Comuni socialiste e antimperialismo: l'approccio marxista
di Chris Gilbert
"La Comune fu l'antitesi diretta dell'Impero.”
- Karl Marx, La guerra civile in Francia
«Quando una comune socialista è antimperialista?» La risposta di Chris Gilbert a questa domanda segue la linea di pensiero di Karl Marx, esaminando il suo approccio alla 'comune': dai Grundrisse fino ai suoi ultimi appunti e lettere sulle comuni rurali. Dopo aver ricostruito la strategia comunitaria marxista, Gilbert sostiene che i recenti progetti reali in Venezuela, Bolivia e Brasile sono conformi all'approccio marxista, unificando la costruzione comunitaria con una spinta antimperialista per la liberazione nazionale.
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La guerra genocida di Israele contro Gaza, che è andata di pari passo con spietati attacchi alla Cisgiordania, al Libano, all'Iran, allo Yemen e alla Siria, tutti sostenuti e finanziati con entusiasmo dagli Stati Uniti, rappresenta un campanello d'allarme per i popoli di tutto il mondo sugli effetti devastanti dell'imperialismo. Portato avanti con la complicità di tutti i governi occidentali, il genocidio dovrebbe anche aprirci gli occhi sul più ampio sistema imperialista guidato dagli Stati Uniti. Questo sistema, anche quando non conduce una guerra totale contro i paesi del Sud globale, pone la maggior parte di essi sotto una sorta di assedio generalizzato, a volte attraverso sanzioni (ad esempio, Venezuela, Cuba, Nicaragua, Cina e Iran) o circondandoli con basi militari (come nel caso di Cina, Corea del Nord e Venezuela, tra gli altri), per non parlare del sistematico drenaggio di valore e di risorse materiali da parte dell'imperialismo in tali paesi, che ha effetti sociali e ambientali devastanti.
Dato questo contesto, in cui l’imperialismo contrapposto alle nazioni e ai popoli oppressi rappresenta inequivocabilmente la principale contraddizione, ci si potrebbe interrogare sull’importanza di una comune socialista.
Perché discutere delle comuni? Cosa c'entrano le comuni con l'urgente lotta contro l'imperialismo, che è evidentemente la lotta fondamentale di oggi? Ancora più preoccupante è il fatto che lo stesso progetto imperialista-sionista abbia schierato delle comuni, i kibbutz, per colonizzare il territorio palestinese, armandole di milizie per estirpare e sterminare i palestinesi con il suo progetto coloniale-colonizzatore. Alcuni di questi kibbutz-comuni sono stati obiettivi - comprensibili, dato il diritto di un popolo colonizzato a combattere i suoi oppressori - dell'operazione Al-Aqsa Flood guidata da Hamas nel 2023.[1] Esistono anche altre organizzazioni comunitarie nel mondo che, pur non essendo coloniali-colonizzatrici come i kibbutz, hanno comunque difficoltà a guardare oltre il proprio territorio autonomo, ostacolando così la loro partecipazione a progetti più ampi di liberazione nazionale dal dominio imperialista. Per tutte queste ragioni, sarebbe comprensibile se le comuni socialiste non fossero considerate una priorità nella sfida fondamentale del nostro tempo: la lotta cruciale contro l'imperialismo.
Una persona che la pensa diversamente, e sembra farlo con grande convinzione, è la celebre rivoluzionaria palestinese Leila Khaled. Lo scorso novembre Khaled è arrivata a Caracas nell'ambito di un evento antifascista e filo-palestinese organizzato dal governo bolivariano e si è recata, quasi subito, alla comune di El Panal, nel quartiere operaio "23 de Enero". Parlando ai comunardi e al pubblico lì riunito, ha espresso il suo entusiasmo e la sua ammirazione per la comune. Ha sottolineato come quel progetto ventennale, come altre comuni del Venezuela, stesse compiendo passi concreti per garantire la stessa sovranità per cui il suo popolo, dall'altra parte dell'oceano, stava lottando in quel momento. Nonostante le aggressioni degli Stati Uniti, le comuni avevano aiutato i venezuelani a essere «liberi nel proprio territorio».[2] Le parole di Khaled furono commoventi, mentre il suo antimperialismo, sincero e molto informato, trovava eco nei comunardi riuniti di El Panal, che sottolineavano le somiglianze tra le lotte in Venezuela e in Palestina. Alcuni hanno addirittura espresso il desiderio di unirsi al movimento di resistenza palestinese, seguendo la lunga tradizione dell'internazionalismo militante del quartiere "23 de Enero", ma Khaled ha sostenuto che il loro lavoro fosse così importante che avrebbero dovuto restare. Per Khaled e i comunardi di El Panal, quindi, il progetto comunitario da loro realizzato era, praticamente, sinonimo di lotta antimperialista. Resta però la domanda: qual è il legame tra l'antimperialismo e la creazione di una comune socialista? Quando e dove una comune può essere considerata antimperialista e come può inserirsi nella più ampia strategia di antimperialismo socialista che la sinistra, in particolare quella marxista, persegue nel mondo? Queste sono le domande a cui questo articolo cercherà di rispondere.
Progetti comunitari contemporanei
In tutto il mondo, ma soprattutto in America Latina, c'è molto interesse per le comuni, così come ci sono, cosa ancora più importante, progetti concreti di costruzione comunitaria. Alcuni degli esempi più convincenti per costruire il socialismo comunitario sono emersi in Venezuela e in Bolivia. In Venezuela, il presidente Hugo Chávez aveva proposto nel 2009 che il socialismo venezuelano – un progetto avviato tre anni prima – sarebbe stato costruito a partire dalle comuni come «cellule fondamentali» di autogoverno democratico e produzione collettiva. Anche in Bolivia, il processo di cambiamento iniziato nel 2006 e che affonda le sue radici sia nella resistenza indigena del paese che nelle lotte operaie, ha proposto una variante del socialismo comunitario. Collegato al concetto di buen vivir, il socialismo boliviano doveva essere costruito facendo affidamento sulle comuni indigene, o ayllus, come una delle sue principali "leve". Un parallelo si può trovare nel Movimento dei Lavoratori Senza Terra (MST) brasiliano, che lotta per la riforma agraria occupando terre e istituendo successivamente progetti di convivenza e comunitari chiamati acampamentos e assentamentos. Pur essendo un movimento sociale, l'MST ha a lungo difeso l'obiettivo di costruire una nazione sovrana di fronte all'imperialismo e, dal 1990, ha incluso il socialismo tra i suoi obiettivi strategici. Questi sono, a mio avviso, alcuni degli esempi più promettenti.
Tuttavia, sia il discorso che la pratica dell'edificazione di comunità possono essere altamente ambivalenti rispetto ai progetti di costruzione socialista e di liberazione nazionale. A volte, un progetto basato sulla comunità che avanza rivendicazioni radicali di autonomia, spesso influenzato dalla teoria autonomista, postmoderna o anarchica, può non riuscire a incarnare un praticabile processo di liberazione nazionale dall'imperialismo, o può voltare le spalle a quelli esistenti. Questo fa indubbiamente parte della storia del neo-zapatismo (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, EZLN) in Chiapas ed è anche una critica frequente rivolta alle comunità autonome curde.[3] Inoltre, il lavoro a livello comunitario è spesso promosso da organizzazioni non governative proprio per evitare questioni più ampie come la riforma agraria e la sovranità nazionale in relazione all'imperialismo. In seguito, con l'obiettivo di determinare quando e dove una comune socialista si può qualificare come antimperialista, esaminerò le riflessioni di Karl Marx sulla comune, che hanno assunto maggiore centralità nella sua visione del cambiamento sociale negli ultimi anni, assumendole come una sorta di modello di cosa significhi essere una comune socialista e antimperialista. Il mio obiettivo sarà quello di mostrare come le riflessioni di Marx, pur essendo state sviluppate più compiutamente nel suo ultimo periodo (1870-1883), siano comunque collegate al suo intero apparato teorico e al suo progetto. Tale progetto implica un intervento rivoluzionario nello Stato, seguito da una trasformazione dell'intera economia e società, ed è per sua stessa natura contrario all'imperialismo. Pertanto, se le comuni vengono assunte nel modo sostenuto da Marx, saranno parte di una strategia anticapitalista e antimperialista in corso di sviluppo.
La discussione proseguirà mostrando, in primo luogo, come le riflessioni più note di Marx sulle comunità tradizionali o agrarie, come quelle contenute nei Quaderni etnologici e nelle sue ultime lettere e bozze a Vera Zasulich, andassero di pari passo con la sua difesa dei popoli colonizzati e periferici contro l'espansione capitalista. Questo è un aspetto del marxismo che Rosa Luxemburg ha colto, con una sensibilità impressionante verso la questione coloniale. Tuttavia, Marx è andato più in là, sostenendo la comune rurale come base del socialismo in un progetto di liberazione nazionale, pur definendo condizioni molto chiare affinché ciò potesse realizzarsi. In secondo luogo, mostrerò come l'affermazione di Marx secondo cui la comune potrebbe essere un elemento costitutivo del socialismo - sebbene sia più evidente nell'opera di quello che può essere definito "l'ultimo Marx" (1870-1883) - non rappresenta una rottura con la sua opera complessiva. Molti sono stati tentati di celebrare questo ultimo periodo di Marx come qualcosa di nettamente distinto dal resto della sua opera, con echi della "rottura epistemologica" rivendicata un tempo dal giovane Marx.[4] In realtà, la difesa della comunità rurale da parte di Marx nella sua tarda età nasce dal fulcro stesso della teoria marxista: la discussione dei rapporti di valore nella sua critica dell'economia politica, portata avanti a metà del secolo. Inoltre, poiché l'apparato teorico di Marx incentrato sul [concetto di] valore si sviluppa fino a contenere altre categorie impiegate per costruire una critica della concentrazione del capitale, della formazione di monopoli, e del mercato mondiale, ne consegue che la fondamentale alternativa allo scambio di merci – che alla fine degli anni Cinquanta dell'Ottocento era la produzione comunitaria – non può essere separata dalla sua critica, pienamente sviluppata, del capitalismo e della sua tendenza espansionistica e imperialista. Né può essere separata dalle strategie che Marx ha elaborato per la classe operaia nel sistema mondiale capitalista, come il progetto di emancipazione nazionale che egli riteneva incarnato, seppur imperfettamente, dalla Comune di Parigi. Nella sezione finale, esaminerò come le concezioni venezuelane e boliviane del socialismo comunitario, ciascuna a suo modo, coincidano con la visione strategica marxista di un progetto comunitario, che non consiste nel costruire comuni isolate o radicalmente autonome, o addirittura reti di comuni, ma piuttosto nell'integrarle in progetti nazionali strategici che si oppongono all'imperialismo. Lo stesso vale per il progetto del MST di una "riforma agraria popolare" che esalta l'organizzazione comunitaria e il cooperativismo, ma opera all'interno di un quadro generale antimperialista e anticapitalista.
"L'ultimo Marx” era un Marx tricontinentale
Numerose ricerche si concentrano sull'ultimo periodo dell'attività di Marx, in cui egli ha esaminato e difeso le forme comunitarie come possibile base per la costruzione del socialismo. Alcuni autori arrivano persino a riconoscerlo come una scoperta, annunciando la comparsa di un Marx nuovo e finora sconosciuto.[5] Eppure, nonostante l'entusiasmo per l'ultimo periodo di Marx, raramente si sottolinea che le sue riflessioni sulle comuni rurali contemporanee si concentrarono quasi esclusivamente sulla periferia del sistema capitalista mondiale: la campagna russa, il villaggio indiano, la comunità contadina algerina e le comunità indigene del Nord e del Sud America. Il lavoro dell'ultimo Marx sulla vita comunitaria rurale è disseminato di appunti, bozze e corrispondenze. Ad esempio, la discussione sulla comune rurale russa compare nella sua, mai spedita, "Lettera alla redazione di Otechestvennye Zapiski" del 1877, nelle bozze e nella sua lettera a Vera Zasulich, e nei suoi appunti sull'opera di Maksim Kovalevskij. Le sue riflessioni sulla comunità contadina algerina compaiono in una serie di lettere scritte durante il suo ultimo viaggio compiuto nel 1882, per motivi di salute, nella città di Algeri e anche negli appunti su Kovalevskij. Contemporaneamente, Marx ha preso appunti anche sulla proprietà terriera indiana, che era stata da tempo un suo interesse, e sull'organizzazione sociale degli aborigeni australiani, basandosi sul lavoro dell'etnografo Richard Bennett.[6] Nonostante la diversità di questi materiali e l'ampiezza degli studi di Marx in quel periodo, c'è in tutti un elemento comune: le forme comunitarie che stava studiando si collocano tutte ai confini dell'espansione capitalista e – è importante aggiungere – erano luoghi di resistenza anticoloniale.
Nelle sue note su queste comunità agrarie, Marx segnalava non solo come queste fossero state aggredite dal capitalismo in espansione, ma anche come si fossero dimostrate resilienti nel difendersi da esso. Sottolineava costantemente la resistenza indigena, criticando i colonizzatori senza mezzi termini. In Algeria, Marx riscontrava come i colonialisti francesi, con la loro «spudorata arroganza», espropriavano gli arabi con l'obiettivo di fornire più terra ai coloni francesi e di «spezzare la resistenza delle unioni tra clan».[7] Eppure il popolo algerino non fu passivo, e Marx notava con approvazione come il loro regime fondiario collettivo avesse resistito a tali assalti. Guardando all'India, Marx definiva la soppressione della proprietà comunitaria da parte dei colonizzatori «un atto di vandalismo inglese, che spingeva i nativi non in avanti, ma indietro».[8] Allo stesso tempo, Marx sottolineava costantemente che tali comunità di villaggio erano sopravvissute, nel corso dei secoli, ad ogni tipo di invasione, e celebrava le ribellioni indiane contro coloro che chiamava «cani britannici» e «asini».[9] Gli studi di Marx sulle comuni contadine russe sono i più ampi tra quelli condotti sulle comunità agrarie.[10] Lo portavano a riconoscere la possibilità che una comune rurale in un contesto periferico potesse diventare il fulcro della costruzione socialista. Tuttavia, egli sottolineava che ciò avrebbe richiesto il rovesciamento dello Stato zarista subordinato alle potenze occidentali che favorivano solo una crescita dipendente, attraverso la «domiciliazione di alcune attività».[11] Commentando l'interesse di Marx verso le comunità resistenti in Asia, Africa e nelle Americhe, l'argentino Néstor Kohan affermava ironicamente che nelle riflessioni di Marx sulle comunità rurali periferiche si stava sviluppando una "Tricontinentale" ante litteram, alludendo alla conferenza antimperialista organizzata nella Cuba rivoluzionaria nel secolo successivo.[12] Questo spirito tricontinentale, molto presente in Marx, è esattamente quello che manca in gran parte di ciò che è stato pubblicato sulle ultime ricerche di Marx sulla comune rurale.
Sebbene la maggior parte degli interpreti abbia minimizzato il carattere anticoloniale degli ultimi studi di Marx sulle comuni, esiste una marxista di seconda generazione che ha perseguito una linea di pensiero analoga. Si tratta di Rosa Luxemburg, che ha nutrito un profondo interesse per i popoli e le nazioni di quello che oggi viene chiamato Sud globale. Se le riflessioni di Luxemburg sono strettamente parallele a quelle di Marx, ciò è dovuto al suo metodo, ai suoi interessi e alle sue fonti simili, poiché non aveva accesso agli appunti e alle bozze del Marx degli ultimi anni, che divennero disponibili solo in seguito. Gran parte dello studio di Luxemburg sulle formazioni sociali e gli stili di vita dei popoli e delle nazioni non capitaliste, compare nel suo libro, Introduzione all'economia politica, basato sui corsi che tenne alla scuola del Partito Socialdemocratico (SPD) a partire dal 1907. Il libro offre un'impressionante panoramica di quello che oggi viene chiamato Sud globale. Ad esempio, [Luxemburg] prende in esame la comunità di villaggio indiana e le sue diverse manifestazioni, osservando che «la proprietà della terra corrispondeva semplicemente alle comunità contadine indiane che l'avevano lavorata per millenni... una grande cultura sociale, in cui la terra non è un mezzo per sfruttare il lavoro altrui, ma semplicemente il fondamento dell'esistenza dei lavoratori».[13] Il libro analizza anche quello che Luxemburg chiamava «comunismo agrario» in Perù e in Messico, che secondo lei era la forma precoloniale dominante in quei contesti.[14] Quando Luxemburg si è interessata al Nord Africa, ha celebrato le resilienti relazioni di proprietà comunitaria dei popoli arabi e berberi e la loro «testarda resistenza» alla «morsa del capitale europeo».[15]
Pur seguendo da vicino le orme dell'ultimo Marx (sebbene in gran parte a sua insaputa), Luxemburg condivideva con Marx una valutazione complessivamente positiva di quelli che lei considerava esempi di comunismo originario o, per usare le sue parole, di «istituzioni comuniste». La contraddizione tra tali forme comunitarie e l'espansione capitalista è anch'essa parte del resoconto di Luxemburg. Ad esempio, ha osservato che la conquista coloniale porta a una «violenta abolizione della proprietà comune», con conseguente distruzione della «comunità comunistica».[16] Il suo messaggio, che può essere visto retroattivamente attraverso la lente del suo slogan "Socialismo o barbarie", era che il capitalismo agisce in modo barbaro nella sua espansione in tutto il mondo e nel suo trattamento dei popoli non capitalisti e delle loro comunità. Lungi dal portare progresso, l'effetto dell'espansione capitalista era semplicemente dannoso, con «i vecchi legami annientati e sostituiti da dispute, discordia, disuguaglianza e sfruttamento».[17] Ciò che Luxemburg ha messo in evidenza, e che è in piena sintonia con le ultime opere di Marx, è il carattere e il potenziale anticoloniale e antimperialista della comune. In altre parole, sia Marx che Luxemburg hanno esaminato le comunità rurali alle frontiere dell'espansione capitalista - dove la dinamica dell'espropriazione è spesso percepita tanto quanto lo sfruttamento - ed entrambi i teorici hanno compreso che tali comunità erano luoghi resilienti di resistenza al capitalismo.
Nuclei di socialismo: condizioni e contesto
Le analisi di Luxemburg sono state effettuate in un contesto estremamente ostile, segnato dall’atteggiamento generalmente apologetico della leadership della SPD nei confronti del colonialismo.[18] Ciò ha reso ancora più straordinaria la sua difesa dei popoli colonizzati, e la celebrazione della resistenza che tali popoli mantenevano con le loro comunità “comunistiche”. Luxenburg era inoltre consapevole delle potenziali connessioni tra le lotte anticoloniali della periferia e quelle della classe lavoratrice nei paesi centrali, quando, ad esempio, osservava che la borghesia europea aveva percepito «un collegamento tra le sopravvivenze comuniste antiche che opponevano una resistenza ostinata nei paesi coloniali… e il nuovo [rivoluzionario] vangelo… della massa proletaria nei vecchi paesi capitalistici».[19] Si potrebbe persino sostenere che le ampie riflessioni di Luxemburg sulle comunità periferiche, per le quali l’espansione capitalistica non era solo una questione lavorativa ma una minaccia esistenziale, implicavano il riconoscimento dell’agentività [agency] rivoluzionaria dei popoli periferici e delle loro comunità. Tuttavia, Luxemburg non ha compiuto il passo ulteriore, ovvero ammettere che la comune agraria o la comunità indigena potessero diventare elementi costitutivi di una nuova società socialista. Su questo punto l’analisi di Marx, forse per la maggiore importanza che egli attribuiva all’autodeterminazione nazionale, andava oltre quella di Luxemburg, poiché negli ultimi anni egli affermava che tali comunità avevano il potenziale per diventare fulcri (“points de appui”) di rinascita sociale, o cellule di socialismo. Tuttavia, affinché tale potenziale si potesse realizzare, vale a dire affinché la comune rurale potesse contribuire al socialismo moderno, erano necessarie alcune condizioni.
Di che tipo di condizioni stiamo parlando? Possiamo individuarle più chiaramente guardando all'analisi della formazione comunitaria esistente che Marx ha studiato più a fondo e di cui aveva maggiori informazioni: l’obščina russa. Marx ha espresso la sua posizione al riguardo nella sua Lettera alla redazione di Otečestvennye Zapiski (1877), nella lettera e nelle bozze a Zasulič (1881) e nella prefazione del 1882 alla traduzione russa del Manifesto del Partito Comunista, scritta da Friedrich Engels ma con la sua approvazione. In questi documenti, Marx ipotizzava come una comune, con proprietà collettiva e un certo grado di autogoverno interno, poteva andar bene in una strategia di transizione socialista e di liberazione nazionale in un paese periferico. Una prima questione concerneva le forze produttive: Marx sosteneva che la comune doveva incorporare le conquiste tecnologiche del sistema capitalistico, per le quali riteneva la comune russa particolarmente adatta poiché «capace di uno sviluppo più ampio».[20] Ciò dipendeva dal fatto che, essendo una forma matura, essa non si basava primariamente su legami di parentela. In questo modo, la comune poteva facilmente sostituire «l’agricoltura frammentata con un’agricoltura su larga scala e assistita da macchine». Queste nuove forze produttive erano importanti anche perché avrebbero permesso alla comune di passare «dal lavoro frammentato al lavoro collettivo», quest’ultimo particolarmente importante nella prospettiva marxiana della produzione comunitaria.[21]
Una seconda questione era che le comuni dovevano essere collegate tra loro. Secondo Marx, il fatto che le obščine esistenti fossero «microcosmi localizzati» rappresentava una «condizione debilitante»; di più, Marx si spingeva a suggerire che il loro isolamento poteva persino diventare la «base naturale per il dispotismo».[22] In terzo luogo, era necessaria una rivoluzione politica in grado di trasformare lo stato esistente e stabilire un nuovo rapporto con le comuni, in quello che era essenzialmente un processo di liberazione nazionale. Marx percepiva che la Russia della fine del XIX secolo era ciò che oggi chiameremmo uno «stato dipendente». Come molti stati del terzo mondo di oggi, il regime zarista sviluppava solo «alcuni rami del sistema capitalistico occidentale» che erano più «facilmente acclimatabili».[23] Invece di aiutare le comuni rurali della Russia, lo stato dipendente favoriva un insieme di parassiti, usurai e capitalisti speculativi.[24] (Marx li chiamava «parassiti capitalisti», che corrisponde grosso modo alla borghesia compradora presente nelle formazioni sociali del terzo mondo odierne.)
Nel complesso, quando guardiamo all’analisi, sufficientemente approfondita, sviluppata da Marx della comune russa, possiamo vedere come egli non vi vedeva la perfezione socialista, ma piuttosto il potenziale socialista. Riconosceva che la comune rurale era un luogo di contraddizioni interne - incluso l'emergere di gerarchie - soggetta quindi a un’evoluzione continua. Così, se Marx affermava che l’obščina poteva rappresentare un punto di partenza per un sistema socialista, stava tuttavia attento a non cadere in idealizzazioni romantiche né ad isolarla da considerazioni strategiche e geopolitiche.[25] Per esempio, riconosceva la necessità di sostituire le tradizionali assemblee di volost delle comuni, guidate da anziani maschi, «con un’assemblea contadina scelta dalle stesse comuni».[26] Allo stesso modo, la sua difesa della comune russa era condizionata e integrata da preoccupazioni di natura strategica, tra cui la necessità dell'inserimento della comune all’interno di un processo rivoluzionario nazionale. Questo perché, come diceva Marx, lo «sviluppo ulteriore del comune si fonde con il corso generale della società russa». La lapidaria conclusione di Marx è stata: «Per salvare la comune russa, ci deve essere una rivoluzione russa»[27].
La critica marxiana dell’economia politica si richiama al controllo comunitario
L’idea che l'ultimo Marx sia un Marx ancora sconosciuto e distinto dal primo, rimanda al desiderio di dar vita a due Marx.[28] Dalle fabbriche dei sogni del marxismo alla moda, veniamo talvolta incoraggiati a credere che esista un Marx più aggiornato, ecologico (persino “decrescista”), decoloniale e amico delle comunità, emerso intorno al 1870, che può essere contrapposto al cupo "Marx di mezzo", quello che scriveva di classi sociali, di economia politica, di potere statale e partiti politici, e che probabilmente è statalista e persino "stalinista". Questa presunta separazione è sospetta in sé. Non indica forse un desiderio di promuovere un Marx "aggiornato", incentrato sulle comunità, ma separato sia dalla critica del capitalismo elaborata dallo stesso Marx, sia dalla successiva analisi marxista dell’imperialismo? Non rischia forse di ripetere il gesto con cui il presunto Marx più umanista dei Manoscritti del 1844 è stato utilizzato per alimentare filoni del marxismo occidentale che si distanziavano dai contributi e dai processi di formazione del socialismo realmente esistente, arrivando a rifiutare persino la critica marxista dell’imperialismo? Io credo di sì. Tuttavia, questo desiderio si fa forza anche di un’interpretazione testualmente infondata. L’interesse per la forma comunitaria risale infatti agli scritti giovanili di Marx e permea l’intera sua opera matura.[29] Ciò è chiaramente visibile nell'evoluzione delle riflessioni di Marx sullo scambio basato sul valore, a seguito del suo primo approccio con l’economia politica avuto negli anni Quaranta dell'800. Con il progredire del secolo, Marx ha compreso l’importanza del valore come forma sociale - cosa che possiamo osservare nei manoscritti del 1857-1858 (Grundrisse) - e, immediatamente, ha posto lo scambio comunitario come antitesi fondamentale dello scambio di merci. Da lì, ha iniziato a vedere che una qualche forma sociale che coinvolge la produzione comunitaria, lo scambio comunitario e il consumo comunitario, era necessaria per superare la forma sociale del valore.
Vediamo in che modo. All’inizio dei Grundrisse, nel capitolo sul denaro, Marx delinea la natura sociale del valore. Egli osserva come, nella società contemporanea, il valore di scambio esprime il nesso sociale fondamentale; esso incarna la reciproca e generale dipendenza degli individui, che nulla hanno a che fare gli uni con gli altri se non come produttori privati collegati attraverso il mercato.[30] Il valore di scambio è un nesso sociale che si presenta all’individuo come qualcosa di estraneo e oggettivato (come il denaro, lo si può portare in tasca, egli dice). A causa di questo carattere oggettuale, Marx conclude: ««la relazione sociale tra persone è trasformata in un rapporto sociale tra cose».[31] Tuttavia Marx percepisce immediatamente che il vincolo comunitario rappresenta l’antitesi fondamentale di questa situazione. Vi è una relazione inversa, osserva, tra il controllo comunitario e il dominio del valore: «Quanto minore è la forza sociale posseduta dal mezzo di scambio […] tanto maggiore deve essere la forza della comunità». Qui Marx mette a confronto due sistemi essenzialmente contrari. Da un lato, vi è il sistema capitalistico delle relazioni mercantili generalizzate con la sua socialità indiretta, mediata dallo scambio di denaro e merci. Dall’altro lato, vi è il sistema comunitario, nel quale l’«attività produttiva e la sua partecipazione alla produzione vengono ad esser assegnate secondo una determinata forma del lavoro e del prodotto».[32] In questi progetti comunitari vi è lavoro direttamente socializzato, dovuto a una pianificazione o a un controllo prestabilito sul lavoro e sulla distribuzione.
Da qui Marx inizia a sviluppare l’idea che la produzione sociale del futuro deve essere, essa stessa, controllata come un patrimonio comune ("common wealth"è la traduzione inglese usuale). Ipotizza così una futura situazione postcapitalista in cui le «relazioni sociali [delle persone diventino] le loro stesse relazioni comunitarie [gemeinschaftlich, cioè basate sulla comunità] … assoggettate al loro proprio comune controllo».[33] Chiama questo assetto futuro «patrimonio comunitario» e sottolinea come esso richiede lavoro direttamente sociale - o «immediatamente generale».[34] Ciò che viene proposto è dunque lo scambio organizzato delle attività, piuttosto che la socializzazione indiretta, post festum, che si realizza nello scambio di merci. Da questi passaggi e dai loro postulati essenziali riguardo alla società futura, sarà breve il passo, da parte di Marx, verso la difesa della comune contadina russa come fulcro di rinascita sociale.[35] Vale la pena notare che, proprio in questi passaggi dei Grundrisse che contrappongono lo scambio comunitario allo scambio privato, Marx mantiene costantemente una prospettiva sulla totalità del capitalismo. Infatti, poche righe dopo aver elaborato il confronto di base, osserva come lo scambio di merci e la sua divisione del lavoro sfociano infine in «la agglomerazione, la combinazione, la cooperazione, il contrasto tra gli interessi privati, gli interessi di classe, la concorrenza, la concentrazione del capitale, il monopolio e le società per azioni […] commercio mondiale […] la dipendenza dal cosiddetto mercato mondiale e [dal] sistema bancario e creditizio».[36] È implicito, quindi, che solo ponendo fine allo scambio privato e restaurando una qualche forma di coordinamento comunitario delle attività lavorative sarà possibile aggirare la concentrazione del capitale e la formazione di monopoli, che sono la base dell’imperialismo.
In questo punto possiamo vedere come lo scambio privato di merci sia collegato, già nelle prime opere di Marx, all’intera struttura della società capitalista e quindi anche al successivo sviluppo del capitalismo verso la concentrazione di capitale, l'espansione, la finanziarizzazione e l'imperialismo. Come dice Marx più avanti nei Grundrisse, «Le relazioni successive devono essere considerate come sviluppo di questo embrione»[37] Per contro, lo scambio comunitario di attività e i legami comunitari che subordinano la produzione al controllo collettivo vengono proposti come alternativa metabolica al sistema alienato che sfocia nel monopolio e nel credito. (È proprio questo il punto che Marx sottolinea all’inizio dei Grundrisse, quando insiste sul fatto che le contraddizioni del capitalismo non possono essere risolte con il tipo di riforma bancaria o monetaria proposta da Pierre-Joseph Proudhon e dai suoi seguaci). Queste ultime derivano dall’alienazione del lavoro e del processo lavorativo che accompagna le dinamiche dello scambio mercantile generalizzato. Poiché la visione di Marx in questi passaggi va dal micro-particolare (controllo comunitario contro scambio privato di merci) al macro-insieme che include il commercio mondiale, l'espansione del mercato e il monopolio, ne consegue logicamente che la sua proposta di un modello alternativo di produzione comunitaria - essenzialmente basata sul controllo comunitario delle attività produttive - non può essere separata dalla sua critica dell’intera economia e società capitalista, fino a comprendere le sue formazioni statali e monopolistiche e la rivalità imperialista che si svolge nel mercato mondiale.
Il sistema comunitario nella transizione al socialismo
È dalla teorizzazione di Marx contenuta nei Grundrisse che il filosofo ungherese István Mészáros avrebbe basato le sue argomentazioni sulla necessità di un sistema comunitario per superare il sistema capitalistico, sviluppando le tesi che in seguito avrebbero ispirato il progetto di Chávez per costruire un socialismo comunitario in Venezuela.[38] Il capitolo 19 di Oltre il capitale, l'opera principale di Mészáros, si concentra sulla legge del valore, che è al centro del sistema capitalistico. Seguendo Marx, Mészáros sostiene che la legge del valore, che misura la ricchezza sociale attraverso il tempo di lavoro astratto, può essere superata solo da un'altra configurazione sociale, da un approccio che implica la partecipazione di tutti i membri della società a un'organizzazione pianificata del lavoro e che assegna il tempo disponibile in modo razionale.[39] Qual è il quadro sociale per superare la regola imposta dal tempo di lavoro astratto? Mészáros sottolinea come Marx insiste sempre sul fatto che è il processo decisionale comunitario a superare la generale legge sociale del valore imposta ai produttori.[40] Per questo motivo Mészáros propone il sistema comunitario come alternativa radicale a quello capitalistico.
È tuttavia importante sottolineare che l'approccio di Mészáros al sistema comunitario – come quello che ha ispirato Chávez, come vedremo più avanti – non è mai stato miope: non ha mai perso di vista il quadro generale. Entrambi hanno proposto un progetto comunitario che, fedele all'approccio totalizzante di Marx, sarebbe passato dal micro al macro, e avrebbe comportato una strategia complessiva che richiede una rivoluzione politica (introducendo una nuova struttura di comando nello Stato) seguita dalla costruzione di un metabolismo sociale alternativo basato sulle comuni, che avrebbe portato a una completa trasformazione dell'intera società e all'abolizione di tutte le istituzioni politiche alienate. Poiché tale progetto implica un approccio globale alla totalità del sistema capitalista, Mészáros riconosce che le comuni sono parte di una strategia di transizione, la cui attuazione deve tener conto non solo dell'orizzonte strategico, ma anche delle realtà concrete di una situazione particolare, tra cui la geopolitica globale e le correlazioni di forze locali. In questo spirito, Mészáros ha insistito sulla necessità di «strategie di mediazione ... storicamente specifiche» e ha accettato che «la piena realizzazione di questa ipotesi marxiana esige l’articolazione storicamente possibile delle mediazioni materiali necessarie nel loro contesto globale».[41]
Né Mészáros né Chávez hanno mostrato particolari interessi per l'ultimo Marx e i suoi commenti sulla comune rurale, nonostante le loro affinità con quella linea di pensiero.[42] Tuttavia, è un fatto che, dopo aver delineato lo schema di base della produzione comunitaria nei Grundrisse (definita in seguito nel Capitale: «produzione da parte di persone liberamente associate»), Marx avrebbe iniziato, nell'ultimo decennio della sua vita, a indagare esempi concreti di produzione comunitaria sia nelle comunità rurali storiche che in quelle viventi, come quelle del popolo Haudenosaunee [popolo della lunga casa], così come delle comunità e comuni algerine, russe e indiane. È così che arriviamo all'ultimo Marx, che proprio per questo motivo ci rifiutiamo di separare dal resto della sua opera. Vale la pena sottolineare che esiste una continuità molto completa e a vari livelli tra l'approccio alle comuni da parte del Marx "di mezzo" e dell'ulimo Marx. Non si tratta solo di una transizione relativamente lineare dalla proposta marxiana del controllo comunitario della produzione sociale presente nei Grundrisse alla sua successiva difesa – che coincide con quella di Nikolaj Černyševskij – della comune russa come fulcro della rinascita sociale, ma è anche vero che l'alternativa comunitaria da lui proposta - sia nei suoi scritti intermedi che negli ultimi - rimane sempre collegata alla sua critica più ampia delle categorie capitalistiche e della totalità del sistema capitalistico (e successivamente imperialista).
La prova di questo secondo tipo di continuità – l'integrazione dell'alternativa comunitaria in un progetto più ampio – si riscontra nell'insistenza dell'ultimo Marx sul fatto che la comune russa, se deve essere un fulcro di rinascita sociale, deve essere accompagnata da una rivoluzione politica che comporta la presa del potere statale e il superamento della condizione di dipendenza. Pertanto, come accennato in precedenza, l'ultimo Marx non difendeva assolutamente la comune russa come 'indipendente' in uno stato di perfezione, ma la comune come parte di una rivoluzione portata avanti dalla classe operaia organizzata, molto probabilmente da un partito politico, che ha dimensioni nazionali e anche internazionali. Questo aspetto dell'approccio di Marx alla comune russa diventa particolarmente evidente nella prefazione alla traduzione russa del Manifesto del Partito Comunista del 1882, che sottolinea la necessità di una «rivoluzione proletaria» affinché le comuni possano sopravvivere e progredire. È anche rilevante che Engels (con l’approvazione di Marx) abbia scritto una critica dello scrittore russo Pyotr Tkachev sottolineando come l’attuale stato russo non sia semplicemente «sospeso in aria», come sosteneva Tkachev, ma sia strutturalmente collegato alle classi dominanti.[43]
L'approccio di Marx alla comune rurale russa - informato a livello geopolitico, e basato sull'analisi delle classi sociali - si ritrova anche nel precedente lavoro sulla Comune di Parigi, del 1871. Nel dibattito sulla Comune di Parigi, che Marx definiva «la forma politica finalmente scoperta, nella quale si poteva compiere l’emancipazione economica del lavoro [cioè, della classe operaia]», egli sottolineava come essa era emersa da una lotta contro una potenza straniera e un governo capitolazionista.[44] Marx sottolineava anche l'incompatibilità della comune con la configurazione esistente dello Stato (era «l'antitesi dell'Impero» a cui si riferisce la mia epigrafe). Proprio come lo Stato russo, lo Stato francese non era «sospeso in aria», ma piuttosto era la «ultima forma del potere statale» della borghesia.[45] Era quindi uno strumento del dominio di classe che doveva essere conquistato e riconvertito radicalmente dai lavoratori.[46] Visti gli argomenti a favore della produzione comunitaria che Marx aveva prodotto nella sua opera matura di economia politica, non sorprende la continuità tra le sue idee del 1871 e quelle del 1881. La visione totalizzante, che collegava il modello produttivo (comunitario o privato) all'intera formazione sociale, comprese le strutture nazionali e internazionali, è ciò che ha portato Marx a celebrare la Comune di Parigi come la formazione di un «vero governo nazionale», del quale «il popolo armato» era un pilastro fondamentale, ovvero: un esercito popolare e sovrano.[47] Ovviamente, il carattere esplicitamente politico del progetto, nonostante il suo vigoroso internazionalismo, comprendeva l'importanza della liberazione nazionale, un aspetto fondamentale per la sua coincidenza con la prospettiva marxiana sul come raggiungere l'emancipazione attraverso il ricorso alla forma comunitaria.[48]
Venezuela: “La Comune isolata è controrivoluzionaria”
È molto comune – anzi, è una delle espressioni più evidenti dell'eurocentrismo degli intellettuali mainstream – dichiarare frettolosamente che i processi di cambiamento nel Sud globale sono conclusi ogni volta che incontrano la minima battuta d'arresto. Agli occhi degli intellettuali mainstream, tali processi sono destinati a una spirale discendente senza fine, come dimostra il coro di voci esperte sempre pronte a dichiarare la “fine di un ciclo” o il declino dell'ultima ondata progressista.[49] Eppure, il più delle volte, la rivoluzione venezuelana, che dura ormai da 25 anni, ha trovato il modo di risalire la spirale in un processo di reinvenzione creativa e autocritica. Infatti, nulla potrebbe illustrare meglio la costruzione delle comuni - come parte di una strategia globale anti-imperialista e socialista, che Marx avrebbe approvato - se non il modo in cui il "processo bolivariano" ha via via accumulato definizioni: nel 2004 è diventato anti-imperialista, nel 2006 ha incorporato il socialismo, quindi, nel 2009-2010, ha iniziato a utilizzare le comuni come cellule di base del suo progetto socialista antimperialista. In particolare, proprio nel momento in cui Chávez proponeva le comuni come elementi costitutivi del socialismo, egli respingeva anche qualsiasi idea di progetto comunitario autonomo, specificando che la comune isolata era «controrivoluzionaria». Questo scriveva Chávez in Aló Presidente Teórico n. 1, del 2009.[50] Inoltre, l'anno successivo, il governo trasformava in legge il principio che le comuni dovessero essere collegate mediante città comunitarie, federazioni e, infine: «Stato comunitario».[51] Quindi, proprio come Marx vedeva la forma comunitaria parte di un sistema complessivo antitetico al sistema basato sullo scambio di merci - che includeva anche il monopolio, i mercati globali e l'imperialismo - la comune venezuelana diventava componente organica di una strategia rivoluzionaria antimperialista e socialista. Era continuazione e rafforzamento di un progetto nazionale antimperialista e, quindi, continuazione dello sforzo di liberazione nazionale che fin dal suo inizio, era stato parte integrante del processo bolivariano. È significativo che quando Chávez coniava lo slogan “Comune o niente!”, stesse consapevolmente riecheggiando lo slogan di Simón Bolívar “Indipendenza o niente!”. Era sottointeso che la costruzione della comune doveva essere garanzia di indipendenza e di sovranità, mentre la possibilità del niente, che si voleva evitare, prevedeva la prospettiva del dominio imperialista.[52]
Il carattere antimperialista della comune venezuelana ha avuto continue conferme negli anni successivi alla morte di Chávez. Per prima cosa, questo si è dimostrato vero in senso economico. Infatti, sotto gli effetti devastanti delle sanzioni statunitensi e della guerra economica contro il Venezuela iniziata nel 2010, la comune è diventata, per molti venezuelani, il luogo in cui veniva garantita la riproduzione sociale, grazie allo sviluppo di processi di produzione e di scambio solidali - sia all'interno che tra le comuni - per superare gli effetti della scarsità imposta dal blocco. Questo è ciò che Cira Pascual Marquina ed io abbiamo documentato nella raccolta di pubblicazioni su Resistenza comunal, che esamina le risposte delle comuni al blocco.[53] La comune venezuelana non era tuttavia solo una roccaforte economica di base, ma era anche politica.[54] Infatti, è stato in gran parte grazie alle comuni - attraverso una serie di misure come la creazione dell'Unión Comunera e di altre associazioni comunitarie - che è stato riaffermato in Venezuela il progetto socialista.[55]
Tuttavia, la manifestazione più significativa del potenziale antimperialista della comune venezuelana si è avuta nella primavera e nell'estate del 2024, quando le comuni divennero la forza di base a cui si rivolse il presidente Nicolás Maduro, nel contesto delle ultime elezioni presidenziali e sotto il grave attacco imperialista. Nel momento in cui la corrente affaristica del ministro del Petrolio Tarek El Aissami era in caduta libera, il progetto comunitario tornava a essere il pilastro esplicito della strategia nazionale del governo. A ben vedere, si trattava di una strategia la cui continuità era stata resa politicamente possibile dal tenace rifiuto del governo di piegarsi alle richieste imperialiste, e dal suo ingegno nel sopravvivere al blocco, mentre era resa socialmente possibile dal lavoro di base sviluppato dalle comuni. In questo modo, la potenzialità del potere statale trasformato di promuovere e trarre vantaggio dal potere popolare – una delle lezioni più importanti della rivoluzione bolivariana – è stata riaffermata dall'«alleanza comune-Stato» che ha fornito la chiave per resistere all'imperialismo.[56] La centralità delle comuni nel nuovo blocco rivoluzionario è stata rafforzata e ratificata, all’inizio del 2024, dall'attuazione di processi di consultazione comunale trimestrali, da un maggiore sostegno finanziario alle comuni e, nel 2025, da una progettata riforma costituzionale, che conferisce loro maggiori poteri.[57]
Progetti comunitari paralleli in Bolivia e in Brasile
Come il progetto comunitario venezuelano, anche quelli promossi dal Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra (MST) in Brasile e nel processo di cambiamento boliviano, coincidono ampiamente con la strategia comunitaria marxista, avendo orientamenti sia socialisti che antimperialisti. Il progetto boliviano di socialismo comunitario ha radici che risalgono a ben prima dell’elezione nel 2006 di Evo Morales Ayma a Presidente della Repubblica. Il suo partito, il Movimiento al Socialismo (MAS), era stato concepito come strumento politico dei movimenti sociali e si basava soprattutto sulle lotte indigene e contadine, dove la comunità indigena ayllu si manifestava da tempo come unità organizzativa, a volte in coordinamento con il modello sindacale, a volte in alternativa ad esso.[58] Lo stesso Morales era entrato nel panorama politico come leader di un movimento di cocaleros (coltivatori di coca), tenuto sempre sotto l'occhio vigile della “guerra alla droga”, voluta e guidata dagli Stati Uniti per ragioni politiche. La sua guida ha dato al progetto un chiaro orientamento antimperialista, così come ha introdotto la pratica fondamentale di tradurre sempre le questioni economiche e sociali locali in questioni nazionali e internazionali.[59] A livello teorico, è stato il vicepresidente di Morales, il teorico marxista ed ex guerrigliero Álvaro García Linera, a sviluppare le concettualizzazioni più ambiziose del socialismo comunitario.
Il percorso delle riflessioni di García Linera sulla comune e sulla costruzione socialista rivela sorprendenti parallelismi con l'evoluzione del progetto venezuelano. Come membro dell'Esercito Guerrigliero Túpac Katari (EGTK) negli anni '80 e '90, García Linera ha studiato attentamente il modello della comune presente nei testi dell'ultimo Marx, come gli appunti raccolti nel Cuaderno Kovalevskij che la sua organizzazione clandestina ha pubblicato nel 1989 (tradotti dall'inglese dalla militante dell'EGTK Raquel Gutiérrez).[60] Da teorico coinvolto, García Linera ha collegato le asserzioni di Marx sulla comune contadina russa e la comunità andina ayllu nel contesto boliviano. Evitando l'idea dogmatica, abbracciata dalla sinistra boliviana, secondo cui le ayllus erano semplicemente delle forme feudali arretrate, e quindi dovevano essere sciolte, García Linera seguiva l'ultimo Marx nell'affermare che esse potevano diventare una «forza rivoluzionaria» nel movimento socialista.[61] Inizialmente, la visione dello Stato di García Linera era semplicemente quella di un antagonismo tra la comunità e lo Stato.[62] Tuttavia, si rese ben presto conto che le comunità non potevano rimanere singole entità separate geograficamente, ma che dovevano essere coordinate dal potere statale in un progetto strategico di medio o addirittura lungo periodo.
Nel 1997 García Linera proponeva un cambiamento dell’apparato statale che potesse rafforzare il potenziale delle comunità.[63] In questo modo, il futuro vicepresidente, rispondendo con analisi concrete agli eventi in corso, collocava la sua difesa del "fulcro socialista" della comunità, in una struttura più ampia che integrava la situazione geopolitica e un apparato statale riconvertito. All'inizio del secolo, ha riconosciuto l'importanza di incorporare vari settori sociali nel “blocco plebeo” rivoluzionario, superando, così, ciò che restava della visione comunitaria strettamente autonomista che aveva avuto in passato. Chiaramente, per il García Linera maturo, la comunità che egli difendeva non era concepita come qualcosa di isolato – come l'ipotetica comune “controrivoluzionaria” contro cui Chávez metteva in guardia – ma come parte di un progetto nazionale che perseguiva la liberazione dall'imperialismo. Allo stesso modo, c’era la consapevolezza, poi confermata, che sarebbe stato necessario un lungo periodo di transizione, da lui definito, nel 2010, «un ponte».[64] Dal punto di vista attuale, possiamo vedere come il progetto boliviano, basato sul "socialismo comunitario" come orientamento strategico, abbia compiuto importanti progressi in diversi ambiti. Tra questi figurano, oltre a molti altri, i diritti delle donne e degli indigeni, lo storico risultato di una costituzione che sancisce la Bolivia come Stato plurinazionale e la nazionalizzazione degli idrocarburi. Tuttavia, i progressi nella realizzazione concreta del socialismo comunitario sono stati ostacolati dal colpo di Stato del 2019 e dai suoi effetti durevoli, nonché dalle difficoltà della leadership nel progettare un programma al di là dei diversi mandati forniti dalla sua base sociale, talvolta frammentata.
Anche il progetto del MST in Brasile è un progetto che punta a un ampio orizzonte strategico che va oltre i progetti comunitari rappresentati dalle occupazioni dei terreni. Sebbene il movimento sia nato a metà degli anni '80 con l'obiettivo immediato di promuovere la riforma agraria attraverso l'occupazione diretta di terreni inutilizzati e sottoutilizzati (seguita dalla gestione collettiva in acampamentos e assentamentos), non si è mai separato dalla sfera politica.[65] Nel 1990, il movimento, che ora conta un milione di membri, ha preso la decisione di dichiararsi socialista e ha sempre difeso la sovranità nazionale di fronte all'imperialismo (“Terra, Trabalho e Soberania Nacional” è uno degli slogan principali dell'organizzazione). Allo stesso modo, il MST ha cercato relazioni simbiotiche con i partiti progressisti (principalmente con il Partido dos Trabalhadores, ma anche con il Partido Socialismo e Liberdade) e con i governi regionali e nazionali quando questi sono in mano a forze progressiste. Inoltre, nei quattro decenni della sua esistenza, il MST si è evoluto passando dalla focalizzazione su una lotta specifica – essenzialmente la «questione agraria» – alla sfida al sistema capitalista-imperialista nella sua totalità. Allo stesso tempo, ha compreso che tutto ciò richiede l'organizzazione dell'intera classe operaia brasiliana, sia urbana che rurale. Un esempio di progetto politico strategico intrapreso dal MST negli ultimi anni è stata la lunga e dispendiosa lotta che ha organizzato per liberare Luiz Inácio “Lula” da Silva dalla prigione nello stato del Paraná, rendendo così possibile la sua vittoriosa campagna presidenziale del 2022. Quella campagna è stata un intervento nella politica nazionale che è andato oltre qualsiasi obiettivo economico o locale limitato, ed ha portato alla sconfitta del candidato fascista.
Strategie antimperialiste globali
I tre movimenti che abbiamo sopra esaminato hanno molto in comune, nonostante i loro contesti e le loro storie siano diversi. Il dialogo tra i movimenti è sicuramente un fattore importante che ha contribuito al loro sviluppo parallelo e alla condivisione degli obiettivi strategici. Tuttavia, ci si può ancora interrogare sulla sorprendente combinazione tra il lavoro comunitario di base e l'anti-imperialismo strategico presente in progetti latinoamericani così distinti. In realtà, questa combinazione rappresenta una lunga tradizione in America Latina. Quasi un secolo fa, José Carlos Mariátegui, considerato il fondatore del marxismo latinoamericano, dichiarava che il socialismo era la forma che avrebbe assunto l'antimperialismo latinoamericano. Alla fine degli anni ’20, in un contesto caratterizzato da un evidente intervento imperialista in Nicaragua, Mariátegui scriveva: «È possibile opporsi efficacemente agli Stati Uniti capitalisti, plutocratici e imperialisti solo con un'America Latina socialista...».[66] Mariátegui affermava in questo modo lo stretto legame esistente tra l'antimperialismo e i progetti socialisti nel continente, di cui sottolineava anche il carattere comunitario.[67] Si tratta di un legame che è rimasto valido fino ai giorni nostri. Infatti, come abbiamo visto, i tre progetti esaminati sopra esemplificano la tesi del marxista peruviano, realizzando le loro costruzioni comunitarie-socialiste all'interno di un orizzonte strategico antimperialista, un orizzonte che include la liberazione nazionale.
In precedenza abbiamo cercato di rispondere alla domanda: «quando e dove una comune è antimperialista?» La nostra risposta ha seguito la linea di ragionamento generale di Marx nello stabilire le condizioni e il contesto per una comune antimperialista. Abbiamo innanzitutto osservato come le comuni che Marx aveva esaminato e difeso, si trovavano, nella maggior parte dei casi, in situazioni coloniali o di dipendenza, e che lui le considerava come luoghi di resistenza al colonialismo. Nella comune rurale russa, quella studiata più approfonditamente, Marx aveva individuato le condizioni necessarie – in particolare la necessità di un progetto rivoluzionario nazionale – affinché una comune potesse diventare una cellula del socialismo moderno. Successivamente, abbiamo visto come l'indagine di Marx sulle comuni, anche se più intensa nel suo ultimo periodo (1870-1883), non rappresentava un cambiamento radicale del suo pensiero, ma era, piuttosto, in continuità con i risultati dei suoi ultimi studi di economia politica. Abbiamo visto come, già nei Grundrisse (1857-1858), Marx riconosceva che le relazioni comunitarie erano esattamente l’opposto delle relazioni di scambio basate sulle merci. Egli sottolineava come fossero esistite prima del capitalismo, ma deduceva anche che una qualche forma di produzione comunitaria rinnovata avrebbe fatto parte della futura società emancipata.
Ciò significa che le comuni potevano essere utilizzate per costruire il socialismo e, laddove già esistevano, potevano essere inserite nel progetto socialista. Tuttavia, Marx era consapevole, sia in quel momento che in seguito, che per farlo sarebbe stato necessario tenere conto dell'intero sviluppo del capitalismo, compresi lo Stato, il sistema bancario, il credito e il mercato mondiale. Che ciò avrebbe richiesto anche una strategia globale che includesse elementi di geopolitica, come l'opposizione all'aggressiva espansione del capitalismo nel mondo, che ai nostri giorni è diventata espansione e sterminio imperialista. Pertanto, se le comuni devono essere utilizzate come cellule del socialismo nel modo proposto da Marx, esse dovranno esser parte di una strategia anti-imperialista che non ignora la necessità di intervenire e di impiegare il potere statale. In conclusione, abbiamo esaminato come vari progetti latinoamericani siano fedeli a questa visione, combinando la costruzione comunitaria con una visione anti-imperialista e socialista. Tuttavia, per chiudere il cerchio e andare oltre l'America Latina, è innegabile che, in netto contrasto con i kibbutzim coloniali che sono in realtà funzionali all'imperialismo, è l'intera resistenza armata palestinese unita (compreso Hamas) con la sua eroica lotta contro l'imperialismo e la sua perseveranza in merito alla liberazione nazionale, ad essere più vicina all'ideale strategico marxista della comune. Questo è ciò che i comunardi di El Panal hanno intuito durante la visita di Khaled al loro barrio, e avevano ragione.