Dalle grandi opere inutili e imposte alla grande opera suicida
di Tiziano Cardosi
Riflessioni dopo il convegno di Avigliana 18 ottobre 2025 “Grandi opere – Storie di opacità”
Prima di entrare nel merito dei temi che concernono l’estrema ipotesi di essere chiamati a modellare una diversa politica estera per il paese, occorre procedere a un’operazione preliminare, decolonizzare la mente dalla macchina della menzogna che inquina la vita pubblica, nazionale e internazionale in ogni dove.
Alberto Bradanini
Dalle grandi opere inutili e opache…
Le parole dell’Ambasciatore Alberto Bradanini sull’inquinamento della politica estera può benissimo essere esteso anche ad altri aspetti del mondo contemporaneo, per esempio il mondo delle grandi opere inutili, imposte e anche molto opache; pure queste nascono da falsità che dopo decenni riempiono ancora la bocca di troppi. La principale è che i problemi economici dell’Italia nascano da un insufficiente sistema infrastrutturale, dall’eccessivo intervento dello Stato nel sistema economico, dagli ostacoli posti al libero dispiegarsi dell’iniziativa privata. Dopo decenni di verifiche empiriche possiamo dire serenamente che è vero il contrario, è arrivata una stagnazione di lunga durata proprio nello stesso momento in cui c’è stato l’avvento di TAV SpA e delle grandi opere, lo smantellamento dell’IRI, la tempesta delle privatizzazioni.
Le grandi opere inutili sono un fenomeno importante nella storia economica e sociale italiana, sono state uno spartiacque importante che ha segnato una netta cesura tra un sistema economico con una forte impronta pubblica e con tassi di crescita sostenuti, verso un sistema di chiaro impianto liberista in cui l’intervento dello Stato si deve limitare a favorire in ogni modo l’azione dei soggetti economici privati che riescono a condizionare il potere politico. Le modalità di realizzazione delle grandi opere dagli anni ‘90 sono l’emblema dell’opacità introdotta nel rapporto pubblico-privato; le grandi opere opache sono sostanzialmente la privatizzazione del settore degli appalti in cui al soggetto pubblico resta solo la funzione di pagatore. La trasformazione dell’allora FS in una società per azioni ha esentato il suo operato dai controlli cui erano sottoposti gli appalti pubblici. Non è che prima di FS SpA fosse il paradiso dell’onestà ma, una volta tolti anche quei controlli, i costi sono andati alle stelle crescendo di quattro, cinque volte. L’opacità è stato un ingrediente indispensabile per l’avvento e la crescita delle grandi opere che hanno consentito, a loro volta, la crescita del settore finanziario a esse legato.
Le grandi opere inutili, imposte e opache sono state un segmento di quella finanziarizzazione che ha caratterizzato le economie occidentali in risposta a una crisi dovuta alla difficoltà di reinvestire i capitali accumulati dopo la crescita della cosiddetta età dell’oro, sono prodotti di cui non c’è una vera domanda (questa ci sarebbe soprattutto nel servizio pubblico locale finanziato con modalità molto diverse dall’attuale), ma garantiscono enormi profitti in questa fase economica fatta di bolle speculative e di aumento vertiginoso delle disuguaglianze.
Il modello contrattuale nato con TAV SpA è stato poi perfezionato e reso ancor più subdolo con la versione italiana del project financing; adesso viene usato anche per progetti che potrebbero avere utilità sociale, ma opacità economica e costi fuori misura sono la norma e ne fanno un sostanziale strumento di estrazione di ricchezza collettiva a favore dell’élite che controlla il sistema finanziario. La caratteristica costante è lo sbilanciamento in favore del costruttore che viene sempre garantito a scapito degli utenti e del soggetto pubblico. Qui ritorna la denuncia di Cicconi che parlava di “privatizzazione della spesa pubblica”.
…alla grande opera suicida
Pare che al peggio non ci sia fine e oggi l’esplosione dell’economia finanziarizzata ha aggravato i problemi, si profila una nuova gigantesca opera inutile, per di più assai pericolosa: il riarmo. Con questo non vogliamo dire che non esistano situazioni di conflitto e di guerra, purtroppo ce ne sono troppe, ma qua in Europa i motivi per giustificare il massiccio investimento in armi sono pretestuosi e sarebbero comunque facilmente risolvibili; l’aspetto economico ed estrattivista è molto importante.
Senza entrare nei dettagli delle dinamiche geopolitiche che giustificherebbero questa folle scelta con l’aumento delle spese al 5% per il Ministero della difesa, è bene sia chiaro che questi nuovi investimenti nelle armi sono per finanziare una nuova bolla speculativa. Il debito degli Stati Uniti, in particolare quello delle spese correnti, è sull’orlo dell’ingestibilità, sarebbe urgente un brusco cambiamento delle politiche economiche, ma la strada è in salita e i tentativi finora non paiono paganti. Dazi e soprattutto l’imposizione agli alleati di acquisti di armi e gas di scisto (molto costoso) è un disperato tentativo di mettere una toppa alla propria situazione debitoria. Niente di meglio che inventarsi una guerra per vendere armi; ma la minaccia di una invasione da parte della Russia è un argomento ridicolo per giustificare questa nuova bolla. La verità è la prima vittima delle guerre, ma a questo giro non sanno nemmeno inventarsene una: un giorno viene presentata la Russia con l’economia sull’orlo di un baratro e della sconfitta militare, il giorno dopo come minacciosa potenza in grado di conquistare un continente intero; per essere, non dico credibili, ma almeno coerenti, bisognerebbe mettersi d’accordo sulla fandonia da raccontare. L’importante è creare un clima di allarme che faccia accettare la necessità di comprare sempre più armi.
Questa frenesia bellica che ha invaso le menti di molti governi e della Commissione Europea si dimentica che il nemico che si cerca di creare è la più grande potenza nucleare del mondo; davvero si pensa di andare ad uno scontro militare che sarebbe un suicidio globale? Davvero il senso della misura e della realtà è alieno a questa Europa ormai zimbello del mondo?
È utile ricordare un piccolo libro di Seymour Melman, economista e pacifista statunitense, che da sempre ha denunciato il carattere predatorio del settore militare: Guerra SpA. Uscito postumo nel 2006 ha un titolo estremamente chiarificatore. Dopo una vita passata a denunciare come l’ipertrofia del complesso militare industriale statunitense avesse creato, già alla fine del XX secolo, deindustrializzazione, concentramento di ricchezza e potere all’interno del suo paese, l’autore faceva inquietanti esempi di costi fuori da ogni logica, faceva anche notare come l’allora ministro della difesa Donald Rumsfeld avesse detto candidamente che nel Pentagono «non possiamo rintracciare 2.300 miliardi di dollari di transazioni». Una cifra mostruosa che dà la misura del giro di interessi legati ai fondi pubblici per la difesa. Già Eisenhower e Kennedy negli anni ‘50 e ‘60 mettevano in guardia il loro paese dal complesso militare industriale, adesso questo soggetto è divenuto ingovernabile.
Nell’ultimo decennio nuovi protagonisti hanno preso importanza, fondi di investimento come Blackrock, Vanguard Group, State Street hanno acquisito quote importanti di risparmio globale e lo stanno reinvestendo in asset dei grandi produttori di armi, anche in quelli europei, compresa Leonardo. In questo contesto sarebbe bene ricordare un aspetto che non è secondario e viene ricordato da militari e osservatori del settore: i costi delle armi occidentali sono enormi in confronto a quelli di potenze emergenti, ma nonostante questo non hanno dato buoni risultati negli scenari di guerra. Alcuni esempi per chiarire: un carro armato tedesco Leopard costa circa 29 milioni di euro, un carro Abrams statunitense 15, un carro russo circa 5, un carro cinese meno di 2. Dove purtroppo questi ordigni sono stati utilizzati le armi occidentali non hanno dato una grande prova di sé; una sintetica ed efficace spiegazione di questo l’ha data il giornalista ed esperto militare Gianadrea Gaiani: “La Russia costruisce armi per fare la guerra, in occidente si costruiscono per fare quattrini”.
Anche il riarmo è una grande opera inutile perché non ci sarebbe bisogno di guerra se non ci fossero ancora pulsioni imperialistiche; costruire strumenti di morte non risponde a oggettive necessità, si fa per garantire profitti enormi, gonfiare la bolla speculativa e alleggerire il grave debito degli Stati Uniti; il tutto senza dimenticare che per i paesi europei è già adesso un suicidio economico e lo sarebbe anche militare.
Le armi, come ci suggerisce Borges in alcuni suoi racconti di guappi portegni, sembra abbiano un’anima e siano loro a guidare le mani e le menti degli uomini. Accumulare arsenali invece che favorire dialogo e sforzi diplomatici è pura follia suicida, soprattutto nell’era delle armi nucleari. Ma per fortuna una notizia come la vittoria a New York di una persona come Zohran Mamdani è un segno grande di speranza per il futuro.







































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