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micromega

La Libra di Facebook, il monopolio bancario sulla moneta e le controproposte di riforma

di Enrico Grazzini

5d2f6e162400008c17935cfcFacebook, il social network con 2,5 miliardi di persone connesse, ha recentemente annunciato di volere emettere nel 2020 una nuova moneta privata globale, la Libra.[1] Si tratta di un ulteriore e forse decisivo passo in avanti verso una moneta completamente privatizzata, denazionalizzata, liberalizzata in mano a Facebook o ad un altro dei colossi digitali, come Amazon, Apple, Google e Microsoft.

Ovviamente il sistema attuale difende tenacemente le sue prerogative e i suoi privilegi. Da Donald Trump, passando per il governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney fino alla Banca Centrale Europea c'è stata una levata di scudi. "È fuori discussione permettere loro di svilupparsi nel vuoto normativo, perché è semplicemente troppo pericoloso “ha affermato Benoit Coeure dell'Executive Board della BCE” Progetti come quello di Facebook sono però un utile campanello d'allarme per i regolatori e le autorità pubbliche. Dobbiamo muoverci più rapidamente di quanto abbiamo fatto finora". Anche il ministro francese delle finanze Bruno Le Maire ha precedentemente affermato che "è fuori questione" che la Libra sia autorizzata "a diventare una moneta sovrana. Non può e non deve accadere".

In effetti le monete globali potrebbero diffondersi molto più velocemente di quanto a prima vista uno si aspetterebbe. Basti pensare che Facebook si è quotata in borsa solo nel maggio 2012 e oggi raggiunge già 2 miliardi e mezzo di persone. Il dilemma è se il sistema monetario attualmente dominante tenterà di fronteggiare gli sviluppi della moneta digitale arroccandosi in difesa dei suoi privilegi, o se invece l'assetto monetario attuale – che provoca costantemente crisi e che dà alle banche commerciali il privilegio esclusivo di stampare moneta – sarà capace di riformarsi come bene pubblico a favore della società, della democrazia e dell'eguaglianza sociale.

Per ora comunque Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, ha già respinto una proposta di riforma della BCE stessa con l'introduzione della moneta digitale. Il Parlamentare europeo Jonás Fernández (del gruppo dell'Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici, S&D) ha infatti chiesto se la BCE ritiene valido di introdurre la moneta digitale aprendo ai privati la possibilità di avere dei conti correnti direttamente presso la BCE stessa.

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sbilanciamoci

Libra, Trump, Facebook e il resto

di Vincenzo Comito

Zuckerberg e soci vogliono lanciare la loro moneta elettronica nel 2020 facilitando scambi online e accesso al credito. In Cina Alibaba e Tencent da anni forniscono servizi simili, ma per il gigante Libra si dovrà aspettare: non si può autorizzare una rete di pagamenti internazionale privata senza contrappesi

190712 libra reutersI due tempi del progetto

L’annuncio fatto recentemente da parte di Facebook, insieme ad un certo numero di altri soci quasi tutti statunitensi (tra i quali citiamo soltanto Uber, Lyft, Visa, Mastercard, eBay), relativo al prossimo lancio di una moneta elettronica, la Libra, da un certo punto di vista e per quanto riguarda almeno i suoi primi passi annunciati non apporta apparentemente quasi niente di nuovo.

Ma bisogna distinguere in realtà un primo e un secondo tempo ideali nell’iniziativa, anche se dal punto di vista pratico non si riscontra una separazione netta tra i due momenti.

Nel primo e più immediato passo, che dovrebbe decollare nel 2020, Facebook pensa alla creazione di una nuova struttura, denominata Calibra. Si tratta in sostanza di un’app, che consiste in un sistema di pagamenti inserito nei suoi servizi di messaggistica, in modo tale che gli utilizzatori possano facilmente e con poco costo inviare del denaro a parenti e amici in patria e all’estero, o anche fare acquisti; inoltre, secondo le dichiarazioni dei promotori, si aprirebbe la possibilità di offrire dei servizi finanziari di base a quei 1,7 miliardi di persone nel mondo che non dispongono di alcun conto bancario.

Ma lo sbocco finale del progetto, il suo ideale secondo tempo, consisterebbe in ben altro, nell’affermazione cioè di una moneta elettronica privata a livello mondiale, mentre la nuova iniziativa diventerebbe anche la più grande organizzazione finanziaria del mondo.

L’organizzazione che gestirà il progetto afferma in effetti che “il mondo ha bisogno di una moneta globale, digitale, che metta insieme le caratteristiche delle monete migliori: stabilità, bassa inflazione, larga accettazione a livello mondiale, flessibilità”.

La Libra potrebbe alla fine, così, tendere a scavalcare le banche centrali, i regolatori del settore finanziario nonché gli attuali sistemi monetari dei vari paesi (Stoller, 2019). Si tratterebbe di un progetto molto audace, ma d’altro canto di un’enorme e intollerabile concentrazione di potere; quello che può meravigliare è che si sia avuto l’ardire di proporlo alla luce del giorno, basandosi probabilmente sulla grande forza di mercato e sullo sperato potere di lobbying del gruppo proponente, che almeno sino mad oggi hanno fatto sì che i grandi gruppi dell’economia numerica statunitense abbiano goduto di una sostanziale impunità.

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effimera

Minibot, debito pubblico e monete complementari: di che cosa stiamo parlando?

di Andrea Fumagalli

minibot tardelli 600x339La discussione che si è aperta sui cosiddetti Minibot può consentire di fare un minimo di chiarezza sui due temi sempre più spesso all’ordine del giorno: il finanziamento del debito pubblico e i ruoli che la moneta può svolgere oltre a quelli tradizionali di mezzo di scambio e di unità di conto.

Il finanziamento del debito pubblico, prima dell’avvento delle teorie monetariste e del monopolio di emissione della moneta da parte della Banca Centrale Europea (BCE), poteva contare su due strumenti, fra loro complementari: il ricorso ai mercati finanziari tramite la vendita di titoli di Stato (di diversa natura e durata) per rifinanziare i titoli venuti a cadenza e/o finanziare nuovo deficit e le Operazioni di Mercato Aperto, ovvero il finanziamento diretto da parte della Banca Centrale. Lo Stato italiano era l’unico soggetto economico che poteva, infatti, disporre di un conto corrente presso la Banca Centrale (definito Conto Corrente di Tesoreria), a cui attingere nei casi di necessità senza ricorrere ai mercati finanziari. Tale possibilità implicava la creazione di nuova moneta pari all’ammontare del debito creato.

Alla fine degli anni Settanta, in seguito ai diktat delle teorie monetariste che predicavano l’esistenza di un nesso diretto di causa ed effetto, tra creazione di moneta e dinamica inflazionistica, e quindi dopo il noto divorzio tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro (come si chiamava allora l’odierno Ministero dell’Economia), la possibilità di un finanziamento del debito da parte della Banca Centrale viene meno, sino a scomparire del tutto con l’introduzione dell’Euro e con la costituzione della BCE.

Come ci ricorda Massimo Amato in un recente articolo pubblicato su Valori.it, l’attuazione di politiche di Quantitative Easing adottate dalla BCE ha creato un elevato aumento di creazione di moneta: “La crisi di liquidità del 2008 è stata curata con iniezioni di liquiditàsenza precedenti. La quantità di moneta è pressoché triplicata in Europa, eppure il target dell’inflazione del 2% non è stato ancora raggiunto”.

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economiaepolitica

Moneta fiscale: perchè tocca ai governi attuare misure non convenzionali per rilanciare lo sviluppo

di Enrico Grazzini

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo sulla controversa proposta di moneta fiscale, con l’auspicio che possa contribuire al dibattito pubblico

Euro9875L’eurozona è ancora una volta in crisi e ha urgente bisogno di nuovo ossigeno monetario per fare ripartire la domanda aggregata, e quindi la produzione e l’occupazione. La BCE per bocca di Mario Draghi ha annunciato una nuova serie di operazioni di rifinanziamento a lungo termine (T-LTRO 3) per le banche a partire da settembre 2019 fino a marzo 2021 con scadenza biennale. L’obiettivo proclamato è di rifornire le banche a costo (quasi) zero della liquidità necessaria per alimentare i prestiti all’economia reale.

L’annuncio dello T-LTRO III segue solamente di pochi mesi la fine (evidentemente prematura) della più importante manovra monetaria anticonvenzionale portata a termine nella storia dell’eurozona e dell’Europa: il Quantitative Easing. Grazie al piano di espansione monetaria la BCE dal marzo 2015 al dicembre 2018 ha fornito 2600 miliardi di euro al sistema bancario in cambio di titoli di stato (comprati dalle banche) e altri titoli. 2600 miliardi sono una cifra enorme, pari a circa il 20% del PIL europeo. Eppure anche il QE non ha ottenuto l’effetto sperato: per molti aspetti è stato un fallimento. L’eurozona è ferma, la domanda aggregata nell’economia reale langue, investimenti e consumi non ripartono, l’inflazione non cresce e la disoccupazione resta elevata. In realtà l’eurozona non è mai uscita dalla crisi, nonostante l’enorme quantità di moneta creata dalla BCE a favore (soprattutto) delle banche in ragione di migliaia di miliardi di euro.

Se i soldi creati dalla BCE fossero stati assegnati non alle banche ma direttamente agli stati, alle famiglie e alle imprese la domanda aggregata (consumi, investimenti, spesa pubblica) e l’inflazione si sarebbero riprese subito e avrebbero trascinato immediatamente al rialzo la produzione e l’occupazione. Basta fare due semplici calcoli: 2,6 triliardi distribuiti ai 340 milioni di abitanti dell’eurozona (neonati e ultraottantenni compresi) avrebbero comportato che ogni abitante poteva percepire oltre 7650 euro, cioè circa 160 euro al mese per i 46 mesi del QE.

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Il tabu del debito pubblico nasconde chi ci guadagna

di Claudio Conti

vjsòvfougudbvkmsuifdhIl debito pubblico, spiegava Marx, è l’unica cosa davvero comune a tutta la popolazione in una società divisa in classi. Come per ogni “bene comune”, però – per quanto “negativo” come il debito – c’è sempre una modo per avvantaggiare alcuni a scapito di altri.

Fuori da ogni disputa ideologica – che è “falsa coscienza”, ovvero “narrazione” fasulla per coprire il reale – occorre guardare a questo debito con occhi decisamente diversi da quelli totalmente strabici di un Cottarelli, Giannini, Alesina, Giavazzi, Monti e via cantando sulle note dell’austerità.

Un editoriale di Guido Salerno Aletta per Milano Finanza aiuta – come spesso ci accade – a chiarire alcuni dettagli che svuotano di senso quella narrazione, illuminando su altre soluzioni. Quelle proposte da Carlo Messina, amministratore delegato di Banca Intesa, e riprese da questo editoriale, non sono ovviamente le nostre. Ma mostrano quasi fisicamente che si possono seguire altre strade anche restando in ambito totalmente capitalistico.

Ma, se si possono seguire altre persino garantendo al mondo del business di continuare a far soldi, allora sono possibili anche starde che portano da tutt’altra parte. In entrambi i casi – ed è questo l’interessante – viene distrutta la narrazione per cui “non c’è alternativa”. Un’autentica tortura mediatica (pensiamo solo alla quantità di volte che Carlo Cottarelli viene invitato da Fabio Fazio o Paolo Floris…) che ha anestetizzato le capacità critiche soprattutto della cosiddtta “sinistra”, incapace oggi persino di articolare un pensiero senzato di fronte alla più devastante delle domande: “ma dove si trovano i soldi?”.

La strada dell’a.d. di Banca Intesa, per esempio, rivela che non solo “i soldi ci sono”, e in misura persino eccessiva rispetto allo scopo di abbattere il debito pubblico, ma soprattutto che quella domanda retorica da talk show nasconde gli interessi reali che hanno guadagnato ricchezze colossali:

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sbilanciamoci

Unicredit e il destino delle banche europee

di Vincenzo Comito

Il destino di Unicredit si lega alla crisi delle tedesche Commerzbank e Deutsche Bank e alla possibile fusione con Société Générale. La punta dell’iceberg del riassetto del sistema bancario europeo e mondiale

portugal 1353105 960 720Unicredit al centro dell’attenzione

Non capita di frequente che delle banche italiane si parli con molto rilievo nella stampa internazionale, se non in occasione di possibili crisi delle stesse. Ma in queste settimane le vicende di Unicredit sono state al centro dell’attenzione del mondo politico e finanziario europeo ed oltre; e questo, oltre che per la pesante multa comminata dagli Stati Uniti alla banca (alcune delle cui filiali, in particolare quella tedesca, avrebbero infranto le sanzioni all’Iran e ad altri Paesi),anche per il suo interesse all’acquisizione della tedesca Commerzbank e/o (non è chiaro) per una possibile fusione con la francese Société Générale, nonché infine per una possibile multa che potrebbe essere comminata all’istituto dalla Commissione Europea per una supposta violazione delle norme antitrust, sempre da parte della filiale tedesca (la violazione avrebbe peraltro interessato anche altre sette banche del nostro continente).

Partendo in particolare dalle citate ipotesi di fusione, si può cercare di sviluppare qualche ragionamento più ampio intorno allo Stato e alle prospettive delle grandi banche del nostro continente.

 

L’ipotesi di acquisizione

L’Unicredit, come del resto più in generale il sistema bancario italiano, sono usciti da poco da una grave crisi. A suo tempo l’istituto aveva avviato una strategia di grande espansione all’estero, in Europa e nel resto del mondo, che era arrivata a toccare anche le lontane steppe dell’Asia centrale; tali sviluppi (insieme alla crisi economica del nostro Paese, con i conseguenti grandi strascichi di crediti inesigibili),avevano condotto dei gravi guasti nei bilanci aziendali, mentre l’istituto, solo da poco, è tornato alla normalità attraverso un durissimo piano di ristrutturazione ed un fortissimo aumento di capitale.

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criticascient

Crisi del dollaro?

di Giacomo Gabellini

Il Dollaro con gli aspetti che non vengono raccontati, la crisi attuale, la vicenda dello sganciamento dall’oro (e l’aggancio all’oro nero) e molto altro in un articolo di Giacomo Gabellini

banknote business cash crisis dollar financial In appena un anno, la Banca Centrale russa si è liberata dei circa 90 miliardi di dollari di Treasury Bond (T-Bond) statunitensi di cui era in possesso per incrementare le riserve in yuan da 0 a qualcosa come il 15% del totale. Percentuale sbalorditiva, che supera di molto la media – prossima al 5% – delle riserve in yuan di cui dispongono i 55 Paesi interessati dal mega-progetto della Belt and Road Initiative (Bri), ma che potrebbe essere eguagliata da un numero ben più consistente di Paesi in un futuro non troppo remoto. Lo suggeriscono i dati relativi alla composizione delle riserve valutarie detenute dalle Banche Centrali di tutto il mondo pubblicati dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi), da cui emerge che nel quarto trimestre del 2018 lo yuan è arrivato a rappresentare l’1,89% del totale, pari a 202,79 miliardi di dollari. Di per sé, la quota può apparire insignificante, se raffrontata a quella del dollaro (61,69%, pari a 6.617,84 miliardi di dollari), dell’euro (20,69%, pari a 2.219,34 miliardi di dollari), dello yen (5,20%, pari a 558,36 miliardi di dollari) e della sterlina (4,43%,pari a 475,45 miliardi di dollari). Il discorso cambia però radicalmente se si considera che la moneta cinese ha registrato aumenti della propria quota in cinque degli ultimi sei trimestri e che, nel quarto trimestre del 2016, le Banche Centrali di tutto il mondo detenevano yuan per appena 84,51 miliardi di dollari: un incremento di 2,5 volte nell’arco di un biennio. Il tutto a spese del dollaro, che pur mantenendo saldamente il primato, nel quarto trimestre del 2018 ha conosciuto un calo di ben 14,31 miliardi di dollari. E lo stesso fatto di rappresentare il 61,69% delle riserve valutarie globali assume un significato assai meno rassicurante se raffrontato alla situazione del 2000, quando qualcosa come il 72% delle scorte monetarie in possesso delle Banche Centrali era costituito da dollari.

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coniarerivolta

Banca d’Italia e debito pubblico: un matrimonio che non s’ha da fare

di coniarerivolta

fallingLa Banca d’Italia ha recentemente comunicato che trasferirà al Tesoro circa 6 miliardi di euro derivanti dai suoi utili maturati nel 2018. In un periodo caratterizzato da una cronica scarsità di fondi pubblici, con i governi in perenne affanno nel trovare le risorse e far quadrare i conti, è davvero curioso che questa notizia sia passata in sordina: per una volta che i soldi cadono dal cielo – perché non c’è alcun italiano che abbia dovuto sborsarli, quei 6 miliardi, che provengono freschi freschi dal conio della banca centrale – nessuno sembra volersene occupare. Nemmeno un Cottarelli di turno che si prenda la briga di spiegarci bene da dove arrivino queste risorse aggiuntive disponibili per la realizzazione di scuole, ospedali, infrastrutture. Eppure, benché relativamente banale dal punto di vista tecnico, la questione, come vedremo, è carica di conseguenze politiche.

Indebitarsi costa. Lo Stato si indebita emettendo titoli del debito pubblico (principalmente Buoni del Tesoro Poliennali, BTP) che fruttano ai sottoscrittori (ossia i detentori di quei titoli) un certo tasso di interesse: quel tasso è il costo del debito. Se ci indebitiamo per 300 miliardi di euro ad un tasso del 2%, dovremo pagare ai nostri creditori 6 miliardi di euro ogni anno per il servizio del debito. Considerato che l’Italia ha un debito pubblico di circa 2.300 miliardi di euro, possiamo capire subito per quale ragione ogni anno lo Stato è costretto a pagare circa 65 miliardi di euro di interessi su quel debito. Per cogliere appieno l’ordine di grandezza, è sufficiente riflettere sul fatto che provvedimenti quali il Reddito di Cittadinanza e Quota 100 – le due principali misure economiche varate da questo governo che tanto hanno scandalizzato i puristi del pareggio del bilancio – hanno avuto un costo complessivo per il 2019 di circa 15 miliardi di euro, meno di un quarto delle risorse pagate dallo Stato ai suoi creditori.

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sollevazione2

La crisi economica e le banche centrali

di Eric Toussaint

arton17224 b9b2fGli elementi di una nuova crisi finanziaria internazionale sono tutti presenti; non si sa quando essa scoppierà ma quando accadrà il suo effetto su tutto il pianeta sarà importante.

I principali fattori di crisi sono da una parte l’aumento ingente dei debiti privati delle imprese, dall’altra la bolla speculativa sui prezzi degli attivi finanziari: borse valori, prezzi dei titoli del debito, e, in certi paesi (Stati Uniti, Cina …), di nuovo il settore immobiliare. I due fattori sono strettamente interconnessi. Anche le imprese che hanno un’enorme liquidità a loro disposizione come Apple si indebitano massicciamente perché approfittano dei bassi tassi di interesse per prestare ad altre il denaro che esse prendono a prestito. Apple e numerose altre imprese prendono a prestito per prestare a loro volta e non per investire nella produzione. Apple prende a prestito anche per riacquistare le proprie azioni in borsa. Ho spiegato questo in un articolo intitolato «» , pubblicato il 9 novembre del 1917.

 

Banche centrali e bolla in arrivo

Le bolle speculative ora citate sono il risultato delle politiche condotte dalle grandi banche centrali (Federal Rèserve degli Stati Uniti, BCE7, Banca d’Inghilterra, da 10 anni, e dalla Banca del Giappone dallo scoppio della bolla immobiliare negli anni 1990) che hanno iniettato migliaia di miliardi di dollari, euro, sterline, yen nelle banche private per mantenerle a galla. Queste politiche sono state chiamate Quantitative easing o allentamento monetario quantitativo. I mezzi finanziari che le banche centrali hanno distribuito a profusione non sono stati utilizzati dalle banche e dalle grandi imprese capitaliste degli altri settori per l’investimento produttivo. Essi sono serviti a acquistare attivi finanziari: azioni di borsa, obbligazioni di debiti delle imprese, titoli di Stato sovrani, prodotti strutturati e derivati… Questo ha generato una bolla speculativa sul mercato borsistico, sul mercato obbligazionario (vale a dire le obbligazioni dei debiti) e, in alcuni paesi, nel settore immobiliare. Tutte le grandi imprese sono sovra-indebitate.

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coniarerivolta

Cottarelli, il signoraggio e la favola della scarsità delle banane

di coniarerivolta

bananaL’Enciclopedia Treccani definisce tabu una “proibizione di carattere magico-religioso nei confronti di oggetti, persone, luoghi considerati di volta in volta sacri, oppure contaminanti, impuri e dunque potenzialmente pericolosi.” Sembra proprio che una simile proibizione copra il complesso tema del rapporto tra banca centrale e debito pubblico, un vero e proprio tabu che la RAI, in seconda serata, ha osato provare a scalfire con un brevissimo servizio del programma “Povera Patria”, il quale aveva ad oggetto il cosiddetto ‘signoraggio’, ossia il potere esclusivo di creare moneta a corso legale detenuto dalle banche centrali. In appena due minuti, il servizio afferma che in Italia questo potere, prima degli anni Ottanta, veniva sfruttato per finanziare la spesa pubblica in disavanzo a beneficio della collettività e senza particolari limitazioni; questo circolo virtuoso tra creazione di moneta e spesa in disavanzo sarebbe venuto meno in seguito a due passaggi fondamentali: prima con il ‘divorzio’ tra Banca d’Italia e Tesoro e poi con l’adesione alla moneta unica, con la definitiva perdita di sovranità monetaria connessa alla subordinazione della Banca d’Italia alla Banca Centrale Europea (BCE).

Più che il servizio in sé, troviamo davvero interessante il coro di reazioni isteriche che si è immediatamente levato da ogni dove: Davide Serra, Carlo Cottarelli, Luigi Marattin, Mario Seminerio, Riccardo Puglisi e tanti altri si sono gettati nella mischia nel disperato tentativo di screditare le tesi esposte sulla RAI. La tesi di fondo che ha mandato il tilt le tastiere dei liberisti del venerdì sera è l’idea che la monetizzazione del debito pubblico possa funzionare. Quando lo Stato spende risorse, mette in moto l’economia e genera crescita; se quelle risorse, però, sono prelevate dall’economia stessa attraverso tasse e imposte, in ossequio al pareggio di bilancio, allora l’impatto positivo della spesa pubblica sulla crescita ne risulta contenuto.

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lantidiplomatico

Signoraggio, "divorzio" e debito pubblico

Facciamo chiarezza una volta per tutte

di Thomas Fazi

952691999c04260b45e40b8454ebfe07Sta facendo molto discutere il servizio di Alessandro Giuli sulle origini del debito pubblico italiano andato in onda qualche giorno fa all’interno del nuovo programma di Rai 2, “Povera Patria”. Secondo i critici – tra cui luminari dell’economia come Riccardo Puglisi, Mario Seminerio e, ça va sans dire, l’immancabile Luigi Marattin -, le colpe del servizio sarebbe sostanzialmente tre: di aver “propagandato” sulla televisione pubblica la presunta madre di tutte le bufale economiche: il signoraggio (ussignor!); di aver individuato nel cosiddetto “divorzio” del 1981 tra Banca d’Italia (BdI) e Tesoro la causa principale della successiva esplosione del debito pubblico italiano; e di aver insinuato – seppur indirettamente – che la soluzione al problema del debito pubblico sarebbe di tornare ad un regime simile a quello pre-divorzio, cioè di monetizzazione (più o meno parziale) del deficit/debito pubblico da parte della banca centrale.

Tanto per cominciare, cosa dice il servizio? Esso sostiene che le cause del debito pubblico italiano sarebbero da sostanzialmente da rintracciarsi nel signoraggio, che viene descritto – in maniera a dir poco approssimativa – come «il guadagno del “signore” che stampa la nostra moneta, che si fa pagare il valore di quella moneta, da cui sottrae il costo per produrla». Il servizio sostiene che la storia del signoraggio in Italia si snoda in tre fasi: una prima fase in cui lo Stato italiano, «attraverso la banca centrale di sua proprietà stampa moneta e la presta a se stesso per offrire servizi e [finanziare le opere pubbliche]»; una seconda fase in cui – come conseguenza del divorzio – «la banca centrale diventa un istituto privato ma continua a stampare moneta prestandola allo Stato con tanto di interessi», facendo così lievitare il debito pubblico; e una terza fase in cui «la fine della lira, l’adozione dell’euro e la nascita della BCE completano l’espropriazione [della sovranità dell’Italia]».

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sinistra

Di chi è la sovranità monetaria

I trattati europei sono contro gli stati?

di Fabio Conditi

CASTELDELMONTE thumb9Tutte le volte che qualcuno individua soluzioni per uscire dalla crisi economica che siano compatibili con i Trattati Europei, salta fuori qualche esperto in economia, finanza o diritto, che ci tiene a dimostrare che non sono possibili, perchè le norme dei Trattati impongono austerità e sacrifici, e quindi sono sempre e comunque contro gli Stati.

Ho letto con attenzione il testo di Mario Giambelli Gallotti sulla Moneta Fiscale, molto interessante e ben argomentato, che però induce l'autore ad interpretare le norme dei trattati come un qualunque "avvocato difensore" di Mario Draghi.

Sui vantaggi derivanti dall'utilizzo della moneta fiscale, che sono lapalissiani, sono perfettamente d'accordo con Mario Giambelli Gallotti, quindi non è necessario approfondire.

Sul fatto invece che sia possibile emettere una Moneta Fiscale senza violare i trattati, si è già espressa la Banca d'Italia ammettendo che questo strumento, essendo ad accettazione volontaria, non viola i trattati ed è quindi utilizzabile da parte dello Stato. https://www.bancaditalia.it/media/views/2017/moneta-fiscale/index.html L'unica obiezione seria che è stata fatta da Bankitalia, è che questa emissione va comunque conteggiata all'interno del debito pubblico, come avviene già oggi anche per le monete metalliche, dimenticando però che comunque sono un debito ben diverso dai titoli di Stato, perchè non dovendo essere collocati sui mercati finanziari, non sono soggetti al pagamento di un interesse.

In realtà la moneta fiscale non andrebbe conteggiata all'interno del debito pubblico, perchè rappresenta solamente una futura riduzione di tasse.

Bankitalia dimentica che lo Stato già emette una strumento fiscale di riduzione delle tasse, ovvero le agevolazioni fiscali per ristrutturazioni edilizie, arredamenti, caldaie, infissi, ecc..., che da anni sono utilizzate senza essere conteggiate nel debito pubblico, essendo appunto solo una riduzione di tasse futura.

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economiaepolitica

Moneta Fiscale: Aspetti Finanziari e Contabili

di Biagio Bossone, Marco Cattaneo,
Massimo Costa, Stefano Sylos Labini

moneta fiscale1Dalla sua prima resa pubblica sul Sole 24 Ore di ben 6 anni addietro a oggi, l’idea della Moneta Fiscale di strada ne ha fatta e tanta anche. Al di là delle facili critiche, i commenti caustici e persino le affermazioni ingiuriose che alcuni hanno rivolto all’idea senza nemmeno averne letto i contenuti o compreso i sottostanti fondamenti, occorre riconoscere invece che i dubbi, i quesiti nonché gli incoraggiamenti manifestatici tanto da qualificati esperti quanto da comuni cittadini semplicemente incuriositi all’idea ci hanno aiutato a farla crescere e a suscitare l’interesse.

Come risultato, di Moneta Fiscale oggi si parla, che ciò piaccia o no, e il Financial Times ne definisce l’attuazione come “tecnicamente possibile”. Il concetto si è affermato all’attenzione della politica, delle istituzioni e del grande pubblico, anche ad onta di grandi organi nostrani (di cosiddetta informazione aperta e democratica) che, esprimendosi sulla materia in modo, a dir poco, disinformato, non hanno inteso dar voce a chi ai loro lettori la materia l’avrebbe almeno saputa esporre correttamente…

Lo scorso anno, raccogliendo i numerosi spunti ricevuti e mettendo a frutto i ragionamenti maturati lavorando al perfezionamento dell’idea, abbiamo svolto, tra le altre, due approfondite riflessioni, ospitateci da Economia e Politica e dalla rivista MicroMega, dedicate al proposito di fare il punto sull’argomento e dare risposte precise ai precisi interrogativi postici da lettori e commentatori in via privata o pubblica.

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coniarerivolta

Il debito pubblico è crescita: aboliamo il pareggio di bilancio

di coniarerivolta

austeritc3a0 disordineÈ difficile trovare nel dibattito politico-economico nostrano e internazionale un tema più discusso di quello relativo al contenimento del debito pubblico. Sappiamo bene, infatti, come la diminuzione del rapporto tra debito pubblico e PIL sia tra le stelle polari di ogni politica suggerita da Bruxelles in merito alla governance economica dell’Eurozona. Storicamente questa preoccupazione è sfociata nella firma di trattati internazionali quali Trattato di Maastricht, Fiscal Compact, Six Pack, tutti incentrati sul contenimento di questo rapporto, che come da prescrizioni non può superare la soglia del 60%.

Diverse questioni potrebbero essere sollevate parlando di questa tematica. Tuttavia, in questo contributo ciò che ci preme è provare a rispondere ad una semplice domanda: è vero che le misure di austerità – propugnate dalle istituzioni internazionali come rimedio perfetto per questo “problema” – portano ad una riduzione del rapporto debito pubblico/PIL?

Per stabilire quale sia la risposta corretta, abbiamo bisogno di due valori, ossia sapere di che entità siano il rapporto PIL/debito (non debito/PIL, questa volta) e del moltiplicatore fiscale dell’ economia di nostro interesse. Per quanto concerne il primo indicatore, notiamo come a un alto rapporto debito/PIL corrisponde un basso valore del corrispettivo PIL/debito; ciò è intuitivo, visto che la seconda misura è semplicemente l’inverso della prima. L’Italia, ad esempio, ha un rapporto debito/PIL di circa il 130%, il che significa un rapporto PIL/debito del 77% (1/1.3 = 0.77).

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altronovec

I segreti del Bitcoin

Intervista a Christian Marazzi

Dal numero speciale di "Primo Maggio"

bitcoin12Il “Guardian”, giornale molto attento alle storture del mondo finanziario, scrive: “Il Bitcoin è la prima e la più grande ‘criptovaluta’, un bene digitale negoziabile decentralizzato. Se si tratti di un cattivo investimento è la domanda da 97 miliardi di dollari (letteralmente, poiché questo è il valore corrente di tutti i Bitcoin in circolazione). Il Bitcoin può essere utilizzato solo come mezzo di scambio e in pratica è stato sinora molto più importante per l’economia sommersa di quanto non sia stato per la maggior parte degli usi legittimi. La mancanza di una qualsiasi autorità centrale rende il Bitcoin notevolmente resiliente alla censura, alla corruzione ovvero alla regolamentazione. Ciò significa che ha attirato una serie di sostenitori, dai monetaristi libertari che amano l’idea di una valuta senza inflazione e senza una banca centrale, agli spacciatori di droga a cui piace il fatto che sia difficile (ma non impossibile) fare risalire una transazione in Bitcoin a una persona fisica”. Tu che ne pensi?

Questa del “Guardian” mi sembra una buona sintesi di cosa sia il Bitcoin come, più in generale, di cosa siano le criptomonete oggi in circolazione. Ce ne sono ormai 1500, per un valore totale di mercato pari a qualcosa come 540 miliardi di dollari. Malgrado le denunce di “frode” o di “lavaggio di denaro sporco”, specie per i Bitcoin, si tratta ormai di un fenomeno impossibile da ignorare.