Sommersi o salvati. O della crisi sistematica del capitalismo crepuscolare
(schematico quadretto di riferimento)
di Roberto Fineschi
Le dinamiche del capitalismo crepuscolare sono legate a trasformazioni dei processi produttivi e dei relativi rapporti sociali che hanno un impatto non indifferente sulla vita associata e sulle risposte politiche correlate dei vari partiti.
La premessa teorica generale è la tendenza di sistema all’estromissione dei lavoratori dal processo lavorativo per il perfezionamento tecnologico da un lato, la sempre più difficile valorizzazione reale del capitale dall’altro per la crisi strutturale di sovrapproduzione. Ciò da un lato determina la rinascita del capitalismo di rapina, che cioè non valorizza effettivamente il capitale attraverso il processo reale di produzione, ma lo fa o in maniera speculativa o sottraendo risorse o imponendo decisioni anti-economiche ad altri soggetti che aumentano la rentabilità di un qualche capitale ma solo attraverso un trasferimento di ricchezza a somma zero da parte di terzi. Dall’altra pone il problema di una disoccupazione di massa interna (servono sempre meno lavoratori attivi, inclusi quelli intellettuali) e migrazioni internazionali dovute a guerre, carestie, impossibilità di sopravvivere a casa propria per gli effetti del capitalismo di rapina. Tutto ciò pone delle domande cruciali ai governi dei paesi centrali o semi-periferici nella gestione politica delle dinamiche interne ed esterne. Vediamo qualche ipotesi generale.
Di fronte a una crescente disoccupazione strutturale, la pletora di lavoratori disponibili pone problemi di fondo, sia per gli interni che per gli esterni.
Se tutti non potranno lavorare, si pone il problema fondamentale non solo delle condizioni di esistenza materiale di questi individui, ma anche della loro pratica sociale e della consapevolezza che essi ne hanno. Ne viene intaccata l’universalità del concetto di persona, il fondamento dell’ideologia della società borghese stessa perché strutturalmente vengono meno le condizioni per cui tale personalità possa essere praticata o, peggio ancora, le condizioni per cui essa possa essere praticata implicano la violazione del concetto universale di persona e quindi, potenzialmente, la premessa per una sua riduzione a sub-universalità, per la quale persone vengono considerati non gli esseri umani in astratto ma determinati sub-raggruppamenti. L’impossibilità di espandere il concetto di persona, anzi la sua riduzione progressiva, è il segnale delle crisi di egemonia reale del modo di produzione capitalistico.
Ciò significa che le forme di potere che si esercitano, che in passato si sono basate sulla combinazione di uso della forza (dominio) e di effettivo coinvolgimento progressivo delle masse subalterne (egemonia), perdono progressivamente il secondo aspetto e tendono sempre più verso il puro dominio. Ciò si collega a dinamiche di nuovo tipo nella gestione delle masse subalterne sempre più ricondotte a una autopercezione non funzionale di classe, ma di atomi individuali. Come gestirli, soprattutto se in larga parte non servono più?
Recupero legittimo della violenza contro terzi. Il declassamento di numerosi esseri umani a sub-umani allenta i vincoli nella considerazione di che cosa è violento o meno, perché la titolarità dei diritti di inviolabilità, ecc. non si predica di molti individui e quindi ciò che si è tenuti a rispettare è diverso. È il recupero strutturale del razzismo come elemento portante della riproduzione sociale.
Il consapevolmente perseguito istupidimento dei soggetti attraverso una scuola poco efficiente da un lato e la diffusione di tecnologie pervasive e coartanti dall'altro, per cui da una parte non si è dotati degli strumenti per capire, dall’altro si è intenzionalmente inebetiti con meccanismi in tutto analoghi a quelli delle droghe. La diffusione di massa delle droghe vere e proprie (problema oramai endemico negli Stati Uniti) risponde agli stessi meccanismi.
Aggregazione degli atomi individuali, che oramai non percepiscono più la loro funzionalità di classe, intorno a parole d’ordine di ceto, di interesse personale, premessa questa di una predisposizione negativa e violenta verso altri raggruppamenti che possono entrare in competizione con le condizioni del loro interesse personale.
Siccome questa massa informe non è più necessaria se non come consumatrice (ma se non è in grado di ottenere positivamente reddito le sue condizioni di consumatrice sono una voce meno nel bilancio sociale generale), su di essa si possono prendere decisioni drastiche. Da una parte la si può lasciar sopravvivere trasferendo ricchezza nelle sue tasche attraverso elargizioni di Stato (reddito di cittadinanza o similia), dall’altra si può procedere in maniera più drastica con la mera soppressione. Oppure si può mischiare la relativa tolleranza interna con la soppressione esterna.
La dicotomia destra/sinistra nei partiti politici scompare, almeno nel suo significato tradizionale. Mentre una volta essa si riconnetteva anche alle riforme di struttura nella gestione della riproduzione sociale, adesso si accetta universalmente il paradigma neoliberale e ci si distingue solo per la maggiore o minore crudezza nella dicotomia tra salvare o sommergere, tra garantire minime condizioni di sopravvivenza a una crescente massa di straccioni o reprimerli/ucciderli a seconda che siano interni o esterni.
Stati che vivono sulla premessa di una ricchezza debordante disponibile e la presenza di una povertà di massa già esistono. Sono luoghi in cui gli straccioni per sopravvivere rapinano per strada, rapiscono il ceto medio per chiedere due lire di riscatto, mentre i veri ricchi stanno chiusi e protetti in ben munite fortezze, sorvegliati da eserciti privati. Le domande impellenti sono le seguenti: 1) la nostra società occidentale tende definitivamente verso una latino-americanizzazione e finirà per assumerne le dinamiche suddette? 2) Può in generale un sistema basato su questi presupposti durare?
Se l’ipotesi di una comune rovina delle classi in lotta viene notoriamente considerata da Marx nelle prime pagine del Manifesto ciò non è per mero artificio retorico; è successo più di una volta che potenti e sofisticate società siano finite, implose senza che si riuscisse a metter mano ai meccanismi di fondo. La sfida è mettere mano a tali meccanismi. Marx ipotizzava che in seno allo stesso modo di produzione capitalistico si sviluppassero le condizioni di una nuova organizzazione della società: una produttività sconfinata del lavoro, l’integrazione mondiale della riproduzione sociale complessiva, lo sviluppo della scienza anche per rendere gestibile un processo del genere. Tutto ciò è già realtà. Marx credeva che anche il soggetto, il “seppellitore” si producesse altrettanto necessariamente; da questo punto di vista le cose sembrano essere più complesse, come complesso pare ipotizzare forme di gestione della riproduzione sociale senza merce e denaro, salario, ecc., vale a dire senza alcune delle categorie fondamentali del modo di produzione capitalistico, quelle che tra l’altro danno origine al feticismo delle merci, del capitale, ecc. e alle sue forme soggettuali (la sostanzialità dell’astratto individuo umano pre-sociale e a-storico, i processi sociali come processi di cose extra commercium hominum). Le sfide pratiche che ci stanno di fronte non possono esulare dall’affrontare questi nodi cruciali anche di carattere teorico.
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