiva. È uno sguardo radicale, nel senso etimologico di radix (radice), che scava nella profondità dei processi storici invece di fermarsi alla superficie degli eventi. Essere radicali, dunque, non significa essere estremisti, ma andare alla radice delle cose, e questa capacità di sguardo radicale è proprio ciò che la sinistra ha progressivamente smarrito.
Le opposizioni alle destre populiste non interpretano più la società: la subiscono. Reagiscono invece di analizzare, denunciano invece di comprendere. Parlano di diritti e uguaglianza, ma con un linguaggio svuotato, incapace di toccare la vita reale di chi si sente abbandonato. Così si spiega perché tanti lavoratori scelgano chi promette “ordine”, o perché minoranze discriminate sostengano leader che le disprezzano. Non è ignoranza: è disconnessione. È la conseguenza di una politica che ha smesso di fare i conti con la complessità del reale.
Franco Cassano, in L’umiltà del male, ricordava che “il bene dovrebbe imparare dal male a essere umile”: non chiudersi nella propria superiorità morale, ma imparare ad ascoltare. La politica che non ascolta il male non lo capisce, e dunque non può combatterlo. Ma capire il male non significa giustificarlo: significa riconoscere che anche la sofferenza e la paura sono forme di conoscenza.
Karl Marx, nell’Ideologia tedesca, scriveva che “non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza”. Le idee non cambiano il mondo se non sanno leggere le sue strutture materiali, le relazioni che generano assoggettamento e consenso. È una lezione dimenticata: la politica parla di emancipazione come se bastasse la volontà, senza capire che i rapporti di potere vivono dentro i soggetti stessi.
Perché, e qui sta il nodo, i sudditi non esistono soltanto perché esiste un monarca: è il monarca a esistere perché i sudditi continuano a riconoscerlo come tale. La dipendenza non è una catena puramente esterna, ma un legame reciproco, una forma di complicità simbolica. Come nella dialettica servo-padrone di Hegel, il potere non esiste senza il riconoscimento di chi vi si sottomette. E dunque, anche quando la libertà è possibile, essa richiede un atto di consapevolezza: la decisione di non riconoscere più come “naturale” ciò che è solo abituale.
La politica, se vuole tornare ad avere un senso, deve tornare a misurarsi con questa complessità: con l’intreccio di paura e consenso, di desiderio e soggezione, di libertà e obbedienza che attraversano la vita contemporanea. Non basta opporsi al potere: bisogna comprenderne i meccanismi invisibili, quelli che lo rendono credibile anche per chi ne è vittima.
Slavoj Žižek ha osservato che il populismo non è un ritorno alla realtà, ma una fuga da essa: una forma di identità costruita sul vuoto. Le destre hanno saputo occupare questo vuoto, trasformando la frustrazione in appartenenza. Byung-Chul Han, nella Società della stanchezza, parla dell’uomo che si auto-sfrutta in nome della libertà, convinto di essere padrone di sé mentre è schiavo della propria efficienza. In questo paradosso si consuma la nuova forma della servitù volontaria.
Ma la sinistra non sembra accorgersene. Continua a parlare di “merito”, “competizione”, “opportunità”: parole prese in prestito dal linguaggio del dominio. Non si tratta più solo di una sconfitta elettorale, ma di una resa culturale. Hegel diceva che “la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo”: il pensiero arriva sempre tardi. Oggi, la politica non solo arriva tardi, ma sembra aver smarrito il cielo stesso in cui volare.
Le destre vincono perché raccontano un mondo semplice a chi vive nella complessità. La sinistra perde perché confonde la complessità con la confusione. Eppure, la realtà è contraddittoria per definizione: la libertà convive con la paura, la rivolta con la dipendenza. Chi non sa accettare questa ambiguità finisce per parlare un linguaggio morto.
Marx ricordava che “le idee della classe dominante sono, in ogni epoca, le idee dominanti”. E infatti, anche chi vuole cambiare il mondo continua a pensarlo con le parole del potere. Ritrovare un punto di vista “avanzato”, nel senso gramsciano e radicale, non significa estremismo, ma profondità: saper pensare dentro le contraddizioni, non al di sopra di esse.
Forse la sinistra tornerà a capire il mondo quando smetterà di volerlo semplificare. Quando accetterà che i sudditi non si liberano solo contro il sovrano, ma contro la propria abitudine alla sudditanza. Quando tornerà a fare ciò che una volta era il suo compito più alto: non governare, ma trasformare la realtà, comprendendola fino in fondo, fino alla radice.







































Comments
Grazie, di questo intervento condivido anche le virgole.
Dovremo ripartire da considerazioni come queste, non dimenticando un ultimo e piccolo dettaglio: la sproporzione delle forze, molto pericolosa sempre, ma soprattutto in tempi in cui manca consapevolezza e lettura del presente.
Cosa voglio dire?
Che e' vero che non si sa leggere il presente a sinistra, ma che questa cosa che stiamo cominciando a intuire la destra, i Poteri, 0la capiscono benissimo e, se necessario, aiutano nel farci diventare sempre piu analfabeti del reale. Hanno a disposizione non solo media, ma enormi quantita' di soldi (pensi alle offerte di milioni di dollari agli elettori da parte di musk, caricaturali, ma reali). Quindi si, le strutture del potere sono anche dentro di noi, ma quelli che lo detengono davvero fanno di tutto perche' in noi e fuori di noi quelle strutture siano potenziate. Dobbiamo tenere a mente tutto quello che e' scritto qui e anche lo squilibrio di forze se vogliamo ricominciare a leggere il reale. Sia nazismo che fascismo non sarebbero andati troppo lontano in societa' dove c'era gente consapevole se non ci fossero stati i padroni delle acciaierie, gli junker e gli agrari e i loro incentivi.
Quindi si, ricominciamo a leggere il reale, ma quanto piu avremo consapevolezza e strumenti/categorie per farlo tanto piu dovremo far fronte a destre piu violente e foraggiate per impedire che accada.
Non voglio sminuire l'articolo, che condivido in pieno, solo completarlo con una variabile da non sottovalutare
Grazie ancora