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sollevazione2

Crisi bancaria americana, profezia o verità?

di Paolo Cleopatra

falsomjuy.jpegL’imminente crisi sistemica attuale si spiega ricordando brevemente le ragioni e lo svolgimento della crisi sistemica del 2007, causata dall’assenza di regole prima di tutto nel sistema statunitense.

L’inizio di quella crisi può essere ricondotto alla volontà delle principali istituzioni bancarie americane di spingere ai massimi livelli la concessione di mutui per l’acquisto di case: il sogno americano doveva essere sostenuto, ma soprattutto le spese dei privati dovevano continuare ad alimentare un mercato che dava da tempo segni di cedimento.

Decisione, quindi, politica, ma dalle fortissime implicazioni finanziarie e speculative.

Molte famiglie, rimaste scottate dalla crisi del 2001-2003, quando era scoppiata la bolla di internet, erano alla ricerca di altre forme di investimento e l’acquisto di una casa sembrava perfetto.

L’espansione del mercato immobiliare lasciava intravedere che la casa potesse sempre essere rivenduta a un prezzo maggiore; le agenzie immobiliari pensavano anche di poter incassare un numero crescente di intermediazioni.

Si è quindi messo in moto un mercato chiamato “NINJA”: “no income, no job or assets”, cioè mutui concessi a persone che non avevano un reddito, un lavoro o un’attività da dare a garanzia. Questa categoria fu chiamata “mutui subprime”, cioè con un’attendibilità al di sotto delle rate da pagare. Ingrossandosi, essa ha reso fragile la base economica delle successive operazioni finanziarie.

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sinistra

Raddoppiare gli errori fatali

di Piero Pagliani

Impero.jpgla dedichiamo a tutti quelli - e sono tanti - che pur essendo testimoni di fatti importantissimi e determinanti dell'avvenire della civiltà, neanche se ne accorgono!

Enzo Jannacci, “Prete Liprando e il giudizio di Dio”

 

1. Neanche se ne accorgono!

Qualcuno si chiederà perché ho così poca stima, e a volte nessuna, per la maggior parte dei politici, dei media e degli “esperti”, uomini e donne, che occupano la scena italiana, europea e occidentale.

La risposta è semplice: perché non si meritano nessuna stima.

Nel 2014 alcuni deputati del neonato Movimento 5 Stelle e il compianto giornalista Giulietto Chiesa, mi chiesero di presiedere un convegno internazionale intitolato “Global Warning”, cioè “attenzione alla guerra globale”. Il convegno si tenne presso la Biblioteca del Senato della Repubblica. La tesi dei lavori era che la Nato stava preparando un grande scontro con la Russia nell'Europa orientale. Tesi che Giulietto Chiesa ribadì nei suoi tour in giro per l'Italia. Con tutte le critiche di carattere teorico e politico che io gli rivolgevo schiettamente in quegli anni, riconosco volentieri che Giulietto vedeva più lontano di tutti i suoi colleghi giornalisti, sia perché era più intelligente, sia perché conosceva la Russia e l'Europa orientale molto meglio.

Ascoltate bene questi 57 secondi: https://www.youtube.com/watch?v=sDPVIljawNU

Era esagerato? Era complottista? Giudicate voi.

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resistenze1

Gaza: Una finestra orrenda sulla crisi del capitalismo globale

di William I. Robinson e Hoai-An Nguyen

1210567.jpgMentre il mondo assiste inorridito al crescente numero di vittime tra i civili palestinesi e Israele affronta le accuse della Corte internazionale di Giustizia per il crimine di genocidio, la carneficina di Gaza ci offre una finestra spettrale sulla rapida escalation della crisi del capitalismo globale. Collegare i fili dalla spietata distruzione israeliana di Gaza a questa crisi globale richiede un passo indietro per mettere a fuoco il quadro generale. Il capitalismo globale deve affrontare una crisi strutturale di sovraccumulazione e stagnazione cronica. Ma i gruppi dominanti devono anche affrontare una crisi politica di legittimità dello Stato, di egemonia capitalista e di disintegrazione sociale diffusa, una crisi internazionale di contrapposizione geopolitica e una crisi ecologica di proporzioni epocali.

Le élite aziendali e politiche globali sono in preda alla sbornia del boom capitalistico mondiale della fine del XX e dell'inizio del XXI secolo.  Hanno dovuto riconoscere che la crisi è fuori controllo. Nel suo Rapporto sui rischi globali per il 2023, il World Economic Forum ha avvertito che il mondo si trova ad affrontare una "policrisi" che comporta un'escalation di impatti economici, politici, sociali e climatici che "stanno convergendo per dare forma a un decennio unico, incerto e turbolento".  L'élite di Davos potrebbe non sapere come risolvere la crisi, ma altre fazioni dei gruppi dirigenti stanno sperimentando come plasmare l'interminabile caos politico e l'instabilità finanziaria in una nuova e più letale fase del capitalismo globale.

Mentre l'esito militare della guerra di Gaza deve ancora essere determinato, non c'è dubbio che Israele e i suoi sostenitori negli Stati centrali del sistema capitalistico mondiale stiano perdendo la guerra politica per la legittimità.

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lindipendente

Un mondo multipolare non sarà automaticamente un mondo nuovo

di Monica Cillerai

multipolare.jpgL’ordine mondiale geopolitico regolato dal Washington Consensus, l’equilibrio internazionale figlio della Seconda guerra mondiale, è finito. L’ordine mondiale dei commerci, stabilito dagli accordi di Bretton Woods, non funziona più: già ammalato da tempo, si è indebolito in pandemia e sta ricevendo l’estrema unzione con la guerra in Ucraina. Da qualsiasi punto si guardi la faccenda globale, gli USA stanno perdendo il loro ruolo di capo e poliziotto del mondo. L’egemonia a stelle e strisce, già in declino da anni, sta definitivamente tramontando. Nuovi Stati chiedono voce in capitolo e reclamano potere. Pretendono istituzioni internazionali meno orientate verso gli Stati Uniti e i privilegi occidentali, esigono la fine del dominio del dollaro, reclamano ruoli guida ai tavoli in cui si decidono le politiche globali. Le crisi non sono la fine di tutto, sono momenti necessari di rottura per arrivare a un nuovo ordine, dopo una fase di caos. Oggi siamo nel momento del disordine. I fatti in Ucraina hanno semplicemente reso visibile a tutti la tracimazione di un vaso colmo da tempo. Gli USA cercano storicamente anche così, attraverso guerre esportate e per procura, di stabilizzare il loro potere e la loro egemonia. È dalla Cina e da numerosi Paesi ancora considerati in via di sviluppo, i famosi BRICS (Brasile, Russia, India e Sud Africa), che arriva la richiesta di un nuovo ordine internazionale. L’attacco militare da parte della Russia verso l’Ucraina e l’impossibilità di operare da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a causa del veto imposto da Mosca hanno rimesso sul tavolo la questione di una necessaria riforma del sistema delle Nazioni Unite. Unione Europea e USA si sono impegnate nel lancio di numerosi pacchetti di sanzioni economiche contro la Russia, che hanno finito per ricadere sugli interscambi commerciali tra Mosca e varie altre economie a essa connesse, in primis quelle dei BRICS.

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crs

Il multipolarismo imperfetto prossimo venturo

di Vincenzo Comito

La crisi dell’egemonia occidentale sul mondo potrebbe condurre a un multipolarismo imperfetto, con medie potenze che si muovono tra fronti opposti in cerca di benefici. Per non piombare in un caos sistemico è necessario ridisegnare le istituzioni internazionali affinché rispondano agli equilibri e alle esigenze del presente

nebbia 3 1536x1035.jpg

La fine del vecchio ordine

Oggi si trovano quasi tutti d’accordo sull’idea che il mondo uscito dalla seconda guerra mondiale sta ora progressivamente svanendo, come intitolava, ad esempio, un recente articolo di “Le Monde” (Frachon, 2023) e come veniva anche ribadito, sempre recentemente, dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres (“le strutture attuali di governance mondiale riflettono il mondo di ieri”); ma ci sono idee piuttosto confuse, almeno in parte, su come esso si stia veramente trasformando e in che direzione si stia realmente andando. Peraltro non manca chi cerca di frenare il movimento.

Certo, non siamo nella situazione in cui si è trovato a suo tempo Claudio Rutilio Namaziano, che, partito un giorno in nave da Roma per ritornare alla natia Gallia dopo un soggiorno nella capitale dell’Impero, e facendo sosta ogni sera lungo il percorso in un porto diverso, assistette in tempo reale al crollo in pochi giorni del sistema imperiale, città per città, sotto in particolare la spinta dei Vandali da una parte, dei Goti dall’altra, come riferisce nella sua opera De reditu suo. Nel nostro caso il percorso appare invece lungo e tortuoso.

Un’altra cosa che trova quasi tutti d’accordo, collegata alla precedente, è il fatto che la potenza economica, finanziaria, tecnologica, militare degli Stati Uniti, sino a ieri paese di gran lunga dominante, si stia progressivamente riducendo almeno in maniera relativa rispetto al resto del mondo, anche se il dibattito è aperto su quanto forte sia tale riduzione e come si collochi oggi invece in termini di peso effettivo la potenza in ascesa, la Cina, rispetto a quello degli Stati Uniti.

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effimera

DIARIO DELLA CRISI | Il conflitto è una potenza economica (reddito e norme giuridiche dentro la crisi)

di Gianni Giovannelli

Quarto Stato 696x376 1.jpgIn questa nuova puntata del Diario della Crisi, progetto lanciato congiuntamente da Effimera, Machina ed El Salto, Giovanni Giovannelli analizza, alla luce del caso italiano, le diverse configurazioni che la povertà assume nell’attuale contesto di crisi e le modalità della sua gestione da parte degli attuali governi dell’Unione Europea, con l’obiettivo di disciplinare la forza lavoro e segmentarne le traiettorie socio-economiche. In questo contesto, la questione del salario minimo assume una grande rilevanza nella misura in cui consente di opporre un criterio di uguaglianza all’enorme diversità di figure contrattuali assunte dal rapporto di lavoro, molte delle quali tenuemente regolamentate.

* * * *

Occorre sapere che il conflitto
è presente in ogni cosa
la Giustizia è Contesa
tutto nasce secondo
Contesa e Necessità
(Eraclito, Frammento 22B80 DK)

Il 25 ottobre 2023 ISTAT ha reso disponibili i dati relativi al 2022, come raccolti ed elaborati dall’Istituto. Si veda il report Le statistiche dell’ISTAT sulla povertà/Anno 2022: Ne esce un quadro complessivo che appare coerente sia con il sentiment popolare percepito da ogni osservatore non prezzolato (o pur se retribuito almeno onesto) sia con le decisioni dell’apparato governativo; un quadro che conferma il durissimo violento attacco ai lavoratori subordinati e al precariato della vecchia Europa.

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effimera

Diario della crisi | Lotta di classe in America

di Christian Marazzi

Lotte USA.jpgIn questa nuova puntata del Diario della crisi, rubrica pubblicata su Effimera, Machina ed El Salto, Christian Marazzi analizza l’ondata di scioperi che nelle ultime settimana sta scuotendo gli Stati Uniti. È la somma, spiega Marazzi, di fattori contingenti e di lungo periodo: il Covid e il contesto economico post-pandemico, l’apparizione dei «lavoratori essenziali», il fenomeno delle grandi dimissioni hanno rafforzato il potere contrattuale degli operai e dunque le loro possibilità di conflitto. Le ragioni di lungo periodo risiedono invece nella crescente diseguaglianza degli ultimi quarant’anni. Queste lotte, che praticano nuove tattiche (ad esempio lo «stand up strike», cioè lo sciopero a singhiozzo), mostrano la crisi esistenziale del lavoro. Il rifiuto del modello di lavoro e l’urgenza di salvare l’ambiente stanno imprimendo dei cambiamenti profondi nella società, rivoluzionando la scala di valori di sistema.

* * * *

«La settimana scorsa (4 ottobre) hanno scioperato per tre giorni i 75.000 operatori sanitari della Kaiser Permanente, la più importante azienda privata senza scopo di lucro del settore. È stato il più grande sciopero sanitario della storia degli Stati Uniti. È l’ultimo di una serie impressionante di scioperi che stanno scuotendo il mondo del lavoro americano. Se le luci della scena erano state occupate dallo sciopero dell’industria cinematografica a stelle e strisce, nell’ombra altre centinaia di migliaia di lavoratori hanno incrociato le braccia negli ambiti più disparati. I baristi di Starbucks, il personale alberghiero della California, gli assistenti di volo, i portuali della West Coast, solo per citarne alcuni. L’altra novità è che i lavoratori vincono. Esemplare il caso dei 340.000 corrieri di Ups.

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altraparola

Fermare la spirale della violenza

di Mario Pezzella

Giotto.jpegÈ difficile “schierarsi” – come si diceva una volta – da una parte o dall’altra nei conflitti che avvengono in questi anni; perché, tramontata ogni forma di internazionalismo, si tratta per lo più di scontri fra nazionalismi autoritari ed estremi, quando non tra diverse sfumature di fascismo, luogotenenti del nulla. Così, se è impossibile solidarizzare con la deriva violenta di Hamas, non si può provare alcuna simpatia per il governo israeliano che ha pesantissime responsabilità nella terribile situazione attuale. Sono già stati ricordati in questo giornale il procedere della colonizzazione israeliana in Cisgiordania, le condizioni di vita a Gaza, l’apartheid a cui sono sottoposti ovunque i palestinesi, la provocatoria dichiarazione di Gerusalemme come capitale di Israele, le uccisioni e le aggressioni nei villaggi palestinesi. Vorrei aggiungere qualcosa su un fenomeno più generale e cioè l’abbandono di qualsiasi tentativo di coesistenza e convivenza tra i due popoli e il procedere di un processo di colonizzazione diffuso, che ha provocato quegli effetti misti di padronanza, umiliazione e risentimento intollerabile, che Fanon aveva messo in rilievo nel secolo scorso.

La colonizzazione – riteneva Fanon – comporta la radicale reificazione del colonizzato. I coloni, in questo caso gli israeliani estremisti che hanno espanso continuamente il loro potere anche nelle aree destinate in teoria a uno stato palestinese, non sono solo i proprietari di beni materiali e di armi micidiali: si ritengono e si affermano detentori di un modello identitario, che è l’unico a essere veramente “umano” di fronte all’esistenza animalesca dei colonizzati, “belve” da tenere a freno.

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carmilla

Il nuovo disordine mondiale / 22: Al di là delle banalità sul “male assoluto”

di Sandro Moiso

Somdeep Sen, Decolonizzare la Palestina. Hamas tra anticolonialismo e postcolonialismo, Meltemi editore, Milano 2023, pp. 260, 22 euro

stallo messicano 3.jpgMai fu più tempestiva e utile la pubblicazione di un testo, anche se probabilmente è stato il gioco del caso ha far sì che quello di Somdeep Sen, appena edito da Meltemi nella collana Biblioteca/Antropologia, uscisse in contemporanea con uno dei momenti più drammatici, divisivi e, probabilmente, risolutivi dell’infinito conflitto mediorientale legato all’occupazione israeliana dei territori un tempo considerati palestinesi.

Così, mentre la situazione a Gaza sembra precipitare in un buco nero, di cui a pagare le conseguenze saranno nell’immediato i civili palestinesi ma in futuro anche il destino di Israele, diventa quasi indispensabile la lettura di un testo che, indirettamente, serve a smontare quell’immagine di “male assoluto” che oggi i media occidentali embedded tendono a dare di Hamas, rimuovendo i 75 anni di storia trascorsi dalla Nakba (espulsione dei palestinesi dalle loro terre) e le conseguenze che le scelte politiche dello stato colonizzatore e dei suoi alleati hanno avuto anche sulla formazione e il successo dello stesso movimento.

Una rimozione vergognosa della memoria che serve oggi a demonizzare quello che, piaccia o meno, rappresenta in Palestina il maggior movimento di resistenza all’occupazione e alla segregazione dei territori palestinesi e dei loro abitanti originari e, allo stesso tempo, allo sforzo continuativo e collettivo delle potenze occidentali teso alla cancellazione dell’identità palestinese e del diritto all’esistenza di un intero popolo.

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la citta futura

Inflazione da imperialismo

di Renato Caputo

Non potendo gli Stati Uniti e le altre potenze imperialiste competere con la Cina su un piano paritario, di libero mercato, hanno proprio loro tradito le politiche liberali e liberiste, imposte fino a quando gli facevano comodo con ogni mezzo necessario, per ripiegare su posizioni protezioniste tipiche della tradizione fascista

c2ca745415189d56785f3572733a80e1 XL.jpgCome è noto l’aristocrazia operaia ha avuto due nefasti effetti di fondamentale importanza: sbarrare durevolmente la strada alla rivoluzione in occidente e consentire un consenso di massa, nei paesi a capitalismo avanzato, alle politiche imperialiste. Tali politiche hanno garantito al proletariato e alla piccola borghesia dei paesi imperialisti delle condizioni di vita indubbiamente superiori a quelle dei loro omologhi nei paesi sotto attacco imperialista e ha tolto alla classe che non aveva altro da perdere che le sue catene la sua potenzialità rivoluzionaria. In tal modo, le forze della sinistra rivoluzionaria hanno avuto e ancora oggi hanno scarsa capacità di incidere, come del resto le forze antimperialiste nei paesi a capitalismo avanzato. Perciò è essenziale per le forze antimperialiste e rivoluzionarie far emergere le strette connessioni fra la politica estera imperialista e il peggioramento delle condizioni di vita delle classi subalterne e, persino, della piccola borghesia e del ceto medio. Come è noto un po’ ovunque, ma in modo particolare nei paesi a capitalismo avanzato e, in primis, in Italia da diversi mesi l’inflazione sta facendo perdere potere d’acquisto a chi vive di un reddito fisso, proletari, ceti medi e pensionati, colpendo i risparmi di una vita della piccola borghesia.

I diretti colpevoli di tale espropriazione delle classi subalterne da parte dei ceti sociali dominanti sono naturalmente gli speculatori e il capitale finanziario. D’altra parte, entrambi questi fattori erano presenti anche prima che iniziasse l’inflazione e nonostante ciò per diversi anni, almeno i paesi a capitalismo avanzato, avevano avuto un’inflazione molto bassa.

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effimera

Diario della crisi | Classe senza organizzazione di classe

di Gianni Giovannelli

Il lavoro e le manovre fiscali in Italia dentro la crisi

poveriiogbgy.jpgUna nuova puntata del Diario della crisi, condivisa con Machina e con El Salto. Nel testo, Gianni Giovannelli si sofferma a riflettere su come la classe precaria, “turba divisa, disunita, frammentata, insoddisfatta”, priva di forme di organizzazione di classe, oggi utilizzi forme di resistenza passiva. Nel frattempo viene tagliato il reddito di cittadinanza e il governo della destra spinge sulla coazione al lavoro. Da un lato, dunque, si allarga la platea dei bisognosi, dall’altro si sottraggono alternative a chi già vive nell’incertezza: “Un esempio, fra i molti possibili, […] è il caso Alitalia: quasi duemila lavoratori sono stati estromessi dall’organico, licenziati, individuando nella scelta l’area di quelli che per età o condizioni di salute avevano maggior costo e minor rendimento”. Infine, “per colpire chi già mal se la passa un ruolo centrale lo ha l’inflazione; gas, luce, cellulare, alimenti erodono le scarse risorse disponibili”. Questi i problemi di fronte ai quali si trova “la classe senza organizzazione di classe”…

* * * *

E la crisi in Ucraina è quindi arrivata
in un momento in cui qualcuno
ne aveva bisogno
(Qiao Liang, La bacchetta magica della finanza, 2015)

In data 3 luglio 2023 è stato convertito in legge, con modifiche, il decreto-legge n. 48 del maggio precedente, il primo in tema di lavoro varato per iniziativa del governo di destra guidato da Giorgia Meloni. Come di consueto il pacchetto normativo ha seguito un copione ormai collaudato, eredità degli esecutivi precedenti, nel segno di una continuità quanto meno procedurale.

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perunsocialismodelXXI

A proposito del cosiddetto capitalismo woke

di Carlo Formenti

Carl Rhodes: Capitalismo woke. Come la moralità aziendale minaccia la democrazia, Fazi Editore, 2023

nike kaepernick ansa.jpegLeggendo il libro dell’australiano Carl Rhodes, esperto di teorie dell’organizzazione e docente dell’Università di Sidney (Capitalismo woke. Come la moralità aziendale minaccia la democrazia, Fazi editore) è difficile non rendersi conto di un paradosso: scritto con l’intenzione di denunciare i veri obiettivi politici che si nascondono dietro la svolta “progressista” di alcune grandi imprese multinazionali, finisce invece per svelare (sia pure involontariamente) le ragioni per cui la sinistra “politicamente corretta”, con la quale Rhodes si identifica, ha poche chance di contrastare gli obiettivi in questione.

Partiamo dal senso del termine woke, ormai di uso comune nel mondo anglofono ma che non tarderà a diffondersi in un’Europa sempre più “americanizzata”. Coniato dagli afroamericani nel contesto dei movimenti per i diritti civili degli anni Sessanta, e rilanciato nel corso delle mobilitazioni del movimento Black Lives Matter, nato per protestare contro gli assassinii a sangue freddo di cittadini neri ad opera di poliziotti bianchi (sistematicamente impuniti), è stato adottato anche dalle altre componenti della nuova sinistra Usa con il significato di essere attento, sensibile e ben informato rispetto a ogni genere di discriminazione e ingiustizia razziale o sociale (in particolare Rhodes elenca temi come sessismo, razzismo, ambientalismo, diritti LGBTQI+ e disuguaglianza economica, quest’ultima lasciata non a caso per ultima, ma su ciò tornerò più avanti).

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cumpanis

La Guerra del Trent’anni del XXI Secolo

di Fulvio Bellini*

Le similitudini tra la Guerra del Trent’anni e l’attuale scontro dal carattere strategico tra fronte imperialista in crisi e fronte antimperialista in ascesa

Immagine per home articolo Guerra dei Trentanni.jfif Premessa: sono le guerre (purtroppo) che mutano i paradigmi

In questi giorni si sta concretizzando un fatto evidente fin dall’inizio: il velleitarismo della tanto proclamata controffensiva ucraina di primavera. Alcuni osservatori stanno supponendo che si vada incontro ad una fase di negoziazione tra le parti, che sono Stati Uniti e Russia, non certamente l’Ucraina che è uno stato fantoccio, e tanto meno la NATO che un’organizzazione che coordina le attività dell’esercito imperiale, attualmente quello americano, con le forze armate ausiliarie dei vassalli, come è sempre stato fin dai tempi antichi.

Ovviamente vi è la speranza che questi negoziati inizino presto, ma non è detto che ciò accada e non è detto neppure che il ritorno alla diplomazia chiuda lo stato di ostilità globale, anzi vi sono elementi che giocano in senso contrario come cercherò di spiegare nel presente articolo. I conflitti militari sono importanti nella storia dell’uomo perché, fino alla determinazione di nuovi modi di composizione dei conflitti tra le potenze, che indubbiamente l’introduzione dell’arma atomica sollecita, sono le guerre che stabiliscono chi siano i vincitori, i vinti e le regole del gioco a beneficio dei primi. Quando il premier italiano Giorgia Meloni dichiara pomposamente davanti al Congresso americano il 27 luglio scorso che: “L’Occidente è unito e difende le regole”, intende quelle scaturite dalla Seconda Guerra mondiale, le ultime stabilite e vigenti. Ma di quali regole si parla? Nel 1945 i benefici dei vincitori si tradussero in norme ascrivibili al cosiddetto diritto internazionale il quale, non bisogna mai scordarlo, non ha nulla a che fare con il cosiddetto diritto delle genti (Ius gentium), e tantomeno con criteri di giustizia, che al contrario sono spesso contraddetti: il rapporto tra Stato d’Israele e palestinesi è più che sufficiente per dimostrare questo assunto.

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effimera

DIARIO DELLA CRISI | Sulla presunta crescita dell’economia italiana. Guardare la luna o il dito?

di Andrea Fumagalli e Roberto Romano

0e99dc 602882de8e744fdab9467ecd97828bd2mv2In questa tredicesima puntata del “Diario della crisi” – progetto nato dalla collaborazione tra Effimera, Machina-DeriveApprodi ed El Salto – Andrea Fumagalli e Roberto Romano analizzano i fattori che hanno trainato l’economia italiana negli ultimi due anni per capire se si tratta di percorsi di crescita sostenibili frutto della ristrutturazione strategica dell’economia o se sono dovuti all’impatto di specifiche misure economiche, alcune delle quali (reddito di cittadinanza, aiuti all’edilizia sostenibile) sono in fase di smantellamento da parte del governo di Giorgia Meloni. A fare da sfondo a questo quadro è l’incapacità dei governi di trovare modelli di sviluppo minimamente adeguati alla gravissima crisi sociale e ambientale sistemica e al permanere di gravissime e intrattabili situazioni di disuguaglianza.

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Premessa

Negli ultimi mesi, i giornali mainstream e pro-governo hanno più volte sottolineato come a partire dalla ripresa post-sindemia l’economia italiana abbia avuto un andamento di gran lunga migliore dei principali partner europei, a partire dalla Germania e della Francia. Più recentemente, la prima ministra Meloni ha affermato con tono trionfale davanti alla platea di Assolombarda che l’economia italiana ha raggiunto livelli di crescita e occupazionali come mai negli anni precedenti. L’occupazione ha addirittura raggiunti i livelli del 2009.

Marco Fortis, in più articoli fotocopia, pubblicati a distanza di poche settimane, su Il Riformista e su Il Sole 24 ore, si lascia andare a manifestazioni di puro entusiasmo: “Negli ultimi tre anni l’economia italiana ha letteralmente battuto ogni previsione e spiazzato ogni genere di “gufi” e di profeti di sventura, salvo qualche ostinato irriducibile.

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lantidiplomatico

Due città, due insurrezioni e la profezia di List che si realizza

di Alastair Crooke per Strategic Culture

720x410ciuhnhyt0Il caos che gli "esperti" occidentali si aspettavano, "con libidinosa eccitazione", si sarebbe scatenato in Russia ("con la certezza che i russi... avrebbero ucciso i russi" e con Putin "probabilmente nascosto da qualche parte") – è arrivato.... ma è esploso in Francia - dove non era previsto - con Macron e non Putin alle corde.

C'è molto da riflettere da questa interessante inversione delle aspettative e degli eventi – da un racconto di due insurrezioni molto diverse:

Sabato pomeriggio, dopo che Prigozhin aveva raggiunto Rostov, negli Stati Uniti si è diffusa la notizia che il leader della Wagner aveva raggiunto un accordo con il Presidente Lukashenko per porre fine alla sua protesta e andare in Bielorussia. Si è così conclusa una vicenda sostanzialmente incruenta. Non c'è stato alcun sostegno per Prigozhin, né da parte della classe politica né da parte dell'esercito. L'establishment occidentale è rimasto sbigottito; le sue aspettative sono state inspiegabilmente distrutte nel giro di poche ore.

Altrettanto scioccanti per l'Occidente sono stati i video provenienti da Parigi e dalle città di tutta la Francia. Auto in fiamme, stazioni di polizia ed edifici comunali in fiamme, polizia attaccata e negozi ampiamente saccheggiati. Erano scene, come se fossero state prese dalla "Caduta di Roma imperiale".

Alla fine, anche questa insurrezione è svanita. Tuttavia, non è stato come l'ammutinamento di Prigozhin, conclusa con una dimostrazione di sostegno allo Stato russo in sé e al Presidente Putin in persona.

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sbilanciamoci

Capitale e lavoro: un conflitto di struttura

di Roberto Romano

La relazione tra capitale e lavoro varia nel tempo e a seconda dei Paesi. Negli ultimi anni il nostro è l’unico Paese tra i fondatori dell’Unione europea in cui il risultato lordo di gestione (cioè i profitti) è sistematicamente più alto del reddito da lavoro in rapporto al Pil

092231923 8d67054e d748 49fa bdca 43bf8263df4bIl conflitto capitale-lavoro ha una storia molto lunga. Nel tempo è cambiato il contenuto di sapere e saper fare di capitale e lavoro1; sostanzialmente il primo come il secondo sono figli della società che evolve nei diritti, nella percezione del ben-essere e, soprattutto, dei diritti di seconda generazione descritti da Norberto Bobbio2. Questi diritti sono ancora oggi un asse importante della società moderna. Certamente sono indeboliti, ma la spesa pubblica per i cosiddetti “beni di merito” (scuola, sanità, previdenza e assistenza in caso di perdita del posto di lavoro) sono una parte cospicua della spesa pubblica. I “beni di merito” dovrebbero e potrebbero essere più elevati se passasse l’idea (giusta) che le tasse sono un diritto, ma l’attuale dimensione della spesa pubblica rimane comunque importante.

Il capitale ha tratto certamente giovamento dell’intervento pubblico; anche il lavoro ha beneficiato dell’attivismo dello Stato, almeno storicamente, ma la recente struttura del capitale nazionale ed europeo registra una difficoltà di sistema importante.

 

La contabilità nazionale

La contabilità nazionale è fondamentale per analizzare il flusso del reddito sia dal lato della domanda e sia dal lato dell’offerta, così come è fondamentale per studiare la ripartizione dello stesso reddito tra i diversi soggetti economici. La contabilità nazionale, inoltre, permette di osservare la ripartizione del reddito. Il reddito nazionale è costituito dalla somma dei redditi da lavoro (salari e stipendi – W – al lordo dei contributi sociali), dalla rendita (R) per l’affitto di proprietà (terreni, case, ecc.), dai profitti (P) che comprendono tutte le remunerazioni non altrove classificate (interessi, dividendi, ecc.):

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acropolis

Una critica alle teorie sulla finanziarizzazione delle corporation non finanziarie

di Francisco Paulo Cipolla e Paolo Giussani

Da Countdown vol. V/VI Studi sulla crisi, ed. Asterios

d24226ae4f849465fdebaafaa7239c8b Ioannou The Forgoten Guard of Athens 20231. Introduzione

I fenomeni a supporto delle interpretazioni secondo cui le corporation non finanziarie si stavano trasformando sempre più in imprese dominate da interessi finanziari sono stati i profitti in crescita delle attività finanziarie rispetto a quelli dell’economia reale (Kripnner 2005, Stockhammer 2004); il trasferimento nel sistema finanziario di una quota sempre maggiore di profitti sotto forma di interessi, i dividendi e il riacquisto di azioni (Duménil e Lévy 2004, p.74; Lazonick); una percentuale sempre maggiore dello stock di asset finanziari rispetto a quelli reali. Queste tendenze vengono incentivate sempre più una volta osservato l’aumento dei profitti nel sistema finanziario rispetto ai profitti totali dell’economia (Magdoff e Sweezy 1987 p.98; Harvey 2011, p.50) o per il volume infinitamente più grande delle operazioni finanziarie rispetto all’effettiva produzione di ricchezza.

Senza trascurare la sfida che questi fenomeni rappresentano per la nostra comprensione, in questo lavoro ci limiteremo ad analizzare i processi che vengono considerati come prove della finanziarizzazione delle corporation non finanziarie. Questa evidenza verrà illustrata in seguito attraverso grafici che replicano la maggior parte delle serie più comuni che si trovano nella letteratura specifica. Tuttavia, poiché si tratta di aggiornamenti relativi ad un periodo più recente, il semplice passare del tempo fa luce su alcune tendenze che si sono presentate come prove della finanziarizzazione.

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effimera

Le rivolte delle banlieues francesi

di Salvatore Palidda

Una potente continuazione delle grandiose mobilitazioni contro la scellerata riforma delle pensioni imposta dal neofascismo di Macron

Francia9j5Durante le grandiose mobilitazioni contro la scellerata riforma delle pensioni imposta dal neofascismo di Macron, alcuni avevano rimproverato i giovani delle banlieues di non parteciparvi. È vero -ma non del tutto – che il “mondo” dei giovani delle banlieues non è abituato a convergere nelle mobilitazioni sindacali e anche politiche come quelle dei gilets gialli o delle lotte contro il job act francese e altre della sinistra antagonista. Da notare che solo ora le sinistre della NUPES hanno sostenuto quasi unanimemente le attuali rivolte, ma i sindacati non hanno detto nulla. In realtà le banlieues sono da sempre un “mondo a parte”, emarginato da tutti (ricordiamo che lo stesso si può dire di certe zone periferiche di grandi città italiane come Milano, Roma ecc. – vedi libro di Pietro Saitta).

Le rivolte delle banlieues si ripetono sin dal 1979 nel quartiere della Grappinière, à Vaulx-en-Velin, vicino Villeurbanne (nei pressi di Lione) e di fatto hanno memoria delle storiche violenze poliziesche in Francia. Non è casuale: finito il periodo dei “trenta gloriosi” (gli anni della ricostruzione postbellica e del boom economico), la Francia paga il prezzo che la stragrande maggioranza dei lavoratori e della popolazione ha sopportato con costi umani e materiali immani per questo “progresso”. Decine furono le bidonville sparse in tutte la Francia (fra queste quella celebre raccontata da Abdelmalek Sayad, in Una Nanterre algerina) e i quartieri di case popolari quasi sempre dormitori invivibili, luoghi di indigenza, bollati dai criminologi come fucine di devianza minorile e criminalità. La Francia aveva preteso mirare alla prosperità a tutti i costi e pretendeva anche la creazione di dispositivi e strutture per forgiare una posterità che avrebbe dovuto assicurare il ricambio dei genitori manodopera mantenuta a livelli salariali e di qualifica bloccati (i famosi OS-à-vie, cioè operai comuni a vita, soprattutto immigrati nordafricani ma anche in parte autoctoni francesi –de souche).

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effimera

Diario della crisi | La borsa sulla vita. Crisi della riproduzione sociale e reinvenzione del quotidiano

di Cristina Morini

binga copertinaIn questo dodicesimo contributo per il Diario della crisi (pubblicato congiuntamente su Effimera, Machina e El Salto), Cristina Morini riflette sul significato della riproduzione sociale e della sua crisi. Nel capitalismo contemporanee, dove piattaforme tecnologiche e app organizzano la messa a valore della vita, la riproduzione sociale va oltre la famiglia e la cura di partner e figli. Essa definisce nuovi legami produttivi ai quali ci viene chiesto di adattarci, posti tra il biologico e il sociale, tra i corpi e la relazione che intrattengono tra loro e il mondo circostante. Ma proprio la centralità che oggi assume, nell’essere perno della valorizzazione contemporanea, la pone in costante crisi. Più gli atti della vita (cura, linguaggio, relazione) si avvicinano a diventare una merce qualunque, oggetto di mercificazione e di scambio economico, diretto o indiretto, più essi perdono di significato nella rete delle relazioni sociali, erotiche, nei collegamenti solidali tra viventi. La svalorizzazione si manifesta su tre livelli in particolare: crisi dei sistemi sanitari nazionali (la dismissione del corpo malato); crisi della riproduzione biologica (crisi demografica); crisi della riproduzione ambientale. La crisi della riproduzione sociale rappresenta la summa delle crisi di fronte alle quali oggi ci troviamo anche poiché rischia di indurre una trasformazione antropologica. Per questo sono fondamentali una politica della vita e una reinvenzione del quotidiano, come insegna il femminismo. Da qui dobbiamo ripartire.

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Muta la razza, muta ormai la specie, tra poco tali volti saranno appena percepiti e, percepiti, anch’essi imperdonabili, tanto estranei al contesto, al sistema che li racchiude.

Cristina Campo, Gli imperdonabili, Adelphi, Milano 1987

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lafionda

Capitalismo di crisi e automatismi del declino – viva il capitalismo!

di Fabio Vighi

medium 2023 06 20 61650cda41Le sabbie mobili del “capitalismo di crisi” ci stanno inghiottendo. Profonde mutazioni nel codice della macchina del capitale alimentano nuove forme di controllo e devastazione. Il cambio di paradigma è conseguenza del raggiungimento del limite interno del modo di produzione capitalistico, per cui una crisi non inaugura più un nuovo ciclo espansivo; piuttosto, serve a nascondere l’impotenza di sistema favorendone la transizione autoritaria. Ciò che muta, dunque, è la funzione epistemica della crisi, che – così come un’emergenza geopolitica, climatica, o epidemiologica – è funzionale alla gestione del declino socioeconomico. Non possiamo farci illusioni: il motore del modo di produzione si è ingolfato da tempo, e le “distruzioni creative” di Schumpeter si portano appresso solo macerie. La dipendenza dal credito del capitalismo ultra-finanziarizzato determina accentramento di denaro e potere nelle mani di pochi soggetti e, insieme, la graduale demolizione della domanda reale, e del legame sociale che essa sostiene. A questo serve la nuova “industria delle emergenze”: propagare un flusso di shock che autorizzino la gestione centralizzata di un modello di valorizzazione economica sempre più stagnante, e dunque sempre più iniquo e violento.

L’implosione di sistema prosegue indisturbata, tra apatia, disorientamento, e false contrapposizioni manipolate dall’alto. Le voci critiche condividono un fondo di nostalgia per un mondo che sta evaporando nel nulla da cui era nato: quella “società del lavoro salariato” che il capitale stesso rende obsoleta. Giovani youtuber che fatturano 200mila euro all’anno filmandosi su una Lamborghini mentre distruggono una famiglia che viaggia con la Smart sono l’emblema dell’inevitabile perversione del modello di società del lavoro in cui ancora ci illudiamo di vivere.

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effimera

Diario della crisi | Industria bellica S.p.A.: come fabbricare la guerra infinita

di Rossana De Simone

Prima parte

capa normandiaLa prima parte dell'articolo di Rossana De Simone e entra «nel laboratorio segreto della produzione» degli armamenti. Corroborando l’analisi con dati presi dai più importanti report governativi, l’articolo spiega come è proprio il settore delle armi, nello stretto intreccio tra aziende della difesa e sicurezza e Stati, uno dei pezzi più importanti che sta trainando il tentativo di ricostruire una base industriale, soprattutto negli Stati Uniti, e come questo aspetto influenzi direttamente lo svolgersi della guerra in Ucraina.

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Il 16 agosto 2021, parlando dalla Casa Bianca, il presidente americano Joe Biden si è rivolto al mondo per spiegare il collasso in Afghanistan e la fuga degli americani: «Non rimpiango il ritiro. L’Afghanistan non è negli interessi USA».1

Con il suo discorso Biden ha voluto riaffermare che era necessario voltare pagina e pensare alle nuove minacce, a Cina e Russia. Dopo vent’anni di guerra globale, serviti per prendere in mano le redini dell’ordine mondiale e per sostituire l’islam radicale al comunismo come minaccia alla pace mondiale, negli Stati Uniti e nel mondo si è cominciato a discutere delle numerose operazioni militari, che hanno distrutto un paese dopo l’altro, e del declino dell’occidente nell’egemonia globale.

Dei 21mila miliardi di dollari2 di spese militari effettuate dal 2001 al 2022, che hanno portato alla militarizzazione della politica interna (in nome della sicurezza), 16mila miliardi sono andati alle forze militari (compresi 7200 miliardi per le società private di sicurezza), 3mila miliardi ai programmi per i veterani, 949 miliardi alla sicurezza interna e 732 miliardi alle forze dell’ordine federali.

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resistenze1

È in atto una "de-globalizzazione"?

di Prabhat Patnaik*

Pignatelli ottobre 2019defMolti economisti parlano oggi di un processo di "de-globalizzazione" in atto; altri parlano del fatto che il regime neoliberista di un tempo non esiste più. Certo, nulla rimane uguale per sempre: come diceva il filosofo greco Eraclito "Non si può entrare due volte nello stesso fiume"; qualche cambiamento nell'ordine neoliberale è quindi inevitabile con il passare del tempo. Ma il punto vero è: la cornice analitica utilizzata per comprendere la realtà economica del mondo contemporaneo, al fine di cambiarla, è diventata obsoleta e quindi necessita di una seria revisione?

La "globalizzazione", va ricordato, non ha mai significato che i diversi Paesi del mondo si riunissero volontariamente per creare un ordine globale che fosse reciprocamente vantaggioso. Oggi quasi 50 Paesi del mondo sono oggetto di "sanzioni" di vario tipo; ad essi viene impedito con la forza di accedere a beni essenziali, tra cui in alcuni casi medicinali salvavita, dal mercato globale. E il numero non era molto inferiore un decennio fa, quando la "globalizzazione" era universalmente riconosciuta come in pieno svolgimento.

La "globalizzazione" ha quindi sempre avuto un significato molto diverso da quello che le viene comunemente attribuito. Significava l'avvento di una fase del capitalismo in cui il capitale, compresa soprattutto la finanza, si era globalizzato aprendo le economie alla sua circolazione illimitata; aveva così limitato la capacità dello Stato nazionale di intervenire in modi che la finanza non approvava; e questo capitale globalizzato aveva goduto dell'appoggio, nelle sue operazioni globali, soprattutto degli Stati metropolitani, e di altri Stati per difetto. Questi Stati metropolitani, in particolare gli Stati Uniti, decidevano su quali Paesi imporre sanzioni, e gli altri si allineavano.

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neronot

Sansone, i filistei e l'Europa di Breivik

di Franco «Bifo» Berardi

Grecia, Spagna, Turchia… La vittoria etno-nazionalista è irreversibile. Ma è una vittoria scritta sull’acqua

SANSONE BIFO 3L’irreversibile

Tra gli innumerevoli eventi deprimenti di questo anno 2023, quello forse più triste è la conclusione del processo costituente cileno. Talmente triste che mi pare nessuno ne voglia parlare, come se avessimo dimenticato quel che il Cile ha rappresentato nel passato lontano e in quello recente: dopo l’estallido dell’autunno 2019 avevamo (flebilmente) sperato che fosse possibile cancellare il lascito pinochettista del nazi-liberismo. Ma come ogni altro tentativo di riforma democratica, anche quello di Boric si è rivelato un fallimento. Il peso dell’eredità coloniale e del razzismo, il peso della disperazione dei marginali hanno reso ingovernabile quel processo e consegnato la vittoria al discendente politico di Pinochet.

Poi sono venute le elezioni turche in cui il progetto ultra-reazionario di restaurazione del Califfato vince sull’opposizione di un avversario che si presentava come democratico, ma poi proponeva misure di tipo razzista contro i rifugiati siriani.

Poi le elezioni greche, in cui stravince Mitsotakis, rappresentante dell’alleanza tra dittatura finanziaria europea e oligarchia locale. Tsipras paga il prezzo della delusione seguita al referendum del 2015, e con la sconfitta di DIEM25 sprofonda l’illusione di democratizzare l’Europa, come se fosse possibile democratizzare il cuore di tenebra del suprematismo razzista e colonialista.

Infine il franchismo riconquista la Spagna.

Nella primavera del 2022 il governo Sanchez siglò un accordo infame con il Marocco: un tradimento del popolo saharoui in cambio del contenimento carcerario dei migranti africani. Sperava di ingraziarsi così i nazionalisti spagnoli, e come al solito non ha funzionato.

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sinistra

Guerra e Rivoluzione” di Carlo Formenti. Appunti di lettura

di Piero Pagliani

111 1024x12911. Nel panorama delle analisi italiane sulla guerra si devono segnalare il volume di Brancaccio, Giammetti e Lucarelli, “La guerra capitalista” (Mimesis), quello di Raffaele Sciortino, “Stati Uniti e Cina allo scontro globale” (Asterios) e infine quello di Carlo Formenti, in due volumi, “Guerra e rivoluzione”.

In estrema sintesi l'analisi di Brancaccio, Giammetti e Lucarelli ci presenta un conflitto inquadrabile come uno scontro interimperialistico tra i debitori in declino e i creditori in ascesa, mosso dalla tendenza ineliminabile del capitalismo alla concentrazione.

Considerare, come fanno gli autori, anche il cosiddetto “socialismo di mercato con caratteristiche cinesi” come un tipo nuovo di imperialismo ha suscitato critiche e perplessità, a mio avviso legittime, tra cui quelle, pur differenti, di Sciortino e Formenti.

L'interpretazione di Brancaccio e coautori si colloca nella scia di una lettura “classico marxista” della realtà economica e sociale e anche, si potrebbe dire, “classico leninista”, dove con “classico” intendo un approccio logico che seppur ben fondato su poderose categorie fatica ad adeguarsi ai processi storici e quindi è in difficoltà a cogliere lo snodo politico della crisi.

È utile capire la natura di questo tipo di errore.

Lo scorso ottobre in un articolo apparso su Sinistrainrete (“La caduta. Lineamenti e prospettive del prossimo futuro”) ho presentato il conflitto globale in corso, di cui l'Operazione Militare Speciale in Ucraina è la parte ad oggi più drammatica - ma l'attacco proxy e a volte diretto degli Usa alla Siria non è stato meno drammatico - come un contrasto tra due “modi di essere” nello spazio economico globale:

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machina

Diario della crisi - Dalla gestione della crisi al sistema di guerra

di Stefano Lucarelli

0e99dc 72b9bccd6cc14d81b830f9082c214be3mv2In questa decima puntata del Diario della crisi - progetto nato dalla collaborazione tra Effimera, Machina-DeriveApprodi ed El Salto - Stefano Lucarelli riflette sull'inopportuno susseguirsi di crisi che, spiazzando ed eliminando le cause e dunque le possibilità d’intervenire sulle conseguenze di quelle precedenti, fanno sì che gli effetti di queste ultime si accumulino e si articolino con quelli delle prime in modo sempre più intrattabile. L'economia dell'attenzione è quindi legata alla formazione di un potere politico sempre più autoritario, che ci invita a pagare il «prezzo della libertà» (Josep Borrel) e ad accettare la creazione di circuiti economici definiti in termini strettamente geopolitici (friend-shoring) legati all'opzione della guerra come orizzonte normalizzato. Le politiche economiche, monetarie e fiscali sono di conseguenza concepite dalle attuali classi dirigenti secondo questi parametri reazionari, con assoluta indipendenza dai loro effetti nocivi sulle classi lavoratrici e povere. Nel frattempo, l'Unione Europea segue docilmente il disegno delle classi dominanti egemoniche globali, imprigionata nella propria impotenza nazionalista.

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1. Esistono dei collegamenti fra la Pandemia e il nuovo scenario militare ̶ uno scenario in cui la guerra appare sempre più vicina all’Europa, e diviene una parte via via più rilevante dell’insieme informativo che condiziona le scelte politiche, ma anche le scelte di chi subisce le politiche?

Non si tratta di una domanda oziosa se in ballo c’è la comprensione del fenomeno della crisi. Redigere un diario della crisi significa innanzitutto non arrendersi alla logica degli shock esogeni, gli eventi del tutto inattesi che non dipendono dalla responsabilità di nessuno. A tal riguardo appare molto interessante l’editoriale che Kamran Abbasi, editor in chief del British Medical Journal ha redatto il 16 Marzo 2022.