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America Latina, la nuova Heartland
Elcondor pasa... e repasa
di Fulvio Grimaldi
Noi e l’America Latina…
Due parole per chiarire il titolo. Heartland, cuore della Terra, o terra-cuore, era per il mitivo geopolitico USA Zbigniew Brzezinski, nella configurazione della sua Grande Scacchiera, la regione del mondo di cui un impero doveva essere in possesso. per potere esercitare un dominio globale. Si trattava delle immense aree interne dell’Eurasia. Da qui il confronto epocale con l’URSS, divenuto Guerra Fredda.
Ciò che ci ha fatto intendere Donald Trump, con le sue recenti dichiarazioni sui propositi strategici degli USA, è uno spostamento drastico dell’attenzione e delle intenzioni, dall’Eurasia vagheggiata dal politologo di Jimmy Carter, alla più vicina e concreta America Latina. Ce ne siamo accorti, noi italiani? Non crediamo di avere buoni motivi per interessarcene?
Penso che per una volta noi italiani, abituati a denigrarci, a non considerare e neppure a ricordare chi si è speso per il nostro paese e con eccellenti risultati (Guerre e lotte di liberazione tra ‘800 e Resistenza partigiana), possiamo dirci abbastanza soddisfatti. Parlo della Palestina, di come siamo stati pronti e determinati a conoscerla, sostenerla, difenderla in tutti i creativi modi con cui ci siamo mobilitati in massa, traendone anche consapevolezza politica più vasta e profonda dell’ambito colonialista specifico. Bene, bravi, 7+.
Ma l’America Latina? A suo tempo un discreto movimento per Cuba, poi per il Venezuela molto di meno, qualcosina per il Nicaragua… In America Latina vivono oltre 1,5 milioni di italiani registrati all'AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero), con le comunità più numerose in Argentina (circa 870.000) e Brasile (oltre 470.000), secondo dati aggiornati a circa il 2021/2022, ma il numero totale di persone di origine italiana è molto più elevato, contando decine di milioni di persone (oriundi). In Venezuela gli italiani registrati sono 150mila, ma quelli che si dicono italiani sono almeno 1 milione. Erano cinque, ma sono venuti via in tanti dopo il cambio di paradigma imposto al paese dalla rivoluzione bolivariana di Chavez e Maduro che ha posto fine a una casta di privilegiati di cui imprenditori italiani erano protagonisti.
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Accordo di pace in Ucraina? Al massimo, una tregua armata fino ai denti
di Il Pungolo Rosso
Prima la pubblicazione del documento “National Security Strategy” (NSS) da parte dell’amministrazione Trump, poi il gran chiasso su un accordo di pace per l’Ucraina vicinissimo, hanno scatenato una ressa di reazioni generalmente entusiastiche tra i kampisti, i sostenitori dell’asse Cina-Russia come asse del progresso, della pace, dell’equità nel mercato mondiale o perfino del socialismo. Si festeggia perché Trump sarebbe intenzionato a riconoscere la vittoria che la Russia ha ormai conseguito sul terreno e con essa l’inevitabile passaggio a quel mondo multipolare (ultracapitalistico) che è il grande, miserissimo, sogno dei kampisti di professione – da tenere ben distinti dai kampisti per sentimento, abbarbicati al ricordo di quando la Russia e la Cina con le loro molto diverse, entrambe formidabili, rivoluzioni, scossero il mondo borghese per decenni. Per fare un solo esempio abbiamo letto frasi di questo tipo: “La strategia statunitense, contrariamente ai governi europei, spinge per un rapido ritorno alla stabilità in Europa e nel ristabilire i rapporti tra Europa e Russia” (1). È, quasi alla lettera, ciò che il documento NSS indica (a pag. 27) come una delle priorità degli Stati Uniti.
Questa è l’opinione dominante tra i kampisti professionali. Noi la pensiamo in maniera molto diversa. E sul “che fare” traiamo conclusioni del tutto differenti dal fare il tifo per il “piano di pace” Trump per l’Ucraina, un piano che è sfacciatamente imperialista al pari di quello presentato dallo stesso gangster su Gaza e la Palestina, contro Gaza e il popolo palestinese.
Anzitutto: a dirigere la guerra alla Russia è stata finora la Nato di cui gli Stati Uniti sono il dominus. O no? E ha continuato a farlo, protagonisti i comandi Usa, anche sotto l’amministrazione Trump. Dopotutto il più duro colpo all’infrastruttura bellica russa è stato portato il 1° giugno di quest’anno quando sono state colpite 5 basi aeree strategiche russe lontane, o lontanissime, dall’Ucraina.
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Tre cose per cominciare a cambiare tutto
di Nello Stagno
Una nuova ricetta economica deve partire dalla centralità della domanda interna, dalla crescita dei salari reali e dalla trasformazione strutturale del tessuto produttivo
Il 17 ottobre Marco Bertorello e Giacomo Gabbuti hanno lanciato su questa rivista un appello a riallacciare i fili di un discorso che leghi la teoria economica critica e la politica, al fine di proporre un programma per l’alternativa. Senza indugi, e consapevoli del rischio di semplificare questioni per loro natura enormemente complesse, proveremo a immaginare un programma minimo articolato attorno a tre pilastri: i) una politica di bilancio volta alla crescita, allo sviluppo e alla piena occupazione, coadiuvata da necessari controlli sui movimenti di merci e capitali imprescindibili per immaginare un sistema di tassazione equo, che redistribuisca le risorse e che liberi i salari dalla minaccia delle delocalizzazioni; ii) una politica industriale che rimetta al centro il ruolo dello Stato come produttore; iii) istituzioni del mercato del lavoro che coadiuvino la piena occupazione e la rendano anche «buona» e che favoriscano il conflitto distributivo a favore dei lavoratori con aumenti considerevoli dei salari reali.
Premesse e proposte per una politica fiscale espansiva
L’austerità – nel contesto istituzionale dell’Unione europea – è stata lo strumento principe attraverso il quale le classi dominanti hanno portato il loro attacco allo stato sociale, indebolito i servizi pubblici, aggravato le diseguaglianze e logorato le basi stesse della democrazia economica. La riduzione del ruolo dello Stato a mero garante dei mercati e regolatore della concorrenza ha prodotto una società fragile, impoverita e incapace di affrontare la transizione ecologica e tecnologica che pure invoca. In Italia, l’austerità è stata perpetuata senza interruzioni da tutti i governi – di centrodestra, centrosinistra e tecnici – che si sono susseguiti dagli anni Novanta a ora. Se infatti si guarda al saldo primario di bilancio (la differenza, cioè, tra spese ed entrate delle pubbliche amministrazioni, prima di contare la spesa per gli interessi sul debito pregresso) si noterà che l’Italia è stata tra i più virtuosi d’Europa, vivendo in una sorta di regime di «austerità permanente» tanto che, con l’eccezione degli anni del Covid e del 2009, dal 1992 in poi – e il Governo Meloni non fa eccezione – si sono conseguiti sempre sostanziosi avanzi primari.
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Capire la guerra
Gabriella Giudici intervista Silvano Cacciari
Silvano Cacciari, antropologo dell’Università di Firenze, ha appena pubblicato Guerra. Per una nuova antropologia politica.
Il testo esamina in sette capitoli (narrazioni, kill chain e tecnologie della guerra, social media, discorsi politici, fine dell’Università) tutto ciò che oggi produce la guerra, cambiando per sempre le nostre società, trasportandoci in un mondo in cui persino ciò che per secoli è stato il suo contrario, la politica, oggi non ne è l’antidoto ma la continuazione della guerra con altri mezzi.
Di seguito il testo di un’intervista nella quale risponde alle domande un gruppo di lettori del volume appena uscito.
Ė uscito Guerra. Per una nuova antropologia politica,
Per l’occasione, ecco una sintesi di domande fatte dai lettori del libro precedente, La finanza è guerra, e di estratti significativi di Guerra.
Ne è uscita un’intervista sugli scenari aperti dal nuovo testo e una di approfondimento dei concetti che rendono pensabile un mondo in cui la politica è diventata la continuazione della guerra ibrida con altri mezzi.
Le questioni sul tavolo sono diverse (la crisi Usa-Ue in contemporanea al conflitto russo-ucraino, le dinamiche di riarmo, la rivoluzione industriale della AI, il riemergere di una teologia politica che cerca disperatamente fattori di ordine in un mondo che non riesce a comprendere) per cui due interviste, una dedicata agli scenari e una ai concetti, rendono più produttiva la lettura di Guerra.
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Il campo largo che non regge e il liberismo che vince
di Michele Agagliate
Ma dai! Ma siamo seri?
Davvero qualcuno, a Santiago del Cile come nelle redazioni europee che parlano dell’America Latina con il tono riservato alle periferie dell’Impero — da lontano, con sufficienza — pensava che un’armata brancaleone politica tenuta insieme con lo scotch potesse risultare credibile come proposta di governo? Davvero si immaginava che una coalizione dove convivono comunisti storici, socialdemocratici smunti, progressisti “liberal”, sinistra cristiana, verdi, riformisti senza riforme e moderati senza popolo potesse trasmettere l’idea di stabilità, direzione, solidità? O anche solo di chiarezza?
Perché il punto non è nemmeno la sconfitta di Jeannette Jara, che pure c’è stata ed è stata netta. Il punto è l’ennesima riproposizione di un copione che la sinistra globale — non solo cilena — continua a recitare come se non fosse già stato fischiato dal pubblico decine di volte. Tutti insieme, tutti buoni, tutti responsabili, tutti “unitari”. Tutti, soprattutto, incomprensibili.
In Cile l’hanno chiamata Unidad por Chile, ma il nome è quasi una beffa involontaria. Dentro c’era di tutto: il Partito Comunista del Cile con la sua storia, i socialisti post-tutto, il Frente Amplio in versione governativa e spompata, i liberali progressisti, i cristiano-sociali, gli ecologisti istituzionalizzati. Un campo così largo che, a forza di allargarsi, ha smarrito il campo. E con esso il senso.
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Stanno cercando di eliminare il movimento di solidarietà con la Palestina?
di Sergio Cararo
Edward Lorenz sosteneva che il battito delle ali di una farfalla in Brasile poteva scatenare un tornado nel Texas. Quello a cui stiamo assistendo in questi giorni è il tentativo, con molte meno suggestioni scientifiche e decisamente forzato, di strumentalizzare una strage di civili di religione ebraica avvenuta all’altro capo del mondo – in Australia per la precisione – per usarlo politicamente nel nostro paese.
L’obiettivo, apertamente o subdolamente dichiarato, è quello di mettere a tacere l’empatia e l’ampio movimento di solidarietà che si è manifestato a sostegno del popolo palestinese e il ripudio del genocidio commesso dagli apparati politici, militari e ideologici dello Stato di Israele a Gaza e in Cisgiordania.
Il tentativo sta andando avanti negli ultimi mesi, soprattutto dopo che grandi manifestazioni popolari nelle strade e alcuni scioperi generali nei luoghi di lavoro e di studio, hanno dato corpo all’indignazione generale cresciuta nella società.
Questo movimento ha suscitato grandi preoccupazioni in Israele, negli apparati sionisti attivi nel nostro e altri paesi europei, e anche nel governo di destra italiano che in ripetute occasioni ha dimostrato la propria complicità con Israele.
Possiamo individuare almeno cinque passaggi di questo tentativo di zittire il movimento di solidarietà con la causa palestinese:
1) Gli effetti del Piano Trump per Gaza;
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Per la critica dell’individuo-massa
Appunti per una nuova avanguardia di ricerca
di Gigi Roggero
Dopo la pubblicazione dell'intervento «L’importante non è partecipare», in questo articolo Gigi Roggero riprende i fili e approfondisce i temi toccati, dalla critica della democrazia alla produzione di soggettività, dalla necessità di rimettere in discussione categorie che girano a vuoto all’urgenza di un pensiero inattuale. Viene ora proposta una tesi radicale: «la modernità capitalistica, nata dall’esaltazione dell’individuo come soggetto centrale, ha alienato proprio l’individuo, lo ha sciolto nella massa». A partire da qui, sostiene l’autore, bisogna costruire un’avanguardia di ricerca.
* * * *
In un libretto di qualche anno fa, Per la critica della libertà (DeriveApprodi, 2023), avevamo provato a disarticolare il presupposto del culto liberale, il totem della modernità nel suo complesso: la libertà, appunto. Ora, si tratta al contempo di approfondire e di tentare un passo oltre. Per farlo, dobbiamo prendere di petto la questione dell’individuo. Fin dai suoi albori, sappiamo che la modernità capitalistica nasce attorno a questo soggetto, declinato nella forma specifica del cittadino. Da Locke in avanti, l’individuo-cittadino è l’individuo proprietario. Senza individuo non si potrebbero dare né Stato né mercato, né competizione né sfruttamento, né libera impresa né libera vendita della forza lavoro.
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L'oracolo di Bruxelles si è espresso
di Fabrizio Poggi
Grazie all'intercessione de La Stampa, è possibile raccogliere la nuova divinazione dell'oracolo di Bruxelles, il lituano dirottato alla UE, Andrius Kubilius. A differenza dei vaticini della Pizia di Delfi, che variavano a seconda di chi domandava il responso, il cosiddetto commissario europeo alla guerra differenzia di poco, l'uno dall'altro, i propri presagi. E c'è da dubitare che anche chi gli si è rivolto a nome del foglio torinese si attendesse qualcosa di diverso dal numero di anni che devono ancora trascorrere prima che, statene certi, la Russia attacchi un paese europeo, «o forse più di uno». Ragion per cui, profetizza, «bisogna integrare le forze armate ucraine nella sicurezza dell’Europa», dato che sussiste «la minaccia di una possibile aggressione russa: i nostri servizi di intelligence lo affermano pubblicamente e con chiarezza: nei prossimi tre o quattro anni la Russia potrebbe essere pronta a “testarci” in un conflitto reale». Per non parlare della sfida che viene dagli USA, «che ci stanno chiedendo di assumerci maggiori responsabilità per la difesa europea». Da non raccapezzarcisi. Per fortuna che, là a Bruxelles e qualcuno anche a Roma, sembra avere le idee chiare su chi si appresti ad attaccare chi e quando lo farà.
Amareggiata per la mancanza di un esercito europeo, la signora Flavia Amabile chiede all'oracolo come potrebbe essere risolta la questione del possibile schieramento di truppe UE sul territorio ucraino, come richiesto da Kiev per un accordo con Moskva. Il novello Merlino non esita a dire che il dato sicuro è che l'intelligence europeista pronostica che la Russia potrebbe «lanciare un’aggressione contro Stati membri dell’UE o della NATO».
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Gaza: come si pianifica un genocidio
di Davide Malacaria
“La più efficace manipolazione che Israele ha messo in atto negli ultimi due anni è stata quello di imporre dei parametri del tutto infondati al ‘dibattito’ che si è svolto in Occidente riguardo la credibilità del bilancio delle vittime di Gaza, che ora ufficialmente ammonta a poco più di 70.000”. Così Jonathan Cook su Consortium news.
“Non è solo che siamo rimasti impantanati in controversie senza fine sull’affidabilità delle autorità sanitarie di Gaza o su quanti di quei morti siano combattenti di Hamas (nonostante le campagne di disinformazione israeliane, l’esercito israeliano stesso ritiene che oltre l’80% dei morti siano civili); o che questi ‘dibattiti’ ignorino sempre il fatto che, fin dall’inizio, Israele ha distrutto la capacità di Gaza di contare i propri morti, distruggendo gli uffici governativi e gli ospedali dell’enclave, da cui discende che la cifra di 70.000 morti è probabilmente una drastica sottostima”.
“No, il trucco più grande è che Israele è riuscito a trascinarci tutti in un ‘dibattito’ completamente scollegato dalla realtà, che riguarda solo quelli che sono stati uccisi direttamente dalle sue bombe e dai colpi d’arma da fuoco. La verità è che un numero molto, molto più grande di persone di Gaza è stato ucciso volutamente da Israele non attraverso mezzi diretti, ma attraverso quelli che gli statistici chiamano mezzi ‘indiretti'”.
“Tutte queste persone sono state uccise da Israele, che ha distrutto le loro case e le ha lasciate senza riparo. Da Israele, che ha distrutto le loro risorse idriche, le infrastrutture elettriche e i sistemi igienico-sanitari.
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Crescita economica e movimenti pro-Pal: che c’azzecca?
di Riccardo Leoncini
1. Il concetto di crescita economica è fondato su un modello lineare, anche se utilizza strumenti matematici non lineari. Ed è indubbio che l’utilizzo di modelli lineari permette l’avverarsi della logica cartesiana che ci invita a ridurre un problema complicato a una serie di problemi semplici, a risolverli e poi a rimettere insieme le soluzioni ottenute, come in un puzzle.
Fra le implicazioni di questo modello lineare ce n’è una assai importante, sia dal punto di vista matematico, ma soprattutto dal punto di vista logico. E cioè che la crescita è (non solo potenzialmente) infinita. Un modello di crescita lineare non incontra limiti, neanche negli input necessari a farlo funzionare, poiché anche questi a loro volta saranno soggetti a un modello di crescita infinita, che quindi garantirà il sostentamento del modello ad libitum. La sola variazione dei prezzi relativi regolerà la scarsità relativa che di volta in volta alcuni di questi elementi incontreranno.
Questo modello è il sostrato dell’ideologia dominante, dell’ortodossia che, in economia ma anche in politica per la verità, si sostanzia nell’ideologia TINA (There Is No Alternative): il modello dominante è così penetrato nella nostra logica, potrei persino dire nei nostri più reconditi processi neanche soltanto mentali, ma addirittura istintivi, che, come è stato detto, è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo.
Il problema con un modello così fatto è che a rifletterci bene, la crescita infinita in condizioni di equilibrio implica, di fatto, che non esiste il futuro. In un modello di questo genere non solo non esiste futuro, ma non esiste il presente del libero arbitrio, delle decisioni fuori contesto, delle invenzioni quindi, in ultima istanza, delle innovazioni. La stessa idea che il modello di crescita non preveda l’idea di imprenditorialità, mina alla base proprio quell’idea di libertà di cui si ammanta l’idea di crescita economica a partire dai contributi di von Hayek. Un modello di crescita lineare non prevede il cambiamento strutturale di tipo qualitativo, prevede il ripetersi continuo di un presente che non diventa mai né passato né futuro.
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Dentro il modello tedesco della censura europea: è peggio di quanto pensi
di OttolinaTV
I tedeschi proprio non ce la fanno: il richiamo della foresta è troppo forte; li lasci soli un attimo e il secondo dopo… Anche nel ventunesimo secolo, la Germania conserva quella sensibilità tutta teutonica per l’ordine, la sorveglianza e la cura fin troppo affettuosa dei cittadini; ed eccoci, così, alle porte del 2026 a fare i conti in tutta Europa con un nuovo ecosistema informativo che non sarebbe dispiaciuto ai registi della propaganda del Reich: a novembre, infatti, la Commissione Europea ha presentato uno dei progetti più ambiziosi e, allo stesso tempo, più inquietanti degli ultimi anni. Si chiama European Democracy Shield, lo scudo europeo a difesa della democraziahhh (con almeno 3 acca), una specie di ombrello istituzionale per salvare il continente dall’incontenibile assalto di fake news, troll russi, hacker iraniani
e per conservare illibata l’innocenza dei Veri Cittadini Europei – che, evidentemente, non sono considerati in grado di distinguere una notizia vera da una baggianata letta su Facebook mentre aspettano il bus.
Ursula von der Leyen ha presentato il tutto in modo molto solenne: “La democrazia”, ha affermato, “è la pietra angolare dell’Unione europea e dobbiamo difenderla ogni giorno”; con questa retorica si giustifica la costruzione di un centro operativo europeo in grado di coordinare governi, piattaforme digitali, Polizia Postale, ONG, think tank, influencer europeisti e ogni altra entità che possa essere utile a catalogare, segnalare, filtrare, correggere e neutralizzare qualunque contenuto definito rischioso.
Non falso; non illegale; non violento: rischioso. Una categoria a dir poco malleabile, ideale per infilarci dentro tutto ciò che non gli piace; lo scudo prevede inoltre la creazione di una rete europea di fact-checker certificati, cioè accreditati da chi li finanzia, che dovranno vigilare rigidamente sulla qualità dell’informazione – quando si dice chiedere all’oste se il vino è buono.
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Le maschere del soft power
di Philip Golub*
Quando gli Stati Uniti pretendevano di sedurre piuttosto che dominare
«Il presidente Trump non capisce il “soft power”, è quanto di recente affermava con rammarico Joseph Nye, l’inventore della nozione “potenza morbida”. Questo tipo di potere d’influenza, soprattutto culturale, del quale si servirebbero gli Stati Uniti per soggiogare il mondo, ha esso stesso sedotto numerosi intellettuali. Il suo successo è dovuto in particolare al fatto di ricoprire con un gentile guanto di velluto il pungo d’acciaio della coercizione.
Dal momento in cui è stata enunciata nel 1990 dal politologo e specialista del potere americano Joseph Nye, la nozione di soft power - «potenza morbida» - si è imposta per descrivere la diplomazia di influenza associata alla mondializzazione liberale americano-centrica che arriva alla sua fine sotto i nostri occhi. Ripresa sia in Cina che in Europa, è stata a lungo utilizzata nei discorsi dei politici, degli esperti e nei commenti dei media. Al tempo del grande riarmo, dello sfilacciamento del diritto internazionale e della crescita degli impulsi di un etno-nazionalismo aggressivo, il soft power non riesce più ad avere presa sulle realtà mondiali – ammesso che ne abbia mai avuta.
Quando attacca l’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale (Usaid), Donald Trump prende di mira una istituzione concepita per lottare contro il comunismo, e più recentemente, contro dei cosiddetti regimi «illiberali», diffondendo un’immagine favorevole del «mondo libero». Alla volontà di conquistare i cuori e le coscienze si sostituiscono ormai i rapporti di forza con le grandi potenze (Cina, Russia) e di dominazione brutale con i «deboli» (Panama, Colombia, Palestina, ecc.)
«I forti fanno ciò possono e i deboli sopportano ciò che devono»: la formula degli Ateniesi resa celebre da Tucidide si s’addice alla diplomazia trumpiana.
[Più precisamente, Tucidide diceva: I forti fanno ciò che devono fare e i deboli accettano ciò che devono accettare. N.d.T.]
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“La pace è vicina”, ma forse no…
di Dante Barontini
A Berlino va in scena “l’accordo” che potrebbe portare alla pace in Ucraina. Che sarebbe cosa ottima, se non fosse per il piccolo limite che per ora quel che è stato lì concordato riguarda soltanto il composito schieramento occidentale. La pace vera, insomma, va fatta con la Russia… Tutto quello di cui stiamo parlando è solo predisposizione di una proposta dal lato euro-atlantico.
Come è regola di ogni trattativa strategicamente rilevante i contenuti sono per il momento “coperti”, ma le immancabili indiscrezioni pilotate definiscono comunque con qualche certezza “la direzione” in cui tutti i protagonisti del vertice di ieri sera – Steve Witkoff e Jared Kuchner come inviati di Trump, i leader dei principali paesi europei (Germania, Danimarca, Finlandia, Francia, Regno Unito, Italia, Olanda, Polonia, Svezia e Norvegia, più la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen e quello del Consiglio europeo Antònio Costa, nonché l”extra-comunitario” britannico Keir Starmer).
Perché il percorso venga ritenuto praticabile serviva naturalmente il consenso ucraino, e Volodymyr Zelenskyy ha dato una valutazione ottimistica della nuova offerta da parte di funzionari americani riguardante le “garanzie di sicurezza”, descritte come una sorta di art.5 della Nato pur senza che Kiev entri nell’Alleanza (punto che per Mosca è sempre stato dirimente).
Andrebbe ricordato che l’attuale art. 5 garantisce, ai paesi membri attaccati dall’esterno, una forma di attivazione da parte dei partner, ma nella misura che ognuno di essi ritiene possibile.
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La Dottrina Monroe nell'era della pirateria
di Geraldina Colotti
Che le manovre di aggressione degli Stati Uniti nei Caraibi non avessero come obiettivo il narcotraffico, lo dicono i rapporti delle istituzioni deputate ad analizzare questo fenomeno di portata globale: Informative dell'ONU, della DEA, dell'Unione Europea e dell'Organizzazione Mondiale delle Dogane, durante diversi anni, rivelano che il Venezuela è un paese "irrilevante" nella produzione e nel traffico di droga. Tanto è vero che il governo bolivariano ha sequestrato il 70% di ciò che hanno tentato di far passare per il territorio venezuelano, che non supera il 6 per cento del traffico totale tra Ecuador, Colombia e Stati Uniti.
Che gli interventi dell'imperialismo statunitense ai quattro angoli del mondo non fossero precisamente per motivi "umanitari" o democratici, lo testimonia la lunga scia di sangue che hanno lasciato gli Usa nel Sud Globale. Un recente articolo del New York Times ricorda l'impressionante elenco di queste aggressioni nel corso della storia passata e recente: che arrivano fino al presente, quando riprende corpo l'idea di imporre al continente latinoamericano una nuova Dottrina Monroe, e agli "alleati" una nuova subalternità economico-finanziaria e militare.
Che in gioco vi fossero interessi giganteschi, lo dice la sproporzione dei mezzi militari e gli altissimi costi che implicano queste operazioni. Che questi interessi mirino ad appropriarsi delle formidabili risorse del Venezuela lo dimostrano le dichiarazioni dirette pronunciate da Donald Trump e Marco Rubio, e il documento sulla sicurezza degli Stati Uniti.
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L’ebreo antisemita (o seconda puntata)
di Stefano Bartolini*
Era l’accusa che mi aspettavo, arrivata puntualmente. D’altronde l’avevo anche evocata, per cui non mi lamento. É un’accusa che gira da molto tempo in relazione a chi critica Israele da una prospettiva ebraica, e che negli ultimi anni sta acquistando una nuova forma concreta e aggressiva a partire dalla Germania, come ho imparato dagli studi di Donatella Della Porta.
Sia detto per inciso: questa accusa è uno dei motivi che fa si che molte persone ebree che la pensano come me (e ce ne sono diverse a giudicare dai messaggi che mi sono arrivati in privato) restino in silenzio di fronte ai crimini israeliani. Un altro motivo è che siamo scollegati tra noi, non organizzati e quindi senza voce, ma questo è un altro discorso.
Vediamo invece quale sarebbe la natura di questo “ebreo antisemita”: è una “specie infestante” (l’ho letto), di sinistra, cosmopolita, woke, ha i soldi, è una quinta colonna dell’islamismo, è un’arma mortale nascosta nelle nostre società pronta a colpire al cuore l’Occidente.
Se vi sembra di sentire qualcosa di sinistramente già noto è perché “l’ebreo antisemita” somiglia straordinariamente all’immagine dell’ebreo dei nazisti. Curioso, vero?
Credo che se riusciamo a dipanare questa matassa faremo un passo in avanti nella comprensione del perché oggi in Occidente le forze politiche che appartengono alla famiglia politica del fascismo siano diventate le più strenui alleate di Israele – dopo aver provato a sterminare gli ebrei – e viceversa, senza sentire nessuna contraddizione tra il rivendicare (esaltandola) la figura di Giorgio Almirante, fascista antisemita impegnato nella direzione della rivista “La difesa della razza” durante il regime e l’appoggio incondizionato a Israele.
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Moneta e debito pubblico
Elaborazione su spunti di Giovanni Piva
di Marco Cattaneo
Al momento della sua formazione, uno Stato acquisisce il diritto a creare moneta. La moneta è un monopolio dello Stato medesimo.
I soggetti privati non creano moneta, con l’eccezione delle banche commerciali, che tuttavia creano moneta erogando finanziamenti ma nello stesso tempo contraggono passività nei confronti dei depositanti. Questo, in quanto all'erogazione di ogni finanziamento corrisponde la formazione di un deposito nel sistema bancario. E le banche commerciali possono garantire integralmente i depositi solo grazie all’accesso al rifinanziamento della banca centrale (BC), e fintantoché dispongono di questo accesso.
Gli organismi statali che presiedono alla gestione del monopolio monetario sono il Ministero dell’Economia (ME) e la BC. Non esiste una ragione logica o tecnica per la quale le due entità debbano essere separate. E’ un assetto istituzionale che gli Stati si sono dati, ma le due entità potrebbero benissimo essere accorpate.
Il ME immette moneta nell’economia mediante il deficit pubblico, cioè mediante l’eccesso di spesa rispetto al prelievo fiscale. Nella prassi (anche se non è, neanche in questo caso, una necessità) la creazione di moneta conseguente al deficit pubblico viene attivata mediante una sorta di “gimcana”. Il ME emette titoli che vengono sottoscritti da banche commerciali, le quali ottengono la moneta mediante finanziamenti erogati dalla BC contro garanzia dei titoli stessi.
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Combattere la macchina genocidiaria!
di Maurizio Lazzarato
Ripensare il due, la divisione, la rivoluzione
Dopo l’analisi sviluppata nel precedente articolo Potenza e impotenza contemporanee, Maurizio Lazzarato riprende la sua disamina per comprendere le ragioni per cui le mobilitazioni degli ultimi anni non sono riuscite a mettere in crisi la macchina Stato–Capitale.
Nell’articolo odierno, l’autore riflette su come vadano ripensate la rivoluzione e il «due» nell’epoca della gestione liberal-democratica e capitalistica del genocidio.
* * * *
Il neoliberismo non è mai esistito!
Il passaggio dal fordismo al cosiddetto neoliberismo avviene attraverso il dispiegarsi della «potenza del negativo», operata non da individui – come vorrebbe il liberalismo – ma da Stati, istituzioni, monopoli, gruppi sociali, partiti politici, forze militari, ecc.L’affermazione di un nuovo sistema economico-politico-militare si realizza innanzitutto attraverso la distruzione: negazione delle classi così come erano uscite dalla Seconda guerra mondiale (sia le classi rivoluzionarie del Sud del mondo, sia quelle impegnate in lotte più riformiste, ma anche le classi dominanti di ispirazione keynesiana); negazione dei dispositivi economici dei «trent’anni gloriosi» (il funzionamento della moneta, del salario, del welfare, dei servizi pubblici, ecc. secondo i principi keynesiani); negazione delle istituzioni di quell’epoca, in particolare della democrazia, giudicata incompatibile con il capitale; negazione della cultura del «compromesso» instaurata nel dopoguerra.
Riportiamo solo alcune date «simboliche» (e gli eventi che vi si collegano) di questo processo al contempo di negazione e di affermazione, descrivibile come una lunga serie di decisioni, minacce, intimidazioni, ricatti, guerre civili, imposizioni unilaterali fondate sulla forza dell’impero statunitense.
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Che cos’è il ‘classico’?
Storicità di un concetto e persistenza di un valore
di Eros Barone
L’itinerario che seguirò in questo articolo è essenzialmente storico e l’intenzione che mi anima è quella di sbozzare una prima risposta alla domanda che ho posto nel titolo: “Che cos’è il ‘classico’?”. È muovendo da alcuni essenziali prolegomeni di carattere storico e teoretico che mi propongo di individuare il significato del ‘classico’ e di definire quale sia il suo valore oggi.
Anche se nel nostro presente può sembrare un fantasma o un fossile, nel corso dell’età moderna e poi di quella contemporanea il valore storico del classico è stato grandissimo. Sinonimo di eccellente e di perfetto, ma anche di costante e sempre valido, il termine di ‘classico’, anche nelle accezioni moderne, conserva tuttavia l’idea, che è aristotelica, della “medietà” 1 – idea mutuata poi dal ‘modus’ oraziano. Sono qui evidenti gli effetti dell’umanesimo: parallelismo e specularità reciproca tra norme stilistiche, norme etiche e modelli di educazione per le classi dirigenti.
Così, il canone degli “studi classici”, codificato nell’età antica e riproposto dall’umanesimo rinascimentale, ha contraddistinto un lungo arco storico che comprende buona parte del XX secolo e si dirama sino ai nostri giorni. 2 Ed è pur vero che i secoli e le culture hanno assunto ora questa ora quella parte dell’eredità del mondo antico, spesso in conflitto fra loro. Nella storia del termine si esprime pertanto, a livello simbolico, lo stretto rapporto fra le arti e la letteratura, da una parte, e l’insegnamento, dall’altra, laddove quest’ultimo va inteso, in tutto il suo spessore storico, come condizione e trasmissione di potere.
In questo senso, è molto significativo che nelle Noctes Atticae Aulo Gellio, un erudito del II secolo d.C., distingua lo ‘scriptor classicus’, destinato a esser letto dal ceto dei massimi contribuenti fiscali (la classe per antonomasia), dallo ‘scriptor proletarius’, che si rivolge al più basso ceto dei consumatori. Nell’età giustinianea ‘classicus’ è già lo studente e tale è l’opera che a scuola, nelle classi, viene letta e commentata quale modello.
Solo nella tarda età umanistica si afferma, nella storia del termine, il doppio significato di “autore dell’eredità greco-latina” (l’“antico”, degno di ossequio e di imitazione) e di “autore comunque eccellente e riconosciuto”, benché questo secondo significato resti subordinato e metaforico per quasi tre secoli (dal XVI al XIX).
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Innovazioni tecnologiche, infrastrutture del fossile e conflitto sociale nelle transizioni a un nuovo regime socio-ecologico di accumulazione
di Matteo Vescovi
Come ci ricorda Nancy Fraser nel suo ultimo saggio, “la contraddizione ecologica del capitalismo non può essere nettamente separata dalle altre irrazionalità e ingiustizie costitutive del sistema” [Fraser N. (2022), p. 100], quali l’espropriazione coloniale, il patriarcato, lo sfruttamento del lavoro e la sottrazione di democrazia. Per questo la teoria critica deve tentare di analizzare queste contraddizioni all’interno di un quadro interpretativo che provi a dar conto delle loro interconnessioni. In questo approfondimento, proviamo a mettere insieme alcune dimensioni di questo quadro interpretativo che riguardano il ruolo dell’energia e delle tecnologie di uso generale (“General Purpose Technologies” – GPT) nel produrre e consolidare la transizione a diversi regimi socio-ecologici di accumulazione. [ivi, p. 103]
L’applicazione della tecnologia energetica su vasta scala attraverso l’architettura delle sue infrastrutture è un passaggio essenziale da un regime di accumulazione all’altro. L’importanza delle infrastrutture, infatti, risiede proprio nella loro capacità di istituzionalizzazione del reale [Borghi e Leonardi, 2024, p. 18]. Per comprendere, quindi, i nodi storici e sociali della transizione energetica attuale è necessario mettere in luce il ruolo storico svolto dall’innovazione tecnologica, in particolare in campo energetico, e il ruolo giocato dai processi di infrastrutturazione del fossile nel risolvere le crisi dei precedenti regimi socio-ecologici di accumulazione. Di questi problemi si sono occupati alcuni autori centrali per la riflessione sulle fonti fossili, come Timothy Mitchell e Andreas Malm.
Quest’ultimo si è occupato in particolare del nesso tra innovazione tecnologica e conflitto sociale. Nel suo saggio Long waves of fossil development: Periodizing energy and capital del 2018 si rifà al lavoro di Nikolai Kondriatef che aveva individuato delle fasi cicliche di accumulazione capitalistica della durata di circa 60 anni. Questi cicli, definiti onde lunghe di accumulazione, sarebbero caratterizzati da una fase iniziale di boom, cioè di rapida crescita di produzione e profitti, che cede il posto ad un periodo di stagnazione.
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Attentati e disciplina morale “a gettone” dell’Occidente
di Lavinia Marchetti*
L’Occidente, quando scatta il sangue, sa produrre due cose in tempi brevissimi: una “narrativa” dell’innocenza per chi merita protezione simbolica e un tribunale morale per chi viene trattato come sospetto permanente. Dal 2001 siamo nello stato d’eccezione come norma.
L’islamofobia funziona come tecnica di governo dell’emozione pubblica. Trasforma un crimine in indizio di identità, così si sposta più facilmente l’attenzione dall’autore di un gesto alla sua “appartenenza”, sociale, simbolica. In altre parole estende la responsabilità per contagio.
In questo schema, il musulmano resta chiamato a una prova di lealtà, un po’ come se la cittadinanza fosse un prestito revocabile. A quel punto il discorso smette di parlare di “sicurezza” e inizia a parlare di gerarchia umana.
Bondi Beach, Sydney, 14 dicembre 2025. Una celebrazione pubblica di Hanukkah. Due uomini aprono il fuoco su una folla radunata per “Chanukah by the Sea”. Le autorità australiane parlano di attacco mirato contro ebrei australiani. I numeri dei morti cambiano nel giro di ore, segno tipico delle prime fasi, fra conteggi ospedalieri e aggiornamenti clinici. Siamo intorno ai 16 morti e 38 feriti.
Secondo la polizia del Nuovo Galles del Sud, gli attentatori identificati finora sono un padre e un figlio: Sajid Akram (50 anni), ucciso sul posto, e Naveed Akram (24 anni), ricoverato in condizioni critiche sotto custodia.
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Quando la sinistra tradisce il popolo: la strada che ha portato Kast al potere in Cile
di Fabrizio Verde
Il fallimento del progetto costituente, le concessioni al modello neoliberista e la gestione timida di Boric hanno creato il vuoto in cui è cresciuta l’ultradestra neoliberista
Con il 58,1% dei voti, José Antonio Kast è diventato il presidente più votato nella storia del Cile. La sua vittoria schiacciante su Jeannette Jara, candidata esponente del Partito Comunista ma espressione dell’intero centrosinistra, non è un incidente politico, né un colpo di scena improvviso. È il culmine di un processo lungo sei anni, innescato dal fallimento delle promesse di cambiamento emerse dal cosiddetto ‘estallido social’ del 2019 e accelerato dalle politiche implementate del governo di Gabriel Boric. Il Cile, dopo decenni di tentativi di superare l’eredità di Augusto Pinochet, ha consegnato le chiavi de ‘La Moneda’ a un uomo che non solo ne riconosce apertamente l’eredità, ma la venera apertamente e con orgoglio.
Kast, fondatore del Partito Repubblicano, ha vinto in tutte e sedici le regioni del paese, compresi bastioni storici della sinistra come Valparaíso e la Regione Metropolitana di Santiago.
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Il mondo in mano
di Pierluigi Fagan
Spifferi chissà come motivati e da chi soffiati, affermano che esisterebbe una parte “esoterica” (ovvero non rivolta all’esterno) del recente piano New National Security US di cui sia noi che altri abbiamo parlato di recente.
L’amministrazione Trump ha più volte usato questo metodo di far uscire “unofficial” qualcosa per vedere l’effetto che fa e magari pre-abituare a qualche nuova iniziativa politica. Ma non abbiamo elementi per dire che è questo il caso. Sta il fatto che il sito Defense One ripreso da Politico (di solito serio e ben informato) afferma che alla Casa Bianca circolerebbe una nuova idea di tavolo per le relazioni mondiali.
Si tratterebbe della definitiva presa d’atto almeno di tre fatti.
1) Il G7 rappresenta oggi intorno al solo 15% della popolazione mondiale e comunque una minoranza in termini sia di potere economico, che militare destinata a ulteriore declino. Il G20 ha il difetto di essere troppo grande, non si discutono cose e poi mediano gli interessi di cose molto complesse in venti soggetti (vedi UE), ognuno attaccato al suo irrinunciabile punto di vista. Infine, da tempo, si discuteva della riforma del Consiglio di Sicurezza UN dove non si capisce cosa ci facciano Francia e UK mentre non c’è il più grande paese e quarta economia del mondo (oggi, fra poco terza) e potenza atomica ovvero l’India.
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La Bulgaria si ribella all’Unione Europea e fa cadere il governo pro UE
di Vladimir Volcic
La Bulgaria ha vissuto in questi giorni una vera e propria insurrezione popolare, culminata nelle dimissioni del premier Rosen Zhelyazkov e dell’intero governo, travolti da settimane di proteste contro corruzione, aumento del costo della vita e l’imposizione dall’alto dell’ingresso nell’euro. Le piazze hanno imposto ciò che il Parlamento non voleva concedere: la fine di un esecutivo percepito come braccio locale della burocrazia di Bruxelles.
Le piazze che abbattono il governo
Tutto è esploso attorno al bilancio 2026, con l’annuncio di nuove misure fiscali, aumenti di tasse e contributi sociali, usati come leva per adeguare il paese ai parametri richiesti dall’Eurozona. Le proteste, iniziate a Sofia a fine novembre, si sono rapidamente estese a numerose città e regioni, trasformandosi da contestazione “sociale” a richiesta esplicita di dimissioni del governo.
La sera decisiva, decine di migliaia di persone hanno riempito il centro di Sofia, con cortei che partivano dal Largo e dal Parlamento e si allargavano a perdita d’occhio, mentre manifestazioni parallele si svolgevano a Plovdiv, Varna, Burgas e in molte altre città. Pochi minuti prima di un voto di sfiducia ormai inevitabile, il premier Zhelyazkov ha annunciato in diretta tv la resa dell’esecutivo, riconoscendo che la pressione della strada aveva reso insostenibile la sua permanenza al potere.
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La Cina è stra-vicina
di Lelio Demichelis
Arlacchi ritrae la storia della Cina e le peculiarità di una civiltà che si vede universalista e pacifista. Ma la tendenza a integrare economia, politica e società del socialismo di mercato somiglia a quella del capitalismo liberale. Più che a uno svolta verso il multipolarismo globale, potremmo essere vicini a un’uniformazione totalizzante secondo la razionalità tecnica produttivista
Torniamo a riflettere sui temi nostri – tecnica e IA, capitalismo, lavoro – guardandoli però da Oriente, dopo la lettura dell’ultimo saggio di Pino Arlacchi dal titolo impegnativo se non ultimativo: La Cina spiegata all’Occidente (Fazi Editore, pag. 521). Un libro molto empatico (forse troppo) con il socialismo di mercato in costruzione in Cina – che riprenderemo però più avanti, dopo qualche riflessione iniziale.
Sì, sono davvero lontani i tempi del film di Marco Bellocchio La Cina è vicina (del 1967), dell’analogo slogan filo-maoista, del libro di Enrico Emanuelli del 1957. In quegli stessi anni Mao aveva sentenziato “una fornace in ogni cortile”, in nome dell’industrializzazione forzata del paese, secondo il mantra marxista dello sviluppo delle forze produttive, anche se declinato in salsa maoista. Oggi la Cina è ancora più vicina, così vicina da essere dentro e attorno l’Occidente, ma in modi tutti diversi da allora; eppure sembra anche sempre più lontana da noi Occidente, proponendo un ordine globale multilaterale al posto dell’imperialismo unilaterale euro-americano, basato soprattutto sulla forza e sulla violenza. E le fornaci sono uscite dai cortili e sono diventate industrie, mentre le auto cinesi si promuovono abilmente sui nostri mezzi di comunicazione – e se facciamo caso, sono quasi tutti suv. Con un dato eclatante su tutti: la Cina ha fatto registrare un maxi-surplus commerciale nei primi undici mesi del 2025: 1.076 miliardi di dollari, superando il record precedente di 992 miliardi, però relativo all’intero 2024. L’export verso gli USA è diminuito, mentre quello verso l’Europa è aumentato, i dazi di Trump sono serviti a poco per piegare il nemicocinese.
E poi l’intelligenza artificiale, tema (accanto a quello ambientale – e questo va a suo merito, essendo passata invece l’Europa dal Green Deal al quasi negazionismo climatico nel nome di Mario Draghi e del riarmo) su cui la Cina è impegnatissima, ma anche consapevole dei rischi per il suo impatto sociale, antropologico e sul lavoro.
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Appena esaurita l’illusione, si rientrerà nella Storia
di Fabrizio Russo
Riguardo alla mia visione dello scenario macroeconomico e finanziario, credo di essere stato abbastanza chiaro nei miei precedenti articoli (ed interventi): col passare del tempo, mi aspetto che la dinamica dei prezzi nominali di tutti i beni e di tutti i servizi aumenti, via via che governi e banche centrali, dopo azioni di disturbo e di annebbiamento (leggi “pura e vuota comunicazione”), finalmente daranno forfait e capitoleranno.
Che il processo debba essere questo mi pare oltremodo ovvio: per le autorità, l’unica via di fuga dal disastro irresponsabile – in slow motion sotto i nostri nasi – del crescente, e sempre meno gestibile, accumulo di debito che esse hanno favorito, dove non “consapevolmente” creato, è quella di brutalizzare silenziosamente (a dire il vero, negli ultimi tempi non così “silenziosamente”) le classi medie e basse, usando la mannaia dell’inflazione. Non è elegante, non è morale, ma è storicamente un sistema “affidabile” per “salvare la pelle”, visto che libera politici e banchieri dall’assunzione di una vera ed autentica responsabilità: quindi, ovviamente, è la scelta più comoda e facile (quasi obbligata) da compiere.
Detto ciò, nell’ultimo biennio ho anche, in parallelo, sostenuto (a più riprese) che, una volta che il consumatore e l’economia nel suo complesso – leggi le economie occidentali, specie gli USA – avranno alla fine esaurito le loro forze (e il fiato), non potendo più essere spremuti ulteriormente, assisteremo a un vigoroso evento di deleveraging. Una mossa rapida e violenta verso il basso dei mercati: un bel colpo di spugna che permetterà di annullare anni di denaro facile, speculazioni senza rischi e il finanziamento “ridicolo” e sconsiderato di iniziative e attività che, col senno di poi, sembreranno indistinguibili dal “vuoto assoluto” per la loro inconsistenza (pensate a: Fartcoin, Dogecoin, la “società di tesoreria” Ethereum, SPAC che bruciano contanti come fosse legname imbevuto di benzina, o qualsiasi altro asset la cui utilità principale è generare “meme”). L’ondata di superbia ed euforia che ha pervaso l’ultimo decennio/quindicennio verrà così spazzata via e finalmente soffocata. Un evento che, per essere chiari, “risulterebbe in ritardo” di diversi anni.
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