"Chiamiamo i popoli del mondo a venire a difendere il Venezuela”
Geraldina Colotti intervista il Capitano Diosdado Cabello
Durante la conferenza stampa settimanale del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), abbiamo avuto l'opportunità di porre tre domande al capitano Diosdado Cabello, vicepresidente del PSUV e Ministro del Potere Popolare per le Relazioni Interne, Giustizia e Pace. Le riportiamo di seguito.
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Geraldina Colotti: Buonasera, Capitano, un saluto alla Direzione del partito.
Diosdado Cabello: Come sta lei, Geraldina?
Geraldina Colotti: Grazie, bene. Quando il clarino della rivoluzione chiama, persino il pianto della madre tace... Dunque, eccoci di nuovo qui. Ho tre domande, se posso.
Diosdado Cabello: Sì, certo.
La prima è la seguente: Il presidente Maduro ha lanciato un appello ai popoli indigeni dicendo che, sebbene si augurasse di no, se ci sarà un attacco al Venezuela, tutti i popoli originari di tutte le latitudini possono venire a difendere il Venezuela. La domanda è: dal partito, dalla sua struttura internazionale, si potrebbe lanciare un appello ai popoli del mondo, alle rivoluzionarie e ai rivoluzionari per organizzare qualcosa di simile a quanto avvenne nella Guerra Civile Spagnola con le brigate internazionali per difendere il Venezuela, difendere la pace del Venezuela, la Rivoluzione?
Bene, i popoli originari in Venezuela, può cercarli invano nella Costituzione del 1961, per vedere se appaiono, se sono stati nominati qualche volta. Ma se li cerca nella Costituzione del 1999, c'è un intero spazio dedicato al riconoscimento dei popoli originari. Un'iniziativa del Comandante Hugo Chávez, una proposta approvata dai costituenti, non senza prima un dibattito su questo tema, ma è stata approvata e oggi i nostri popoli originari hanno il riconoscimento.
Qui eleggono i loro deputati all'Assemblea con i loro metodi, i loro consiglieri con i loro metodi. Qui abbiamo un governatore e qui c'è la Ministra dei popoli indigeni, e abbiamo un'altra governatrice indigena laggiù. Qui hanno un riconoscimento, ma al di là di questo, c'è quel che hanno raggiunto in termini di organizzazione.
Geraldina, ho visto ieri il governatore di Apure con i popoli, credo fossero i Cuiba e gli Jivi, o i Pumé e gli Jivi. Sapeva, Geraldina, che qui negli anni Quaranta e Cinquanta praticavano la caccia ai nostri indigeni nell'Apure? Chi? Coloro che si credevano padroni del Venezuela. Non stiamo parlando di due secoli fa, no, stiamo parlando di poco tempo fa. Caccia, caccia, e si deve essere proprio snaturati per fare questo.
Quindi, i nostri popoli originari sanno che c'è un prima e un dopo Hugo Chávez. Sono organizzati, è vero, ma sono anche uniti, uniti in una grande forza, uniti anche al di là della Rivoluzione. E hanno un contatto permanente con organizzazioni indigene di altri popoli, che sfortunatamente in alcuni paesi non vengono trattati come dovrebbero. Ricordi che negli Stati Uniti, per esempio, li hanno confinati in quelle che chiamano riserve e poi si sono dedicati a dare loro permessi per i casinò.
L'appello che ha fatto il presidente Maduro... se non abbiamo ancora lanciato pubblicamente l'appello affinché i popoli del mondo possano organizzarsi per difendere il nostro Paese, io approfitto e lo faccio da questa sede: che da qualsiasi luogo del mondo, qui c'è il Venezuela che viene aggredito, e tutto l'aiuto che possono darci, benvenuto sia. Qui saranno accolti come fratelli della vita. Amore con amore si paga.
La seconda domanda è che vorrei la sua opinione, non solo come dirigente politico, ma anche come militare. Stiamo vedendo che c'è una nuova task force dispiegata nei Caraibi direttamente sotto il comando dell'ufficio di Marco Rubio. Vediamo anche che, nonostante un'indagine del New York Times che conferma tutto ciò che lei stava dicendo, tutto ciò che il Venezuela afferma, e che riporta persino le opinioni di alcuni generali nordamericani i quali dicono che, a ogni modo, anche se cadesse Maduro, il flusso di droga verso gli Stati Uniti, che non proviene dal Venezuela, non verrebbe bloccato. Ma vediamo che c'è un allarme lanciato anche dall'Ambasciatore Samuel Moncada all'ONU, con argomentazioni valide. Vorrei che lei ci fornisse, se possibile, la sua opinione su in quale fase si trovi questa aggressione, considerando anche che c'è il Comando Sud, dalla Guyana, da Porto Rico, e che alcuni generali dicono, beh, se cade il Venezuela, dopo toccherà a Cuba, al Nicaragua. Diciamo che c'è un allarme, no? Molti dicono che succederà come in Iran, perché gli Stati Uniti devono pur fare qualcosa con tutta questa forza che è schierata lì. La domanda è qual è la sua opinione come dirigente politico, ma anche a livello militare?
Siamo in una fase di aggressione, non so se è la 1, la 2, la 3, di assedio, di assedio, perché una guerra attuale è diversa dalle guerre di alcuni anni, decenni fa. Noi siamo sottoposti a una guerra, non da adesso, ma da quando è arrivato il Comandante Chávez. Ci sono azioni contro l'economia, un motore. Ci sono persecuzioni contro tutti noi, accuse senza alcun fondamento. Sono arrivati a muovere accuse a persone che non c'entrano nulla. Guardi, loro mantengono ancora le sanzioni alla compianta Tibisay Lucena, ex presidenta del Cne. Sanzionano persone solo perché lavoravano con qualcun altro: sanzionate. E lei vede che dicono: "Gli abbiamo chiuso i conti". Menzogna, fa parte della loro narrativa. Nessuno di noi ha conti all'estero, nulla di nulla.
È una narrativa che cercano di imporre. Adesso, quando fanno questo dispiegamento militare, tra le altre cose cercano di terrorizzare chiunque. La cosa certa è che questo Paese è preparato per qualsiasi situazione. Ci siamo preparati, non per infilarci in una trincea, non è questo il concetto. Ne abbiamo parlato in diverse occasioni: resistenza attiva prolungata.
Prepararci, e la resistenza attiva significa che chi produce mobili continui a produrre mobili, chi ha una semina di mais continui a seminare mais, ma preparandoci per qualsiasi attacco e in guardia permanente. Per questo usciamo a qualsiasi ora del giorno o della notte per addestrarci, per mobilitarci in unità, nell'unione civico-militare e di polizia.
È da circa due mesi che ascolto esperti, che tra l'altro si definiscono ex-consulenti di intelligence e sicurezza, i quali da due mesi dicono: "In 72 ore è tutto pronto", "no, in 24 ore", "no, è dopodomani", "no, è la prossima domenica", "beh, no, ci siamo sbagliati un pochino, è per l'anno prossimo". È una menzogna dopo l'altra.
Noi dobbiamo proteggerci sempre. Per questo ci stiamo preparando. Secondo questa Costituzione, il monopolio delle armi è dello Stato. Lo Stato ha deciso che le armi del Paese, dello Stato, siano nelle mani del popolo per la sua protezione. È quello che abbiamo fatto. Nessuno dovrebbe meravigliarsi.
Non è avvenuto, Geraldina, un solo incidente. Neanche uno. Non è stata persa neanche un'arma, non ci sono stati feriti negli esercizi di poligono di nessun tipo. La fase la decidono loro, ma noi abbiamo deciso da tempo di essere liberi e siamo preparati per qualsiasi fase.
Mi ha colpito quell'opinione dei generali che dicono che il flusso di droga non finirà. Certo che non finirà. L'87% della droga passa per il Pacifico. Vadano nel Pacifico se vogliono farla finita con la droga. Ma sarebbe anche bello che prendessero qualche capo del narcotraffico negli Stati Uniti. Sarebbe bello, dico io, per la narrativa, che smantellassero qualche cartello della droga negli Stati Uniti. Sarebbe straordinario, approfittino che hanno la DEA.
Ci accusano di ciò che fanno loro. Il Venezuela non produce nemmeno fentanil. Ci hanno accusato che una nave trasportava fentanil, si immagini! Hanno troppi problemi per dare la colpa dei loro problemi al Venezuela. Devono cercare qual è la vera radice dei loro problemi, e il Venezuela non lo è. Siamo un popolo di pace, di allegria. Il Natale è arrivato in Venezuela e noi siamo diretti al Natale.
E la terza domanda è che in questo momento c'è la canonizzazione di José Gregorio Hernández in Vaticano, e c'è il vertice della FAO, dove il Venezuela sta dicendo ciò che lei ha appena detto: qui si produce, si costruisce pace con giustizia sociale. Ma in Italia, nel mio Paese, la stampa, è molto animata, dice che per questa occasione saranno liberati politici detenuti e italiani che si trovano qui. Cosa ci può dire al riguardo?
Qui in Venezuela c'è una tradizione di molte religioni, molte. Ci sono diverse pratiche religiose in Venezuela, accettate tutte. La Costituzione non discrimina. Ma se qualcosa genera un consenso qui, è un gentiluomo che chiamano José Gregorio Hernández. Si genera un consenso nazionale. Difficilmente, Geraldina, c'è una famiglia dove non ci sia qualcuno che si chiami José o José Gregorio, difficilmente in questo Paese. José Gregorio Hernández è il santo dei poveri, per due ragioni: per la fede e perché in passato qui in questo Paese non c'erano ospedali e la gente si affidava al suo santo e trovava sollievo in José Gregorio.
E riguardo alla liberazione di detenuti italiani, queste sono le loro narrative. Una cosa non ha nulla a che vedere con l'altra, non ha assolutamente nulla a che vedere. Se fosse dipeso da noi, José Gregorio Hernández sarebbe stato santo 70 anni fa... questa è una decisione del Vaticano. Hanno preso la decisione, Papa Francesco ha preso la decisione e a Papa Leone spetta eseguirla, ma non dipendeva da noi, affatto, perché le ripeto, nel cuore dei venezuelani, José Gregorio Hernández è il santo dei poveri da anni. È una festa di gioia per il popolo e così continuerà ad essere.
Molte grazie, Geraldina.







































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