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ilpungolorosso

Sull’escalation repressiva di queste ore. Il governo Meloni ordina, le questure eseguono 

di Tendenza internazionalista rivoluzionaria

571761624 1119394920349460 3393585012259651392 n.jpgIl brutale pestaggio operato sabato mattina dalle forze dell’ordine della questura di Napoli dentro la Mostra d’Oltremare a danno dei manifestanti che protestavano contro la presenza di Teva al PharmaExpo, conclusosi con l’assurdo arresto di Mimì, Dario e Francesco, costituisce un salto di qualità repressivo tanto clamoroso quanto inquietante nelle modalità di gestione dell'”ordine pubblico” da parte degli apparati dello stato durante le manifestazioni e le iniziative di protesta.

Ripercorrere il reale andamento dei fatti di sabato (come è avvenuto già domenica mattina durante il presidio-conferenza stampa fuori ai cancelli della Mostra d’oltremare), è quanto mai necessario, non solo per inquadrare i termini e le implicazioni politiche di questa escalation, ma anche per ribaltare il fiume di falsità e di calunnie messe in giro dalle veline della Questura e riprese integralmente e senza alcuna verifica da alcuni organi di stampa locali e nazionali (vedi il vergognoso articolo de Il Mattino di domenica 26 ottobre).

Sabato mattina era stato indetto un presidio unitario promosso dalla Rete Sanitari per Gaza, dal movimento BDS e dalla rete Napoli per la Palestina per protestare contro la presenza della multinazionale farmaceutica israeliana TEVA all’interno della rassegna PharmaExpo organizzata alla Mostra d’oltremare di Napoli.

Tale iniziativa avveniva in continuità e in coerenza con una campagna di boicottaggio internazionale nei confronti di TEVA, non solo e non tanto per essere una multinazionale sionista, ma anche e soprattutto per la sua complicità attiva nel genocidio del popolo palestinese, in primis attraverso finanziamenti diretti all’esercito israeliano, in secondo luogo per mezzo di un vero e proprio embargo sanitario sul popolo palestinese, a cui vengono applicati prezzi enormemente maggiorati per l’acquisto dei farmaci TEVA e a cui viene negato l’accesso ai vaccini.

Nonostante la Mostra d’Oltremare sia un luogo pubblico ad accesso libero (previo pagamento di un biglietto simbolico di 1 euro a persona), il varco d’accesso corrispondente al luogo del presidio (sul viale Kennedy) veniva chiuso e presidiato da un ingente spiegamento di forze di polizia in tenuta antisommossa.

Al termine della manifestazione statica, un gruppo di manifestanti, preso atto che il varco in corrispondenza al presidio era chiuso all’accesso di chiunque (manifestante o meno), resosi conto che nell’altro varco (in via Marconi) era possibile accedere liberamente e individualmente alla mostra, si recava a quest’ ultimo ingresso, che non era per nulla presidiato dalle forze dell’ordine, e accedeva regolarmente alla Mostra pagando il regolare biglietto di ingresso.

I manifestanti (non più di una trentina), una volta entrati nel padiglione in cui si svolgeva PharmaExpo, hanno aperto uno striscione, sventolato bandiere della Palestina e gridato slogan di protesta contro TEVA. 

Negli istanti immediatamente successivi un ingente spiegamento di agenti del reparto celere ha ripetutamente strattonato e aggredito i manifestanti che erano rimasti sulla soglia di ingresso del padiglione, nel tentativo di cacciarli. Subito dopo, il reparto è entrato nel padiglione mettendo in piedi un fitto sbarramento a protezione degli stand di TEVA e del resto della fiera, senza che nessuno dei manifestanti abbia provato a forzare tale cordone.

La contestazione si è dunque svolta interamente in forma statica nell’area di ingresso del padiglione, con modalità analoghe a un normalissimo “flash mob”, dunque in maniera del tutto simbolica e pacifica, senza invadere l’area adibita agli stand (contrariamente a quanto riportato dalla stampa asservita), né tanto meno usando alcuna forma di violenza, danneggiamento, minaccia e coercizione nei confronti di cose o persone li presenti.

Al contrario, durante il flash mob, nonostante la solidarietà di molti presenti, i manifestanti sono stati ripetutamente oggetto di minacce, ingiurie e veri e propri tentativi di aggressione da parte di singoli organizzatori e/o di elementi della security interna alla Mostra: provocazioni che i manifestanti, con grande senso di responsabilità, hanno praticamente ignorato. Dopo circa 15 minuti è giunta sul posto la Digos, la quale, come da consuetudine, ha chiesto ai manifestanti di terminare la protesta in tempi brevi.

Il compagno Dario Oropallo, a nome dei manifestanti e dopo un confronto con questi ultimi, ha comunicato alla Digos la disponibilità a terminare la protesta entro 10 minuti, ricevendo l’ok dalla Digos. Terminata la protesta nei tempi preannunciati, il gruppo di manifestanti si è diretto pacificamente verso l’uscita della Mostra su viale Kennedy, ma la Digos rispondeva che non era possibile uscire da quella parte, bensì bisognava uscire dall’ingresso di via Marconi, lo stesso da cui i manifestanti erano entrati pagando il biglietto.

Giunti in prossimità del suddetto ingresso, come testimoniano in maniera inequivocabile le immagini e i filmati prodotti dai manifestanti, è scattato un vero e proprio agguato squadristico della questura di Napoli, la quale aveva ordito una trappola premeditata con la finalità di mettere in atto un’infame rappresaglia: il gruppo di neanche 30 manifestanti è stato accerchiato e bloccato da tutti i lati da un centinaio tra agenti della celere, della guardia di finanza e da almeno una quindicina di uomini della Digos e del commissariato locale.

A nulla sono valse le richieste di spiegazione e il far presente che si voleva solo tornare a casa: a tali richieste la Digos ha risposto immediatamente che nessuno poteva uscire fin quando non avessero provveduto a fare degli arresti. Nel giro di pochi secondi, alle minacce è seguito il pestaggio indiscriminato della quasi totalità dei manifestanti, con pugni, calci e manganellate, con particolare accanimento nei confronti di chi, già colpito, era finito a terra.

Quattro compagni (tra cui Dario e Francesco) sono stati prelevati a forza e condotti direttamente in Questura. Tutti gli altri hanno dovuto sottostare a un’identificazione a mezzo videocamera e fatti uscire uno alla volta. Nei confronti di singoli compagni, noti per il loro attivismo cittadino e territoriale, la furia dei servi dello stato è proseguita anche all’esterno della Mostra con aggressioni sommarie a schiaffi e pugni in faccia.

Una volta terminata questa vile “performance” di stampo cileno, e quando tutto il resto dei manifestanti avevano finalmente guadagnato l’uscita, la Digos si è assicurata l’ultima “ciliegina sulla torta”: alla compagna internazionalista Mimì Ercolano, coordinatrice provinciale del SI Cobas, sapientemente tenuta in fondo alla lista delle persone da identificare, è stato comunicato il fermo ed è stata condotta anch’essa in Questura.

Per la prima volta da tanti anni a questa parte e per la prima volta in assoluto a seguito di una protesta simbolica e pacifica, per 3 dei 5 fermati è stato disposto non solo l’arresto, ma è stato negato il processo per direttissima. In conseguenza di ciò, da sabato sera Dario e Francesco sono in custodia cautelare nel carcere di Poggioreale e Mimì nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, ancora in attesa dell’udienza di convalida dell’arresto.

Questi e non altri sono i fatti, comprovati da un’ampia e dettagliata documentazione video prodotta dai compagni, che con buona pace della disinformazione condotta da Questura e stampa di regime, smascherano la dinamica e la reale natura del brutale agguato consumatosi sabato mattina contro chi ha “osato” denunciare la complicità attiva di TEVA col genocidio a Gaza.

Questa violenza di stato è del tutto in linea con quanto sta avvenendo da mesi (in particolare dopo l’approvazione del famigerato Decreto-sicurezza), e con ancora più forza in queste ore: il pestaggio di Napoli fa infatti il paio con le violente cariche a Torino e a Roma, e con l’altrettanto brutale azione di sgombero condotta a Bologna contro una inquilina sotto sfratto difesa dai compagni di Plat, ma come già accennato, ha in sé anche dei tratti del tutto peculiari e inediti:

1- in primo luogo, i fatti di Napoli confermano come il tema della Palestina e del genocidio sia il principale fattore di attivazione degli “istinti primordiali” delle forze dell’ordine.

Queste ultime, c’è da sottolinearlo, nell’eseguire gli ordini provenienti dall’alto (stato, governo e padroni), possono discrezionalmente variare entro certi limiti l’intensità delle azioni repressive. Ma di regola, e in linea generale, adottano forme e gradi di violenza che vengono dettati e pianificati dall’alto.

2- il tema del genocidio a Gaza, dei massacri e delle atrocità condotte dal sionismo (“l’unica democrazia del Medioriente”) rappresenta da due anni uno dei principali fianchi scoperti per lo stato e il governo italiano che, al pari dei suoi omologhi occidentali, hanno dovuto fare i conti con lo sbugiardamento sistematico operato nei loro confronti dal grande movimento di solidarietà con Gaza e con la resistenza palestinese, il quale attraverso un mare di documenti, immagini e testimonianze dai territori occupati, ha smascherato non solo la reale entità del genocidio, ma anche la natura apertamente razzista e suprematista del sionismo in quanto tale, nonché l’aperta complicità con le efferatezze compiute da Netanyahu e dal sionismo, e il sostegno ad essi da parte dell’intero occidente, della sua borghesia e delle sue multinazionali. E quando la natura criminale di uno stato (o meglio di una pluralità di stati imperialisti e colonialisti) viene messa a nudo, quando la retorica e le narrazioni ufficiali vengono smontate pezzo-pezzo, per tacitare il dissenso non resta altra arma che quella della repressione, della violenza di stato e della criminalizzazione. Il nuovo Ddl- Gasparri, presentato come “Ddl-antisemitismo”, si propone in realtà di imbavagliare e punire ogni accenno di critica ai crimini sionisti…

3- Ma come detto in apertura, i fatti di sabato 25 ottobre a Napoli, pur in piena continuità con le cariche, gli arresti e le persecuzioni di questi 2 anni, rappresentano anche il segnale di un salto di qualità. Forse per la prima volta, infatti, ci troviamo di fronte a un agguato squadristico in piena regola, operato integralmente “a freddo”, quando la protesta era ampiamente conclusa e i manifestanti erano di ritorno: dunque in un contesto in cui neanche il peggior zerbino del potere potrebbe rilevare una qualsivoglia ipotesi di “resistenza a pubblico ufficiale” così come normata dalle LORO stesse leggi! Ci troviamo invece di fronte a un evidente caso di vendetta sommaria, sicuramente non nuova nella storia della “repubblica democratica nata dalla resistenza e con la costituzione più bella del mondo” (si pensi agli anni ’70, o più di recente alla mattanza programmata di Genova 2001), ma di certo al di là di ogni logica di “proporzionalità” rispetto al carattere simbolico dell’iniziativa di sabato.

4- Dunque, venendo meno ogni movente legato ai pericoli per l'”ordine pubblico”, è chiaro che una violenza di questo tipo è riconducibile solo ed unicamente a un disegno politico, che punta a “dare una lezione” a chiunque osi solo pensare di violare le “zone rosse” erette a protezione del sionismo e dei suoi complici (come nel caso di TEVA).

Fermo restando il contesto di stato di polizia e di misure speciali per blindare i sionisti da ogni pur blanda contestazione, rileviamo però che la repressione del governo Meloni colpisce in maniera “chirurgica”, accanendosi in particolare contro una precisa area politica: su tutti quella che non possiamo non definire la nostra area politica, che è composta non solo dalla TIR e dai suoi simpatizzanti, bensì da tutti coloro che nelle piazze di questi anni non si sono limitati ad invocare lo stop al genocidio, ma hanno sottolineato senza sosta che l’opposizione al genocidio non può essere in alcun modo scissa dalla rivendicazione della fine dell’occupazione, del diritto al ritorno di tutti i palestinesi, e soprattutto dal sostegno internazionale e internazionalista alla resistenza del popolo palestinese e delle sue milizie! La nostra area politica, che in queste settimane non si è limitata a invocare il “blocchiamo tutto” come una mera suggestione utile a cavalcare (magari in chiave elettorale…) l’onda delle mobilitazioni spontanee e dal basso, ma ha indicato concretamente (e senza alcuna pretesa “egemonica” sul resto del movimento) la strada per colpire sul serio, e per davvero, quegli interessi economici e quei profitti che alimentano il genocidio, la corsa alla guerra e all’economia di guerra, e che al tempo stesso se ne nutrono come vampiri assetati di sangue.

Per mettere a fuoco il carattere e il criterio politico di questa repressione chirurgica, basta ripercorrere il profilo dei tre compagni che sono in carcere, due dei quali appartenenti alla nostra area politica, il terzo attivista del centro culturale Handala Ali di Napoli, che assieme ai GPI, è stato per oltre due anni uno dei principali motori delle mobilitazioni cittadine e nazionali.

Mimì, dirigente provinciale e nazionale del SI Cobas e aderente al movimento disoccupati 7 novembre, è già da lungo tempo oggetto di una vera e propria persecuzione giudiziaria a causa del suo attivismo in difesa dei lavoratori, della sua partecipazione agli scioperi (su tutti la mobilitazione contro i licenziamenti alla GLS), alla vertenza più che decennale dei disoccupati organizzati, alle battaglie femministe e nel movimento a sostegno del popolo palestinese. Dario, da anni attivo nel Laboratorio politico Iskra, è riconosciuto pubblicamente per le sue innumerevoli battaglie territoriali e sociali nella zona flegrea. Infine Francesco, giovanissimo compagno che da alcuni mesi ha scelto di sostenere il centro culturale Handala Ali, vero e proprio punto di riferimento del movimento per Gaza.

Il fatto che due dei tre arrestati (Mimì e Dario) siano entrambi compagni afferenti all’area politica della TIR, contribuisce a chiudere il cerchio…

Dunque, l’ondata repressiva di sabato scorso, oltre a essere funzionale a colpire le avanguardie del movimento per la Palestina, serve a lanciare il messaggio inequivocabile a chi, dall’interno di questo movimento, pone con più forza la necessità di unire la solidarietà col popolo palestinese, e con la resistenza palestinese, alla battaglia contro “il nemico in casa nostra”: quel capitale che nel mentre finanzia o fa affari col sionismo, alimenta la corsa alla guerra e all’economia di guerra, distrugge i servizi sociali in nome della corsa agli armamenti, sfrutta, affama e opprime i proletari, attacca e reprime gli scioperi, aumenta i ritmi e lo sfruttamento sui posti di lavoro, precarizza i contratti, impone un modello di società che in nome di “Dio, Patria, famiglia” attacca i diritti e le conquiste delle donne, e impone un modello di società razzista che opprime, discrimina e perseguita i proletari immigrati. Un sistema di accumulazione, appropriazione e saccheggio della ricchezza e delle risorse naturali che produce ogni giorno guerre, morti sul lavoro, degrado sociale, devastazione ambientale e dell’intero ecosistema, sofferenze fisiche, economiche e psicologiche per miliardi di esseri umani.

La colpa, il vero e proprio “crimine” commesso da compagni come Mimì e Dario, non è soltanto quello di denunciare e lottare contro questa barbarie, bensì soprattutto quello di essere guidati nella loro militanza quotidiana dalla convinzione che questo sistema è marcio e non riformabile in alcun modo per vie istituzionali o elettorali; e che l’emancipazione della classe oppressa non può avvenire dentro i singoli confini nazionali, ma solo nel quadro dell’unità dei lavoratori su scala internazionale e internazionalista.

Lottare contro la repressione, e per la liberazione immediata di Mimì, Dario e Francesco, significa innanzitutto impedire che i piani repressivi raggiungano il suo obbiettivo primario: terrorizzare le piazze e impedire che le mobilitazioni, le lotte e gli scioperi proseguano e si allarghino.

Ed è proprio per questo che mentre siamo chiamati a prenderci in carico la battaglia immediata per la liberazione dei compagni arrestati, siamo allo stesso tempo tenuti a mantenere e sviluppare con ancor più forza e determinazione tutte le battaglie e le campagne in agenda: su tutte la costruzione di un agenda di lotta autunnale che dia continuità alle straordinarie giornate del 22 settembre e del 3-4 ottobre, e che abbia come nuovo momento culminante il nuovo sciopero generale già indetto dal sindacalismo di base per il prossimo 28 novembre.

Facciamo in modo che le piazze per la Palestina incontrino e si uniscano alla rabbia dei lavoratori contro le politiche di guerra, lacrime e sangue del governo Meloni e dei suoi partner occidentali (USA, NATO, UE).

La mano che bombarda è la stessa che reprime.

Mimì, Dario e Francesco liberi subito!

Fuori tutte le compagne e i compagni dalle galere!

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