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UE: l’Ucraina presenta il conto

di Mario Lombardo

L’avvicinarsi minaccioso del collasso forse definitivo delle linee di difesa ucraine sul fronte del Donbass sta alimentando un’amarissima riflessione in Europa circa gli effetti disastrosi delle politiche di sostegno incondizionato al regime di Zelensky messe in campo a partire dal febbraio 2022. Le soluzioni allo studio non lasciano tuttavia intendere un ravvedimento o inversioni di rotta per cercare almeno di salvare il salvabile, ma prevedono anzi un raddoppio degli sforzi per raggiungere obiettivi economici e strategici inarrivabili. Questo auto-inganno e il persistere di tendenze autolesioniste sorprendono d’altra parte solo in apparenza. Se fosse esistito un minimo di pensiero razionale e autonomo nella classe dirigente europea odierna, il vecchio continente non si sarebbe ritrovato sulla strada del declino e dell’irrilevanza.

Tra le analisi più allarmate apparse sui media nell’ultimo periodo si può citare quella pubblicata questa settimana dal network paneuropeo Euractiv. Il sito di informazione multilingua definisce “orribile” la situazione economica europea, per poi elencare una serie di problemi consolidati che pesano sul futuro dell’Unione. In linea generale, emergono dall’articolo alcune delle cause immediate di stagnazione, perdita del potere d’acquisto e livelli di debito alle stelle. Allo stesso tempo, però, la ragione alla base di questa involuzione traspare solo tra le righe oppure è deliberatamente taciuta. Mai, cioè, si accenna a un’avventura, come quella ucraina, lanciata in maniera intenzionale per provocare una reazione da parte della Russia che fornisse l’occasione per indebolire e, nella più fervida immaginazione occidentale, frantumare questo paese, così da consentire a USA ed Europa di neutralizzarne la “minaccia” alla loro egemonia e controllare le ricchezze di cui dispone.

Il flop epocale a cui l’Occidente sta andando incontro in Ucraina viene pagato in larga misura dall’Europa e tutte le indicazioni suggeriscono che la parte più salata del conto dovrà essere ancora presentata. Soprattutto perché non vi è traccia a Bruxelles, così come a Berlino o a Parigi, di ripensamenti né di un possibile ritorno a decisioni politiche, economiche ed energetiche razionali. Euractiv racconta così di un’Europa segnata da un passo di crescita economica “terribilmente lento”, una “domanda spaventosamente debole” e “investimenti esteri al punto più basso da nove anni a questa parte”. L’elenco non si esaurisce qui. Le imprese sono oppresse anche da costi energetici altissimi, così come dai dazi americani e dalla feroce competizione cinese.

L’elefante nella stanza che l’autore del pezzo sembra non rilevare è naturalmente la guerra in Ucraina, provocata non dalla Russia ma dall’Occidente e dalla NATO nel suo avanzamento verso est, oltre che dal trattamento riservato nel periodo post-Maidan alla minoranza russofona nel paese ex sovietico. Le decisioni comportano d’altra parte conseguenze anche in politica e soprattutto in economia. Dopo l’inizio dell’invasione russa, accolta con finta indignazione in Europa e a Washington, da Bruxelles sono scattate iniziative che hanno gettato le basi per la bancarotta del progetto comunitario e delle stesse economie dei singoli stati, principalmente sotto tre forme: pacchetti di (auto-)sanzioni nominalmente dirette contro Mosca, invio di aiuti multimiliardari senza precedenti al regime di Kiev e, forse la più grave di tutte, drastica riduzione, con prospettiva di azzeramento, delle forniture di gas e petrolio dalla Russia.

Queste misure sono state doppiamente dannose, non solo perché hanno introdotto un fardello insostenibile per l’economia dell’Europa e i redditi dei suoi abitanti, ma anche per il fatto che si sono basate su inganno e menzogna, cioè sono state propagandate come necessarie a combattere una brutale e immotivata aggressione contro un paese innocente e un modello di democrazia. Lo stop autoinflitto alla disponibilità di energia a basso costo grazie ai prodotti russi ha rappresentato così la rimozione dell’elemento fondante della competitività dell’industria europea. Un’auto-evirazione avvenuta oltretutto con atti oggettivamente terroristici, come la clamorosa esplosione che a settembre 2022 distrusse il gasdotto Nord Stream, per mano – a seconda delle linee investigative più o meno ufficiali – ucraina, polacca o americana.

I numeri che disegnano la situazione attuale aiutano a comprendere la follia collettiva che da quasi quattro anni pervade la classe dirigente europea, con pochissime eccezioni. Solo la spesa militare stanziata per l’Ucraina dall’Europa ammonta finora a circa 180 miliardi di euro. Una cifra con pochi o nessun precedente, soprattutto per un progetto fallimentare risoltosi nella distruzione di interi arsenali e, quel che è peggio, di intere generazioni di ucraini. Questo spreco non dà però ancora l’idea della catastrofe auto-indotta dai vari Macron, Scholz, Merz, Tusk, Starmer, Von den Leyen e molti altri ancora. Secondo alcune stime, se si sommano gli “aiuti” dati a Kiev alla perdita economica e ad altre voci direttamente collegate alla tragedia ucraina, l’Europa ha sostenuto finora un costo complessivo che si aggira attorno ai 700 miliardi di euro. Questa cifra assurda non include nemmeno il prezzo extra pagato da privati e imprese in seguito alla perdita delle forniture di gas e petrolio russi.

La condotta dei vertici europei è stata quindi niente meno che criminale in questi anni, anche se nessuno dei leader responsabili sarà mai chiamato a renderne conto. Anzi, quello che si sta preparando è un’accelerazione delle politiche militariste che implicano un ulteriore drenaggio delle risorse pubbliche dai programmi di welfare all’acquisto di armi. La ragione di ciò: la sconfitta storica nella guerra portata direttamente alla Russia e il drammatico ridimensionamento del ruolo globale dell’Europa. Il tutto ovviamente spacciato come una necessità assoluta per far fronte alla (inesistente) minaccia militare di Mosca.

A proposito di criminalità, la classe dirigente europea si è dedicata anche ad altre iniziative palesemente illegali per cercare disperatamente di evitare o ritardare la resa dei conti in Ucraina. La più macroscopica è l’appropriazione dei fondi russi congelati in Europa, attraverso un provvedimento anch’esso illegittimo, dopo l’inizio delle operazioni militari nel febbraio 2022. Si tratta di oltre duecento miliardi di euro fermi presso la belga Euroclear a cui Bruxelles ha già illegalmente attinto per quanto riguarda i soli interessi che hanno generato. Il buco nero ucraino richiede sempre di più massicci flussi di denaro per evitare il tracollo dello stato e delle forze armate, ma la situazione finanziaria europea risulta ormai insostenibile, così che i fondi russi sono ora l’obiettivo numero uno per aprire una nuova linea di credito verso Kiev.

Ciò che serve è “solo” uno strumento creato ad hoc che trasformi un furto in un’operazione dall’apparenza legale. Ci sono profonde divisioni in sede UE tra i governi che spingono per questa appropriazione pura e semplice e altri che consigliano prudenza viste le implicazioni legali, le ritorsioni russe e il danno in termini di credibilità per l’Europa. Una decisione definitiva potrebbe essere presa il prossimo dicembre ma le conseguenze per quel che riguarda la potenziale o già avvenuta violazione del diritto internazionale da parte europea hanno causato da tempo conseguenze nefaste.

Così almeno si deduce dai dati sugli investimenti esteri verso l’Europa, citati dal già ricordato articolo di Euractiv, che evidenziano una crescente sfiducia nei confronti del vecchio continente. Sfiducia alimentata non solo dal pericolo che investimenti e “asset” vari possano essere di fatto sequestrati in qualsiasi momento dalle autorità europee senza il minimo riguardo per la legge. Ma anche, appunto, per la perdita di competitività del sistema Europa e il costo astronomico dell’energia. Uno studio pubblicato lo scorso maggio da EY ha rilevato come gli investimenti diretti dall’estero (FDI) siano calati per il secondo anno consecutivo nel 2024, toccando il livello più basso degli ultimi nove anni. Una tendenza che, evidentemente, non si invertirà se l’Europa dovesse procedere con il sequestro di fatto dei fondi russi congelati.

La traiettoria del costo dell’energia è inoltre destinata a salire dopo la decisione presa il mese scorso da Bruxelles di proibire totalmente le importazioni di gas e petrolio dalla Russia a partire dal primo gennaio 2028. Una misura adottata anch’essa in violazione delle regole, dal momento che, con un espediente pseudo-legale, è stato escluso il requisito dell’unanimità a favore di quello della maggioranza qualificata. Questa manovra ha neutralizzato la ferma opposizione di paesi come Ungheria e Slovacchia.

L’apoteosi della stupidità della classe dirigente europea è stata però raggiunta nella gestione dei rapporti transatlantici dopo il ritorno di Trump alla Casa Bianca. La vicenda più curiosa si collega a un altro dei fattori citati dall’articolo di Euractiv come ostacolo alla crescita economica del vecchio continente, ovvero i dazi imposti da Trump sulle importazioni di merci europee. L’Europa ha in definitiva accettato i diktat della Casa Bianca, danneggiando le proprie aziende esportatrici, nel tentativo di tenere l’amministrazione repubblicana ancorata al progetto Ucraina.

Oltre a rinunciare anche solo a negoziare la riduzione o la cancellazione dei dazi, l’Europa ha acconsentito a importare gas americano a prezzi esorbitanti, sempre sperando che Trump restasse sulla stessa lunghezza d’onda del suo predecessore riguardo la guerra contro la Russia. Il risultato è stato però l’ennesimo disastro. Il presidente americano ha scavalcato ripetutamente Bruxelles nelle trattative con Mosca e ha alla fine deciso di non interrompere del tutto i trasferimenti di armi a Kiev solo a condizione che a farsi carico dei costi sia la stessa Europa, costretta quindi all’ennesimo suicidio, vale a dire acquistando dai produttori americani il necessario per cercare di tenere a galla il regime di Zelensky.

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Comments

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Tonino
Saturday, 08 November 2025 19:16
È ora di smetterla di ripetere questo mantra delle "tendenze autolesioniste", "auto-evirazione", etc.: questo ragionamento si basa sull'assunto che i decisori europei operino in buona fede e semplicemente facciano scelte sbagliate per stupidità o scarsa lucidità. È evidente che non è così: semplicemente gli interessi che li guidano sono altri. I soldi spesi per comprare armi da dare a Kiev o per ricostituire gli arsenali non spariscono nel nulla: qualcuno alla fine li intasca, e quel qualcuno - il complesso militare-industriale americano e in parte anche europeo - è anche chi in larga parte finanzia (direttamente o tramite organizzazioni come certi think tank transatlantici) il ceto politico brussellese e quelli dei singoli Stati europei. I personaggi che siedono a Bruxelles e dintorni non sono stupidi, sono fin troppo scaltri nel fare i propri interessi: finché non si capisce questo non sarà nemmeno possibile combatterli.
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