Print Friendly, PDF & Email
Print Friendly, PDF & Email

lantidiplomatico

Lo scontro valutario dietro la guerra russo-ucraina

di Alessandro Bartoloni

Riceviamo e pubblichiamo uno scritto di Alessandro Bartoloni che alimenta il dibattito su un importante tema - le cause finanziarie e valutarie dietro il conflitto contro la Russia - affrontato con un pregevole lavoro scientifico dal titolo "Le radici valutarie del conflitto in Ucraina", edito dalla rivista "Materialismo Storico", che come l'AntiDiplomatico vi abbiamo riproposto la settimana scorsa.  Degli stessi argomenti, il Prof. Giulio Palermo ha offerto un pregevole contributo in "Il conflitto russo-ucraino: l'imperialismo Usa alla conquista dell'UE" (LAD Edizioni 2022)

720x410c5mkjinhg0.jpgL’ispirazione per questo articolo mi è venuta dalla lettura del saggio del compagno, nonché professore, F. S. pubblicato su Materialismo Storico. Per spiegare la guerra in Ucraina, l’Autore adopera lo schema già utilizzato nel caso degli attacchi all’Iraq e alla Libia, rasi al suolo per aver osato mettere in discussione l’egemonia del dollaro nel commercio dei prodotti petroliferi. In sintesi, «quello russo-ucraino ci appare come l’ennesimo conflitto per interposta persona in cui, attraverso la NATO, il capitale legato al dollaro cerca di indebolire l’area valutaria legata allo yuan che, nel frattempo, sta crescendo economicamente in maniera straordinaria, contendendo esplicitamente l’egemonia sull’intero sistema di capitale».

Di fronte a una tale tesi mi sarei aspettato che la divisa cinese fosse cresciuta negli scambi internazionali di merci, negli investimenti diretti esteri e di portafoglio, nonché nei forzieri delle banche centrali quale valuta di riserva. Al contrario, i dati riportati sembrano suffragare che la guerra in corso non costituisce una conseguenza della potenza dell’area valutaria legata alla “moneta del popolo” (renminbi) bensì uno dei fattori che ne accelerano l’espansione. Come si vede dalla figura 1 tratta da un articolo di Bloomberg, prima della guerra l’importanza della valuta cinese è sì cresciuta, ma non così tanto da rappresentare un effettivo e imminente pericolo per l’egemonia del biglietto verde.

Print Friendly, PDF & Email

coniarerivolta

Delega fiscale: Meloni fa pagare solo i lavoratori

di coniarerivolta

meloni 2Pubblichiamo un articolo dedicato al disegno di legge delega sulla riforma del fisco del governo Meloni

È stata presentata nei giorni scorsi, dopo diversi annunci, la delega fiscale predisposta dal Governo Meloni. Si tratta di una proposta di legge, che dovrà essere approvata dal Parlamento, che delega il Governo ad adottare una serie di atti (decreti legislativi) sulla riforma del sistema fiscale. La legge delega si limita, come noto, a stabilire i principi e i criteri ai quali i decreti legislativi, che avranno il valore di vere e proprie leggi, dovranno attenersi. Molti dettagli, dunque, sono ancora incompleti, mentre ben chiara è, come vedremo, la direzione di marcia.

È un documento importante, non solo perché interviene a 360 gradi sul fisco, ma anche perché è forse il primo atto di politica economica interamente addebitabile a questo Governo, che finora era soprattutto intervenuto (ovviamente sempre in modo peggiorativo) in modalità parziale su singoli istituti (i casi più evidenti sono state le pensioni e il reddito di cittadinanza).

I primi articoli sono dedicati alla riforma dell’IRPEF e in generale della tassazione delle persone fisiche, e questa è la parte che forse meglio di tutte chiarisce la profonda iniquità di questa riforma.

Accompagnata dalla promessa della “flat tax per tutti”, la delega si traduce immediatamente in un enorme colpo a quel poco di progressività che residuava nel nostro sistema, con vantaggi evidenti per i redditi più alti.

Print Friendly, PDF & Email

lafionda

La politica economica tra inflazione e stabilità finanziaria

di Marcello Spanò

siliconValleyBankIl fallimento di Silicon Valley Bank – la sedicesima più grande banca degli Stati Uniti – e le altre scosse telluriche del sistema finanziario a cui abbiamo assistito in questi giorni riportano all’attenzione il tema dell’instabilità finanziaria. Ancora non sappiamo se questi siano i primi anelli di una lunga catena o se il contagio verrà in qualche modo arginato. Ciò che possiamo constatare è che, ancora una volta, l’economia capitalistica ad alta intensità finanziaria in cui ci tocca in sorte vivere si conferma fragile e soggetta a rischi sistemici. Al posto di azzardare previsioni, pratica su cui gli economisti si esercitano ostinatamente e la maggior parte delle volte inutilmente, preferisco qui avanzare alcune considerazioni sugli elementi di novità che emergono da questi (primi?) fallimenti e sulle linee guida di politica economica che dovrebbero esserne tratte.

 

1. I safe assets non sono safe

La prima considerazione che mi sembra opportuno sottolineare è un paradosso: i titoli del debito pubblico, normalmente considerati un rifugio per il loro basso grado di rischiosità (safe assets) sono stati proprio quelli che hanno portato la SVB al fallimento.

Una quindicina d’anni fa, quando l’intero mondo della finanza franava a causa del crollo dei titoli derivati il cui profilo di rischio era del tutto opaco e la cui valutazione tecnicamente contorta era affidata ad esperti che di economia sapevano poco o nulla, gli investitori finanziari spostarono somme enormi di ricchezza sui titoli di Stato, considerati appunto un buon rifugio di fronte al panico e all’incertezza del momento.

Print Friendly, PDF & Email

lafionda

Il segreto di Pulcinella dei mercati azionari

di Fabrizio Russo

Mercati finanziari su quali azioni investire nei prossimi mesi 1I mercati azionari possiedono, da sempre, un’alea di mistero per il grande pubblico. C’è chi ingenuamente attribuisce loro le stesse caratteristiche del gioco d’azzardo – nulla di più sbagliato come dimostra Nassim Nicholas Taleb (v. “Il Cigno Nero” del medesimo autore) – salvo poi impiegare direttamente od indirettamente (assicurazioni vita, fondi pensioni, fondi d’investimento azionari o bilanciati, etc.) i risparmi previdenziali o personali – almeno in una certa quota, che può però essere assai significativa – proprio su quei tipi di mercato. E’ poi diffusa, anche tra molti addetti ai lavori (ahimè), la credenza che “è tutto pilotato”, “rigged” direbbero gli anglosassoni. Ora, certamente l’insider trading (illegale) esiste e gioca un certo ruolo. Questo specie nel convogliare per vie preferenziali le informazioni riguardanti uno dei fattori che incidono sui mercati azionari: l’EPS (Earning Per Share), o informazioni circa eventuali grosse transazioni che coinvolgono operatori di cospicue dimensioni. Tuttavia, da sostenere che alcuni, fossero anche frequenti, episodi di insider trading avvantaggiano indebitamente taluni operatori, a sostenere che, sistematicamente, la direzione dei corsi azionari è dettata puntualmente dalle “voci di corridoio”, di acqua ne passa sotto i ponti! E la cosa, sinceramente, appare addirittura grottesca e ridicola, tanto più se simili affermazioni vengono proprio da professionisti – anche magari bancari – di settori limitrofi a quello finanziario. Forse le voci sono quelle che sentono la sera dopo avere mangiato pesante e, francamente, dipingere in modo esoterico il funzionamento di un mercato – specie quello USA – sostanzialmente globalizzato, dotato di una enorme ampiezza e liquidità, lascia abbastanza perplessi ed avviliti.

Print Friendly, PDF & Email

blackblog

Montagne di debiti in movimento

di Tomasz Konicz

Il prodigioso mondo dei mercati obbligazionari - attualmente molto più eccitante di quanto vorrebbero molti quadri dell'economia statale e finanziaria

200309 stock exchange trader cs 1054aTediosi, monotoni, mortalmente noiosi:così sono di solito i mercati dei titoli obbligazionari dei centri del sistema mondiale. Quando il capitale necessita di essere parcheggiato in maniera sicura, quando i fondi pensione hanno bisogno di garantire una rendita sicura, per quanto bassa, quando le compagnie di assicurazione desiderano depositare il loro denaro, ecco che allora i soldi cominciano a fluire in direzione dei titoli di Stato statunitensi o tedeschi, i quali vengono considerati come la base stabile del sistema finanziario mondiale, la spina dorsale della finanziarizzazione neoliberista del capitalismo in questi ultimi decenni. Per poter quantificare tutto questo cemento sul cui è stato costruito il castello di carte della finanza neoliberista degli ultimi decenni, l'unità di misura appropriata, è il trilione [in italiano, mille miliardi!]: alla fine del 2020, con un volume di oltre 22mila miliardi di dollari, il mercato delle obbligazioni sovrane degli Stati Uniti aveva il volume più grande al mondo, seguito dalla Cina (20mila milioni di dollari) e dal Giappone (12mila milioni di dollari) [*1]. A livello globale, nel periodo in questione sono stati scambiati 128,3mila miliardi di dollari di obbligazioni, di cui il 68% era costituito dal debito del settore pubblico, e il 32% da debito societario.

Di solito è più emozionante stare a guardare l'erba crescere, piuttosto che osservare i mercati dei titoli del Tesoro statunitense. Normalmente. Il fatto che la sfera finanziaria sia al centro di quella che è - a dir poco - una crisi insolita che sta erodendo le sue stesse basi, possiamo misurarlo proprio dal movimento dei mercati obbligazionari negli Stati Uniti e nell'Unione Europea, come in un giro sulle montagne russe che fa saltare i nervi sia ai grandi che ai piccoli investitori.

Print Friendly, PDF & Email

effimera

La dittatura della finanza e il mercato del gas

di Andrea Fumagalli

impianti gas russiaPrefazione

Il 12 e 13 settembre 2008, nel pieno del crollo finanziario dei subprime negli Usa, due giorni prima del fallimento della Lehmann Brother (15 settembre 2008), a Bologna si svolgeva un convegno organizzato da UniNomade sui mercati finanziari e la crisi dei mercati globali. Gli atti di quel convegno (e molto di più) verranno pubblicati l’anno successivo da Ombre Corte a cura di Andrea Fumagalli e Sandro Mezzadra con il titolo Crisi dell’economia globale. Mercati finanziari, lotte sociali e nuovi scenari politici[1]. All’interno di quella raccolta di saggi, compariva un testo di Stefano Lucarelli: “Il biopotere della finanza”. All’epoca, tale titolo ci pareva più che mai azzeccato per descrivere il dominio delle oligarchie finanziare nel definire le traiettorie di accumulazione del nuovo capitalismo delle piattaforme, che da lì a poco sarebbe emerso dalle ceneri di quella crisi.

Oggi a quasi 15 anni da quegli eventi, possiamo dire di aver sottovalutato il problema. Certo, la nostra analisi si era rivelata più che corretta nel sottolineare il ruolo centrale e dominante della finanza speculativa nel nuovo (dis)ordine monetario internazionale e il tendenziale declino del dollaro come moneta di riserva internazionale. Ma nel frattempo, il biopotere (che poteva dare origine anche a qualche forma di contropotere, come illusoriamente ha fatto credere la parabola del bitcoin) si è trasformato in una vera e propria dittatura.

 

La finanziarizzazione delle materie prime

Ciò che sta succedendo nella determinazione del prezzo del gas nel mercato di Amsterdam lo conferma ampiamente. Già nel passato c’erano state avvisaglie della capacità della speculazione finanziaria, oggi sempre più essenza e anima dei mercati finanziari, di stravolgere in modo quasi irreversibile le stesse regole di funzionamento di un mercato neo-liberista.

Print Friendly, PDF & Email

acropolis

Il sistema del dollaro in un mondo multipolare

di James K. Galbraith

Il mondo finanziario multipolare è qui. Gli Stati Uniti possono sopravvivere, ma solo con grandi cambiamenti politici ed economici in patria. È ora di iniziare a pensare a cosa devono essere

xrimata megaloi misthoi copia e1654251196905Come sottolinea Costabile (2022), il dollaro è ormai di fatto da oltre cento anni il principale asset di riserva mondiale, in primo luogo a causa della preminenza statunitense nella detenzione dell’oro e della sua posizione creditoria rispetto ai belligeranti europei nella Grande Guerra. Nel 1944 la potenza militare e industriale degli Stati Uniti, presto sostenuta, nell’ombra, da un monopolio sulla bomba atomica, furono le basi del gold exchange standard stabilito a Bretton Woods.

 

Una breve storia dell’era neoliberista

Il 15 agosto 1971 cala il sipario sul gold-exchange standard e si alza – anche se allora non lo sapevamo e pensavamo diversamente – sull’era neoliberista. Svalutazione, controlli sulle esportazioni, congelamento dei prezzi salariali e stimolo fiscale all’estero : queste erano misure keynesiane e persino in tempo di guerra che sembravano segnalare una conversione di massa della cerchia di Richard Nixon verso la piena occupazione, la stabilità dei prezzi e il commercio gestito. Mio padre, John Kenneth Galbraith, il capo del controllo dei prezzi della seconda guerra mondiale, è stato chiamato dal Washington Post per un commento. “Mi sento come la camminatrice di strada”, ha risposto, “a cui è stato appena detto che non solo la sua professione è legale, ma la più alta forma di servizio municipale”.

L’impressione è rimasta durante l’anno di crescita esplosiva del 1972, assicurando la rielezione di Nixon con la piena occupazione al salario medio reale più alto di tutti i tempi. Ma andò in pezzi nel 1973 quando lo stimolo terminò, i controlli furono indeboliti o scaduti, i prezzi del petrolio aumentarono e l’inflazione generale risultante fu accolta da alti tassi di interesse, stimolando una nuova crisi nel 1974.

Print Friendly, PDF & Email

sinistra

Il dilemma dei banchieri centrali

di Michael Roberts 

iStock 1346378991"L'inflazione che abbiamo ottenuto non era affatto quella che stavamo cercando ", ha detto il presidente della Federal Reserve statunitense Jay Powell nella sua conferenza stampa dopo che il Comitato di politica monetaria della Fed ha deciso di accelerare il "tapering" dei suoi acquisti di Titoli di stato a zero entro marzo 2022 e ha segnalato che subito dopo inizierà ad aumentare il tasso di interesse di riferimento (il tasso dei "Fed funds") da zero.

Cosa intendeva Powell con "non era l'inflazione che stavamo cercando"? Non si riferiva solo al livello del tasso di inflazione. L'inflazione dei beni di consumo e dei servizi negli Stati Uniti è ora molto più alta delle previsioni fatte a settembre dalla Fed durante la sua ultima riunione, ed è quella che viene chiamata "inflazione di base", che esclude l'aumento dei prezzi dell'energia e dei generi alimentari. A novembre l'inflazione complessiva ha raggiunto il 6,5%, il tasso più alto da quasi 40 anni.

Print Friendly, PDF & Email

coniarerivolta

La riforma fiscale del Governo Draghi: cambiare poco per cambiare male

di coniarerivolta

regaloconfDa mesi ormai si parla con toni da grande attesa dell’imminente riforma fiscale studiata dal governo Draghi. Nel suo discorso programmatico in Senato del 17 febbraio scorso, Mario Draghi spese parole enfatiche, ma assai vaghe nei contenuti, per annunciare le intenzioni di intervenire in modo energico sul fisco: “in questa prospettiva” affermava Draghi, “va studiata una revisione profonda dell’Irpef con il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo, riducendo gradualmente il carico fiscale e preservando la progressività”.

Delle intenzioni trasformatrici espresse durante il discorso di insediamento cosa troviamo nell’attuale legge finanziaria in via di approvazione? Sostanzialmente nulla e sicuramente nulla di buono. La proposta, più o meno definita nei contenuti generali, è quella di andare a limare lievissimamente uno o due aliquote Irpef ed andare a ridurre l’Irap per le imprese, per un costo complessivo di circa 8 miliardi di euro. Per capire la direzione degli interventi proposti occorre fare un passo indietro e capire da dove veniamo.

Anni e anni di riforme involutive dagli anni ’80 ad oggi hanno portato ad una diminuzione continua del carico fiscale sui redditi da capitale e in generale sul reddito dei più ricchi. Una tendenza che si è articolata lungo due direzioni: da un lato la riduzione delle tipologie di reddito incluse nella base imponibile Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche), con la previsione di regimi separati e agevolati per una parte cospicua dei redditi da capitale (reddito delle società di capitali, rendite finanziarie, rendite immobiliari); dall’altra una drastica riduzione della progressività in seno all’Irpef. Quest’ultima imposta, che ormai colpisce quasi esclusivamente redditi da lavoro e da pensione e solo in piccola parte i redditi da capitale (profitti della piccola e talvolta media impresa), è passata dai 32 scaglioni del lontano 1974 ai 5 attuali, con un differenziale ridottissimo tra prima e ultima aliquota e tra primo scaglione e ultimo scaglione di reddito ad esse associati.

Print Friendly, PDF & Email

economiaepolitica

La sfida strategica sulla moneta digitale: le monete globali dei colossi del web e le Central Bank Digital Currencies

di Enrico Grazzini

dollaLa moneta sta conoscendo un cambiamento epocale. A parte qualche eccezione, prima o poi la moneta di carta diventerà un oggetto da collezione. La nuova moneta diventerà completamente digitale, fatta di bit immateriali e intangibili. Già ora i pagamenti per il commercio elettronico vengono effettuati on line in maniera facile e conveniente con smartphone, personal computer, tablet, carte con chip. Sul piano tecnico ed economico le monete digitali offrono numerosi e sostanziali vantaggi: meno costi di produzione e di distribuzione rispetto alle banconote, più facilità e immediatezza d’uso, possibilità di regolare istantaneamente le transazioni, minori costi per commercianti e cittadini, possibilità di tracciare tutte le transazioni (anche se questo solleva immensi problemi di privacy) e quindi di contrastare efficacemente l’evasione fiscale, la criminalità, il riciclaggio e il terrorismo.

Il passaggio inevitabile dalla moneta cartacea a quella digitale modificherà certamente gli scenari competitivi attuali: non si sa se negli anni prevarranno le società globali del web, come Facebook o Alipay, o invece le banche centrali nazionali e i sistemi bancari tradizionali su base nazionale. La competizione potrebbe essere di tutti contro tutti: non solo i grandi oligopolisti della rete contro i sistemi bancari nazionali e gli stati sovrani, ma eventualmente anche le banche centrali nei confronti delle banche commerciali nazionali.

Si apriranno nuovi scenari concorrenziali per aggiudicarsi il potere sulle nuove monete e il potere sui clienti e sui loro dati. Il passaggio dalla moneta cartacea a quella digitale potrebbe fare fare un salto di qualità decisivo verso la privatizzazione del sistema monetario internazionale: o potrebbe al contrario aprire le porte alla moneta pubblica digitale nazionale.

Print Friendly, PDF & Email

lafionda

Patrimoniale: come sbagliare mira con una pistola ad acqua

di Pietro Salemi

pistolaAcquaTagliatoNel dibattito pubblico di questi ultimi giorni ha tenuto banco la proposta di emendamento alla legge di bilancio di introduzione di un’imposta patrimoniale che andrebbe ad incidere su quella platea di contribuenti che detengano un patrimonio immobiliare e mobiliare netto superiore complessivamente ai 500.000 €. La proposta, a firma di alcuni deputati di PD e LeU, prevede 4 diverse aliquote: 0,2% tra i 500.000€ e un milione di €; 0,5% da un milione a 5 milione di €; 1% tra 5 e 50 milioni di €; 2% sopra i 50 milioni di €. A queste aliquote, solo per l’anno 2021, se ne aggiunge un’altra: il 3% sui patrimoni superiori al miliardo di €. La stessa proposta di emendamento all’art. 194 della legge di bilancio disporrebbe la contestuale esenzione per le persone fisiche dall’Imposta Municipale Propria, dall’imposta di bollo sui conti correnti e sui conti di deposito titoli.

L’imposta patrimoniale è da sempre proposta capace di scaldare i cuori della sinistra e gli animi a destra. In linea di principio, è, infatti, misura idonea a perseguire finalità di giustizia sociale in vista di una più equa distribuzione della ricchezza e, in ultima istanza, di una maggiore uguaglianza sostanziale.

La misura viene presentata, se non come una vera e propria panacea, almeno come una misura giusta e necessaria. Giusta, perché ritenuta in grado di operare un’effettiva redistribuzione delle ricchezze e di rimediare alla drammatica crescita delle disuguaglianze socio-economiche. Necessaria, perché ritenuta in grado di reperire preziose risorse per l’Italia al fine di superare la crisi pandemica, nei suoi aspetti sanitari e/o economici.

Print Friendly, PDF & Email

seminaredomande

Strategie di sopravvivenza del sistema finanziario

Verso il nulla che avanza

di Francesco Cappello

verso il nulla 1024x641Le banche centrali a partire dalla crisi del 2007/08 nel tentativo di stabilizzare il sistema finanziario, in equilibrio intrinsecamente precario, hanno creato e immesso enormi quantità di moneta nei suoi circuiti, al fine di far quadrare bilanci pericolosamente squilibrati. Ad oggi, nel complesso, più di 30 mila miliardi di dollari la moneta a vario titolo creata (1) e immessa nel sistema finanziario, destinata a crescere a ritmi vertiginosi.

La moneta dal 1971 è moneta fiat, non più legata all’oro (fine del gold standard). Essa si crea dal nulla a volontà. Non è “risorsa” scarsa. Non ha quindi valore intrinseco.

Come fare a conferirglielo?

 

Sorgente e ruolo dell’inflazione finanziaria

Come è noto alle banche centrali di molti paesi inclusi quelli dell’Unione Europea è stata preclusa la possibilità di finanziare direttamente gli Stati; sono perciò le banche private a fare da intermediare comprando i titoli emessi dallo stato. Esse utilizzano allo scopo moneta creata appositamente dalle banche centrali. Nel contesto europeo le banche private fanno da intermediarie tra la BCE e gli Stati.

Print Friendly, PDF & Email

milanofinanza

Centomila miliardi di asset finanziano 18.500 miliardi di Pil

Il rischio americano è tutto qui

di Maurizio Novelli, Lemanik

Lo stock di azioni e titoli di debito che finanziano l’economia Usa ha raggiunto questa cifra stratosferica. E circa 10-12.000 miliardi di dollari di risparmio estero di Cina, Giappone ed Europa contribuiscono a quel sostegno, sottraendo risorse alle loro economie. Un circolo vizioso da cui si esce con ricette che Wall Street certo non gradisce

Obbligazioni 378579 481064Mentre si avvia il cambio di amministrazione negli Stati Uniti, i mercati finanziari sono impegnati nella costruzione della piu’ grande bolla speculativa di sempre, in un contesto economico particolarmente disastrato. I postumi della crisi economica non saranno così facili da superare per le economie occidentali e il danno richiederà molto tempo per essere riparato, anche se la frenesia speculativa dei mercati cerca di far credere che non sarà così.

Le azioni dei policy makers stanno creando due economie tra loro contrapposte, quella della finanza e quella reale, con il rischio che si possano separare pericolosamente tra loro in modo irreversibile, producendo una ripresa economica a forma di K: il 10% più ricco della popolazione si trova sulla linea superiore della K e il rimanente 90% in quella inferiore, fino a creare in prospettiva l’instabilità sociale prodotta dalla disuguaglianza.

Il livello raggiunto dallo stock di asset finanziari detenuti dagli investitori e circolanti nell’economia americana a fine 2019 era pari a 5,6 volte il Pil Usa, ma in considerazione del recente aumento del debito interno per fronteggiare la crisi economica, dovrebbe essere salito a ben oltre 6 volte il PIL (in UE tale livello è inferiore a 3 volte). In sostanza, il Pil USA vale oggi circa 18.500 miliardi di dollari ma le attività finanziarie (azioni, obbligazioni e titoli cartolarizzati di ogni tipo) che lo rappresentano e servono a finanziarlo hanno raggiunto la cifra astronomica di oltre 100.000 miliardi di dollari (derivati esclusi!).

Print Friendly, PDF & Email

sbilanciamoci

Alibaba, il fintech e il sistema finanziario

di Vincenzo Comito

Con lo scoppio della pandemia, le attività del settore del fintech hanno fatto un grande balzo in avanti, e il colosso Ant ha aiutato la Cina a diventare il leader globale indiscusso nel settore. Perché Pechino ha bloccato dunque la quotazione in Borsa del colosso di Jack Ma?

ant financial mobileLa curiosa quotazione in Borsa di Ant Group 

L’annuncio della quotazione in Borsa di Ant Group, braccio finanziario di Alibaba, nonchè la successiva sospensione della stessa da parte delle autorità cinesi, ci spingono ad analizzare le molte, importanti, questioni che sono in ballo nella vicenda, dall’avanzamento tecnologico e finanziario cinese e dalla lotta per il predominio con gli Stati Uniti, al problema del controllo pubblico dei giganti dell’economia numerica, al rapporto più generale tra pubblico e privato, al futuro infine delle banche tradizionali, in Cina come nel resto del mondo.

Dunque, nell’ottobre del 2020 il gruppo Alibaba annuncia che la sua controllata Ant Group sarà quotata alle borse di Shanghai e di Hong Kong attraverso l’emissione di titoli azionari per un valore di circa 37 miliardi di dollari; tutta Ant viene a questo punto valutata 313 miliardi di dollari, un valore superiore a quello di tutte le grandi banche internazionali, compresa, sia pure di poco, a quello del più grande gruppo finanziario occidentale, la JPMorgan Chase. 

Se la quotazione fosse stata portata avanti, si sarebbe trattato del più grande collocamento in Borsa della storia. L’emissione è stata in linea di principio un grandissimo successo: sono arrivate richieste di sottoscrizione pari a circa 800 volte il valore dei titoli immessi sul mercato.

Print Friendly, PDF & Email

contropiano2

La moneta digitale cinese cambierà la finanza

di Giacomo Marchetti

In calce un articolo di China Daily sull'argomento

cina moneta digitaleDiana Choyleva, economista-capo di Enodo Economics, in un articolo sul Financial Times dal titolo illuminante – “Il Renmimbi si rafforza mentre la Cina si rafforza”afferma che:

«la Cina spera particolarmente nell’adozione di una nuova valuta digitale, ora in fase di sperimentazione avanzata, da parte di altri paesi. Mantenere alta la fiducia nel renminbi “analogico” sarà fondamentale per ottenere molti ‘convertiti’ al suo gemello digitale».

La sfida di Pechino è parte integrante di una strategia a tutto tondo per affermare un nuovo benchmark anche in quella terra di mezzo tra il massimo grado di sviluppo tecnologico e le tecniche finanziarie, continuando ad attrarre porzioni crescenti di capitale internazionale – tra cui i big di Wall Street -, tutto però sotto il ferreo controllo politico della direzione economica complessiva.

Si tratta di vincere la guerra digitale e quella monetaria, in uno scontro a tre tra titani, con Pechino che però sta ora disponendo di un differenziale strategico notevole grazie alla maggiore capacità dimostrata nella gestione dell’emergenza pandemica.

Come ha platealmente mostrato la “sospensione” della più grande IPO della storia finanziaria (prevista per il 5 novembre, ma stoppata pochi giorni prima) per la Ant, il più grande operatore privato di pagamenti digitali al mondo, che il miliardario Jack Ma sognava nelle borse cinesi (Shangai e Hong Kong).

Pechino non intende correre rischi e mostra che mentre il mondo economico naviga a vista in un mare in tempesta, lei tiene saldamente il timone ed segue la rotta che verrà formalizzata nel 14° Piano Quinquennale.