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mondocane

Bye bye Grande Israele. Libano, inizio della fine per chi?

di Fulvio Grimaldi

Libano bandiere1.jpgByoblu, Arianna Graziato intervista Fulvio Grimaldi

https://www.byoblu.com/2024/11/27/medio-oriente-arriva-la-tregua-ma-manca-la-pace-che-idea-ti-sei-fatto/

Avete presente quel pugile, Tyson, a 58 anni vecchio come il cucco, ma con una carriera di sfracelli alle spalle? Ci riprova, è chiuso all’angolo, mena colpi all’impazzata senza cogliere il bersaglio, barcolla, si aggrappa alle corde, crollerà. Qualcuno getta l’asciugamano, si chiama Amos Hochstein, israelo-americano dell’IDF.

E’ andata così a Beirut nei giorni scorsi, ma, a dispetto della complicità delle varie mafiosità predatrici dell’Occidente politico, neanche la tregua di 60 giorni salverà Israele dall’abominio universale con cui lo vede e tratta la parte migliore dell’umanità.

Contro il Libano, obiettivo da distruggere per far spazio alla Grande Israele, colpo fallito nel 2000 e nel 2006 col naso rotto da Hezbollah, Israele, che già non riesce a domare Hamas in una striscia di 60km x 10 bombardata e genocidata da 14 mesi, doveva:

  • - mettere in sicurezza 150.000 esasperati cittadini cacciati dalle loro colonie nel Nord e nel Sud della Palestina occupata e che ora arrivano a prendere a pugni i propri soldati, in gran parte riservisti che non gliela fanno più.
  • - Sollecitare al ritorno i 700.000 occupanti della Palestina che, a causa dei casini in corso, dentro Israele e tutt’intorno, hanno abbandonato Israele e da paese dell’immigrazione (indispensabile per contenere la prolificità palestinese) lo hanno ridotto a paese della gente in fuga.

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sinistra

BITCOIN. Un'alternativa digitale?

di Tony Norfield[1]

Con BTC vicino2 1200x556.jpgAll'inizio ho prestato poca attenzione ai Bitcoin, pensando che probabilmente ci fossero più imitatori di Elvis Presley di quante persone al mondo lo abbiano scambiato o posseduto. Ma visto che le banche centrali hanno rilasciato dichiarazioni politiche sui Bitcoin, che l'FBI ha sequestrato asset Bitcoin utilizzati dagli spacciatori di droga e che le autorità fiscali hanno fornito indicazioni sulle passività per plusvalenze, mentre i gruppi finanziari stanno progettando di offrire fondi negoziati in borsa denominati in Bitcoin, ho deciso di dargli una seconda occhiata. Questo articolo fornisce la mia valutazione di questa valuta digitale alternativa. Il Bitcoin è emerso dalle macerie del sistema monetario internazionale nel 2008, quando numerose banche hanno avuto un'esperienza di pre-morte e alcune sono state effettivamente sepolte. È stato ideato da un team di specialisti del software, guidati da un certo Satoshi Nakamoto. A marzo, Newsweek ha affermato di aver smascherato questo misterioso uomo internazionale come un modesto ingegnere giapponese-americano in pensione, ma quest'ultimo lo nega e sono in corso cause legali. Tuttavia, è possibile analizzare i Bitcoin senza entrare nei dettagli delle personalità coinvolte. Ci sono due aspetti chiave dei Bitcoin: un sistema di pagamenti basato su Internet e un'unità di valuta speciale per il pagamento tra diversi account Internet. Il primo è ragionevolmente innovativo; il secondo è bizzarro. Sebbene siano strettamente collegati, è utile considerarli separatamente.

 

Il sistema

Con i Bitcoin puoi effettuare pagamenti tra singoli conti su Internet in un modo che non utilizza il sistema bancario. Ciò solleva una serie di domande sull'accesso all'account, l'identità e la sicurezza che gli sviluppatori di software hanno cercato di risolvere e, per lo più, hanno risolto (vedi Wikipedia su Bitcoin per una discussione estesa su aspetti tecnici, insidie ​​e truffe).

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paginauno

Palestina. La situazione dei lavoratori dei Territori Arabi Occupati: Gaza, Cisgiordania e Golan

di International Labour Organization (ILO)*

Morti, feriti e devastazione: cosa significherà a lungo termine? Un durissimo Rapporto dell’International Labour Organization fotografa l’annientamento dell’economia e del mercato del lavoro a Gaza, in Cisgiordania e nel Golan e mostra come la distruzione non sia iniziata il 7 ottobre 2023 e non finirà con il cessate il fuoco: sono terre nelle quali Israele si è strutturato per rendere sempre più difficile la sopravvivenza ai palestinesi e spingerli ad andarsene

territori palestinesi 2 750x430.jpg45.000 palestinesi morti e 95.000 feriti a Gaza, al 10 settembre 2024. Un bollettino tenuto costantemente aggiornato, insieme alla portata della distruzione causata dai bombardamenti e dalle incursioni via terra dell’esercito israeliano. Ciò su cui ci si focalizza meno è cosa significherà tutto questo a lungo termine. È quel che fa questo Rapporto dell’International Labour Office, presentato a giugno 2024, partendo dalla situazione del lavoro e dei lavoratori non solo di Gaza, ma di tutti i Territori Arabo/Palestinesi Occupati, ossia anche Cisgiordania e Golan. È una situazione di cui non si può avere contezza della portata se non si analizzano i dettagli e i numeri, e questo documento li contiene.

Veniamo così a sapere, per citare appena alcune realtà fotografate dal Report, che a Gaza il PIL è crollato dell’81% e la disoccupazione è all’89%; che l’80% degli stabilimenti commerciali, industriali e dei servizi è stato danneggiato o distrutto, causando la chiusura delle attività economiche; che la produzione agricola è cessata perché Israele sta “radendo al suolo tutte le strutture, compresi i campi agricoli e le serre, e creando una zona cuscinetto lungo la recinzione di confine tra Israele e Gaza che dovrebbe essere larga fino a un chilometro e occupare circa il 16% della superficie dell’enclave”, mentre anche pesca e acquacoltura sono crollate perché “nessuna imbarcazione nel porto di Gaza è rimasta utilizzabile e le gabbie per la piscicoltura, le attrezzature per la pesca e gli impianti per la produzione di ghiaccio per preservare il pescato sono stati distrutti durante i bombardamenti all’inizio della guerra”: una condizione che ha contribuito alla carestia e all’attuale crisi alimentare.

Anche in Cisgiordania l’economia e il lavoro sono franati. Prima della guerra, 140.000 palestinesi della Cisgiordania erano impiegati in Israele e altri 40.000 negli insediamenti israeliani: la maggior parte ha perso il lavoro a causa della chiusura dei valichi di frontiera operata da Israele.

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perunsocialismodelXXI

I popoli africani contro l'imperialismo 3. Amilcar Cabral

di Carlo Formenti

Amílcar Cabral com Fidel Castro.pngAmilcar Cabral è l’ultimo intellettuale rivoluzionario africano di questo trittico in cui ho già presentato le idee di Said Bouamama e Kevin Ochieng Okoth. Nato in Nuova Guinea da genitori capoverdiani nel 1924, quando il Paese era ancora una colonia portoghese, nel 1945 ottenne una borsa di studio che gli consentì di frequentare l’Università di Lisbona dove conseguì la laurea in agronomia e dove rimase fino al 1952, ma soprattutto dove conobbe quelli che sarebbero diventati, assieme a lui, i leader delle guerre di liberazione delle altre colonie portoghesi, fra i quali l’angolano Mario Pinto de Andrade e il mozambicano Eduardo Mondlane. Rientrato in patria con l’incarico di agrimensore, si mise alla testa della lotta per l’indipendenza nazionale che si concluse vittoriosamente nel 1973 pochi mesi dopo la sua morte (nel gennaio di quell’anno venne assassinato da agenti portoghesi). Il suo contributo teorico, politico e culturale alla rivoluzione anticolonialista e antimperialista e allo sviluppo della teoria marxista, è di ampio respiro e resta un punto di riferimento obbligato per capire le dinamiche della lotta di classe in Africa. Per presentarne il pensiero, ho utilizzato qui un’antologia che raccoglie testi di discorsi tenuti nel corso dei suoi viaggi in giro per il mondo per raccogliere solidarietà alla lotta del popolo guineano (“Return to the Source”, Monthly Review Press). Alla fine trarrò le conclusioni di questo percorso in tre tappe.

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1. Teoria e prassi come momenti di un unico processo di apprendimento

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lindipendente

Perché quello israeliano è un genocidio

Andrea Legni intervista Francesca Albanese

francesca albanese ansaNei giorni scorsi, la Relatrice Speciale dell’ONU per i Territori Occupati Palestinesi, Francesca Albanese, ha presentato il proprio rapporto ufficiale nel quale si dettaglia come quello israeliano a Gaza sia da considerare, alla luce del diritto internazionale, un genocidio. Lo stesso report, che si intitola senza giri di parole Il genocidio come cancellazione coloniale, accusa i governi occidentali di aver garantito a Israele un’impunità che gli ha permesso di «diventare un violatore seriale del diritto internazionale». La relatrice italiana, ma che da molti anni vive all’estero, è stata attaccata con inaudita violenza: l’ambasciatrice statunitense all’ONU l’ha accusata di antisemitismo, mentre la lobby filo-israeliana UN Watch ha lanciato una campagna per cacciarla dalle Nazioni Unite con l’accusa di diffondere «antisemitismo e propaganda di Hamas». Accuse surreali alle quali risponde anche in questa intervista rilasciata in esclusiva a L’Indipendente. Lo fa senza arretrare di un millimetro, anzi dettagliando perché quella che Israele sta scrivendo a Gaza sia da considerare una delle pagine «più nere e luride della storia contemporanea» e denunciando il clima di intimidazione che colpisce sistematicamente chi, all’interno delle istituzioni internazionali, cerca di agire concretamente per inchiodare il governo israeliano alle proprie azioni.

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Poche settimane fa è stato ucciso il capo di Hamas Yahya Sinwar. I governi e i media occidentali hanno celebrato l’evento, affermando che la sua eliminazione abbia reso il mondo più sicuro e avvicinato la pace in Medio Oriente. Cosa ne pensa?

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perunsocialismodelXXI

I popoli africani contro l'imperialismo - 2. Kevin Ochieng Okoth

di Carlo Formenti

cabral 1170x658.jpgIl trittico africano, iniziato con le recensioni a due libri di Said Bouamama; prosegue con questo secondo post che anticipa la mia postfazione al libro Red Africa, di Kevin Ochieng Okoth che sarà in libreria per i tipi di Meltemi il prossimo 22 Ottobre. Ritroverete qui molti temi trattati nei lavori di Bouamama, come la critica dell’approccio “culturalista” (a partire dai miti della negritudine) al processo di emancipazione dei popoli post coloniali dal dominio imperiale dell’Occidente, e come il rifiuto del tentativo di liquidare il marxismo come “eurocentrico” e quindi inservibile per guidare le nazioni africane sulla via dello sviluppo autonomo. Rispetto a Bouamama, Okoth analizza più estesamente e a fondo il ruolo determinante che le lotte afroamericane hanno svolto nella formazione di uno spirito panafricanista rivoluzionario. Infine, come avrete modo di vedere, il punto di vista di Okoth appare più severo di quello di Bouamama nei confronti degli errori e delle scelte opportuniste delle élite che hanno guidato le lotte di liberazione nazionale (ma su questo tema tornerò in sede di conclusione dopo avere pubblicato la terza e ultima puntata di questo trittico, dedicata al pensiero di Cabral).

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Red Africa. Idee per riportare Marx in Africa

Mezzo secolo fa, una feroce controffensiva dell’imperialismo occidentale, guidata dagli Stati Uniti, stroncava la speranza dei Paesi non allineati, molti dei quali pervenuti da poco all’indipendenza, di imboccare la via dello sviluppo e della transizione al socialismo.

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lantidiplomatico

La strategia del caos

di Laura Ruggeri

Le risposte alla prima crisi dell’egemonia statunitense hanno scatenato forze che hanno finito per erodere il potere degli Stati Uniti

nbclou54so9Gene Sharp, considerato il padrino delle rivoluzioni colorate, pubblica il suo primo libro, The Politics of Nonviolent Action, nel 1973, in un momento in cui gli Stati Uniti attraversavano una serie di crisi — economiche, politiche, militari — che stavano erodendo la fiducia nel governo e costituivano un serio ostacolo alle ambizioni geopolitiche di Washington. Le risposte a queste crisi — espansione dell’egemonia attraverso guerre convenzionali e ibride spesso affidate ad attori non statali, la finanziarizzazione dell’economia e l’utilizzo del dollaro come arma — segneranno il corso dei decenni successivi. Ma a distanza di cinquant’anni è evidente che queste risposte, pur avendo sconvolto l’ordine globale del dopoguerra per aprire le porte al ‘momento unipolare’ degli Stati Uniti, non hanno fatto nulla per risolvere problemi di natura sistemica e strutturale. Semmai, queste “soluzioni” hanno creato ulteriori e più intrattabili problemi per l’egemone, culminati nella crisi di legittimità che gli Stati Uniti stanno attualmente affrontando.

The Politics of Nonviolent Action si basava su una ricerca, finanziata dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, che Sharp aveva condotto ad Harvard alla fine degli anni ’60, quando l’università era l’epicentro dell’establishment intellettuale della Guerra Fredda — vi insegnavano infatti Henry Kissinger, Samuel Huntington e Zbigniew Brzezenski. A prima vista potrebbe sembrare contraddittorio che il soggetto della ricerca di Gene Sharp attirasse l’interesse del Pentagono e della CIA. In realtà, non è affatto sorprendente: la sconfitta e le perdite subite in Vietnam avevano lasciato una profonda ferita nella psiche americana e a livello internazionale questa brutale aggressione imperialista aveva alimentato un forte sentimento antiamericano. Inoltre, mentre l’egemonia statunitense iniziava a perdere colpi, crescevano i timori per i costi economici della corsa agli armamenti con Mosca. La ricetta di Sharp prometteva di fornire la soluzione che Washington stava cercando per rafforzare il proprio potere minando quello dell’Unione Sovietica, suo principale rivale geopolitico, ideologico e militare.

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ilpungolorosso

La sola cosa grande che può fare l’Amerika di Trump è seminare altro caos e guerra nel mondo intero

di Il Pungolo Rosso

Trump Musk“I Trump, i Musk e simili grandi-uomini-spazzatura possono soltanto dare un epilogo tragico alla vecchia storia di sfruttamento e predazione di cui non se ne può più”.

Ci torneremo su, quando sarà di nuovo alla Casa Bianca. Ma qualcosa va detta subito. Ed è che la possibilità che la banda-Trump/Musk possa fare l’Amerika “great again” è esclusa. La nuova “età dell’oro” che questi truffatori spaziali promettono al proprio “popolo” non ci sarà. Non è possibile che ci sia, semplicemente perché l’età dell’oro dell’imperialismo statunitense, che c’è stata effettivamente, è stata fondata sull’enorme sviluppo della grande industria, della tecnologia di avanguardia e dell’industrializzazione capitalistica dell’agricoltura. Su queste basi, e su due guerre mondiali vinte grazie alla propria superiorità industriale e tecnologica e alla propria auto-sufficienza alimentare, si fondano le ultime due armi esiziali rimaste nelle mani dei Trump e dei Biden: il signoraggio mondiale del dollaro e la macchina bellica tuttora più potente del mondo. Che, di necessità, essendosi di molto ridotta la solida base su cui poggiavano, hanno preso a traballare.

L’Amerika di oggi, avendo perso una bella quota della propria grande industria di un tempo per la spasmodica ricerca dei sovraprofitti dei propri trust che hanno – a partire dagli anni ‘60 – delocalizzato una enorme quota di produzione, è in cronico deficit commerciale con l’UE e con la Cina (e non solo). Parliamo di centinaia di miliardi di dollari l’anno di importazioni di ogni tipo di merci, a iniziare dalle macchine per la produzione industriale. Anche l’agricoltura statunitense ha iniziato da tempo a declinare, e del suo storico, indiscusso primato mondiale non ci sono più tracce. Ormai l’Amerika primeggia solo nella produzione di petrolio e di gas (quindi come stato che si nutre di rendita fondiaria) e nelle industrie della rete e della guerra, ma lo fa a fronte di concorrenti e avversari sempre più agguerriti, e in molti casi relativamente, o ampiamente, indipendenti dal suo potere.

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perunsocialismodelXXI

I popoli africani contro l'imperialismo - 1. Said Bouamama

di Carlo Formenti

Con questo testo inauguro un percorso in tre tappe sulle lotte africane contro l’imperialismo e sul loro contributo allo sviluppo del marxismo. In questo primo articolo discuto due libri di Said Bouamama (intellettuale marxista di origine magrebina nato in Francia - a Roubaix - sessantasei anni fa): Pour un panafricanisme révolutionnaire (Syllepse, Parigi 2023) e Des classes dangereuses a l’ennemi intérieur (Syllepse, Parigi 2021). Nelle puntate successive mi occuperò, rispettivamente, di Red Africa dell’anglo-africano Kevin Ochieng Okoth (di imminente uscita presso l’editore Meltemi, con una mia Postfazione) e di un’antologia di testi del guineense Amilcar Cabral.

modalita di viaggio in africa 1820 da w hutton viaggi in africa 1821 da i clark dopo william hutton gli europei sono trasportati su lesulle lettiere un uomo africa.jpgI. Sul panafricanismo rivoluzionario

a) Le falsificazioni ideologiche occidentali per legittimare il colonialismo

La più diffusa mistificazione cui gli imperialisti occidentali hanno fatto ricorso per giustificare le proprie guerre coloniali di conquista, scrive Bouamama, è stata l’affermazione secondo cui l’Africa sarebbe un continente “senza storia”, che solo grazie all’integrazione negli imperi dei Paesi europei ha potuto fare il proprio ingresso nella storia “universale” (cioè europea). Questa tesi si fonda su una narrazione che presenta il continente africano come un insieme di società “primitive”, politicamente non strutturate, “senza stato”, una moltitudine di gruppi umani senza scambi reciproci, perennemente in guerra fra loro e incapaci di esprimere forme sociali più complesse della tribù e del clan famigliare (per inciso, vale la pena di sottolineare come l’immagine delle “società senza stato” evocata nelle narrazioni di alcuni antropologi occidentali, sia stata utilizzata “da sinistra” per criticare i processi di costruzione nazionale post indipendenza ed esaltare certe forme sociali premoderne in contrapposizione ai processi di modernizzazione imposti dall’esterno).

La realtà è che, prima della colonizzazione, contrariamente alle affermazioni propagandistiche occidentali, sia nell’Africa Settentrionale che nell’Africa Subsahariana, esistevano non solo stati ma addirittura veri e propri imperi per cui la colonizzazione, scrive Bouamama, non ha voluto dire l’ingresso dell’Africa nella storia, bensì l’interruzione violenta della sua storia (esattamente come la cosiddetta “scoperta” dell’America ha voluto dire l’interruzione violenta della storia di quel continente).

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analisidifesa

Il ritorno di Trump

di Gianandrea Gaiani

110624 President Donald Trump AP CMDonald Trump è il trionfatore nella corsa alla Casa Bianca sia per i voti incassati tra i “grandi elettori” e nel voto popolare sia per il successo del Partito Repubblicano nelle elezioni del Congresso. Prima ancora dell’Amministrazione Biden e di Kamala Harris, a uscire sconfitti dal voto americano è il circuito mediatico che ha dimostrato la sua totale inattendibilità e partigianeria.

Pronostici, valutazioni e sondaggi resi noti negli Stati Uniti ma anche in Europa e in Italia hanno dato fino all’ultimo i due rivali testa e testa con un leggero vantaggio per Kamala Harris. Previsioni rivelatesi talmente infondate da alimentare il sospetto che fossero indirizzate più a influenzare il voto degli americani che a fotografarne l’orientamento. Pura propaganda alimentata da media, mondo della cultura e dello spettacolo fin troppo chiaramente schierati con il Partito Democratico che però aveva sollevato ancora una volta un polverone per denunciare (complici anche diversi “zelanti” alleati europei) la “disinformazione russa” tesa a influenzare il voto a favore di Trump.

Difficile credere che coloro che davano Trump e Harris testa a testa nel voto americano si siano tutti sbagliati: appare quindi più probabile che la disinformazione (la nostra, non quella russa) abbia prevalso ancora una volta come è apparso chiaro seguendo alcune “maratone” televisive nostrane.

In queste come in altre elezioni il tema dell’inaffidabilità e dell’informazione (anzi, della disinformazione) attuata da gran parte del circo mediatico occidentale è emerso in modo talmente eclatante da rappresentare paradossalmente una minaccia per l’opinione pubblica e per la democrazia. Specie in un contesto in cui, dalle due sponde dell’Atlantico, si moltiplicano appelli e iniziative tese a limitare o sopprimere la libertà di espressione nel nome della “lotta alla disinformazione”.

In realtà, a determinare il successo del candidato repubblicano sembrano essere stati gli elementi emersi il 5 novembre in un sondaggio effettuato tra gli elettori dalla CNN che ha rivelato come solo il 5% ritenga che l’economia americana sia in uno stato di forma eccellente, mentre circa il 70% ritiene che non versi in buono stato.

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tempofertile

Poche tesi sulla rielezione di Trump

di Alessandro Visalli

hfidbukdIn attesa di poter svolgere un’analisi più dettagliata del voto americano, quel che appare al momento è l’ampiezza inusuale della vittoria di Donald Trump e James Vance sul ticket democratico. Vittoria che si è estesa a Camera e Senato e ha spostato significativamente i rapporti di forza dall’ormai tradizione ‘quasi pareggio’ presidenziale.

Una vittoria che si presenta quindici anni dopo il termine del ciclo Bush junior, e otto dopo quello di Obama. Ovvero sedici anni (quindici e mezzo) dopo la crisi-spia della finanziarizzazione esemplificata dal crollo del 2008. Se pure questa data simbolo del 2008 si colloca in effetti al termine di un ciclo di bolle alimentate politicamente che risale almeno a un decennio prima, fu il segnale della necessità di tornare a qualcosa che potesse, almeno per il grande capitale finanziario, come una sorta di ‘big state’. Il segno dei tempi fu il pacchetto di stimoli bipartisan promosso dalla coppia Bush-Obama e la ricerca costante di un nuovo ‘motore’ economico, oltre alla crescente consapevolezza della crisi della “mondializzazione” anni Novanta (avviata dalle crisi multiple degli anni ’97 e ’98, le cosiddette “Crisi asiatiche”, che poi furono anche del Messico della Russia, etc.) e delle “Classi medie”. Tentativi di riprendere il “Doha Round” del 2001, con il TIPP e TPP, in chiave sempre più chiaramente anti-cinese, ma anche anti-europea[1] (tentativi che vedono, forse per la prima volta, manifestarsi contro l’amministrazione democratica una coalizione sociale interna contro l’ulteriore potenziale invasione di prodotti a basso costo, e quindi l’ulteriore deindustrializzazione). Quindi velleitarie politiche per un milione di posti di lavoro nell’industria[2], oppure di rivitalizzare la formazione tecnica, poco dopo i vaniloqui della Clinton sulla lotta alla “società freelance” o la “gig economy”[3]. Si può anche ricordare il Discorso sullo Stato dell’Unione del 2015 di Obama[4], a metà del secondo mandato, quando avviene una significativa svolta ambientalista e nelle politiche energetiche, mentre continuano assolute macchie come Guantanamo e si sviluppa la politica delle “primavere arabe”.

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comedonchisciotte.org

Il resoconto di un genocidio

di Chris Hedges - chrishedges.substack.com

L'ultimo rapporto delle Nazioni Unite documente i progressi di Israele nel suo assalto genocida a Gaza. Israele è intenzionato, avverte il rapporto, a espellere i palestinesi, a ricolonizzare Gaza e a rivolgersi poi contro la Cisgiordania

bibimorte.jpgUn rapporto delle Nazioni Unite, pubblicato lunedì, descrive con agghiaccianti dettagli i progressi compiuti da Israele a Gaza nel tentativo di sradicare “l’esistenza stessa del popolo palestinese in Palestina”. Questo progetto genocida, avverte minacciosamente il rapporto, “si sta ora diffondendo in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est”.

La Nakba o “catastrofe”, che nel 1948 aveva visto le milizie sioniste cacciare 750.000 palestinesi dalle loro case, compiere più di 70 massacri e impadronirsi del 78% della Palestina storica, è tornata con gli steroidi. Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, ha pubblicato il rapporto, intitolato “Genocidio come cancellazione coloniale“, dove lancia un appello urgente alla comunità internazionale affinché imponga a Israele sanzioni e un embargo totale sulle armi fino a quando il genocidio dei palestinesi non sarà fermato. Chiede a Israele di accettare un cessate il fuoco permanente. Chiede che Israele, come richiesto dal diritto internazionale e dalle risoluzioni delle Nazioni Unite, ritiri i suoi soldati e i suoi coloni da Gaza e dalla Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est.

Come minimo, Israele, ormai fuori controllo, dovrebbe essere formalmente riconosciuto come Stato di apartheid e persistente violatore del diritto internazionale, afferma la Albanese. Le Nazioni Unite dovrebbero riattivare il Comitato speciale contro l’apartheid per affrontare la situazione in Palestina e l’appartenenza di Israele alle Nazioni Unite dovrebbe essere sospesa. In mancanza di questi interventi, l’obiettivo di Israele, avverte Albanese, probabilmente si realizzerà.

Potete vedere la mia intervista con la Albanese qui.

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lantidiplomatico

Il Secondo Olocausto e le Nazioni Unite

Alessandro Bianchi intervista Pino Arlacchi

l'AntiDiplomatico intervista l'ex vicesegretario delle Nazioni Unite: "Non ci sono qui camere a gas, ma sono all’ opera gli stessi infernali meccanismi del primo Olocausto"

ARLACCHI2 1100x1100.jpg"Sono diventato pessimista sull’esito della partita Israele-Palestina". Pino Arlacchi, ex vicesegretario generale e Direttore del programma antidroga e anticrimine dell’ONU torna a dialogare con "Egemonia". Uno dei più noti sociologi e criminologi a livello mondiale, cultore delle materie internazionalistiche e in particolare delle dinamiche delle Nazioni Unite, autore di saggi importanti su terrorismo e finanza, a Pino Arlacchi abbiamo chiesto di aiutarci a inquadrare il massacro israeliano in atto alla luce del diritto internazionale e, soprattutto, offrire proposte concrete che potrebbero essere prese per dare al regime di Tel Aviv una pressione internazionale che oggi manca.

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Sulla definizione del massacro in corso da parte di Israele si dibatte molto sul termine da utilizzare. Come lo definirebbe Lei alla luce del diritto internazionale?

"La rottura dell’ultimo tabù al riguardo è stata la delibera della Corte internazionale di giustizia che ha definito i massacri di Gaza un tentato genocidio. Pochi si sono accorti delle conseguenze di questa svolta. Media e governi occidentali -nonché il Palazzo di Vetro- hanno immediatamente calato il sipario sul tema. La svolta è stata, in realtà, il riconoscimento di un fatto talmente imbarazzante da non poter essere accettato, in precedenza, neppure da molti critici del sionismo. Non si può più negare che quanto avviene davanti ai nostri occhi è il tentativo di sterminare un popolo e non la vendetta per una catastrofe subita un anno fa. Non siamo di fronte a un eccesso di legittima difesa.

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ilpungolorosso

L’esercito sionista attacca le basi Unifil in Libano. Strano? E perché?

di Il Pungolo Rosso

Israele in LibanoS’è scatenato un gran baccano internazionale, in questi giorni, perché l’esercito sionista ha osato attaccare le basi Unifil, forte della sua assoluta storica impunità dovuta alla protezione incondizionata di cui gode da decenni. Un baccano insensato, e ipocrita. Forse è il caso di ricordare che il 22 luglio 1946 l’Haganah e l’Irgun non esitarono a far saltare in aria a Gerusalemme il King David Hotel in cui era ospitato il comando delle truppe britanniche in Palestina e Cisgiordania (facendo 91 morti e 46 feriti) – fu la punizione inferta ai loro protettori britannici per aver cercato, assai blandamente in verità, di porre un qualche argine all’immigrazione ebraica in Palestina – https://it.wikipedia.org/wiki/Attentato_al_King_David_Hotel.

La banda Stern (il nome ufficiale era Lehi), autrice del feroce massacro di palestinesi nel villaggio di Deir Yassin e dalle esplicite simpatie per il nazismo, l’Irgun e l’Haganah si segnalarono per altri omicidi mirati ai danni dei loro mandanti (Lord Moyne, ad esempio, e fu assassinato da loro anche Lord Bernadotte, il mediatore ONU). Compirono attentati anti-britannici anche fuori dalla Palestina (uno avvenne a Roma), e – notate bene! – all’atto di fondazione dello stato di Israele tutti i membri di queste formazioni ultra-sioniste di rivendicata matrice terroristica (*) furono incorporati, previa amnistia generale, dentro l’esercito regolare e nella nomenklatura politica. I loro capi (Shamir, il “pacifista” Rabin, i macellai Dayan e Sharon, e via continuando) sono stati per decenni tra le massime autorità politiche e militari dello stato sionista.

Quindi, di cosa meravigliarsi? C’è da chiedersi, piuttosto, il perché dei recenti attacchi ad Unifil nel sud del Libano. E la risposta è piuttosto agevole. La trascriviamo paro paro dal Corriere della sera di ieri, 11 ottobre, certo non imputabile di sentimenti anti-sionisti:

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seminaredomande

Anniversari. Il 7 ottobre è accaduto l’11 settembre

Una parziale rassegna di analisti non allineati

di Francesco Cappello

bulldozergazawallAll’indomani del 7 ottobre è stato subito chiaro che non tutti i giornalisti e gli analisti avevano accettato l’interpretazione dei fatti come diffusi dal mainstream. Passerò in rassegna, più o meno in ordine di apparizione, quelle analisi che mi sono note e che hanno messo radicalmente in dubbio l’interpretazione corrente dei fatti di quel sabato 7 ottobre 2023, usati per “legittimare”, almeno agli occhi della maggioranza più sprovveduta, l’azione genocidiaria del governo israeliano, iniziata il giorno dopo, e che tragicamente continua, senza interruzione, da un anno a questa parte

Ecco come Grandangolo, la Rassegna stampa internazionale del venerdì su Byoblu, a cura di Manlio Dinucci, andata in onda venerdì 13 ottobre, presenta didascalicamente la propria versione dell’attacco di Hamas ai danni di Israele, avvenuto sabato 7 ottobre del 2023, nell’edizione dal titolo L’11 settembre del Medioriente:

Secondo la versione ufficiale, l’attacco di Hamas ha “colto di sorpresa” Israele. Vi è però una serie di fatti inspiegabili che non rende credibile la versione ufficiale.

Come è possibile che la barriera di Gaza sia stata sfondata con bulldozer senza che nessuno se ne sia accorto? La barriera che circonda Gaza, lunga 64 chilometri, è formata da un muro sotterraneo dotato di sensori, per impedire di scavare tunnel, e da una recinzione alta 6 metri con sensori, radar, telecamere e sistemi d’arma automatici collegati a un centro di comando, ed è presidiata da soldati.

Come è possibile che in quello stesso giorno si stesse svolgendo un festival musicale, con migliaia di giovani, nel deserto a pochi chilometri da Gaza, in una zona già ritenuta pericolosa perché nel raggio dei razzi di Hamas, per di più senza alcuna forza di sicurezza?

Come è possibile che, quando i militanti di Hamas hanno attaccato i centri abitati, non siano immediatamente intervenute con elicotteri le forze speciali israeliane, ritenute tra le migliori del mondo, e siano intervenute solo forze di polizia?