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paginauno

Dai mercenari ai contractor. Il diritto internazionale e l’ipocrisia dell’ONU

di Giovanna Cracco

Il neoliberismo trasforma la sicurezza in merce, lo Stato perde il monopolio della forza e l’ONU privatizza le missioni di pace: storia di un’ascesa favorita dal diritto internazionale

filip andrejevic 1LTunOck3es unsplash“Esprimiamo serie preoccupazioni per il reclutamento, il finanziamento, l’u­so e il trasferimento di mercenari e attori legati ai mercenari dentro e fuori le diverse situazioni di conflitto in tutto il mondo. In molti casi, la pre­senza di questi attori privati prolun­ga il conflitto, agisce come fattore de­stabilizzante e mina gli sforzi di pace. Gli esperti sono anche preoccupati dal fatto che il reclutamento e l’invio di mercenari e attori legati ai merce­nari nelle zone di conflitto esacerba il rischio che i conflitti si diffondano in altre regioni. [...] Il Gruppo di La­voro ha ampiamente evidenziato i mo­delli di gravi abusi e violazioni com­messi impunemente da questi attori, come esecuzioni extragiudiziali, spa­rizioni forzate, stupri, violenze ses­suali e di genere, detenzioni arbitra­rie e torture.”

Sono parole del Working Group on the use of mercenaries as a means of violating human rights and impeding the right of peoples to self-determination (“Gruppo di Lavoro sul­l’uso dei mercenari come mezzo per violare i diritti umani e impedire il di­ritto dei popoli all’autodeterminazio­ne”, indicato d’ora in poi con ‘Grup­po di Lavoro’), istituito nel 2005 dalla Commissione per i Diritti Umani del­l’ONU; parole espresse nella dichia­razione rilasciata il 4 marzo 2022 (1), che si conclude ribadendo, per l’en­nesima volta: “Tutti dovrebbero aste­nersi, in ogni circostanza, dall’utilizzare, reclutare, finanziare o addestra­re mercenari o attori legati ai merce­nari. [...] gli Stati dovrebbero attuare un’efficace regolamentazione interna­zionale e nazionale. Gli abusi dei di­ritti umani e le violazioni del diritto umanitario da parte dei mercenari non devono restare impuniti”.

 

Il Gruppo di Lavoro dell’ONU

Nel 1987 la Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (oggi Con­siglio per i Diritti Umani) nomina un “Relatore speciale sull’uso dei mer­cenari come mezzo per impedire l’e­sercizio del diritto dei popoli all’auto­determinazione”.

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cumpanis

Il primo grido di rivolta contro il neoliberismo in America Latina

di Geraldina Colotti

Il Caracazo, la rivolta spontanea contro il caro-vita, scoppiata il 27 febbraio del 1989 a Guarenas, nello stato Miranda

Articolo Colotti. Foto per home.jfif Anche quest’anno, le strade del Venezuela risuoneranno di canti e slogan, per ricordare una data storica, considerata il punto d’avvio del processo bolivariano: il Caracazo, la rivolta spontanea contro il caro-vita, scoppiata il 27 febbraio del 1989 a Guarenas, nello stato Miranda. Migliaia di persone – soprattutto poveri delle periferie, ma anche studenti e altre figure sociali, emarginate durante la IV Repubblica -, si riversarono per le strade: per respingere il cosiddetto “paquetazo”, il pacchetto di misure economiche neoliberiste, imposto dal Fondo Monetario Internazionale e accettate dall’allora presidente Carlos Andrés Pérez (Cap).

Pérez apparteneva ad Acción Democrática (Ad), un partito di centro-sinistra, di orientamento socialdemocratico, che aveva gestito il potere nella IV Repubblica, alternandosi con l’alleanza di centro-destra, egemonizzata dal Partito Copei. Alleanze battezzate da Washington durante il Patto di Punto Fijo, un patto di “governabilità democratica”, siglato dopo la caduta del dittatore Marco Pérez Jiménez (1958) per escludere dal potere i comunisti e le forze rivoluzionarie, che avrebbero voluto “fare come in Russia”: ovvero “infiammare le Ande” come Fidel e il Che nella Sierra Maestra.

Un patto nato nel contesto della “guerra fredda”, nella lotta senza quartiere tra le forze reazionarie e il campo socialista, che verrà rinnovato durante l’elezione di Romulo Betancourt. Celebre resterà, infatti, il discorso di Fidel, accolto da una moltitudine festante e decisa quando andò in visita a Caracas, subito dopo la vittoria della rivoluzione a Cuba, a gennaio del 1959. “Quanto tempo rimarremo nel torpore?

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lantidiplomatico

Continuare l'attacco imperialistico alla Siria con altri mezzi

di Maurizio Brignoli

Riceviamo e con grande piacere pubblichiamo

720x410c50kiuygvbgPer quanto spacciata dalla disinformazione occidentale come “guerra civile” quella che si è sviluppata in Siria dal 2011 è un’aggressione imperialistica, che andrebbe meglio collocata nel contesto di un grande conflitto interimperialistico che in Siria si è combattuto in buona parte per interposta persona fra quello che si può definire un asse occidentale-sunnita (Usa, Ue, Israele e petromonarchie) volto a far cadere Bashar al-Assad alleato di Russia e Iran (e Cina). Un conflitto che si connette col progetto statunitense di mantenere un assetto mondiale unipolare e che prevedeva di ridisegnare le mappe del potere e in alcuni casi anche quelle geografiche del Grande Medioriente rovesciando governi non subordinati per mezzo di aggressioni dirette o per tramite delle formazioni jihadiste o attraverso le cosiddette “primavere arabe” condotte con la complicità dei Fratelli musulmani. Ultimo ma non meno importante la contrapposizione al grande progetto del capitale cinese della Nuova via della seta per fronteggiare il quale la destabilizzazione di questi territori è cruciale.

Il concetto di “guerra civile” perde di significato nel momento stesso in cui ci si trova di fronte a un conflitto progettato anni prima della sua effettiva conflagrazione a opera di paesi esterni e tramite un’aggressione condotta con miliziani in buona parte stranieri. Le origini più dirette dell’Isis risalgono a quando la Nato, con la collaborazione di Israele e petromonarchie, ha finanziato e addestrato queste milizie per rovesciare Gheddafi nel 2011 e che poi, a lavoro fatto, si sono spostate in Siria per abbattere Assad.

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Usa, profondo rosso

di Claudio Conti - Guido Salerno Aletta * - Robert Kuttner **

usa profondo rossoQuando la potenza fin qui egemone sul pianeta cerca di “salvarsi” agendo come un normale paese produttore di idrocarburi… vuole dire che quella potenza è alla frutta, economicamente parlando.

La propaganda in stile Rampini omette accuratamente ogni dato che dimostra questa realtà, dunque diventa indispensabile rivolgersi fuori dal mainstream giornalistico italico per trovare qualche ricostruzione attenta ai numeri, anziché alle parole.

Come spesso ci capita, abbiamo trovato in Guido Salerno Aletta – sulla testata specializzata TeleBorsa (nulla di bolscevico, come si può verificare…) – un analista serio della struttura attuale della bilancia commerciale Usa, ossia della voce più indicativa dello stato di salute di quell’economia.

Non solo il deficit commerciale complessivo, per merci e servizi, è peggiorato di 103 miliardi di dollari, passando dagli 845 miliardi di dollari del 2021 ai 948,1 miliardi del 2022, ma si è verificato un andamento particolarmente negativo: il maggior deficit complessivo non è stato determinato solo dal peggioramento di 101,5 miliardi di dollari del deficit relativo alle merci (+9,3%), quanto anche dalla riduzione, a dire il vero marginale ma significativa, del surplus relativo ai servizi, con -1,6 miliardi di dollari (-0,6%).”

Detto brutalmente, ciò che viene consumato negli Usa è in gran parte prodotto altrove, come peraltro avviene da decenni. La novità sta nel fatto che questo scarto tra import ed export continua ad allargarsi e persino i “servizi” – settore terziario che fin qui aveva compensato la caduta delle esportazioni industriali, e stiamo parlando di “specializzazioni” storiche come le assicurazioni e i servizi finanziari – è finito in rosso, sia pur di poco.

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comedonchisciotte.org

Ecco dove Hersh ha sbagliato

di Mike Whitney

UsefulIdiotsMW 600x338 1C’è qualcosa che non quadra nel reportage di Sy Hersh sulla distruzione del Nord Stream 2. Ci sono diverse incongruenze nel pezzo che mi inducono a credere che Hersh non fosse tanto interessato a presentare la “verità nuda e cruda” quanto piuttosto a fornire una versione degli eventi che favorisse una particolare agenda. Questo non vuol dire che non apprezzi ciò che l’autore ha fatto. Lo apprezzo. In effetti, credo sia impossibile sopravvalutare l’importanza di un rapporto che identifica con certezza gli autori di quello che sembra essere il più grande atto di terrorismo industriale della storia. L’articolo di Hersh ha la possibilità di scalzare alla base la credibilità delle persone al potere e, così facendo, portare la guerra ad una rapida conclusione. È un risultato incredibile che dovremmo tutti applaudire. Ecco un breve riassunto dell’analista politico Andre Damon:

Mercoledì scorso, il giornalista Seymour Hersh ha rivelato che la Marina degli Stati Uniti, su indicazione del Presidente Joe Biden, sarebbe responsabile degli attacchi del 26 settembre 2022 ai gasdotti Nord Stream che trasportavano gas naturale tra la Russia e la Germania.

Questo articolo, che è stato accolto dal silenzio totale dalle principali testate statunitensi, ha fatto saltare l’intera narrazione del coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra come risposta all'”aggressione russa non provocata.” L’articolo svela il piano generale per utilizzare l’escalation del conflitto con la Russia per consolidare il dominio economico e militare degli Stati Uniti sull’Europa.

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lantidiplomatico

La farsa degli accordi di Tripoli

di Antonio Pertuso

720x410c50jhvexNel panorama scontato e privo di riflessioni dell’informazione italiana sulla visita del Presidente del Consiglio Meloni in Libia due articoli, entrambi apparsi su “L’Antidiplomatico” hanno fornito un minimo di salutare controcanto:

♦ uno a firma di Michelangelo Severgnini – il pezzo “8 miliardi dalla Meloni a Tripoli per finanziare migrazione e terrorismo”, comparso sul sito “L’Antidiplomatico”(vedi → https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-8_miliardi_dalla_meloni_a_tripoli_per_finanziare_migrazione_e_terrorismo/41939_48605/ )

♦ e l’altro di Giacomo Gabellini: – Il “Piano Mattei” tra realtà e propaganda. –https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-il_piano_mattei_tra_realt_e_propaganda/39130_48635/

Poiché la questione delle forniture energetiche dalla Libia è un tema di vitale importanza per l’Italia è bene rimanere in argomento e correggere per primo alcune imprecisioni ed errori.

Gli otto miliardi del titolo di Severgnini non sono fondi che vanno (anzi, andrebbero) alle milizie ma investimenti in impiantistica per lo sviluppo di un giacimento marino di gas.

In realtà, come vedremo in seguito, questi fondi non si materializzeranno mai, perché gli accordi firmati a Tripoli sotto gli occhi della Meloni non sono che una farsa, una commedia degli inganni dove ciascuno sa di mentire, per la sua parte, e che gli altri pure mentono, ma non sa bene in che cosa mentano.

Per il resto l’indignazione di Severgnini è davvero legittima, lo schiavismo migratorio ha una causa politica ma conviene approfondire meglio anche le dinamiche economiche.

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lantidiplomatico

Russia in Africa: de-dollarizzazione e multipolarismo

di Fabrizio Verde

720x410c50hjsIl ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha recentemente effettuato un importante e significativo tour in Africa, nell'ambito della strategia globale della Russia di spostamento strategico verso l'Oriente e il Sud del mondo. Si tratta della seconda visita per Lavrov nel Continente Nero dall'inizio dell'operazione militare speciale: durante la prima visita il più alto diplomatico della Russia ha visitato Egitto, Repubblica del Congo, Uganda ed Etiopia alla fine di luglio dello scorso anno. Quest’anno invece si è recato in Sudafrica, Eswatini, Angola ed Eritrea.

Mentre l'anno scorso Lavrov aveva discusso con gli africani soprattutto di sicurezza alimentare, quest'anno il ministro ha invitato i capi di Stato africani a visitare la capitale settentrionale della Russia in estate, dove le parti presumibilmente prenderanno in considerazione lo sviluppo di progetti economici comuni, nell’ambito dello sviluppo di quel multipolarismo senza aspirazioni coloniali portato avanti da Mosca insieme con la Cina.

Il ministro russo ha fatto la sua prima tappa a Pretoria, in Sudafrica, dove ha incontrato la collega Naledi Pandor e il presidente del Paese Cyril Ramaphosa. Aprendo l'incontro con Lavrov, il ministro Pandor ha evidenziato il grande interesse dei giornalisti locali per la sua persona. "Oggi abbiamo così tanti giornalisti, questo è ovviamente indice del fatto che lei è un uomo e un ministro molto popolare. Non abbiamo mai avuto così tante persone tra il pubblico”, un ulteriore prova di quanto sia fallace la narrazione occidentale che pretende di dipingere una Russia isolata sullo scacchiere internazionale e fortemente impopolare.

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comuneinfo2

La resistenza deve unirsi

Pas Liguori intervista Jamal Zakout

Di fronte all’escalation dell’avanzata politica dell’estrema destra, di quella territoriale delle colonie e della violenza del regime israeIl-muro-a-Bilin.jpgliano di Apartheid, noi Palestinesi non possiamo più permetterci di restare divisi. Unità non vuol dire essere gli uni copia dell’altro, abbiamo bisogno delle nostre diversità per tradurle in potenza e non in debolezza. In questa ampia intervista di Pasquale Liguori, illustrata dalle sue splendide foto, Jamal Zakout – uno dei leader della prima Intifada, scrittore e presidente di un importante centro di studi e ricerche politiche a Ramallah – analizza in profondità le ragioni e le complicità che segnano la continuità e la ferocia dell’aggressione israeliana sul suo popolo. Il punto di vista che esprime, tuttavia, non è affatto reticente sulle debolezze politiche e i gravi errori storici che la classe politica palestinese ha compiuto per decenni, e continua a compiere, convinta, nella migliore delle ipotesi, che la perenne subalternità alla potenza occupante e ai suoi alleati e protettori avrebbe portato a una riduzione delle violenze e a un allargamento dei diritti. D’altra parte, l’alternativa politica prospettata da Hamas, con l’accusa di tradimento e la resistenza fino al martirio, non ha mai prodotto risultati migliori. Entrambe le strategie, dice Zakout, hanno marginalizzato la profondità della prima Intifada, il movimento e il potere popolare palestinese, cioè la base collettiva per la costruzione di un futuro. Oggi più che mai, il primo passo è quello di una vera ricostruzione dell’unità di popolo, finalmente libera da interessi di fazione, logiche politiciste di potere e corruzione, ma serve un radicale e profondo cambiamento di rotta e cultura politica

Ho conosciuto Jamal Zakout nel corso di un recente viaggio politico in Cisgiordania organizzato da Assopace Palestina presieduta da Luisa Morgantini, già vicepresidente del Parlamento Europeo.

Jamal è stato uno dei leader della prima Intifada. Uomo politico e scrittore, è presidente del Centro Studi e Ricerche politologiche ARD in Ramallah. Zakout ha ricoperto il ruolo di consigliere senior dell’ex primo ministro palestinese Fayyad ed è stato protagonista in vari organismi del panorama politico palestinese.

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gliasini

Il Congo non si salverà

di Franco Bordignon e Giacomo D'Alessandro

Franco Bordignon è un padre saveriano di origine veneta che ha passato gli 80 anni e da 50 opera in Congo, dove ha scelto di restare anche sotto i regimi e le violente guerre che hanno attraversato questa zona dell’Africa. Nel Kivu è un’istituzione, avendo contribuito a progetti politici, di sviluppo sociale, idrico e rurale, a cooperative e a canali di controinformazione. L’ho incontrato a Bukavu nel corso di tre viaggi nel 2018, 2021 e 2022 (G.D.).

Gli uccelli interno asini 10 1536x1128Lo scenario del Kivu, l’Est della Repubblica Democratica del Congo, in questi anni non è cambiato di molto. Cambiano i colori politici e poco altro. Ad ogni elezione si spera in una rinascita del paese, ma negli anni abbiamo capito che un presidente nominato non è un presidente scelto dal popolo. L’ex presidente Kabila ha ancora un forte margine di manovra, mentre l’attuale Tshisekedi passa il tempo a girare il mondo per “diffondere apparenze”. La compravendita dei deputati è all’ordine del giorno… In conclusione chi ha interesse ad occuparsi della gente? 

La gente del Congo è abbandonata a se stessa da decenni. Ma il Kivu, dove ci troviamo, è invaso da gruppi armati (163 secondo le Nazioni Unite), alcuni locali, altri dei paesi confinanti Rwanda, Burundi e Uganda. Non nascono così per caso, ma da una serie di fattori: il fatto che i giovani non abbiano nessun avvenire, il fatto che nell’esercito si creino fazioni dissidenti; in ogni caso, esistono al soldo di qualcuno, altrimenti non starebbero in piedi. Qualcuno che ha bisogno di loro per garantirsi lo sfruttamento delle miniere e i traffici di materie prime. Non è poi escluso che gli eserciti regolari li utilizzino per fare il “lavoro sporco”, cioè azioni di cui i governi non possono macchiarsi ufficialmente. 

Da un paio di anni le province del Nord Kivu e dell’Ituri sono governate dai militari (Etat de siège), ma vi sono forti dubbi sulla presenza di infiltrati legati al Rwanda o all’Uganda. E si vantano di eliminare ogni giorno che passa ribelli e gruppi armati. In realtà è molto complicato capire le diverse affiliazioni e fedeltà, si comincia a parlare perfino di accordi tra gruppi ribelli e gruppi jihadisti che entrano in questa zona dell’Africa dopo averne destabilizzate altre. Quel che è certo è che chi vive qui ha notizie di morti ammazzati tutti i giorni, di sevizie e razzie nei villaggi.

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vocidallestero

Scomode verità sulla guerra in Bosnia

di Kit Klaremberg e Tom Secker*

Su Strategic Culture un ampio resoconto di numerosi documenti declassificati delle forze di pace canadesi di stanza in Bosnia dimostra come le guerre per procura statunitensi siano caratterizzate da un modello ricorrente di operazioni sotto falsa bandiera e messe in scena a scopo propagandistico, con l'obiettivo di sabotare ogni possibile negoziato di pace e spianare la strada ai falchi della guerra della NATO

bosnia titoloUna serie di file di intelligence inviati dalle forze di pace canadesi espongono operazioni segrete della CIA, spedizioni illegali di armi, importazione di combattenti jihadisti, potenziali 'false flag' e messe in scena su atrocità di guerra.

Il mito consolidato della guerra in Bosnia è che i separatisti serbi, incoraggiati e diretti da Slobodan Milošević e dai suoi accoliti a Belgrado, cercarono di impadronirsi con la forza del territorio croato e bosniaco al fine della creazione di una "Grande Serbia" irredentista. Ad ogni passo, hanno epurato i musulmani di quelle terre in un genocidio deliberato e concertato, rifiutandosi a qualsiasi colloquio di pace costruttivo.

Questa narrazione è stata diffusa in modo aggressivo dai media mainstream dell'epoca e ulteriormente legittimata dal Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (ICTY) creato dalle Nazioni Unite una volta terminato il conflitto. Da allora nella coscienza occidentale questa storia è diventata assiomatica e indiscutibile, rafforzando la sensazione che il negoziato equivalga invariabilmente ad arrendevolezza, una mentalità che ha consentito ai falchi della guerra della NATO di giustificare molteplici interventi militari negli anni successivi.

Tuttavia, una vasta raccolta di cablogrammi di intelligence inviati dalle truppe di peacekeeping canadesi in Bosnia al quartier generale della difesa nazionale di Ottawa, pubblicato per la prima volta da Canada Declassified all'inizio del 2022, smaschera questa narrazione come una cinica farsa.

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sinistra

Cina, la terra rara: “officina” e “miniera” del Mondo

di Flavia Manetti

1440x810 cmsv2 9a9c1a92 d8b0 5724 80e2 81fa61acda4f 4092616Dagli anni ’70, la Cina ha accettato di divenire, per l’Occidente, la fabbrica del mondo. Dalle iniziali zone a regime speciale di Shenzhen alle sterminate fabbriche di Zhengzhou. Giganteschi insediamenti industriali che hanno prodotto e ancora producono su commissione dei capitali occidentali. La proletarizzazione ed urbanizzazione di milioni e milioni di contadini è stata possibile anche grazie al diritto, garantito dallo Stato, di mantenere il possesso dei terreni agricoli dei villaggi di provenienza. Un diritto che anche la borghesia cinese (oltre che – in primis - il capitalismo occidentale) vorrebbe limitare per disporre da una parte di più “api operaie” da spremere come limoni e dall’altro di un “esercito industriale di riserva” metropolitano che non se ne torni nei villaggi di appartenenza (come successo con il lockdown alla Foxconn1) ma sia costretto, se necessario, a rimpiazzare protestatari e rivoltosi con operai più docili e ricattabili.

 

Le Terre Rare : da efedrina delle nuove transizioni economiche del capitalismo a “materie prime critiche” per l’imperialismo

Ma la Cina è anche la “miniera del mondo” di terre rare. Cosa sono le terre rare? In inglese : Rare Earth Metals, e’ un gruppo di 17 elementi chimici (Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio, Lutezio, Ittrio, Promezio e Scandio). Rare non già per la loro scarsa presenza quanto per la loro difficile identificazione, estrazione e lavorazione e che hanno, inoltre, un devastante impatto ambientale.

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lantidiplomatico

Guerra “igiene” del capitale. Il conflitto in Ucraina nell’attuale fase imperialista

di Carla Filosa, Enzo Gamba, Francesco Schettino

720x410c50765rfghNazione, classe, democrazia

La necessità di affrontare il fattore guerra, non solo nei suoi passaggi cronologici, ma soprattutto nel suo significato di fase imperialistica mondiale, non può disattendere una riflessione ulteriore almeno sui concetti di nazione, classe e democrazia, il cui senso risulta prevalentemente confuso o proprio ormai sconosciuto.

Nell’accezione moderna di nazione (F. Chabod, 1943-44)[1] si affermava un principio romantico di unità dell’individualità storica, dalle caratteristiche di tradizione e di pensiero non solo etniche e linguistiche, di un particolare quindi, di contro a tendenze livellatrici, cosmopolitiche, universalizzanti, quali quelle ereditate dall’Illuminismo, mentre la direzione specificamente politica era lasciata allo stato. Pertanto, non solo elementi naturalistici (clima-terreno), ma tendenze politiche e religiose nei costumi e usanze, anima, spirito, libertà che nulla avevano a che fare con il successivo sviluppo nazionalistico connotato dal razzismo, come comunità di sangue, del suolo, congiuntamente a una preminenza aggressiva in antitesi all’unitaria idea di Europa. A tale concezione liberale, che non facciamo fatica a riconoscere oggi quale involontaria base della destra nostrale e non solo, si contrapponeva un’altra visione nazionale, sorta sempre in Europa, non già idilliaca ma interna alla consapevolezza della conflittualità della realtà materiale e storica.

Che la “fratellanza delle nazioni” di cui scriveva Engels nel 1845[2] si sia dispersa - proprio ad opera dell’ipocrita “cosmopolitismo egoistico-privato della libertà di commercio” allora così definito - sembra oggi un’ovvietà o addirittura una condizione mai esistita. Quella prospettiva di “fratellanza”, successiva alla Rivoluzione francese e predisposta dal progressivo avanzare del socialismo europeo ottocentesco, aveva lasciato intravedere, allora, che: “la democrazia, al giorno d’oggi, è il comunismo”.

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USA, NATO, UE l'abbraccio inscindibile fra i tre dell'apocalisse

di Carlo Formenti

copertinauhhI. Le guerre illegali della NATO. Sul libro di Daniele Ganser

Daniele Ganser è uno storico svizzero che insegna all'Università di San Gallo, dirige l'Istituto Svizzero per la Ricerca sulla Pace e l'Energia ed è autore di libri che hanno suscitato l'ira degli ayatollah atlantisti, come La storia come mai vi è stata raccontata. Gli eserciti segreti della NATO, uscito in edizione italiana qualche anno fa per i tipi di Fazi. Sempre Fazi manda in libreria il suo ultimo lavoro, Le guerre illegali della NATO, che si spera possa insufflare qualche dubbio nelle teste di quelli che si bevono le balle di un sistema mediatico occidentale ormai ridotto a dispensatore di veline per conto di Washington. Eppure questo libro, che i detrattori hanno già iniziato a bollare come “complottista”, non svela alcunché di nuovo o inedito: si limita perlopiù a riportare ciò che gli stessi vertici dell'Amministrazione Usa e dell'Alleanza Atlantica hanno ammesso qualche anno dopo eventi che i media avevano manipolato per ingannare l'opinione pubblica mondiale (del resto, se le menzogne emergono dopo un congruo intervallo di tempo il loro impatto è nullo, o comunque non basta a rimediare al danno provocato all'epoca in cui sono state diffuse).

Ma passiamo ai contenuti del libro a partire dal titolo. Perché Ganser definisce illegali le guerre della NATO? La risposta è che nessuno dei conflitti (con l'eccezione della prima guerra contro l'Iraq provocata dall'invasione del Kuwait) scatenati da Washington e dai suoi alleati soddisfa i requisiti fissati dall'ONU nel 1945, secondo i quali la guerra come metodo di risoluzione del conflitto fra le nazioni aderenti all'Organizzazione è ammessa solo in due casi: il diritto all'autodifesa e un mandato formale da parte del Consiglio di sicurezza.

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La tesi fallace degli "opposti imperialismi" e perché schierarsi per il Multipolarismo

di Leonardo Sinigaglia

720x410c50cfrewasChe si tratti delle violenze e delle speculazioni dei colossi energetici, finanziari, farmaceutici o agroalimentari, al centro vi è sempre l’imperialismo statunitense. Ciò è dovuto al fatto che in questa fase storica, al vertice della piramide del potere, vi sono i cartelli finanziari (i maggiori dei quali sono Vanguard Group, State Street e Black Rock) che hanno in Washington, nelle sue forze armate e nel suo “soft power” il principale strumento d’azione. L’imperialismo americano è ciò che ha consentito per anni il neo-colonialismo del Fondo Monetario Internazionale, le “rivoluzioni colorate” e la crescita del potere dei grandi capitali al punto di poter sfidare, e vincere, gli stessi Stati nazionali.

Quello americano non è l’unico imperialismo presente al mondo, ma riassume e controlla tutti quelli rimasti. L’imperialismo francese o quello inglese sono sostanzialmente subalterni a quello americano.

Ma la dittatura internazionale di questo viene oggi efficacemente messa in discussione dal processo di costruzione di un mondo multipolare. Cos’è l’imperialismo americano? L’imperialismo americano è la sottomissione violenta dell’Umanità agli interessi geostrategici delle lobbies di Washington. Cos’è il multipolarismo? Il multipolarismo è l’alternativa a tutto ciò, base per riaffermare la sovranità democratica e l’autodeterminazione dei popoli.

Nel suo discorso del 30 settembre il Presidente Vladimir Putin definiva l’epoca che stiamo attraversando come segnata da “trasformazioni rivoluzionarie”. Ciò è completamente vero, perché appare sempre più chiaro come il mondo segnato dalla “fine della Storia”, il mondo dell’egemonia statunitense sia ormai in fase di decomposizione.

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machina

«La guerra capitalista»

Una discussione su centralizzazione dei capitali, nuovi imperialismi e guerra

Francesco Pezzulli intervista Stefano Lucarelli

0e99dc 5854be6d69f9416893732eeb286f02d0mv2Pubblichiamo la prima di una serie di interviste che la sezione sudcomune sta portando avanti sul tema del capitalismo digitale. Il curatore della sezione Francesco Pezzulli dialoga qui con Stefano Lucarelli sui temi del libro che ha scritto insieme a Emiliano Brancaccio e Raffaele Giammetti, La guerra capitalista, edito da Mimesis e in uscita oggi, 25 novembre. 

* * * *

Nel testo appena pubblicato di cui sei autore insieme ad Emiliano Brancaccio e Raffaele Giammetti (La guerra capitalista, Mimesis, 2022 https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857592336), scrivete che «la guerra capitalista è la continuazione delle lotte di classe con mezzi nuovi e più infernali». Puoi illustrarci i termini della questione e come mai giungete a questa conclusione?

Noi siamo partiti da un fatto: la cosiddetta «legge» di centralizzazione dei capitali in sempre meno mani, originariamente teorizzata da Marx, può essere verificata empiricamente. Se ci pensi si tratta di un tema che è stato sempre messo in secondo piano dagli studiosi contemporanei di Marx, ma che in realtà oggi è molto più rilevante rispetto, per esempio, alle riflessioni sulla caduta tendenziale del saggio di profitto. L’analisi della centralizzazione dei capitali tutto sommato era restata sullo sfondo anche nelle analisi critiche del processo di globalizzazione diffusesi soprattutto nella seconda metà degli anni Novanta. E comunque non era mai stata analizzata con gli strumenti adeguati. Oggi in effetti – come mostriamo nel libro – trova una conferma nei dati.