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contropiano2

Sull’autostrada della seta: impressioni di un occidentale in Cina

di Vincenzo Iaccarino

IMG 20241210 WA0013.jpgQuindici giorni a cospetto del Dragone. Quindici giorni attraverso il pianeta Cina. Una lunga marcia tra tradizione e contemporaneitá, tecnologia high-tech e quartieri popolari, musei e luoghi della Storia.

Osservando, riflettendo, dialogando dove possibile con i cittadini di quella Cina Popolare sul cui sistema politico, economico e sociale tanti sono i cliché che l’Occidente liberista e la sua stampa sono capaci di assommare, tra propaganda e ideologia.

E allora sgomberiano subito il campo dai luoghi comuni. A partire dalla rete e da internet.

Non esiste nessuna regia occulta o dittatura repressiva che vieta ai cinesi di usare Google o qualsivoglia social. Semplicemente loro non li usano.

Esistono decine di offerte per l’utilizzo di smartphone con la VPN. Già in aeroporto, ad esempio, vendono le Sim con le impostazioni per poter postare su instagram la tua vacanza. Tutti i cinesi potrebbero averne accesso. Alcuni hotel hanno persino la Wi-Fi “sbloccata”. Ma niente.

Sarà che i cinesi di Facebook, Instagram, X e degli altri social non sanno che farsene; o forse sarà anche che i loro dati non vogliono regalarli a Google e Meta.

Oppure sarà che le loro app sono utili per fare qualsiasi cosa: dal chattare al fare pagamenti; dal prenotare un museo o vedere la programmazione dei cinema; fino a prendere metro e bus. Funzionando tutte in modo impeccabile, perfino per noi che non parliamo né leggiamo il cinese.

Sta di fatto che la rete non incontra lo stesso successo che riscuote nel nostro Occidente.

Il secondo mito da sfatare riguarda invece il cosiddetto controllo oppressivo, sia esso individuale o sociale – dalla circolazione e la mobilità interna al pericolo terrorismo, per intenderci – in merito al quale ci sono due elementi da considerare.

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giubberosse

Uccidere un popolo

di Chris Hedges per scheerpost.com

I decantati valori democratici, la moralità e il rispetto dei diritti umani, rivendicati da Israele e dagli USA, sono sempre stati una bugia. Il vero credo è questo: abbiamo tutto e se provi a togliercelo ti uccideremo

Quello che segue è il discorso principale che ho tenuto il 1° novembre alla conferenza, La fine dell’impero, presso l’Università della California di Santa Barbara [prima delle elezioni negli Stati Uniti]. La conferenza è stata organizzata dal professor Butch Ware, che era anche il candidato vicepresidente del Partito Verde. Gli amministratori dell’università hanno vietato la pubblicità anticipata del discorso sugli account dei social media dell’università.

* * * *

Trascrizione

Lo sterminio funziona. All’inizio. Questa è la terribile lezione della storia. Se Israele non viene fermato, e nessuna potenza esterna sembra disposta a fermare il genocidio a Gaza o la distruzione del Libano, raggiungerà i suoi obiettivi di spopolamento e annessione della parte settentrionale di Gaza.

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contropiano2

Turchia, Russia, USA, Israele in campo, nella scacchiera strategica siriana

di Enrico Vigna*

Siria nuova soldati.jpgDopo aver occupato in poche ore la città di Aleppo, la seconda più grande del paese e aver travolto le difese dell’Esercito arabo siriano, stanno cercando di arrivare all’altra grande città di Hama. Ma qui hanno trovato una forte resistenza e risposta militare, dovendo abbandonare molte posizioni nelle aree circostanti. Ma come è potuto accadere, cosa comporta e può cambiare negli equilibri geopolitici e militari dell’area.

Premetto che questa è una sintesi, da me curata, di documentazioni, analisi, letture, di istituti, esperti, analisti geopolitici e militari, mediorientali, arabi e dei paesi eurasiatici, oltre che contatti e testimonianze sul posto, che hanno una valenza e conoscenza strategica interne alle dinamiche in corso, che può contribuire a conoscere e appropriarsi di elementi di comprensione profondi e spesso non svelati, che vanno al di là di opinioni, valutazioni o previsioni soggettive.

Una tragica e dolorosa partita a scacchi geopolitica si è riaperta nella martoriata terra siriana.

I cosiddetti ribelli siriani hanno attaccato e conquistato in poche ore, quella che era la città più grande del Paese, Aleppo, L’attacco è stato il primo da parte delle forze ribelli, così potente dal 2016, quando furono cacciate dai quartieri orientali della città dopo un’estenuante campagna militare condotta dall’Esercito Arabo Siriano, dalle milizie locali lealiste e palestinesi, con il sostegno di Russia e Iran. Il 27 novembre migliaia di combattenti si sono diretti verso Aleppo con un attacco a sorpresa contro l’esercito governativo, sorprendendolo nettamente.

Nello stesso tempo, i terroristi di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), i gruppi filo-turchi e i loro alleati del cosiddetto Esercito Siriano Libero (ELS), hanno lanciato un’offensiva su larga scala nel nord della Siria, i terroristi hanno catturato dozzine di insediamenti e sono entrati ad Aleppo, una città che aveva una popolazione di oltre 2 milioni di abitanti. Inoltre, i terroristi minacciano l’autostrada M-5, che collega Aleppo con la capitale Damasco e altre grandi città siriane.

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lafionda

Tutela dei diritti umani e divieto di ingerenza: il caso del Sudan

di Giovanni Tosi

151218185 64e1ec86 965b 4793 b906 790bb583fb98.jpgL’11 settembre 2024 il Consiglio di Sicurezza ONU ha adottato la terza risoluzione riguardante il Sudan dallo scoppio della guerra civile, nell’aprile 2023. Come per le due risoluzioni precedenti, tuttavia, anche questa non ha prodotto alcun effetto significativo. La risoluzione ha confermato sanzioni, esteso l’embargo sulle armi e ricordato alle parti belligeranti l’importanza di “assicurare la protezione dei civili”. Nel preambolo si richiamano numerose risoluzioni adottate in precedenza sul Sudan, risalendo fino al 2005. Si nota, tuttavia, l’assenza della risoluzione 1706 del 2006, che molto avrebbe a che fare con la situazione odierna. E non è la prima volta, tanto che questa delibera si è guadagnata il soprannome di “risoluzione dimenticata”.[1] Nonostante alcuni difetti, la 1706 è stata la prima risoluzione country-specific a contenere un riferimento alla dottrina di intervento umanitario detta Responsibility to Protect (R2P), adottata proprio per autorizzare una missione di pace nella guerra civile di allora, in Darfur (uno dei numerosi conflitti interni che hanno afflitto il Sudan fin dall’indipendenza). Ma perché la R2P non compare nei dibattiti del Consiglio di Sicurezza sulla questione sudanese?

 

La R2P e la situazione sudanese

La R2P, approvata dal World Summit dell’ONU nel settembre 2005, legittima l’intervento del Consiglio di Sicurezza (se necessario, anche con la forza) per sopperire a un governo che abbia “manifestamente fallito” nella propria responsabilità di proteggere la popolazione da crimini atroci. La R2P era stata ideata alla fine degli anni ’90 per risolvere il dilemma tra difesa della sovranità e difesa dei diritti umani, permettendo alla comunità internazionale, in casi gravi, di intervenire a scopo umanitario negli affari interni di Stati sovrani.[2]

L’origine dell’attuale guerra civile in Sudan è da ricercarsi nei contrasti sorti tra le due fazioni militari che da cinque anni determinano le sorti del paese: le Sudan Armed Forces (SAF), esercito governativo guidato dal generale e attuale presidente Abdel Fattah al-Burhan; e le Rapid Support Forces (RSF), milizia collaterale dell’esercito, ma autonoma, con a capo il generale Mohamed Dagalo “Hemedti”.

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ilpungolorosso

Sì, è un genocidio

Interventi di Amos Goldberg e Silvia Federici

Riceviamo dai compagni Tiziano L. e Paolo B., e volentieri pubblichiamo questi due interventi contro il genocidio sionista in corso in Palestina che hanno un loro valore e una loro forza in sé, al di là della nostra concordanza o meno con le posizioni prese da questi due studiosi su altre questioni. (Red.)

gaza bambini uccisi 1068x712 1Dichiarazione di Amos Goldberg, storico israeliano, Professore di Storia dell’Olocausto al Dipartimento di Storia Ebraica dell’Università Ebraica di Gerusalemme:

“Sì, è un genocidio. È difficile e doloroso ammetterlo, ma non possiamo più evitare questa conclusione. La storia ebraica sarà d’ora in poi macchiata dal marchio di Caino per il “più orribile dei crimini”, che non potrà essere cancellato. È così che sarà considerata nel giudizio della Storia per le generazioni a venire. Gli obiettivi militari sono quasi obiettivi incidentali mentre uccidono civili, e ogni palestinese a Gaza è un obiettivo da uccidere. Questa è la logica del genocidio. Sì, lo so, quelli che lo dicono «Sono tutti antisemiti o ebrei che odiano se stessi». Solo noi israeliani, con la mente alimentata dagli annunci del portavoce dell’IDF ed esposta solo alle immagini selezionate per noi dai media israeliani, vediamo la realtà com’è. Come se non ci fosse una letteratura interminabile sui meccanismi di negazione sociale e culturale delle società che commettono gravi crimini di guerra. Israele è davvero un caso paradigmatico di tali società. Ciò che sta accadendo a Gaza è un genocidio perché livello e ritmo di uccisioni indiscriminate, distruzione, espulsioni di massa, sfollamenti, carestia, esecuzioni, cancellazione delle istituzioni culturali e religiose, disumanizzazione generalizzata dei palestinesi creano un quadro complessivo di genocidio, di un deliberato e consapevole annientamento dell’esistenza palestinese a Gaza.

La Gaza palestinese come complesso geografico-politico-culturale-umano non esiste più.

Il genocidio è l’annientamento deliberato di una collettività o di una parte di essa, non di tutti i suoi individui. Ed è ciò che sta accadendo a Gaza. Il risultato è senza dubbio un genocidio. Le numerose dichiarazioni di sterminio da parte di alti funzionari del Governo israeliano e il tono generale di sterminio del discorso pubblico indicano che questa era anche l’intenzione”.

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Capitalismo e guerra alla riproduzione sociale

di Silvia Federici

23 Novembre 2024 – https://comune-info.net/sviluppo-capitalistico-e-guerra-alla-riproduzione-sociale/

Ciò che è chiaro è che Israele sta conducendo una guerra totale contro tutto ciò di cui i palestinesi hanno bisogno per la loro riproduzione.

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mondocane

Bye bye Grande Israele. Libano, inizio della fine per chi?

di Fulvio Grimaldi

Libano bandiere1.jpgByoblu, Arianna Graziato intervista Fulvio Grimaldi

https://www.byoblu.com/2024/11/27/medio-oriente-arriva-la-tregua-ma-manca-la-pace-che-idea-ti-sei-fatto/

Avete presente quel pugile, Tyson, a 58 anni vecchio come il cucco, ma con una carriera di sfracelli alle spalle? Ci riprova, è chiuso all’angolo, mena colpi all’impazzata senza cogliere il bersaglio, barcolla, si aggrappa alle corde, crollerà. Qualcuno getta l’asciugamano, si chiama Amos Hochstein, israelo-americano dell’IDF.

E’ andata così a Beirut nei giorni scorsi, ma, a dispetto della complicità delle varie mafiosità predatrici dell’Occidente politico, neanche la tregua di 60 giorni salverà Israele dall’abominio universale con cui lo vede e tratta la parte migliore dell’umanità.

Contro il Libano, obiettivo da distruggere per far spazio alla Grande Israele, colpo fallito nel 2000 e nel 2006 col naso rotto da Hezbollah, Israele, che già non riesce a domare Hamas in una striscia di 60km x 10 bombardata e genocidata da 14 mesi, doveva:

  • - mettere in sicurezza 150.000 esasperati cittadini cacciati dalle loro colonie nel Nord e nel Sud della Palestina occupata e che ora arrivano a prendere a pugni i propri soldati, in gran parte riservisti che non gliela fanno più.
  • - Sollecitare al ritorno i 700.000 occupanti della Palestina che, a causa dei casini in corso, dentro Israele e tutt’intorno, hanno abbandonato Israele e da paese dell’immigrazione (indispensabile per contenere la prolificità palestinese) lo hanno ridotto a paese della gente in fuga.

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sinistra

BITCOIN. Un'alternativa digitale?

di Tony Norfield[1]

Con BTC vicino2 1200x556.jpgAll'inizio ho prestato poca attenzione ai Bitcoin, pensando che probabilmente ci fossero più imitatori di Elvis Presley di quante persone al mondo lo abbiano scambiato o posseduto. Ma visto che le banche centrali hanno rilasciato dichiarazioni politiche sui Bitcoin, che l'FBI ha sequestrato asset Bitcoin utilizzati dagli spacciatori di droga e che le autorità fiscali hanno fornito indicazioni sulle passività per plusvalenze, mentre i gruppi finanziari stanno progettando di offrire fondi negoziati in borsa denominati in Bitcoin, ho deciso di dargli una seconda occhiata. Questo articolo fornisce la mia valutazione di questa valuta digitale alternativa. Il Bitcoin è emerso dalle macerie del sistema monetario internazionale nel 2008, quando numerose banche hanno avuto un'esperienza di pre-morte e alcune sono state effettivamente sepolte. È stato ideato da un team di specialisti del software, guidati da un certo Satoshi Nakamoto. A marzo, Newsweek ha affermato di aver smascherato questo misterioso uomo internazionale come un modesto ingegnere giapponese-americano in pensione, ma quest'ultimo lo nega e sono in corso cause legali. Tuttavia, è possibile analizzare i Bitcoin senza entrare nei dettagli delle personalità coinvolte. Ci sono due aspetti chiave dei Bitcoin: un sistema di pagamenti basato su Internet e un'unità di valuta speciale per il pagamento tra diversi account Internet. Il primo è ragionevolmente innovativo; il secondo è bizzarro. Sebbene siano strettamente collegati, è utile considerarli separatamente.

 

Il sistema

Con i Bitcoin puoi effettuare pagamenti tra singoli conti su Internet in un modo che non utilizza il sistema bancario. Ciò solleva una serie di domande sull'accesso all'account, l'identità e la sicurezza che gli sviluppatori di software hanno cercato di risolvere e, per lo più, hanno risolto (vedi Wikipedia su Bitcoin per una discussione estesa su aspetti tecnici, insidie ​​e truffe).

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paginauno

Palestina. La situazione dei lavoratori dei Territori Arabi Occupati: Gaza, Cisgiordania e Golan

di International Labour Organization (ILO)*

Morti, feriti e devastazione: cosa significherà a lungo termine? Un durissimo Rapporto dell’International Labour Organization fotografa l’annientamento dell’economia e del mercato del lavoro a Gaza, in Cisgiordania e nel Golan e mostra come la distruzione non sia iniziata il 7 ottobre 2023 e non finirà con il cessate il fuoco: sono terre nelle quali Israele si è strutturato per rendere sempre più difficile la sopravvivenza ai palestinesi e spingerli ad andarsene

territori palestinesi 2 750x430.jpg45.000 palestinesi morti e 95.000 feriti a Gaza, al 10 settembre 2024. Un bollettino tenuto costantemente aggiornato, insieme alla portata della distruzione causata dai bombardamenti e dalle incursioni via terra dell’esercito israeliano. Ciò su cui ci si focalizza meno è cosa significherà tutto questo a lungo termine. È quel che fa questo Rapporto dell’International Labour Office, presentato a giugno 2024, partendo dalla situazione del lavoro e dei lavoratori non solo di Gaza, ma di tutti i Territori Arabo/Palestinesi Occupati, ossia anche Cisgiordania e Golan. È una situazione di cui non si può avere contezza della portata se non si analizzano i dettagli e i numeri, e questo documento li contiene.

Veniamo così a sapere, per citare appena alcune realtà fotografate dal Report, che a Gaza il PIL è crollato dell’81% e la disoccupazione è all’89%; che l’80% degli stabilimenti commerciali, industriali e dei servizi è stato danneggiato o distrutto, causando la chiusura delle attività economiche; che la produzione agricola è cessata perché Israele sta “radendo al suolo tutte le strutture, compresi i campi agricoli e le serre, e creando una zona cuscinetto lungo la recinzione di confine tra Israele e Gaza che dovrebbe essere larga fino a un chilometro e occupare circa il 16% della superficie dell’enclave”, mentre anche pesca e acquacoltura sono crollate perché “nessuna imbarcazione nel porto di Gaza è rimasta utilizzabile e le gabbie per la piscicoltura, le attrezzature per la pesca e gli impianti per la produzione di ghiaccio per preservare il pescato sono stati distrutti durante i bombardamenti all’inizio della guerra”: una condizione che ha contribuito alla carestia e all’attuale crisi alimentare.

Anche in Cisgiordania l’economia e il lavoro sono franati. Prima della guerra, 140.000 palestinesi della Cisgiordania erano impiegati in Israele e altri 40.000 negli insediamenti israeliani: la maggior parte ha perso il lavoro a causa della chiusura dei valichi di frontiera operata da Israele.

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perunsocialismodelXXI

I popoli africani contro l'imperialismo 3. Amilcar Cabral

di Carlo Formenti

Amílcar Cabral com Fidel Castro.pngAmilcar Cabral è l’ultimo intellettuale rivoluzionario africano di questo trittico in cui ho già presentato le idee di Said Bouamama e Kevin Ochieng Okoth. Nato in Nuova Guinea da genitori capoverdiani nel 1924, quando il Paese era ancora una colonia portoghese, nel 1945 ottenne una borsa di studio che gli consentì di frequentare l’Università di Lisbona dove conseguì la laurea in agronomia e dove rimase fino al 1952, ma soprattutto dove conobbe quelli che sarebbero diventati, assieme a lui, i leader delle guerre di liberazione delle altre colonie portoghesi, fra i quali l’angolano Mario Pinto de Andrade e il mozambicano Eduardo Mondlane. Rientrato in patria con l’incarico di agrimensore, si mise alla testa della lotta per l’indipendenza nazionale che si concluse vittoriosamente nel 1973 pochi mesi dopo la sua morte (nel gennaio di quell’anno venne assassinato da agenti portoghesi). Il suo contributo teorico, politico e culturale alla rivoluzione anticolonialista e antimperialista e allo sviluppo della teoria marxista, è di ampio respiro e resta un punto di riferimento obbligato per capire le dinamiche della lotta di classe in Africa. Per presentarne il pensiero, ho utilizzato qui un’antologia che raccoglie testi di discorsi tenuti nel corso dei suoi viaggi in giro per il mondo per raccogliere solidarietà alla lotta del popolo guineano (“Return to the Source”, Monthly Review Press). Alla fine trarrò le conclusioni di questo percorso in tre tappe.

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1. Teoria e prassi come momenti di un unico processo di apprendimento

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lindipendente

Perché quello israeliano è un genocidio

Andrea Legni intervista Francesca Albanese

francesca albanese ansaNei giorni scorsi, la Relatrice Speciale dell’ONU per i Territori Occupati Palestinesi, Francesca Albanese, ha presentato il proprio rapporto ufficiale nel quale si dettaglia come quello israeliano a Gaza sia da considerare, alla luce del diritto internazionale, un genocidio. Lo stesso report, che si intitola senza giri di parole Il genocidio come cancellazione coloniale, accusa i governi occidentali di aver garantito a Israele un’impunità che gli ha permesso di «diventare un violatore seriale del diritto internazionale». La relatrice italiana, ma che da molti anni vive all’estero, è stata attaccata con inaudita violenza: l’ambasciatrice statunitense all’ONU l’ha accusata di antisemitismo, mentre la lobby filo-israeliana UN Watch ha lanciato una campagna per cacciarla dalle Nazioni Unite con l’accusa di diffondere «antisemitismo e propaganda di Hamas». Accuse surreali alle quali risponde anche in questa intervista rilasciata in esclusiva a L’Indipendente. Lo fa senza arretrare di un millimetro, anzi dettagliando perché quella che Israele sta scrivendo a Gaza sia da considerare una delle pagine «più nere e luride della storia contemporanea» e denunciando il clima di intimidazione che colpisce sistematicamente chi, all’interno delle istituzioni internazionali, cerca di agire concretamente per inchiodare il governo israeliano alle proprie azioni.

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Poche settimane fa è stato ucciso il capo di Hamas Yahya Sinwar. I governi e i media occidentali hanno celebrato l’evento, affermando che la sua eliminazione abbia reso il mondo più sicuro e avvicinato la pace in Medio Oriente. Cosa ne pensa?

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perunsocialismodelXXI

I popoli africani contro l'imperialismo - 2. Kevin Ochieng Okoth

di Carlo Formenti

cabral 1170x658.jpgIl trittico africano, iniziato con le recensioni a due libri di Said Bouamama; prosegue con questo secondo post che anticipa la mia postfazione al libro Red Africa, di Kevin Ochieng Okoth che sarà in libreria per i tipi di Meltemi il prossimo 22 Ottobre. Ritroverete qui molti temi trattati nei lavori di Bouamama, come la critica dell’approccio “culturalista” (a partire dai miti della negritudine) al processo di emancipazione dei popoli post coloniali dal dominio imperiale dell’Occidente, e come il rifiuto del tentativo di liquidare il marxismo come “eurocentrico” e quindi inservibile per guidare le nazioni africane sulla via dello sviluppo autonomo. Rispetto a Bouamama, Okoth analizza più estesamente e a fondo il ruolo determinante che le lotte afroamericane hanno svolto nella formazione di uno spirito panafricanista rivoluzionario. Infine, come avrete modo di vedere, il punto di vista di Okoth appare più severo di quello di Bouamama nei confronti degli errori e delle scelte opportuniste delle élite che hanno guidato le lotte di liberazione nazionale (ma su questo tema tornerò in sede di conclusione dopo avere pubblicato la terza e ultima puntata di questo trittico, dedicata al pensiero di Cabral).

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Red Africa. Idee per riportare Marx in Africa

Mezzo secolo fa, una feroce controffensiva dell’imperialismo occidentale, guidata dagli Stati Uniti, stroncava la speranza dei Paesi non allineati, molti dei quali pervenuti da poco all’indipendenza, di imboccare la via dello sviluppo e della transizione al socialismo.

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lantidiplomatico

La strategia del caos

di Laura Ruggeri

Le risposte alla prima crisi dell’egemonia statunitense hanno scatenato forze che hanno finito per erodere il potere degli Stati Uniti

nbclou54so9Gene Sharp, considerato il padrino delle rivoluzioni colorate, pubblica il suo primo libro, The Politics of Nonviolent Action, nel 1973, in un momento in cui gli Stati Uniti attraversavano una serie di crisi — economiche, politiche, militari — che stavano erodendo la fiducia nel governo e costituivano un serio ostacolo alle ambizioni geopolitiche di Washington. Le risposte a queste crisi — espansione dell’egemonia attraverso guerre convenzionali e ibride spesso affidate ad attori non statali, la finanziarizzazione dell’economia e l’utilizzo del dollaro come arma — segneranno il corso dei decenni successivi. Ma a distanza di cinquant’anni è evidente che queste risposte, pur avendo sconvolto l’ordine globale del dopoguerra per aprire le porte al ‘momento unipolare’ degli Stati Uniti, non hanno fatto nulla per risolvere problemi di natura sistemica e strutturale. Semmai, queste “soluzioni” hanno creato ulteriori e più intrattabili problemi per l’egemone, culminati nella crisi di legittimità che gli Stati Uniti stanno attualmente affrontando.

The Politics of Nonviolent Action si basava su una ricerca, finanziata dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, che Sharp aveva condotto ad Harvard alla fine degli anni ’60, quando l’università era l’epicentro dell’establishment intellettuale della Guerra Fredda — vi insegnavano infatti Henry Kissinger, Samuel Huntington e Zbigniew Brzezenski. A prima vista potrebbe sembrare contraddittorio che il soggetto della ricerca di Gene Sharp attirasse l’interesse del Pentagono e della CIA. In realtà, non è affatto sorprendente: la sconfitta e le perdite subite in Vietnam avevano lasciato una profonda ferita nella psiche americana e a livello internazionale questa brutale aggressione imperialista aveva alimentato un forte sentimento antiamericano. Inoltre, mentre l’egemonia statunitense iniziava a perdere colpi, crescevano i timori per i costi economici della corsa agli armamenti con Mosca. La ricetta di Sharp prometteva di fornire la soluzione che Washington stava cercando per rafforzare il proprio potere minando quello dell’Unione Sovietica, suo principale rivale geopolitico, ideologico e militare.

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ilpungolorosso

La sola cosa grande che può fare l’Amerika di Trump è seminare altro caos e guerra nel mondo intero

di Il Pungolo Rosso

Trump Musk“I Trump, i Musk e simili grandi-uomini-spazzatura possono soltanto dare un epilogo tragico alla vecchia storia di sfruttamento e predazione di cui non se ne può più”.

Ci torneremo su, quando sarà di nuovo alla Casa Bianca. Ma qualcosa va detta subito. Ed è che la possibilità che la banda-Trump/Musk possa fare l’Amerika “great again” è esclusa. La nuova “età dell’oro” che questi truffatori spaziali promettono al proprio “popolo” non ci sarà. Non è possibile che ci sia, semplicemente perché l’età dell’oro dell’imperialismo statunitense, che c’è stata effettivamente, è stata fondata sull’enorme sviluppo della grande industria, della tecnologia di avanguardia e dell’industrializzazione capitalistica dell’agricoltura. Su queste basi, e su due guerre mondiali vinte grazie alla propria superiorità industriale e tecnologica e alla propria auto-sufficienza alimentare, si fondano le ultime due armi esiziali rimaste nelle mani dei Trump e dei Biden: il signoraggio mondiale del dollaro e la macchina bellica tuttora più potente del mondo. Che, di necessità, essendosi di molto ridotta la solida base su cui poggiavano, hanno preso a traballare.

L’Amerika di oggi, avendo perso una bella quota della propria grande industria di un tempo per la spasmodica ricerca dei sovraprofitti dei propri trust che hanno – a partire dagli anni ‘60 – delocalizzato una enorme quota di produzione, è in cronico deficit commerciale con l’UE e con la Cina (e non solo). Parliamo di centinaia di miliardi di dollari l’anno di importazioni di ogni tipo di merci, a iniziare dalle macchine per la produzione industriale. Anche l’agricoltura statunitense ha iniziato da tempo a declinare, e del suo storico, indiscusso primato mondiale non ci sono più tracce. Ormai l’Amerika primeggia solo nella produzione di petrolio e di gas (quindi come stato che si nutre di rendita fondiaria) e nelle industrie della rete e della guerra, ma lo fa a fronte di concorrenti e avversari sempre più agguerriti, e in molti casi relativamente, o ampiamente, indipendenti dal suo potere.

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perunsocialismodelXXI

I popoli africani contro l'imperialismo - 1. Said Bouamama

di Carlo Formenti

Con questo testo inauguro un percorso in tre tappe sulle lotte africane contro l’imperialismo e sul loro contributo allo sviluppo del marxismo. In questo primo articolo discuto due libri di Said Bouamama (intellettuale marxista di origine magrebina nato in Francia - a Roubaix - sessantasei anni fa): Pour un panafricanisme révolutionnaire (Syllepse, Parigi 2023) e Des classes dangereuses a l’ennemi intérieur (Syllepse, Parigi 2021). Nelle puntate successive mi occuperò, rispettivamente, di Red Africa dell’anglo-africano Kevin Ochieng Okoth (di imminente uscita presso l’editore Meltemi, con una mia Postfazione) e di un’antologia di testi del guineense Amilcar Cabral.

modalita di viaggio in africa 1820 da w hutton viaggi in africa 1821 da i clark dopo william hutton gli europei sono trasportati su lesulle lettiere un uomo africa.jpgI. Sul panafricanismo rivoluzionario

a) Le falsificazioni ideologiche occidentali per legittimare il colonialismo

La più diffusa mistificazione cui gli imperialisti occidentali hanno fatto ricorso per giustificare le proprie guerre coloniali di conquista, scrive Bouamama, è stata l’affermazione secondo cui l’Africa sarebbe un continente “senza storia”, che solo grazie all’integrazione negli imperi dei Paesi europei ha potuto fare il proprio ingresso nella storia “universale” (cioè europea). Questa tesi si fonda su una narrazione che presenta il continente africano come un insieme di società “primitive”, politicamente non strutturate, “senza stato”, una moltitudine di gruppi umani senza scambi reciproci, perennemente in guerra fra loro e incapaci di esprimere forme sociali più complesse della tribù e del clan famigliare (per inciso, vale la pena di sottolineare come l’immagine delle “società senza stato” evocata nelle narrazioni di alcuni antropologi occidentali, sia stata utilizzata “da sinistra” per criticare i processi di costruzione nazionale post indipendenza ed esaltare certe forme sociali premoderne in contrapposizione ai processi di modernizzazione imposti dall’esterno).

La realtà è che, prima della colonizzazione, contrariamente alle affermazioni propagandistiche occidentali, sia nell’Africa Settentrionale che nell’Africa Subsahariana, esistevano non solo stati ma addirittura veri e propri imperi per cui la colonizzazione, scrive Bouamama, non ha voluto dire l’ingresso dell’Africa nella storia, bensì l’interruzione violenta della sua storia (esattamente come la cosiddetta “scoperta” dell’America ha voluto dire l’interruzione violenta della storia di quel continente).

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analisidifesa

Il ritorno di Trump

di Gianandrea Gaiani

110624 President Donald Trump AP CMDonald Trump è il trionfatore nella corsa alla Casa Bianca sia per i voti incassati tra i “grandi elettori” e nel voto popolare sia per il successo del Partito Repubblicano nelle elezioni del Congresso. Prima ancora dell’Amministrazione Biden e di Kamala Harris, a uscire sconfitti dal voto americano è il circuito mediatico che ha dimostrato la sua totale inattendibilità e partigianeria.

Pronostici, valutazioni e sondaggi resi noti negli Stati Uniti ma anche in Europa e in Italia hanno dato fino all’ultimo i due rivali testa e testa con un leggero vantaggio per Kamala Harris. Previsioni rivelatesi talmente infondate da alimentare il sospetto che fossero indirizzate più a influenzare il voto degli americani che a fotografarne l’orientamento. Pura propaganda alimentata da media, mondo della cultura e dello spettacolo fin troppo chiaramente schierati con il Partito Democratico che però aveva sollevato ancora una volta un polverone per denunciare (complici anche diversi “zelanti” alleati europei) la “disinformazione russa” tesa a influenzare il voto a favore di Trump.

Difficile credere che coloro che davano Trump e Harris testa a testa nel voto americano si siano tutti sbagliati: appare quindi più probabile che la disinformazione (la nostra, non quella russa) abbia prevalso ancora una volta come è apparso chiaro seguendo alcune “maratone” televisive nostrane.

In queste come in altre elezioni il tema dell’inaffidabilità e dell’informazione (anzi, della disinformazione) attuata da gran parte del circo mediatico occidentale è emerso in modo talmente eclatante da rappresentare paradossalmente una minaccia per l’opinione pubblica e per la democrazia. Specie in un contesto in cui, dalle due sponde dell’Atlantico, si moltiplicano appelli e iniziative tese a limitare o sopprimere la libertà di espressione nel nome della “lotta alla disinformazione”.

In realtà, a determinare il successo del candidato repubblicano sembrano essere stati gli elementi emersi il 5 novembre in un sondaggio effettuato tra gli elettori dalla CNN che ha rivelato come solo il 5% ritenga che l’economia americana sia in uno stato di forma eccellente, mentre circa il 70% ritiene che non versi in buono stato.