Quale treno della vergogna?
di Eric Gobetti
Il convoglio fantasma carico di esuli istriani che viene aggredito quando passa per Bologna è l'ennesima falsificazione che gira attorno al confine orientale e alle foibe
È l’inverno del 1947. Un treno pieno di profughi provenienti dall’Istria viene fermato alla stazione di Bologna da ferrovieri comunisti, aizzati dai dirigenti del partito. I manifestanti non si limitano ad aggredire i passeggeri con insulti, sputi, pietre, ma negano loro il cibo, l’acqua, qualunque forma di assistenza preparata con cura dalle associazioni caritatevoli di stampo cattolico. E arrivano a rovesciare sui binari il latte destinato ai bambini. I bambini… sempre odiati dai comunisti, come il ben noto stereotipo insegna.
È un’immagine suggestiva, toccante, adatta a suscitare disprezzo verso un’ideologia che sostiene di stare dalla parte della gente. Un’immagine però falsa, come ha dimostrato in maniera ineccepibile una ricerca recentemente resa pubblica su Giap e condotta dal collettivo Nicoletta Bourbaki, anche sulla base della tesi di laurea di Alberto Rosada. Falsa perché quel treno in realtà non è mai stato fermato da nessuna folla comunista assetata di sangue innocente: né pietre, né sputi, né latte negato ai bambini, sono veri. D’altronde il Pci, e lo sappiamo da molte altre fonti, non faceva all’epoca alcuna campagna contro i profughi, che anzi diverse amministrazioni comuniste hanno accolto, pur non avendone alcun tornaconto elettorale.
Può sembrare una notizia banale, irrilevante, se non per gli specialisti del settore. Invece questo prezioso lavoro di fact checking è una piccola rivelazione. Perché svela un sistema, un meccanismo di creazione e diffusione di fake news storiche che avvelenano il racconto del nostro passato quanto menzogne analoghe sull’attualità condizionano il dibattito politico.
È un metodo comunicativo che ha radici lontane. «Una bugia ripetuta mille volte diventa verità», dice, più o meno, una frase attribuita a Joseph Goebbels, il ministro della propaganda nazista. A forza di ripeterla, un’affermazione falsa, o non confermata da alcuna fonte, un’ipotesi dunque o l’opinione di un singolo individuo, diventa senso comune, al punto da condizionare anche chi non condivide affatto il pensiero del suo ideatore. È proprio il caso del cosiddetto «treno della vergogna» di Bologna, che trae origine dal racconto di una singola persona, il presunto testimone oculare Lino Vivoda, ma viene in seguito arricchito di dettagli raccapriccianti e amplificato da altri autori. Così la storia raggiunge le pagine degli studiosi, che danno per buona la testimonianza, già più volte ripetuta, includendola, senza verificarla, nei loro libri. Fino ad arrivare ai volumi di Raoul Pupo, lo storico ritenuto più attendibile sull’argomento, e anche al mio più recente E allora le foibe?, un testo divulgativo basato prevalentemente su fonti secondarie, quindi su ricerche condotte da altri colleghi.
D’altronde non c’è da stupirsi: il mio libro aveva proprio lo scopo di smentire alcune fake news sulle foibe e sull’esodo, di smontare una narrazione parziale e tossica, basata in parte su quelle «notizie» date per certe e indiscutibili. Così indiscutibili da portare ad accuse di «negazionismo» contro chi, con fonti e ricerche storiche, ne smentisce la veridicità. Con un evidente capovolgimento di significati: i negazionisti della realtà accusano di negazionismo chi dimostra, dati alla mano, che la loro narrazione è falsa. Così tanti studiosi e studiose (Alessandra Kersevan a Claudia Cernigoi su tutti) sono finiti nel tritacarne mediatico o, peggio, nello shitstorm orchestrato da chi considera tale narrazione distorta fondamentale per il proprio successo politico.
Il fatto è che proprio nel racconto stereotipato su foibe ed esodo le incongruenze, le imprecisioni, le narrazioni parziali o capovolte sono la norma, non l’eccezione. Su questa pagina di storia si sta coagulando una «verità ufficiale» costruita in a Goebbels-style, ovvero ripetendo ossessivamente racconti, eventi, episodi, slogan non suffragati dalle fonti, e talvolta già smentiti dalla ricerca storica. Il più delle volte, come nel caso del treno di Bologna, non si tratta di bugie vere e proprie, ma di affermazioni indimostrabili, che però diventano una verità assoluta, che nessuno osa mettere in discussione. Ci sono infatti altri esempi, altrettanto se non più clamorosi, perché si tratta di fake news smentite da tempo, ma tuttora predominanti nel discorso pubblico, sempre ripetute nelle commemorazioni e nelle narrazioni massmediatiche.
Partiamo da Norma Cossetto, la martire per antonomasia, una ragazza innocente che sarebbe stata seviziata, stuprata e uccisa dai partigiani jugoslavi nell’ottobre del 1943. Lo stesso collettivo Nicoletta Bourbaki ha dimostrato, con una lunga inchiesta in cinque puntate, come sulla vita e sulla morte della giovane istriana ci siano pochissime informazioni. Anche in merito al presunto stupro persino lo storico conservatore Roberto Spazzali ha parlato in passato di «incontrollate fantasie e presunte testimonianze» (Roberto Spazzali, Foibe. Un dibattito ancora aperto, Editrice Lega Nazionale, Trieste 1990, p. 149). L’uso morboso del racconto dettagliato della presunta sevizia ha un evidente scopo propagandistico, simile, ma certo più brutale, a quello del latte versato dai comunisti a Bologna.
Il secondo esempio è la strage di Vergarolla, che il 18 agosto 1946 ha ucciso forse cento bagnanti su una spiaggia di Pola. Ne ho già parlato qui qualche mese fa. Il massacro viene comunemente attribuito alle autorità jugoslave sebbene lo storico Gaetano Dato e altri colleghi abbiano ampiamente dimostrato come nessuna fonte attualmente disponibile consenta di confermare tale versione. Anzi, molti altri indizi farebbero propendere per una responsabilità fascista, con l’obiettivo di manipolare le diplomazie europee impegnate nella conferenza di pace di Parigi e spingere i polesani all’esodo in caso di assegnazione della città alla Jugoslavia.
Il caso più clamoroso è però certamente quello del monumento nazionale della cosiddetta foiba di Basovizza. Come sanno gli specialisti, le ricerche condotte nel pozzo minerario dagli Alleati nell’immediato dopoguerra hanno portato al rinvenimento di alcuni resti umani riconducibile quasi sicuramente a tedeschi caduti nelle ultime battaglie per la liberazione di Trieste. In seguito la buca venne usata come discarica (su autorizzazione del sindaco esule e democristiano della città) e poi coperta da una grossa lastra di pietra. Fin qui i fatti. Cosa racconta invece il monumento stesso? Una lapide mostra una rappresentazione stilizzata del pozzo che attesta la presenza di 500 metri cubi di corpi di «infoibati», una cifra che potrebbe corrispondere a migliaia di persone. Come si fa ad affermare che lì siano sepolti così tanti italiani vittime della resa dei conti di fine guerra, se quei corpi non sono mai stati trovati?
Alcuni elementi accomunano tutte queste narrazioni. Innanzitutto il predominio delle testimonianze sulle fonti documentarie certe, quella che è stata definita «la dittatura del testimone». Nel caso di foibe ed esodo, persino le testimonianze indirette, dei genitori o dei nonni, sembrano essere più attendibili dei documenti scritti o di altre fonti che smentiscono tali «ricordi». Tutto ciò in spregio non solo dell’evidente fallacia della memoria personale, ma anche del valore della ricerca, dello studio, dello sforzo di comprensione dei fenomeni. Così il presunto ricordo di un unico individuo, Lino Vivoda, ha costruito una verità indiscutibile che ha resistito per quasi settant’anni, prima che qualcuno si prendesse la briga di verificarla con fonti certe.
Tale predominio della memoria sulla storia è particolarmente evidente quando il testimone è vittima di un’ingiustizia storica, specie se riconosciuta per legge, come nel caso del Giorno del Ricordo dedicato alle foibe. È il «paradigma vittimario» che attribuisce un valore morale assoluto alle vittime inermi, secondo il modello di riferimento globale della Shoah. I «nostri eroi» non sono più coloro che lottavano per un mondo migliore (a seconda delle diverse prospettive politiche naturalmente), ma quelli che hanno subito violenza senza reagire. Così la testimonianza delle vittime inermi ha più valore di qualunque altra, e a maggior ragione non può essere messa in discussione. È questo il caso dei dettagli macabri delle sevizie che avrebbe subito Norma Cossetto, frutto di testimonianze di seconda mano, mai realmente accertate. Sono le “incontrollate fantasie” su cui si basano tutte le narrazioni mediatiche, dalla graphic novel Foiba Rossa (distribuita gratuitamente in molte scuole italiane) al film horror Rosso Istria, coprodotto dalla televisione di Stato e visto da milioni di spettatori.
Infine c’è il riconoscimento istituzionale, che vale simbolicamente più di qualunque ricerca storica. Norma Cossetto è stata insignita della medaglia d’oro al merito civile alla memoria dal presidente Carlo Azeglio Ciampi nel 2005, e centinaia di vie, piazze, giardini in tutta Italia portano il suo nome.
Anche i presidenti successivi, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, hanno contribuito a rendere dogmi inconfutabili alcuni «miti» mai accertati dalle fonti o interpretazioni distorte e scorrette, come quella della «pulizia etnica» o della «furia sanguinaria» slava anti-italiana. Il caso più clamoroso è però certamente quello di Basovizza, dove tutti i più alti rappresentanti delle istituzioni celebrano le foibe di fronte a un monumento che, in maniera smaccata, afferma il falso.
E poi c’è il «treno della vergogna», un evento che ora si scopre privo di fondamento, ma che nel frattempo è stato ripetuto mille volte da giornalisti, storici, politici, e di recente amplificato dal Treno del Ricordo, una mostra itinerante inaugurata dal governo Meloni, che ogni anno a febbraio fa sosta nelle principali stazioni d’Italia. Anche questo treno contiene ovviamente tutte le manipolazioni che abbiamo citato: da Norma Cossetto alla pulizia etnica, fino all’assoluta italianità di quelle terre e alle cifre volutamente gonfiate di vittime ed esuli. E ovviamente un posto d’onore ce l’ha quell’altro treno, quello che sarebbe stato brutalmente fermato dai comunisti alla stazione di Bologna. Ora che anche questo falso è stato svelato, sarebbe il caso di cambiare prospettiva, di dare finalmente il giusto valore alla ricerca storica e di chiamare le cose col loro nome: l’unico vero «treno della vergogna» è quello «del Ricordo».







































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