Fai una donazione

Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________

Amount
Print Friendly, PDF & Email

sinistra

Il regime epistemologico neoliberale e i suoi amici: Daniel Innerarity

di Patrizio Paolinelli

La società della conoscenza ha un alter ego: la società dell’ignoranza. È questa l’indovinata ipotesi di lavoro del filosofo spagnolo Daniel Innerarity contenuta nel suo libro, La società dell'ignoranza. Sapere e potere nell'epoca dell'incertezza, (Castelvecchi, Roma, 2024, pp. 206). Ipotesi calata nel nostro mondo ipertecnologico e con la quale siamo invitati a riflettere sulla controversa relazione tra sapere e non sapere. Poiché della società della conoscenza si scrive e si discute da anni, Innerarity pone l’enfasi sulla trascurata ignoranza in un denso libro composto da una serie di articoli e saggi brevi. Ognuno dei pezzi tratta un tema relativo alla produzione, alla fruizione e all’istituzionalizzazione del sapere in questo primo scorcio del XXI secolo.

Diciamo subito che Innerarity nobilita l’ignoranza e allo stesso tempo la mette in questione. Operazione oggi necessaria perché la proliferazione delle conoscenze è talmente consistente da obbligare gli individui a confrontarsi con l’aumento della propria mancanza di competenza, ovvero, a misurarsi col crescere della propria ignoranza. Il tema è indubbiamente all’ordine del giorno in un mondo in cui la scienza, la tecnologia e l’informazione hanno acquisito un ruolo determinante nella transizione epocale di cui tutti siamo testimoni. Il problema, come al solito, è il punto di vista con cui si leggono i cambiamenti sociali. E Innerarity chiarisce il suo: in un contesto di sovrapproduzione di contenuti quando si parla di ignoranza dobbiamo occuparci essenzialmente dell’ignoranza “di cui nessuno è colpevole, se non le circostanze reali che, in tutto o in parte, la rendono inevitabile.”

Impostato così il tema è evidente che per il filosofo spagnolo la storia si fa da sola e l’ignoranza è figlia di nessuno, così come figlio di nessuno era il fascismo per Benedetto Croce. Ma come si fa a giustificare una storia umana che va avanti per moto proprio incurante delle asimmetrie tra produttori e consumatori di conoscenza? Si utilizza, come fa Innerarity, un lungo repertorio concettuale affermatosi negli ultimi decenni in netta opposizione alla logica dialettica e alla teoria del conflitto. In questo repertorio troviamo parole-chiave quali: sistema, accelerazione, rischio, incertezza, caos, riflessività, interdipendenza, disintermediazione, complessità, democrazia e altre ancora appartenenti alla stessa scuola di pensiero. Qual è questa scuola? Quella che sul piano della produzione sociale di conoscenza possiamo definire il regime epistemologico neoliberale. Il quale permette variazioni purché interne al regime. Innerarity, per esempio, nasconde (forse anche a sé stesso) l’eco di un intellettuale d’altri tempi, eco che risuona tra le righe mentre si occupa con strumenti attuali del presente. E mentre parla degli effetti dell’economia digitale sulla conoscenza propone un’idea della cultura come un’esperienza solitaria da coltivare senza clamori in cauta opposizione alla visione utilitaristica del sapere tipica dei nostri tempi. Che questo opporsi sia vano riteniamo lo sappia lo stesso Innerarity. Ma per lui la storia è fatta di accidenti: è senza causa e senza scopo. E così la sua critica si risolve nel pensiero del singolo pensatore che degnamente rappresenta data la sua statura intellettuale.

Nel primato del pensiero individuale troviamo il punto di caduta più tipico dei filosofi liberali. I quali elaborano teorie e concetti che non mettono in discussione il modo di produzione e di riproduzione della società capitalista, schermandosi dietro parole più ricche di problemi che di soluzioni quali libertà e democrazia; allo stesso tempo non possono fingere di non vedere alcune disfunzioni che mettono in seria difficoltà la libertà e la democrazia e che per di più non trovano mai soluzione. Popper, per esempio, si accorse del ruolo nefasto della TV dopo aver perorato per una vita la causa del neoliberismo (che ha fatto trionfare la mercificazione di ogni cosa, TV compresa: i profitti sono più facili con una TV diseducativa anziché educativa). Innerarity, che pure appartiene a pieno titolo al mondo accademico, critica con molto acume il monitoraggio quantitativo dell’attività scientifica e allo stesso tempo non ha nulla da obiettare rispetto ai rapporti di potere tra chi sa (i docenti) e chi non sa (gli studenti) all’interno dell’università.

A Innerarity non sfuggono alcuni dei problemi più stringenti generati dalla società della conoscenza. Ma essi sono il frutto dell’ambivalenza delle cose. Per esempio, dinanzi al caotico scenario che caratterizza l’incalzante produzione di conoscenza, ecco che gli inesperti, talvolta riuniti in gruppi, contestano il ruolo del sapere, della scienza e della tecnologia rifugiandosi in credenze cospirative, negazioniste, fasulle. Si rifugiano cioè nelle consolatorie braccia dell’ignoranza. Essi costituiscono un problema. Ma da cosa dipende lo smarrimento dalla retta via di questi gruppi? Innerarity ha la risposta: “dal non aver trovato il giusto equilibrio tra fiducia e diffidenza, dall’oscillare tra un’eccessiva ingenuità e la critica incontrollata.”

Come si realizzi il “giusto equilibrio tra fiducia e diffidenza” quando, per esempio, da un lato abbiamo una Big Pharma e dall’altro i suoi clienti non ci è rivelato, (forse attraverso un cortese dialogo tra le parti come avviene nei convegni universitari?). Mentre sembrerebbe scontato che la “critica controllata” sia quella svolta da Innerarity. Critica grazie alla quale è possibile risolvere il conflitto tra chi conosce e chi non conosce con un compromesso: “sapere e non sapere si intrecciano” e l’ignoranza alberga negli individui, nelle istituzioni e nella società esattamente come la conoscenza. Perciò l’una non può fare a meno dell’altra e dobbiamo imparare a gestire quello che non sappiamo. Le manifestazioni di ciò che non sappiamo sono: insicurezza, probabilità, rischio e incertezza. Come si vede ritornano un paio delle parole-chiave di cui sopra alle quali se ne aggiungono altre che, nel loro insieme, concorrono a formare l’ordine del discorso liberale. Un ordine oggi talmente egemonico da non sentire il bisogno di confrontarsi con chi gli si oppone. Tanto è così che nell’orizzonte culturale di Innerarity non compaiono neppure in lontananza fenomeni come la divisione tra lavoro manuale e intellettuale, il rapporto tra forma merce e forma pensiero, la relazione tra profitto e ricerca scientifica, la disuguaglianza nell’accesso all’istruzione, lo spreco di intelligenze escluse dai circuiti istituzionali della cultura, l’interesse delle élite a rendere i cittadini sempre più ignoranti e così via.

Tutto questo non esiste perché è implicitamente considerato appartenente al mondo di ieri, il mondo diviso in classi sociali. Nel mondo di oggi, le classi sociali non fanno capolino neanche per sbaglio. E allora secondo Innerarity: Internet abbatte le gerarchie; l’incertezza investe indistintamente tutti e può essere persino un’opportunità; dobbiamo imparare a vivere nell’instabilità; le strutture sociali sono reti orizzontali; i media tradizionali hanno perso il loro ruolo di guardiani dell’informazione; le nuove tecnologie dell’informazione ampliano la democrazia; la democrazia non ha bisogno della verità ma del libero dibattito; il pubblico ha preso nelle proprie mani il controllo della sua stessa attenzione; il consumatore è sovrano; nel lavoro occorre essere flessibili e avere spirito di adattamento; dallo spirito critico di un tempo si è fortunatamente passati alla creatività; l’intellettuale degli anni Sessanta è un immodesto radicale; apprendere significa cambiamento continuo; scoprire problemi è più importante che risolverli; la morale semplifica la realtà in modo eccessivo; non ci sono verità; la libertà è un sublime atto nicciano che, per esempio, consiste nel decidere come, quando e in che direzione sfogliare le pagine di un libro e via di questo passo.

Si potrebbe continuare davvero a lungo a sfogliare il vangelo di un regime epistemologico che insegna a interpretare la realtà in maniera anti-dialettica, ottimistica e funzionale al modello socio-economico neoliberista. Perciò l’importanza di un libro come La società dell’ignoranza non risiede tanto nelle sue conformiste conclusioni sulle sfide cognitive che affronta, quanto nell’affermazione di una strumentazione teorica che addestra l’intelligenza individuale e collettiva a adeguarsi alle pratiche delle élite dominanti, a non contestarle sul serio, a non immaginare alternative sociali se non quelle che il capitalismo sta preparando per sé stesso.

La critica sociologica, LIX · 235 · Autunno 2025

Pin It

Add comment

Submit