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La Russia di Putin nella politica internazionale
di Spartaco Puttini
Nell’ultimo periodo i mezzi di comunicazione hanno posto l’opinione pubblica di fronte al tormentone del presunto “ritorno alla guerra fredda” tra l’Occidente e la Russia.
Non si intende qui alludere al ritorno dei toni russofobi sui media nostrani, come avvenne durante il periodo della competizione tra i due blocchi, (elemento comunque sempre più presente sui giornali di qualsivoglia orientamento politico e che meriterebbe una trattazione a parte) quanto della presa d’atto di uno stato di deterioramento nelle relazioni tra Washington e Mosca che produce evidenti ripercussioni sull’Europa. Il fattore scatenante tale presa di coscienza è consistito nelle reazioni russe all’annuncio americano del dislocamento di un sistema antimissile USA in Europa orientale, ma in realtà le tensioni tra le due Potenze covavano da tempo e si sono andate accumulando sulle più varie questioni.
La visione idilliaca della “fine della storia” e la concezione no-global della presunta “cupola” delle Grandi Potenze, che dalle stanze del G8 domina il mondo con un’assonanza perfetta da far impallidire persino la Santa Alleanza del Congresso di Vienna del 1815, devono lasciare malamenteil posto alla realtà di un antagonismo che sarà assai difficile da risolvere nel decennio a venire.
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Una Birmania "americana"
I timori di Mosca, Pechino e Dehli
di Giuseppe Zaccagni
Non si placa la repressione e non cessa la rivolta in Myanmar. Ma Russia, India e Cina credono di vedere, nel mare “zafferano” della rivolta birmana, anche le bandiere a stelle e strisce della potenza americana. E mai come questa volta il duro giudizio geostrategico accomuna le diplomazie dei tre paesi. Ossessionati dall’espansionismo americano temendo che il sì a un’ingerenza negli affari interni di un Paese sovrano possa in futuro essere usata anche contro di loro. Come già avvenuto in Ucraina e in Georgia per la Russia, nel Pakistan per l’India e per la Cina con il Tibet. E così c’è un “no” agli americani che non è solo un grido che esce dai palazzi delle diplomazie. Fanno così ingresso nell’arena politica asiatica alcune concezioni geopolitiche che vanno ad opporsi alle idee sviluppate, nei media mondiali, sulla base di quanto avviene a Bangkok. Perché sia al Cremlino di Putin che nella capitale indiana che fu di Gandhi, che nella cittadella cinese che fu di Mao, la questione birmana è seguita sotto due aspetti. Il primo - che è poi quello più importante - riguarda la preoccupazione che si riferisce al fatto che le proteste che sconvolgono il paese asiatico siano il frutto di precise manovre di stampo americano.
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CINA: LA LIBERALIZZAZIONE AD ALTO RISCHIO E' L'UNICA ALTERNATIVA?
di James Petras
Negli ultimi anni la spinta della Cina verso uno status di superpotenza economica nell'economia mondiale è aumentata. Mentre l'economia della Cina si globalizza, cambiamenti fondamentali nei suoi mercati finanziari hanno aperto occasioni per un'espansione all'estero, così come crescenti rischi di crisi finanziaria. Introduzione
La crescita dinamica, la speculazione finanziaria su grande scala e l'espansione all'estero sono accompagnati da più profondi e diffusi problemi sociali ed economici, che possono insidiare il continuo sviluppo e la stabilità politica.
La crescita dinamica della Cina a livello economico e finanziario
Ormai il mondo è consapevole della prolungata e senza precedenti crescita a due cifre della Cina nel P.I.L., nelle esportazioni, nella produzione ed in altri settori economici. Gli economisti ed i banchieri centrali hanno preso nota delle riserve di 1.5 trilioni [cioè 1500 miliardi n.d.r.] di dollari della Cina, dei 3 trilioni di dollari in risparmi e del rapido sviluppo di milionari e miliardari.
Inoltre, nonostante la turbolenza del mercato finanziario europeo e statunitense a metà 2007, la bilancia commerciale della Cina a luglio 2007 era a un record di quasi 24.4 miliardi di dollari, le sue esportazioni sono cresciute del 34% nonostante la crescita delle importazioni di petrolio, le riduzioni dei rimborsi agli esportatori e gli aumenti del tasso d'interesse. Ci si aspetta che il P.I.L. della Cina cresca quasi all'11% nel 2007 (Financial Times, 20 luglio 2007), il più alto tasso di crescita nel nuovo millennio.
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Sudan: gli sviluppi interni
Alberto Grossetti
Dopo la firma nel 2005 del Comprehensive Peace Agreement (CPA) che ha messo fine ad una guerra civile durata 22 anni, il paese sta difficilmente affrontando le sfide della ricostruzione e della pacificazione nazionale. L’implementazione dell’accordo è caratterizzata da rallentamenti ed incomprensioni che potrebbero causare un ulteriore irrigidimento dei già precari rapporti tra Khartoum e Juba creando tensioni destabilizzanti. Il governo di El Bashir è inoltre sotto stretta sorveglianza dalla comunità internazionale per la sua condotta in Darfur: durante le negoziazioni di ottobre in Libia il presidente dovrà assumersi impegni e responsabilità precise per riacquistare credibilità internazionale, anche per rafforzare la sua leadership interna, in vista delle elezioni del 2009.
Il perdurare delle tensioni
A 2 anni dalla firma del CPA, il controverso rapporto tra nord e sud del paese è ancora continuo motivo di preoccupazione.Era preventivabile che la firma di un accordo di pace non sarebbe stata sufficiente a curare le profonde ferite derivanti da 22 di guerra civile, e che le sfide maggiori avrebbero riguardato il periodo post-bellico. Le relazioni tra Khartoum e Juba sono gelide, con il Sudan People's Liberation Movement (SPLM) che accusa il presidente El Bashir e il National Congress Party (NCP) di ostacolare volontariamente la realizzazione delle disposizioni del CPA e di prendere decisioni politiche chiave di interesse nazionale unilateralmente, mettendo in discussione il principio “comprensivo” di condivisione del potere stabilito dall’accordo.
Tra i motivi di frattura a cui il CPA doveva mettere rimedio vi è la gestione del petrolio e l’utilizzo dei suoi proventi. Il settore estrattivo ha avuto uno sviluppo molto rapido negli ultimi anni, passando dai 1.500 barili di produzione giornaliera nel 1999 ai 500.000 odierni, che potrebbero aumentare sensibilmente in futuro e si prevede che le entrate petrolifere quest’anno raggiungeranno i 4 miliardi di dollari, portando ad una crescita del PIL superiore al 10%.
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La Russia del futuro, dal KGB alla "Tributaria"
di Carlo Benedetti
MOSCA. Si annuncia al Cremlino una lotta dura contro gli evasori fiscali, contro le varie tangentopoli, contro le lobby e la corruzione. E’ questa la prima sensazione che si coglie nella capitale dopo che il nuovo premier Zubkov (classe 1941) ha scoperto le carte parlando alla Duma, mostrandosi alla tv insieme al predecessore Fradkov (classe 1950), mentre gli addetti ai servizi logistici cambiavano la targa dell’ufficio. Ma dietro le quinte di questo teatro politico russo si è visto subito il volto di quel grande regista - manovratore e suggeritore, truccatore e sceneggiatore - che è Putin (classe 1952). Tutto quello che è avvenuto e che sta avvenendo in queste ore è frutto della sua intuizione e della sua capacità di saper manovrare rappresentando concezioni ed ideali che nessuno aveva messo nel conto. E con una mossa a sorpresa ha mischiato il mazzo di carte che si trovava sul tavolo verde del suo ufficio. Ha fatto ricorso al vecchio amico che aveva operato nella dirigenza del Pcus di Leningrado e con il quale aveva condiviso l’attività del commercio con l’estero. Ma Zubkov era anche qualcosa d’altro, perchè a Putin lo accomunava lo stesso impegno nel campo dell’intelligence. Uno si era dedicato ad attività oltre i confini e l’altro era impegnato nei servizi interni della polizia tributaria. Una stessa professione attuata su campi diversi che fa però sbattere nella prima pagina di un quotidiano di Mosca questo titolo a sensazione e sicuramente provocatorio: “Ed ora anche un uomo dei servizi nella poltrona di primo ministro”...
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Bandar Ibn Sultan: il piccolo principe di Carnwell
di Sbancor
"Combattete coloro che non credono in Allah e nell'Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati." Sura IX, 29 [Quando Allah è piccolo piccolo]
In Italia bisogna leggere i romanzi per conoscere ciò che dovrebbero scrivere normalmente i giornali. In Inghilterra a volte i giornali sono molto meglio dei romanzi. Il “caso BAE (British Aerospace System)” è uno di questi. John Le Carré non sarebbe riuscito a descriverlo meglio. E’ quindi come un’opera d’arte che ci impegniamo a recensirlo.
Si potrebbe iniziare con un ragazzo di 16 anni. Un ragazzo arabo, nato in Arabia Saudita. Un ragazzo fortunato. Troppo. E’ un principe della casa reale. Si chiama Bandar bin Sultan. Era il figlio del Ministro della Difesa del Regno Saudita. A 16 anni Bandar viene mandato a studiare in Inghilterra. Non andò a Eton o a Oxford. Andò in un collegio militare: il College Cranwell. Royal Air Force. (R.A.F.). L’Isola del Tesoro sa come coltivare i suoi clienti fin da giovani.Possiamo immaginarcelo il ragazzo arabo in mezzo ai Sergenti Maggiori della R.A.F, ai figli dei piloti, in quelle camerate gelide. Cosa sarà passato per la sua testa di sedicenne, in mezzo alle brume e alle brughiere anglofone, lui, abituato al sole del deserto d’Arabia? Come avrà reagito alla disciplina esasperante dei college militari inglesi? Dove si masturbava e pensando a chi?
Adolescenza perduta in cambio di una promessa. La solita venale promessa dell’Isola del Tesoro: un giorno grazie a noi guadagnerai un sacco di soldi.
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L'ex premier Hariri ucciso dai sauditi?
di mazzetta
La settimana scorsa è stato pubblicato il rapporto della commissione investigativa internazionale sull’attentato all’ex-premier libanese Rafik Hariri. Il capo della commissione Brammertz ha presentato i primi risultati dell’inchiesta, ma questi non sono piaciuti in Occidente e quindi non se ne è parlato per niente. Il rapporto, incensato da tutte le cancellerie occidentali per l’accuratezza ed il rigore, punta il dito sui jihadisti provenienti dall’Arabia Saudita. Il rapporto in realtà evita di indicare esplicitamente il reame, ma le perifrasi usate per indicare l’attentatore (“proviene da un paese dal clima più secco di Libano e Siria”, “è stato diversi anni in un contesto rurale”, che poi sarebbe l’Afghanistan) e altri riferimenti sparsi nel rapporto non lasciano dubbio alcuno. Una riservatezza che copre anche l’identità di altre cinque o sei persone, individuate attraverso l’analisi dei tabulati dei cellulari, delle quali non è stato reso noto alcun dettaglio; il che spinge a credere che non si tratti di siriani e neppure di Hezbollah. A questo punto, per quel si è scoperto fino ad oggi , non ci sono responsabilità della Siria nell’attentato.
Ci sono invece responsabilità indirette (relativamente) americane e saudite, visto che da tempo gli USA sembrano aver scelto di armare l’estremismo sunnita in funzione anti-sciita. La strategia è la stessa, fallimentare, usata contro i sovietici ai tempi dell’Afghanistan e sembra funzionare, almeno dal punto di vista degli americani.
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Il Sudan sarà ricolonizzato?
di Stephen Gowan
Gli Stati Uniti stanno facendo manovre per introdurre nel Sudan una forza di peacekeeping delle Nazioni Unite, come primo passo per assicurarsi il controllo dei vasti giacimenti di petrolio della regione. Il controllo degli USA sulle risorse petrolifere del Darfur offrirebbe opportunità di investimenti altamente redditizi alle aziende americane e danneggerebbe gli investimenti cinesi nella regione, rallentando così l’ascesa di un avversario strategico la cui crescita dipende dalla possibilità di accedere in modo sicuro al petrolio estero. Washington si sta servendo di accuse di genocidio, abbondantemente esagerate, per giustificare un intervento delle Nazioni Unite di cui otterrebbe il comando; allo stesso tempo sta ostacolando la pianificazione di un processo di pace che risulti accettabile per il governo sudanese, il quale vorrebbe allargare l’attuale missione dell’Unione Africana in Darfur.
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