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Israele e la guerra nel cuore dell'Impero

di Davide Malacaria

Qualcosa di grosso sta succedendo negli States e non è solo l’elezione di Mamdami a sindaco di New York, pure impensabile solo qualche mese fa avendo contro tanta comunità ebraica americana e tanti miliardari. Qualcosa che può essere identificata come una vera propria rivolta contro l’Israel First, secondo una precipua definizione di The American Conservative.

Se la rivolta nel partito democratico si disvela nell’ascesa di figure socialiste come Mamdami – un socialismo americano, nulla a che vedere con la sinistra europea – che ieri ha visto la vittoria a Seattle di un altro sindaco che si dice “socialista”, molto più interessante appare quanto accade nel partito repubblicano.

In questo ambito è ormai guerra aperta tra movimento Maga e l’establishment neocon, conflitto che verte sulla sudditanza Usa a Israele e sulla morsa dello Stato profondo su Trump. Uno scontro nel quale sta uscendo fuori di tutto. E qui le cose si fanno davvero interessanti.

A guidare la rivolta, a parte alcuni esponenti politici del mondo Maga, alcuni influencer più seguiti del New York Times e del Washington Post messi assieme, un fenomeno tutto americano che è un po’ il prosieguo delle figure immortalate nei film anni ’70 e ’80 che vedevano il solitario speaker radiofonico denunciare le malefatte del sistema.

Se in precedenza il marchio di complottismo – termine diventato d’uso comune dopo l’omicidio di JFK, brandito per marginalizzare quanti si interpellavano sul crimine – bastava a marginalizzare le voci critiche, ora non basta più. Anche perché si tratta di un mondo variegato, con ognuno di essi che vive di vita propria e che però, nelle differenze di interessi e di approccio, si spalleggiano, essendo consapevoli che da singoli non durerebbero molto.

Un mondo magmatico che va da Tucker Carlson ad Alex Jones, da Candace Owens a Magyn Kelly fino a Max Blumenthal, per citare i più noti, e che inizia a far paura al governo israeliano, che ha lanciato una campagna di influenza negli States a suon di milioni di dollari, temendo tra le altre cose di perdere la presa sugli evangelicals, ai quali tanti di essi si rivolgono, e cioè la massa elettorale allineata agli interessi di Tel Aviv.

Né sono da meno l’AIPAC, la lobby ebraica pro-Israele, e l’Anti-Defamation Legue che hanno ingaggiato una vero e proprio duello pubblico con Mamdami e con Tucker Carlson, mentre altri duelli sono meno pubblici ma non meno virulenti.

Se la Owens si concentra sull’assassinio, la pubblica esecuzione come afferma lei, del suo amico Charlie Kirk, tirando fuori particolari che dimostrano al di là di ogni ragionevole dubbio che a sparare non è stato il fucile attribuito all’asserito killer Tyler Robinson – la pallottola di quel fucile l’avrebbe decapitato… – Carlson ha rivelato i messaggi di testo di Thomas Crooks – protagonista dell’attentato contro Trump a Butler – dimostrando che era in contatto con qualcuno che sembra averlo istigato al delitto e interrogandosi se sia stato reclutato e/o addestrato alla bisogna e sul perché l’FBI stia nascondendo tutto.

Stili diversi quelli dei due, con la Owens molto più puntuta del suo più pacato amico, come diversi sono gli stili di altri, ma, come detto, si spalleggiano a vicenda, rendendo difficile isolarli, delegittimarli o metterli a tacere.

Lo si è visto con l’ultimo caso che citiamo sia perché dirompente, sia per i tanti risvolti. Tucker Carlson si è attirato le ire della lobby pro-Israele per aver ospitato nel suo show Nick Fuentes, le cui opinioni sono decisamente estreme, spaziando da un inaccettabile suprematismo bianco ad altro ancora più inaccettabile.

Non è questa la sede per approfondire l’ospitata, che Carlson, figura non certo estrema, ha difeso a modo suo, quanto ciò che è accaduto successivamente, dal momento che la scelta dell’anchorman ha dato modo ai suoi mortali nemici di scatenarsi come non mai contro di lui.

Nelle more di questa tempesta, Carlson ha confermato quanto affermato in precedenza dalla Owens sul fatto che Charlie Kirk aveva cambiato verso su Israele, da sostenitore a critico.

Infatti, l’anchorman ha affermato che quando a luglio era stato ospitato a un evento di Kirk, questi, prima che parlasse, lo aveva esortato a dare il massimo contro Israele.

Punto più che dolente, dal momento che sia Israele che la lobby israeliana Usa avevano in precedenza contestato con molta aggressività le rivelazioni in tal senso dalla Owens e di Max Blumenthal (i primi a rivelare il ri-orientamento di Kirk).

Da cui un intervento più che aggressivo di Ben Shapiro, il guru del mainstraem americano pro-Israele, nello show di Megyn Kelly, alla quale ha chiesto, anzi preteso, che prendesse le distanze dal suo amico Carlson.

Poco dopo però, la Kelly rivelava un video, che dice di aver ritrovato per caso, che immortalava Kirk che, nell’occasione segnalata da Carlson, diceva esattamente quanto affermato dall’anchorman (“go max, go max”).

Se segnaliamo questa feroce diatriba, che si interseca con altre che stanno infiammando i rapporti tra la lobby pro-Israele e il movimento Maga, è appunto perché dimostra il focus della vicenda ed evidenzia che per la prima volta da decenni l’influenza di Israele negli States è in discussione. Né è un caso che quasi tutte le figure citate abbiano denunciato il genocidio di Gaza e stigmatizzino il cedimento di Trump alla lobby israeliana.

Tutto ciò può avere conseguenze dirompenti. Ieri, ad esempio, Trump ha difeso Carlson… Dell’importanza della partita è perfettamente conscio Netanyahu, per il quale l’America è “l’ottavo fronte“, oltre ai sette aperti in Medio oriente.

Terminologia bellica usata non certo a caso. Tanto che ieri si è fatto interpellare da un cronista sulle sue letture. “Ebrei contro Roma”, ha risposto segnalando il libro che sta leggendo ora. “Abbiamo perso quella guerra, dobbiamo vincere la prossima”, ha chiosato. Scontro dal quale dipende tanto, in America e nel mondo.

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