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“Così potete sfruttare la guerra mondiale per sconfiggere USA e Ue”

L’insegnamento di Lenin

di OttolinaTV

In tempo di guerra non si può agire e pensare come in tempi di pace: qui non servono più le idee maturate durante la lunga, ipocrita e sanguinosa pace occidentale, ma servono analisi e idee nuove (e, soprattutto, efficaci) che prendano atto del fatto che gli Stati capitalistici si stanno militarizzando verso l’esterno e verso l’interno, e che non possiamo più cavarcela con qualche post su Facebook o litigata al bar con l’amico meloniano; in questo periodo storico, andarsene a giro a ribadire al mondo la propria identità politica è un esercizio del tutto inutile e, anzi, un massimo segno di impotenza. La radicalità di questa fase e la radicalità delle trasformazioni sociali richieste, prima che sia troppo tardi e la guerra capitalista deflagri senza più rimedio, dovrebbe indurci a vivere con una sola domanda fissa in testa: come rimanere fedele ai propri principi di trasformazione radicale del sistema esistente e, al tempo stesso, convincere chi la pensa diversamente da noi? Ecco: chi è stato maestro in questo – e, cioè, a pensare politicamente in tempi di guerra e a riuscire a convincere milioni di persone a seguire i propri principi, se pur tra mille compromessi e mediazioni – è sicuramente Vladimir Lenin: alcune delle analisi di Lenin sono oggi più importanti che mai per chiunque voglia agire politicamente in maniera efficace e all’altezza dei tempi.

Ci sarebbero mille cose del pensiero di Lenin di cui si potrebbe parlare, ma visto ciò che si sta consumando intorno a noi, è soprattutto sul nesso tra guerra e capitalismo e tra guerra e rivoluzione che dobbiamo soffermarci; certo, non siamo più nel 1917 e l’epoca della prima guerra mondiale e della rivoluzione proletaria non è la nostra epoca, ma la tesi di Lenin, contenuta nel famoso saggio sull’imperialismo, sull’inevitabile esito bellico a cui porta il capitalismo, si è rivelato più valido che mai: così come il capitalismo porta inevitabilmente alla distruzione del pianeta e allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, esso porta inevitabilmente, scientificamente, anche alla guerra, ci dice Lenin, che sia una guerra di colonizzazione come quella in Palestina, di difesa della propria egemonia come quella in Europa orientale o un guerra esistenziale per il primato dell’élite capitalista sul mondo, come quella che si potrebbe consumare nel Pacifico. Il filosofo Mimmo Porcaro ha recentemente scritto un saggio su Lenin apparso su La Fionda dal titolo Guerra e controrivoluzione: i conti con Lenin, nel quale, oltre ad attualizzare le riflessioni del russo sul rapporto tra capitalismo, guerra e rivoluzione, ci ricorda altre imprescindibili riflessioni di Lenin per chi si pone davvero il problema di andare oltre gli steccati ideologici e collaborare alla nascita di un movimento di massa capace cambiare le cose – e, cioè, oggi capace di sfruttare la guerra, come fece Lenin nel 1917, per rivolgerla contro le élite e instaurare un potere nuovo.

Prima di lasciargli la parola, vorrei ricordare qui due riflessioni che mi hanno colpito particolarmente. La prima sul concetto di pace imperialista: ragionando su Clausewitz, Lenin dice che “La guerra è continuazione della politica con altri mezzi“, ma “lo stesso, quando a dominare è un sistema capitalista, vale per la pace”; alla guerra imperialista, come ad esempio la prima e la seconda guerra mondiale, fa necessariamente seguito non una vera e propria pace, ma una “pace imperialista, ossia la continuazione della politica imperialista in altre forme“. E, appunto, imperialista, scrive Porcaro nell’articolo, è stata la falsa pace degli anni della globalizzazione, giacché quest’ultima non sarebbe stata possibile senza la precedente subordinazione militare dell’Europa intera e del Giappone, senza la sconfitta pur indirettamente militare dell’Unione Sovietica, senza la presenza militare statunitense nei punti strategici del globo e senza le vere e proprie guerre combattute dall’Occidente in Iraq e altrove; così come imperialista – e, quindi, premessa di guerre ulteriori – sarebbe una pace trumpiana come quella che il presidente americano sembra proporre a Gaza e in Europa orientale, e cioè una pausa limitata nel tempo e nello spazio, effetto della momentanea debolezza militare dell’Occidente che ha bisogno di una riorganizzazione.

Come la globalizzazione, anche Trump rappresenta così un momento distinto e ulteriore dell’imperialismo: dall’illusione del dominio unipolare, all’accettazione realistica, ma momentanea, di un multipolarismo inteso non come sistema d’equilibrio, ma come teatro di uno scontro continuo per il dominio. Per fare riferimento alla cronaca di queste settimane, possiamo dire che l’esistenza di una pace imperialista gravida delle guerre future dovrebbe portare l’opinione pubblica progressista e pacifista, così come gli straordinari movimenti proPal, a guardare sempre all’origine capitalistica sia della guerra che della sua temporanea e illusoria sospensione, in quello in quell’altro contesto di guerra; non ci sono mele marce: è l’albero a essere tarato irrimediabilmente. Infine, possiamo chiederci con Lenin anche come dovremmo agire: non, come si fa spesso, in astratto tipo in Europa e nel mondo, ma qui, nel nostro Paese, ossia l’unico spazio nel quale, fino a prova contraria, almeno per legge abbiamo ancora un minimo di potere decisionale.

E’ importante notare, come fa Porcaro, che negli anni 1914-1917 l’imperativo della celebre analisi concreta conduce Lenin a sostenere la legittimità, anzi l’utilità, delle lotte democratico-nazionali e della rivendicazione della sovranità delle nazioni non soltanto nelle colonie, ma anche in quei Paesi europei che, a causa dell’eredità storica e dello sviluppo ineguale del capitalismo, si trovassero in una situazione di sudditanza rispetto alle nazioni capitalistiche centrali – e, quindi, in un rapporto oppresso/oppressore. È evidente come, oggi, il grande squilibrio di potere tra Stati Uniti ed Europa, e all’interno dell’Europa stessa, ha riposto con forza il problema tra la lotta contro le oligarchie e il recupero della sovranità nazionale anche negli attuali Paesi capitalistici; può, quindi, si chiede Porcaro con Lenin, “una ripresa della lotta di classe dar vita a una vera, autonoma ed efficace politica senza porre una nuova questione nazionale, ossia senza porre la questione della riconquista democratica della sovranità nazionale come premessa per la costruzione di rapporti internazionali cooperativi, condicio sine qua non di una trasformazione dei rapporti sociali interni”? È arrivato il momento di ascoltarlo.

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