Fai una donazione

Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________

Amount
Print Friendly, PDF & Email

lafionda

Il suono della libertà

di Geminello Preterossi

Una marmitta modificata che fa un rumore pazzesco. Una moto guidata da un coatto metrosexual stile “Uomini e donne”. “A me me piace: è il suono della libertà! La legge lo permette”, commenta una donna, in là con l’età, in tiro ma volgarotta, che potrebbe essere una di quelle che vanno da Maria De Filippi, nella speranza di fermare il tempo.

Plebeismo? Si, ma c’è di più. È un piccolo episodio a mio avviso rivelativo di una dinamica che riguarda l’insieme delle nostre società “post-tutto” (quindi non c’è alcun intento di stigmatizzazione, in queste mie notazioni). Il disfacimento del popolo si nutre della mistificazione della libertà, che è diventata una parola equivoca. Libertà “naturale”, per esseri fittiziamente “naturali” (perché immersi in uno stato di natura “dopo la civilizzazione”, indotto dal neoliberismo e dalla globalizzazione, socializzato in un modello di convivenza asociale), La mia libertà è la tua inesistenza. Il segno rabbioso della propria identità, l’unica possibile in un contesto de-umanizzato (senza politica, senza ethos, senza arte, senza spiritualità). Quello che colpisce è la rivendicazione, la mancanza di vergogna: probabilmente perché al fondo si sente di essere ormai automi, pezzetti di un ingranaggio, e si cerca inconsciamente una illusoria, momentanea interruzione, un’increspatura in questa immanenza assoluta. La cosa drammatica è che così la si reifica. E poi perché l’atomismo competitivo legittima precisamente quella visione della libertà: la quale quindi per un verso esprime l’ideologia dominante (chi la assume ne è un elemento molecolare, seppur “passivo”), per l’altro dà l’illusione di una sottrazione momentanea al meccanismo sociale, di una libertà assoluta, la quale non può che essere risentita, esibizionista, narcisista.  

In fondo siamo in presenza dell’esito terminale di quella fuga dall’eguaglianza di cui parlava Hobbes, l’angoscioso terrore dell’essere come gli altri, mentre tutti vogliamo essere diversi (riconosciuti come unici, superiori). L’effetto trionfale del neoliberismo è stata l’affermazione pervasiva, “microfisica” di una libertà come inferiorizzazione altrui, o perlomeno come indifferenza: io sono diverso da te, e ciò mi è attestato dal fatto che posso ignorarti, tenere in nessun conto le conseguenze delle mie azioni su di te; anzi, sentirmi esaltato, vivo solo in quanto mi comporto come se tu non esistessi, sbattendoti in faccia questa indifferente pretesa di superiorità. Ecco la grande risorsa politica che qui si offre al tecnopotere post-politico: quella di avere a disposizione una prateria di temi e occasioni di inferiorizzazione, demonizzazione, conformismo discriminatorio, ostilità orizzontale, conflitto mimato tra simulacri, che distraggano i nuovi sudditi delle “dolenti città d’Occidente” dalla loro condizione e da una visione lucida, critica, del contesto collettivo. Tutto sotto il vessillo della libertà: anche la guerra totale. Al suono di una marmitta modificata. O di una musichetta mediocre creata dall’intelligenza artificiale.

Pin It

Add comment

Submit