Gaza e Darwin
di Il Simplicissimus
Oggi che la cronaca langue forse è il caso di fare qualche passo oltre la soglia delle tristi cronache. Tutte le persone dotate di un cervello e di un cuore, cosa ormai piuttosto rara, si domandano come sia stato possibile assistere per due anni a un genocidio a cielo aperto come quello di Gaza senza intervenire, anzi armando e sostenendo finanziariamente il sionismo stragista. Parlo dell’Occidente ovviamente, che solo dopo due anni di orribili massacri ha cominciato a prendere ipocritamente e timidamente le distanze, più pro forma che nella sostanza. Tanto che la famosa tregua di Trump, in realtà mai davvero osservata, fondava le sue basi sulla messa in mora dell’idea di uno Stato palestinese. Ora possiamo discutere all’infinito del potere delle lobby israeliane che ovviamente esiste e non può essere messo da parte, ma con questo non si coglierebbe il nucleo di un problema che si ripresenta di volta in volta con sempre maggior frequenza negli ultimi anni. Per esempio il cinismo assoluto con cui le élite occidentali hanno immolato il popolo ucraino in nome delle loro mire sulla Russia, per esempio la noncuranza verso le vite dei loro stessi cittadini facendoli divenire cavie paganti dell’industria farmaceutica, per esempio l’impudenza nel sottrarre diritti e libertà facendo finta che questa sia democrazia.
Tutto questo va spiegato in termini più profondi, cioè in quelli della cultura anglosassone che ha di fatto spazzato via tutte le altre, almeno nel nostro mondo al tramonto. Essa si regge da secoli su tre pilastri: l’individualismo assoluto che esalta le virtù dello scontro e sottovaluta il solidarismo, il maltusianesimo da ricchi che vede la soluzione di ogni problema in una caduta demografica e il darwinismo sociale.
Si tratta di temi strettamente connessi fra di loro, ma l’ultimo è il più interessante perché non fornisce alcun fondamento a valori morali oggettivi, (dico oggettivi non trascendenti come molti si aspetterebbero) dal momento che esso è solo cieca affermazione di sé, ovvero del proprio patrimonio genetico. Siamo lontanissimi, anzi agli antipodi, dell’imperativo categorico di Kant che aveva tentato di liberare il mondo umano dal determinismo fisico e reso la morale una facoltà a priori attraverso la quale abitiamo e vediamo il mondo. Ma questo crea anche una frattura e un’incoerenza: come si può giudicare giusto o sbagliato qualcosa, senza un fondamento etico e morale? Come sostiene il filosofo britannico Michael Ruse, uno dei darwinisti e dei sociobiologi più in vista, “La moralità è solo un aiuto alla sopravvivenza e alla riproduzione, e non esiste nulla al di là o al di fuori di questo.”
Se questo è il punto di partenza, allora non ci sarebbe nulla di intrinsecamente sbagliato nell’applicazione da parte del regime israeliano di quello stesso principio per la propria sopravvivenza, ovvero attraverso il massacro e l’eradicazione dei palestinesi. In tal senso, il governo di Tel Aviv e Benjamin Netanyahu in particolare, agirebbero in piena conformità con il principio evolutivo che è alla base della sociobiologia. Sorge però un problema: se la moralità non è altro che un’illusione evolutiva, allora non esiste alcuna base razionale o morale su cui condannare azioni come l’inganno, l’oppressione o persino il genocidio. Farlo significherebbe semplicemente esprimere una preferenza personale o culturale, non una verità morale oggettiva. Di conseguenza, qualsiasi tentativo di parlare di “progresso o degrado morale” di condannare particolari movimenti politici o ideologici, crolla nell’incoerenza. E qui cascano gli asini. Un altro filosofo associato alla sociobiologia e al darwinismo sociale, anzi il più noto fra questi, Kevin MacDonald, in un libro dedicato all’individualismo, dice che “C’è un senso di rettitudine morale e una consapevolezza dell’ipocrisia e della corruzione dei nostri nemici, in particolare delle élite globaliste che ora controllano il destino dell’Occidente.” Ma come potrebbe essere possibile questo se l’etica fosse solo un labile sottoprodotto dell’evoluzione? Dostoevskij nei fratelli Karamazov mette in primo piano la figura di Ivan, pronto ad avanzare teorie sulla realtà, ma così impreparato ad affrontarne le conseguenze che alla fine impazzisce. E questa è una fotografia realistica dell’Occidente attuale.
Il fatto è che il darwinismo sociale permane nella cultura quando il darwinismo biologico, con i suoi meccanismi, è ormai ampiamente superato. Darwin non conosceva la genetica e ipotizzava piccioli e insensibili cambiamenti per adattarsi all’ambiente che si accumulavano e man mano portavano all’evoluzione delle forme di vita. Tale meccanismo era solamente ed esclusivamente individuale. Disgraziatamente la genetica non è di tipo analogico, ma digitale: un gene c’è o non c’è, agisce o non agisce e perciò questa visione, poi debordata a ideologia sociale, non ha più nemmeno un valore euristico. L’evoluzione al contrario, come ormai molti evoluzionisti riconoscono, agisce a livello di gruppo, di specie o di aggregazione di specie, è insomma assai più collaborativa di quanto non piaccia pensare a certi signori, perché in questo caso l’etica anche nel caso fosse un prodotto per la sopravvivenza, avrebbe un senso. E gli stessi signori una colpa.







































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