«Spese per la Difesa: 5 per cento del Pil e zero strategia»
di Francesco Cosimato
Il generale Cosimato smonta la retorica sull’aumento delle spese militari e denuncia la distanza tra obiettivi politici e capacità reali
Con un’analisi basata sui numeri, il generale valuta l’impegno italiano di portare la spesa per la Difesa al 5% del Pil entro il 2035, evidenziando l’assenza di una strategia. Tra vincoli di bilancio, organici insufficienti e decisioni ideologiche, la politica continua a fissare obiettivi irrealistici. Senza tener conto dei limiti effettivi dello strumento militare.
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Se c’è una cosa difficile in Italia, è capire quanto spende lo Stato per difenderci e a che cosa serve il suo strumento militare. Per analizzare il Bilancio della Difesa, ad esempio, ci sono schiere di funzionari del Ministero dell’Economia e della Difesa, oltre a un sacco di tecnici della Ragioneria centrale in ogni ministero.
Non solo. In questo momento storico, così pieno di crisi internazionali, è sempre più difficile capire come mettere insieme le politiche da intraprendere e i mezzi umani e finanziari per realizzarle. L’espressione «Sosterremo l’Ucraina finché sarà necessario», per esempio, riflette un approccio ideologico non basato su un confronto tra esigenze e possibilità, che rischia di depauperare sensibilmente lo strumento militare.
Vediamo perché. Sempre più spesso, sentiamo parlare di un aumento delle spese per la Difesa, entro il 2035, fino al 5 per cento del Prodotto interno lordo. Lo hanno stabilito gli Stati membri della Nato, nel vertice del 24 e 25 giugno 2025 all’Aia. Qualche decennio fa, questa decisione avrebbe determinato sommosse popolari ovunque, ma evidentemente la nostra società è ormai assuefatta alla retorica della guerra. D’altro canto, in molti Paesi d’Europa si parla di reintroduzione del servizio militare obbligatorio, ma nessuno sembra farci caso.
Ma analizziamo quali voci rientrano nel nuovo obiettivo della spesa militare. Il 5 per cento deliberato in ambito Nato è ripartito in due parti. Anzitutto, c’è un 3,5 per cento in cui rientrano le spese strettamente militari previste dalla definizione ufficiale della Nato: le forze armate, l’addestramento, l’acquisto e la manutenzione di armi e mezzi, la logistica e altre voci, tra cui il supporto militare all’Ucraina. Il restante 1,5 per cento comprende invece voci più ampie legate alla sicurezza, come la protezione delle infrastrutture critiche (porti, reti elettriche, ferrovie), la difesa delle reti informatiche, il rafforzamento della preparazione civile in caso di emergenze e il sostegno alla ricerca e innovazione nel settore.
In linea teorica, la Difesa, come ogni altro campo, non è un settore in cui si possano fare improvvide dichiarazioni ideologiche alle quali non potrà seguire una effettiva realizzazione pratica. La realtà dei fatti, tuttavia, è che la politica, e non solo quella italiana, non rispetta gli impegni assunti praticamente da sempre, cioè dal 1949, anno di stipula del Trattato Nato.
Secondo i dati della tabella riportata qui sotto, l’Italia ha speso nel 2024 l’1,5 per cento del Pil, pari a 32 miliardi di euro. Il governo intenderebbe centrare l’obiettivo del 2025, il 2 per cento, non con nuovi stanziamenti, ma con l’inclusione di voci già a carico di altri bilanci (come Guardia Costiera, Guardia di Finanza e cybersicurezza). Se così fosse, si tratterebbe di un mero espediente contabile dovuto alla impossibilità di reperire altre risorse nell’ambito del nostro bilancio. Tale prospettiva è stata presentata dal Ministro Giancarlo Giorgetti e, successivamente, confermata dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
| Spesa militare dei Paesi Nato in rapporto al Pil | ||
| 2024 (Stima) | 2025 (Stima) | |
| Polonia | 3,79 | 4,48 |
| Estonia | 3,37 | 3,38 |
| Lettonia | 3,36 | 3,73 |
| USA | 3,21 | 3,22 |
| Lituania | 3,09 | 4,00 |
| Grecia | 2,74 | 2,85 |
| Finlandia | 2,40 | 2,77 |
| Gran Bretagna | 2,33 | 2,40 |
| Svezia | 2,31 | 2,51 |
| Norvegia | 2,27 | 3,35 |
| Danimarca | 2,27 | 3,22 |
| Romania | 2,17 | 2,28 |
| Turchia | 2,13 | 2,33 |
| Ungheria | 2,13 | 2,06 |
| Repubblica Ceca | 2,08 | 2,00 |
| Francia | 2,03 | 2,05 |
| Germania | 2,00 | |
| Paesi Bassi | 2,00 | 2,49 |
| Slovacchia | 1,96 | 2,04 |
| Bulgaria | 1,95 | 2,06 |
| Macedonia | 1,89 | 2,00 |
| Croazia | 1,87 | 2,03 |
| Montenegro | 1,72 | 2,03 |
| Albania | 1,70 | 2,01 |
| Portogallo | 1,58 | 2,00 |
| Italia | 1,50 | 2,01 |
| Canada | 1,47 | 2,01 |
| Spagna | 1,43 | 2,00 |
| Slovenia | 1,37 | 2,02 |
| Belgio | 1,29 | 2,00 |
| Lussemburgo | 1,19 | 2,00 |
| Totale NATO | 2,61 | 2,76 |
Quanto alle operazioni militari in Ucraina, vediamo impegnate in combattimento forze dai numeri stratosferici. Pur in assenza di dati ufficiali, se ne può avere un’idea abbastanza realistica, considerando che si stima che l’offensiva russa sia partita con circa 200.000 effettivi, giudicati peraltro insufficienti. Tutto questo a fronte del fatto che le nostre Forze armate contano in tutto 160.000 effettivi.
Il ritorno ai conflitti convenzionali evidenzia come le Forze armate dei Paesi europei non siano capaci di esprimere il concetto di massa così come richiesto dall’Arte militare. In questo quadro, le forze sono largamente insufficienti perché orientate più alle missioni di mantenimento della pace che a una reale difesa degli spazi nazionali.
Non solo. Forse non è noto, ma le unità dell’Esercito che non vanno all’estero sono assoggettate al cosiddetto «metabolismo basale». Mutuando un concetto medico, ai reparti che restano in Italia vengono assegnati soltanto i fondi minimi per la sopravvivenza. I reparti di stanza sul territorio nazionale, dunque, è come se fossero malati nutriti solo con le flebo, fanno poco addestramento e il loro personale indulge in attività burocratiche.
Pensare di affrontare, con le consistenze della cosiddetta Legge Di Paola (i già citati 160.000 effettivi), le aree di interesse relative «al Mediterraneo, i Balcani, il Fianco Est della Nato, il Medio Oriente, il quadrante Sahel/Golfo di Guinea e il Corno d’Africa», così come indicato dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, Luciano Portolano, nel corso dell’audizione davanti alle commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato lo scorso 25 marzo, mi sembra che sia insufficiente e quindi non corretto.
Non si dimentichi che il completo cambio di scenario geostrategico, ha indotto i Capi di Stato Maggiore di Forza Armata a chiedere importanti aumenti di personale, 40.000 per l’Esercito, 9.000 per la Marina, 10.000 per l’Aeronautica. Questi aumenti, partendo dagli attuali 160.000, porterebbero a una forza di 219.000 militari, con un incremento, solo in termini di persone, del 34,3 per cento. Bisogna poi completare con l’acquisto di sistemi d’arma per le forze aerotattiche, le squadre navali e le vecchie e nuove unità dell’Esercito.
Mi pare che, per acquistare aerei, navi, carri armati et similia, oltre che aumentare in maniera così importante gli effettivi, il quadro non sia incoraggiante. Si capisce che saranno modificate le regole di spesa e che le armi si acquisteranno a debito, ma stiamo parlando di un aumento difficile da valutare. Peraltro, con tutto quel personale e quei sistemi d’arma, stiamo parlando di un incremento di bilancio che potrebbe essere molto rilevante.
Ciò che è anche più singolare è il fatto che la politica, intesa nel suo complesso, sia maggioranza sia opposizione, non sembra in grado di meglio indicare il nostro ruolo nel mondo, cosa che rende impossibile pianificare una Difesa corrispondente. Tanto per capirci, se la politica ritenesse di privilegiare gli impegni della Nato, servirebbero in prevalenza forze pesanti (meccanizzate e corazzate). Se la politica ritenesse invece di dover privilegiare il Mediterraneo, forse servirebbero forze anfibie. Tutta questa incapacità di elaborare una visione porterà al solito corto circuito, in cui sono i militari a scrivere qualcosa su quello che una volta si chiamava Libro bianco della difesa. A una condizione: che non sfori i vincoli di bilancio.
Se davvero la politica occidentale, e quella italiana di conseguenza, intende costringere la Russia ad abbandonare l’Ucraina e si propone di «difendere la democrazia in Europa», come sosteneva il presidente Usa Joe Biden, probabilmente ci si dovrebbe rendere conto che la politica occidentale si è scollegata dagli strumenti militari. Vari Paesi europei hanno dichiarato di voler reintrodurre la leva per aumentare il reclutamento, molti tra loro hanno dichiarato, e spesso attuato, aumenti degli stanziamenti per gli armamenti. In Italia, invece, non si registra un grande dibattito sul tema.
Si esce da questi problemi solo con un serio confronto tra esigenze e possibilità. E, laddove le risorse disponibili siano insufficienti, si riduce la portata degli obiettivi politici da raggiungere. Invece, ancora una volta, vediamo come l’approccio ideologico ci porta fuori dalla realtà.







































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