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A che serve spezzare le reni alla Grecia

Marcello De Cecco

Uno dei problemi dell’Unione Europea è che in qualsiasi momento ci sono elezioni imminenti da qualche parte nei ventisette paesi membri o nei sedici paesi dell’Unione Monetaria. Una parte della classe politica europea è dunque sempre impegnata a organizzarle e disputarle. Gli atteggiamenti che assume nei confronti dei più scottanti problemi europei del momento sono quindi funzionali alla politica elettorale, moltiplicata per ventisette o sedici rispetto a quel che avviene in uno stato nazionale. Lo stesso accade in un grande stato federale come gli Stati Uniti, e le conseguenze le conosciamo da tempo e le vediamo anche oggi. Ora si avvicinano per l’appunto le elezioni nel land della Renania, dove si affrontano non solo governo e opposizione, ma dove i liberali del disinvolto Westerwelle cercano di mantenere le posizioni guadagnate nelle elezioni generali.

Ecco dunque il capo liberale affermare che se non fosse per le malefatte della Grecia i tedeschi potrebbero vedersi ridurre il carico fiscale, come lui promise nelle elezioni generali. Ed ecco il ministro Schauble, dal canto suo, proporre un fondo monetario europeo che è in realtà un letto di contenzione per paesi dell’Unione Monetaria che non rispettano le regole di austerità fiscale. La signora Merkel afferma in Parlamento che i trattati europei (forse intende Maastricht) devono essere cambiati, introducendo la esplicita possibilità di espellere un membro fiscalmente reprobo.

La signora sa quanto ci vuole a cambiare un trattato europeo, ma non si esime dal proporlo come se si potesse fare in pochi mesi.

La destinazione elettorale delle sue affermazioni è evidente, eppure esse sono estremamente pericolose, perché fanno il giro del mondo e suscitano reazioni estremamente allarmate negli altri paesi membri dell’Unione Monetaria.

Mentre la cancelliera parla tanto crudamente, il suo consigliere economico Michael Meister afferma che non è assolutamente possibile immaginare un intervento a salvataggio della Grecia che non coinvolga il Fondo Monetario Internazionale. Rivelando in tal modo che la posizione di esclusione del Fmi sta a cuore veramente solo ai francesi.

Più in generale i politici tedeschi insieme ai loro media assumono l’atteggiamento di chi parla da una posizione di conti pubblici in ordine nel presente e nel futuro. Ma il deficit pubblico tedesco è oggi di più del 5% del pil, tutte le previsioni danno il rapporto debito/pil della Germania lanciato verso il 100% entro il 2014, e la Commissione europea ribadisce tale concetto affermando, mercoledì scorso, che "la strategia di bilancio della Germania non è sufficiente a portare" il rapporto di cui sopra "indietro verso un sentiero in discesa", aggiungendo che Berlino non ha specificato quali tagli di spesa vuol fare dopo quest’anno. La Commissione ha certo in mente i gravi problemi che la Germania incontrerà nei prossimi anni a ridurre le spese per le pensioni e la sicurezza sociale.

Dal loro canto, gli economisti della Deutsche Bank calcolano che per stabilizzare il debito pubblico lordo ai livelli del 2009 nel 2020, il bilancio tedesco dovrebbe esibire un surplus primario annuo del 2,2%, mentre tra il 2003 e il 2007 esso ha realizzato un deficit primario dello 0,3%. Nello stesso studio, naturalmente, così come nelle dichiarazioni della Commissione già citate, i casi di altri importanti paesi europei appaiono anche più gravi di quello tedesco, ma noi vogliamo solo rilevare che tutti questi studi e dichiarazioni non collocano la Germania su un piedistallo di virtù. Riesce a esportare il 48% del suo pil, per due terzi verso gli altri paesi dell’euro, ma può farlo anche perché, avendo creato disoccupazione per la gran parte dello scorso decennio, è riuscita a far aumentare anche in tal modo (oltre che investendo e dedicando risorse alla ricerca) la produttività della forza lavoro occupata e a tenere i salari, a fine decennio, sotto i livelli reali di dieci anni prima. Crescendo poco, inoltre, e realizzando un gigantesco surplus quasi esclusivamente nei confronti dei paesi della Ue e della Ume, si è messa nelle condizioni non invidiabili di essere obiettivo facile per qualsiasi tipo di rappresaglia sul suo commercio da parte dei paesi in deficit.

Tali rappresaglie sono state finora impensabili tra paesi europei. Ma non è detto che debbano seguitare ad esserlo se i tedeschi continuano sulla pericolosa via delle dichiarazioni esplosive e contraddittorie che hanno iniziato a percorrere negli ultimi due anni. Dovrebbero sapere che di una distruzione dello spazio economico europeo le principali vittime sarebbero loro, che tanto vitalmente dipendono dalla libertà degli scambi in Europa e dal proseguire della Ume, che ha impedito agli altri paesi di svalutare, come prima facevano per riacquistare competitività con le merci tedesche.

Viviamo, in generale, in tempi confusi. Sempre dai conti fatti dalla Deutsche Bank si sono appresi i dettagli della somma della crescita del debito pubblico dei paesi sviluppati nel prossimo quinquennio e decennio. Sono cifre che fanno letteralmente spavento. E lo spavento non scema quando si riflette sulla politica intrapresa, su consiglio delle autorità economiche, dalle principali istituzioni finanziarie private dei paesi sviluppati per recuperare profitti dopo i salassi subiti nel 2008 e 2009. Essa consiste nel prendere a prestito dal pubblico denaro a breve a tassi vicini allo zero, usandolo per comprare proprio quel debito pubblico a media e lunga scadenza che i governi sono costretti a emettere, non in piccola parte per finanziare gli interventi di salvataggio delle banche e di altre industrie cui sono stati costretti nel 2008 e 2009. Anche qui si scherza allegramente col fuoco: le banche hanno in portafoglio enormi quantitativi di titoli pubblici dei paesi sviluppati e una caduta del loro valore nominale le espone a perdite massicce nei loro attivi. Esse, tuttavia, non si esimono dal prendere per buone, come se nulla fosse accaduto, le valutazioni che le screditatissime società di rating continuano a produrre sugli stessi titoli, e dal permettere che il sistema di Basilea 2 si basi ancora essenzialmente su tali rating. In aggiunta, le banche si comportano come se sperassero che lo spread tra i rendimenti del denaro che prendono a prestito dai risparmiatori e quelli dei titoli di stato che hanno in portafoglio si allarghi, per la crescita dei tassi a lunga. Ma se i tassi a lunga salgono, il valore di capitale dei titoli di stato che hanno in portafoglio diminuisce. Non sarebbe il caso di ignorare le società di rating, visto che la loro inaffidabilità in passato è conclamata e che non sembrano aver cambiato i loro metodi di valutazione? Certo, si tratta di non guardare l’orologio invece che di fermare il tempo, ma un orologio che dà l’ora sbagliata serve solo a far confusione. Ma forse è proprio maggior confusione che si vuole.

I risultati delle ricerche della Deutsche Bank concordano con quelli della Commissione Ue. Tutti i piani a medio termine di uscita dalla crisi dei paesi sviluppati si fondano su prospettive di crescita che, per i prossimi anni, sono ritenute sia da Ue che da Db eccessivamente ottimistiche. Una visione più sobria del futuro, invece, che sembra assai meglio radicata nella realtà, induce a ritenere che il tasso di crescita delle stesse economie sarà assai minore, e tale da rendere necessario il massiccio ricorso all’indebitamento pubblico da parte di quasi tutti i paesi. La gran parte di essi raggiungerà tra pochi anni la soglia del 100% nel rapporto debito/pil e si sa, dalla ricerca storica di due economisti di valore, Ken Rogoff e Carmen Reinhart, che raggiunto stabilmente questo livello i paesi rallentano la loro crescita dell’1%. Noi italiani possiamo confermare, ma anche i giapponesi possono farlo.

Se da queste previsioni le banche centrali degli stessi paesi fanno discendere la necessità di perseverare nella politica monetaria condotta finora, che ha spinto i tassi a breve a livelli prossimi allo zero, se ne deve trarre la conclusione obbligata che si è deciso che debbano essere anche in futuro i risparmiatori a pagare il conto della crisi e della recessione, tramite i tassi a zero sui loro depositi bancari. Dai calcoli della Db si apprende anche che se dai bilanci pubblici degli stessi stati fosse scaricato il peso dell’aumento previsto per previdenza e assistenza dovuto all’invecchiamento della popolazione, il compito delle autorità nel cercare l’equilibrio per gli stessi conti sarebbe assai più agevole.

Di quanto diminuiranno i consumi privati se i cittadini saranno costretti a vivere con pensioni ridotte e a pagare una parte delle spese sanitarie è facile immaginarlo.

Sarà allora richiesto a tutti i paesi un massiccio sforzo di esportazione, una soluzione di tipo tedesco, generalizzata a tutti i paesi sviluppati, in particolare a quelli europei. Ma se tutti cercano di esportare le merci che i loro vecchi non hanno più soldi per comprare, chi sarà in grado di comprarle, dato che queste merci i paesi sviluppati se le scambiano essenzialmente tra loro e che i paesi emergenti sono a loro volta grandi esportatori netti? E i soldi che i vecchi italiani e tedeschi, risparmiatori inveterati, tengono in banca, chi li sostituirà quando essi saranno costretti a ritirarli per pagarsi la sanità e per far fronte a pensioni più basse?

Visto che a Berlino invece di preoccuparsi di queste quisquilie si minaccia di "spezzare le reni alla Grecia"(e si sa come finì la volta scorsa, quando ci provarono tedeschi e italiani), sarà utile proseguire noi il filo del ragionamento appena iniziato. Supponendo che le banche dei paesi sviluppati, con il "carry trade" tra breve e lungo termine che stanno conducendo, riescano ad accumulare profitti e a restaurare così il proprio capitale, la stasi perdurante delle loro economie le indurrà nuovamente a correre la cavallina sui mercati finanziari internazionali dando vita a nuove bolle destinate a esplodere richiedendo nuovi salvataggi pubblici.

Mentre Berlino se la prende con Atene, e tutto il resto d’Europa <\-> a uso di coro di tragedia <\-> depreca il nuovo corso tedesco, cinesi, coreani, indiani, brasiliani continuano a crescere e a esportare, guardandosi bene dal rivalutare le proprie monete. Le liti nel campo di Agramante li divertono ampiamente perché i paesi sviluppati si preoccupano solo di trovare ciascuno per suo conto soluzioni bilaterali ai problemi con i paesi emergenti.


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