La signora Anna Negri e gli anni ’70 e ’80
di Michele Castaldo
Lunedì 10 novembre, il Corriere della sera, giornale dell’establishment, che ha difeso attraverso i suoi editorialisti l’azione dello Stato sionista di Israele che ha compiuto e continua a compiere un genocidio nei confronti del popolo palestinese e la distruzione di Gaza, bene, questo giornale pubblica una intervista alla figlia di Antonio (detto Toni) Negri che da regista promuove il suo film intervistata da quel campione di ex “comunista” di Walter Veltroni.
I temi trattati sono due, un primo tema riguarda la sua condanna del padre per essersi dedicato prevalentemente, se non esclusivamente, alla lotta politica e poco, o per niente alla famiglia. Al punto che lo ha voluto a tutti i costi rimproverare negli ultimi giorni della sua vita e accompagnarlo a morire coi sensi di colpa.
Un secondo tema, più specifico, riguardo al ruolo avuto da alcune formazioni politiche che negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso avevano intrapreso, quella che veniva definita la lotta armata per il comunismo.
Sono stato, a tutto tondo, un militante comunista di quegli anni e ancora tale mi ritengo oggi, quando mi manca poco prima di abbandonare la carcassa alla grigia terra, e fui travolto dall’entusiasmo di quegli anni a dedicarmi alla causa dei disoccupati, degli operai, dei senza casa, dei contadini poveri, degli immigrati, contro l’imperialismo, contro le stragi di Stato, contro le azioni camorristiche e la mafia, contro la repressione dello Stato, contro lo squadrismo fascista e così via.
Scesi in piazza, insieme a tanti altri militanti contro l’operazione denominata 7 aprile, del 1977, con l’arresto di Toni Negri, che avevo soltanto intravisto in qualche assemblea, senza domandarmi se fosse innocente o meno, era uno di noi, come alcune migliaia di militanti che erano stati attratti dalla causa del comunismo, in difesa degli oppressi e sfruttati.
Ho militato in alcune minuscole organizzazioni dell’estremismo di sinistra, e sono finito in carcere, da solo o con altri compagni, perché il potere doveva sedare il movimento di massa che ci esprimeva, come nel febbraio 1981 a seguito dei disastri provocati dal terremoto e dall’incuria delle autorità istituzionali. Addirittura con l’accusa di associazione sovversiva, solo perché eravamo alla testa di un movimento di massa che chiedeva case e lavoro. Non ho mai avuto ripensamenti, non ho mai cercato di distinguere la mia posizione politica del gruppo cui facevo parte dagli altri, perché mi rivedevo in una causa comune.
Fummo una generazione che si dovette battere anche contro una posizione, come quella interpretata dal Pci, che voleva a tutti i costi convergere verso il potere del governo centrale, oltre quello delle amministrazioni locali, fino a porsi sotto l’ombrello della Nato e chiedere alla classe operaia, che organizzava, di farsi Stato e tale si fece, fino al punto da organizzare servizi d’ordine, contro i movimenti giovanili di quegli anni. Servizi d’ordine come oggi vengono invocati dal sociologo De Rita, contro lo spontaneismo delle mobilitazioni contro lo Stato sionista per il genocidio nei confronti dei palestinesi.
La condanna ex post, da parte della signora Negri, che mette le mani avanti, evidentemente critica il passato per farsi buona consigliera nei confronti delle giovani generazioni, per non fungere da “cattiva maestra”, come il padre veniva colpevolizzato insieme ad altri intellettuali. Senza sapere che i cosiddetti cattivi maestri altro non erano, non sono e non saranno che espressioni di un malessere sempre più profondo che promana dal sottofondo sociale ed emerge in superficie.
Alla signora Negri andrebbe spiegato che la nostra generazione, di quelli nati sul finire degli anni ’40, portavamo nei cuori e nelle menti le sofferenze dei nostri genitori per la guerra, una guerra di uno scontro intercolonialista e interimperialistico, di cui i nostri padri non erano affatto responsabili. Esprimevamo, perciò, un malessere spontaneo, inconscio ma vero. Per come sapevamo e potevamo, e venivamo attratti da una nobile causa: quella del comunismo, contro le ingiustizie di una organizzazione sociale che insieme allo sviluppo economico produceva morti sul lavoro e stragi.
Poi i fatti ci hanno dato torto, perché quella classe operaia, che pensavamo potesse lottare contro il capitalismo è stata totalmente integrata e liquefatta come classe. Il suo partito dopo l’implosione dell’Urss passò armi e bagagli con la mammella americana, il sindacato è stato reso imbelle per la crisi, e le nuove generazioni giovanili resi individui privi di capacità coesiva. Che questi siano i fatti è fuori discussione. Insomma siamo stati messi di fronte alla realtà, una realtà molto diversa da come l’avevamo immaginata e per la quale ci eravamo battuti. Sicché come residuali di una generazione che fu, non abbiamo più niente da dire.
Ma, se è vero che la nottola s’alza in volo sul far della sera, è altrettanto vero che gli sciacalli planano sulle carogne, e salire sul piedistallo oggi, dunque in ex post, per esprimere sentimenti di «condanna, senza riserve» addirittura adducendo che «Il terrorismo ha portato via quell’energia, l’ha imprigionata» vuol dire mostrare tutta l’incapacità a capire cosa è la società e da quali leggi è mossa.
Andrebbe detto alla signora Negri, che a suo tempo ci fu un intellettuale serio, Alberto Asor Rosa, che seppe ben descrivere da cosa originava il disagio giovanile degli esclusi. Un movimento che fu sconfitto non dal cosiddetto terrorismo, ma dall’introduzione di una famosa legge, la 285, fatta apposta, che favorì l’assunzione nella Pubblica Amministrazione di oltre mezzo milione di giovani, per prosciugare l’acqua, si disse, che alimentava il terrorismo.
Se Anna Negri deve rilanciarsi come regista e personaggio del mondo dello spettacolo, è affar suo, ma c’è modo e modo di far carriera, al servizio di sua maestà establishment, e il suo modo fa parte dei livelli più infimi e servili, perché da un lato è incapace di cogliere le ragioni che muovono la storia, mentre dall’altro lato sputa fango sul padre, reo – come detto – di essere stato poco padre e di aver idealizzato e alluso a una lotta politica poco democratica o antidemocratica. Insomma un modo non proprio affettuoso e onesto, per l’uomo padre Toni Negri.
I movimenti di massa, come quelli degli anni ’70 e ’80, del secolo passato, non avevano bisogno di maestri, più o meno cattivi, per decidere cosa essere e come comportarsi, glielo indicavano le tragedie prodotte dal modo di produzione, nonostante fosse ancora in crescita. Mentre quelli di questa fase storica i suoi comportamenti altro non sono che la reazione a quello che è sotto gli occhi di tutti: basta osservare il fatto che la Comunità ebraica mondiale si è trovata di fronte a dover scegliere se essere ebrei o sionisti, di fronte al genocidio operato dal governo di Netanyahu per conto dell’insieme dell’Occidente. Un Occidente costretto poi a imporre a Netanyahu di contrattare una tregua con Hamas per frenare il dilagare delle mobilitazioni delle nuove generazioni. Una Comunità, quella ebraica, che è passata da vittima a carnefice nel giro di poco più di 50 anni, che per la storia sono un alito. E la dimostrazione sta nel fatto che in quanto Comunità non ha mai condannato il genocidio, schierandosi così, col sionismo.
Questo in generale, e nello specifico va detto che negli Usa le mobilitazioni hanno visto manifestare insieme i giovani di ogni colore, proprio quando Trump col Maga, insieme ai suoi accoliti chiamano alla guerra civile contro i neri e gli immigrati.
È il segno dei tempi, egregia signora Negri e non saranno le sue parole a indirizzare le nuove proteste in modo pacifico e democratico o meno, perché l’umore delle masse è determinato da uno stato di necessità e di prospettive che prescinde dai pensieri. Si tratta di una concezione a cui è difficile arrivare, in modo particolare per chi si predispone al servilismo nei confronti dell’establishment, in funzione del proprio carrierismo nella società liberista in declino.
Vien da chiedersi: perché mostrarsi con un padre vecchio, con la cannula dell’ossigeno, verso la fine della sua vita, quando non lo ha – per sua stessa ammissione – mai amato?







































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