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Al margine del caos

Geopolitica ai tempi dell’era della Complessità

Pierluigi Fagan

debuttanti6 440Cosa sta succedendo nel mondo? Come siamo giunti qui?  Sino all’estate del 2001 vivevamo nel migliore dei mondi possibili, il futuro era bright and happy, il confort delle nostre vite mai così comodo, le nuove tecnologie erano la nostra terza rivoluzione industriale, l’Europa stava per varare la propria prima forma concreta di comunità  ovvero una nuova moneta comune, il G20 si riuniva in Canada per la terza volta e  la guerra una pratica irrazionale che avevamo finalmente superato come stadio evolutivo e per alcuni, addirittura, la storia era finita nel senso che avevamo raggiunto il fatidico inveramento dello spirito assoluto nel capitalismo liberale planetario1. Poi è iniziata, una  prima lenta poi sempre più precipitosa,  sequenza di fatti fuori norma, fatti del tutto contrari a quel sentimento di calma tranquilla e fiduciosa apertura al futuro.

Qualcuno lancia aeroplani civili contro i cristalli dei due simboli della nota skyline di New York, si va in guerra, d’accordo contro l’Afghanistan (?) ma perché anche contro l’Iraq? Poi un altro giorno di Settembre (mese in cui sembra che si formi uno sorta di “tutti i nodi vengono al pettine”) di qualche anno dopo,  salta per aria una delle grandi banche d’investimento americane ed a seguire viene giù tutto il sistema di punta della pompa finanziaria che regge la nuova versione del sistema economico  occidentale, la versione smaterializzata e iperglobalizzata.

Il fenomeno provoca onde d’urto che arrivano in Europa e trascinano verso il fallimento banche e stati. Inizia un tormentato processo di omeopatia suicida per il quale paesi già in grave sofferenza debbono soffrire di più per redimersi, inizia l’Irlanda, poi il Portogallo, poi la Spagna, la Grecia, l’Italia. Come recita il noto proverbio friulano “prima di acquistare un maiale occorre costruire il porcile”, l’intero sistema banco finanziario (il porcile) che regge le dinamiche di quello economico che regge quelle delle società in cui viviamo aveva spinto i paesi PIGS (i maiali)  ad emettere titoli di debito  di cui poi si era rimpinzato ma ora che questi titoli rischiavano di diventare chiffon de papier,  pretendeva nuove garanzie per i suoi prestiti, da cui la regola dell’austerity per la quale s’invertiva il senso di un altro noto proverbio, questa volta chiantigiano che in origine recita “E’ meglio puzzare di porco che di povero”. Così la saggezza popolare che vede le cose dalla sua soggettiva, ma dal punto di vista del sistema circolatorio dei capitali la logica s’inverte e ci si convince che è meglio puzzare di povero che di PIGS.

Ma ad un certo punto, la dinamica planetaria ha un salto di stato e dalla faccende economico-finanziarie, si sale di livello. Inizia uno strano ed improvviso processo per cui alcuni stati del nord musulmano, prima la Tunisia, poi l’Egitto, poi lo Yemen (forse sì, forse no), poi la Libia, prendono a far rivoluzioni. Gioia e tripudio occidentale, sono gli ultimi sussulti della fine della storia, l’adeguazione planetaria al sistema liberal-democratico ? Ma in Libia, c’è un ostacolo, il caparbio e notoriamente intrattabile Gheddafi che dopo ben quarantadue anni di incontrastato dominio verso il quale l’intero Occidente non aveva mai mosso un dito, diventa improvvisamente l’obiettivo da abbattere. L’aviazione franco-inglese con supporto della logistica italiana, s’incaricano di dare la giusta considerazione alle istanze di libertà che gridano su twitter e facebook. L’onda della gentile primavera araba giunge sino in Siria, ma anche lì le questioni s’incagliano nel mentre in Egitto all’improvvisamente improponibile dittatore Mubarak (solo trent’anni di potere, anch’esso mai discusso dagli occidentali)  succede un fratello musulmano. Anche la Turchia sembra iscriversi al club rivoluzionario e fioccano analisi partecipate al pathos del cambiamento, c’è chi spera in un nuovo ’48.  La questione siriana sembra giungere l’estate scorsa, sul punto di rottura dove la rottura è l’intervento militare diretto dei liberatori americani. Ma gli europei sembrano perplessi e i russi mandano la flotta a pattugliare le coste siriane su cui hanno basi mediterranee, anche i cinesi mandano in visita una gentile portaerei, così tanto per farsi dei selfie e dire “io c’ero”, non si sai mai.

Nel mentre, prima un australiano (J.Assange), poi un americano (E.Snowden), tirano fuori prove documentali del dietro le quinte del famoso “smart power” su cui s’impianta la dottrina Obama, diversa da quella Bush non per i fini, ma per i mezzi. Via truppe d’assalto troppo ‘900 (tra l’altro assai poco efficaci ed assai costose), dentro un reticolo di vecchia intelligence umana e nuova intelligence elettronica a far bassa cucina mentre in sala si proietta Hollywood e si paga l’entrata nel sogno in dollari di cui si detengono le chiavi della tipografia. Un giro di valzer sostituisce vecchi ambasciatori dal dry Martini facile con veri e propri agenti strategici che tra corruzione, mercenari, social media, ong, relazioni pubbliche e private, connessioni con reti criminali e malavitose, estremisti e terroristi pronti a tutto, trafficanti di armi, droga, reperti d’arte, coadiuvati alla bisogna dall’esercito elettronico e da quello dei grandi fondi d’investimento, manipolano i tessuti sociali from behind (si tenga conto che questa descrizione è tratta più o meno fedelmente non da un sito complottista-antimperialista, ma da un articolo di analisi del Generale Fabio Mini sull’ultimo Limes).  All’improvviso e di recente, spunta fuori una organizzazione di tagliatori di gole (sciite, cristiane, yazide etc.) iracheni sunniti, che proclama il califfato mentre al Qaida li denuncia come pazzi estremisti (!). Per non farci mancare nulla, Israele decide di risolvere il problema palestinese al grido di “un solo popolo, un  solo stato”, ovvero applicare i passi 16-17 del capitolo 20 del Deuteronomio. E qui si vede all’opera quella strana forma di inversione logica che mentre ci sei dentro ti pare normale, quando la leggi a posteriori nei libri di scuola pensi “ma come hanno fatto le genti di quei tempi a frollarsi il cervello in questa maniera?” . Il pallido oftalmologo siriano Bashar al-Assad  è una belva feroce che si nutre nottetempo del sangue di bambini, i bambini palestinesi sventrati dai missili israeliani sono invece stati lanciati in aria contro i proiettili israeliani, altrimenti chirurgici, da Hamas.

Nel mentre, in questa curiosa storia dell’eterno ritorno alle origini, dopo Babilonia e Gerusalemme, Atene e Damasco, si giunge all’Urheimat, la patria originaria di certo spirito occidentale: l’Ucraina. I più conoscono l’Ucraina più che altro come produttrice di badanti, a volte anche carine. Ma lì pare originino antichissimi popoli (secondo la principale, ma non unica interpretazione) la cui lingua è la radice di tutte le nostre lingue occidentali, che seminomadi, armati e dotati di cavalli, particolarmente cattivi, distruttori e feroci, patriarcali, gerarchici e con una passione irrazionale per le armi e per ciò che luccica (l’oro), seimila anni fa, presero a sciamare verso occidente, mettendo a ferro e fuoco, prima tutta l’Europa, poi anche le costa africana e quella mediorientale. C’è chi sostiene che da loro provenga anche il primo monoteismo (via Siria ovvero quegli Hyksos che dominarono l’Egitto ai tempi in cui Amenhotep IV o Amenofi o Akhenaton dichiarò il dio unico Aton, ma la faccenda è molto complessa)  e qualche buontempone che sostiene che questi fossero i nuclei delle antiche tribù poi diventate “popolo ebraico”. Ma sono solo illazioni. Una versione più recente, di questi popoli (i cosiddetti kurgan) furono i Goti, Visigoti, Ostrogoti, Grutungi e Tervingi (un mai ben chiarito amalgama di scandinavi, polacchi, ucraini, popoli della steppa, centro-asiatici), cioè quei barbari che sciamarono di nuovo (sembra abbiano una passione per l’Ovest, forse seguono il tramonto per vedere dove va a finire il Sole o hanno letto Spengler)2, travolgendo l’Impero romano e costituendo il nucleo di quella aristocrazia terriera e guerriera che dominerà  il Medioevo. Ma stiamo divagando.

In Ucraina, ad un certo punto, accade che una “sommossa popolare” fa fuori un presidente eletto che scadeva l’anno successivo, la popolazione russofona della Crimea si iscrive alla Federazione russa defezionando con democratiche elezioni e quella del confine continentale, prende la via della resistenza armata guerrigliera. Cadono aerei, partono sanzioni contro la Russia, che improvvisamente scopriamo non essere più l’amico ritrovato dopo la Guerra Fredda, ma l’orso imperialista che mutato il pelo sovietico, non ha perso il vizio. Nel frattempo, i russi stringono amicizia a tutto gas addirittura coi cinesi [fatto geopoliticamente che sembra incarnare il più grande spettro di quella recente disciplina che è la geopolitica, tra l’altro fondata da Halford Mackinder, il quale asseriva che chi avesse dominato Heartland ( il "cuore" dell'isola-mondo euroasiatica, dal Volga al Fiume Azzurro), avrebbe dominato il mondo, idea sottoscritta in un suo libro del ’98 ancora dal principale stratega americano Z. Brzeninski], trasferiscono i capitali ad Hong Kong ed assieme a gli altri B(R)ICS, si fanno una banca mondiale con ulteriore pretesa di ridiscutere il ruolo mondiale del dollaro. Limes ci fa addirittura un numero di analisi appena uscito3.

Sta di fatto, anzi sopra i fatti, che ci ritroviamo dopo tredici anni dall’estate del 2001 dall’ esser circondati di sorrisi e speranze radiose, all’esser circondati da schemini che fanno la comparazione degli arsenali nucleari est-ovest, articoli sulla nuova Guerra Fredda, come si passa e se si passa e quando si passerà da quella fredda a quella meno fredda, se e quanto sarà calda, paroloni come “genocidio”, “sanzione punitiva”, “attacco preventivo”, operazione “false flag”, “nuova Norimberga”, Obama che convoca gli ambasciatori africani e domanda loro perché fanno traffici coi cinesi, premier giapponese presenta 505 pagine che denunciano l’espansionismo cinese nel comune mare, Roubini che da Davos twittava che lì si discuteva con nonchalance di un 2014 uguale al 1914 e pare che buona parte dell’élite finanziaria sappia già cose che a noi umani sfuggono.  Rappresentanti dell’ONU che piangono in televisione perché non solo si violano pesantemente i diritti umani ma perché più che altro sembra che a nessuno interessi più nulla della categoria “diritti umani”, si richiamano ambasciatori, si chiudono spazi aerei, si alzano barriere doganali, il WTO e la gloriosa globalizzazione è archiviata, si parla solo di trattati (ce n’è uno Trans-Atlantico che verrà firmato da USA ed europei forse già alla fine di quest’anno ed uno Trans-Pacifico che invero nessuno si fila) e si fanno ritorsioni sulle ritorsioni, le propagande vanno a pieno volume, l’odio comincia a serpeggiare, chi inneggia a Stalin, chi ad Hitler, la Polonia ai polacchi! chi sbandiera la shoah, chi il Pil in recessione, è colpa loro! No, è colpa loro! La misura è colma, adesso agire! Ciliegina finale, scoppia anche una epidemia incurabile che alza l’isteria collettiva e renderà l’Africa un lazzaretto.

In romanesco c’è l’espressione “buttarla in caciara”. La “caciara” è la gran confusione in cui tutti urlano e non si capisce più niente. La si butta in caciara, ovvero si pilota scientemente il movimento dell’ordine al disordine, quando si pensa di aver meno problemi a condividere un casino generale, rispetto alla certezza di andare incontro ad un casino personale. Nel casino generale, si stemperano gli effetti del casino personale, un problema più piccolo è risolto affogandolo in uno più grosso. Ma come, non eravamo alla fine della storia?

E’ del tutto evidente che l’Occidente sia finito in un errore di sistema, il sistema non funziona più. Per tenere stabili tenori di vita ed organizzazione sociale, si è inondato il sistema economico di denaro. Il denaro in generale anticipa la sua concretizzazione in ricchezza, ma se si continua ad immetterne in tali quantità, significa che la ricchezza reale non tiene il passo con le nostre aspettative ed invece di rivedere le aspettative, si immette denaro “come se” questo fosse ricchezza reale. Non essendola, esso crea un beneficio pari alle sostanze stupefacenti che regalano qualche mezz’ora di vita spensierata irreale, nel mezzo di una vita reale duramente preoccupante. E’ una vacanza. Pompare denaro sperando che questo si converta in ricchezza reale, quando invece è solo debito, è stata una vacanza. La vacanza ad un certo punto è finita e rimane il debito. L’Occidente ha un inestinguibile debito con il futuro. Questa significa che gran parte della partite attive dei bilanci, pubblici come privati, sono false. Questo significa che molte istituzioni (private e pubbliche come ad esempio gli stati) che hanno bilanci sono tecnicamente in fallimento anche se si fa finta di credere a bilanci in cui sono scritte cose della stessa sostanza dei sogni. Il loro fallimento sarebbe la nostra rovina, come investitori e detentori di capitali (grandi e piccini, ad esempio BOT, CCT e fondi pensione, ma anche pensioni tout court, il che per una civilizzazione sempre più spostata sulla terza età non è bello), come lavoratori e come cittadini, che nel sistema moderno occidentale sono la stessa cosa. Nessuno quindi ha la convenienza,  ha il coraggio, la forza e l’interesse a dire che il re è nudo e tutti continuiamo a far finta che abbia sontuose vesti. Per continuare a reggere la farsa, dobbiamo altresì rimuovere, distrarci, negare, reinterpretare e violentare la realtà intorno a noi per renderla compatibile con le nostre astratte aspettative. E perseguitare tutti coloro che con la loro sola presenza, ci ricordano la realtà della nostra nevrotica condizione di -negatori della realtà-.

L’improvvisa sterzata verso la strategia della tensione, specie quella contro la Russia, la Cina e tutti coloro che minacciano il monopolio della realtà americano-occidentale è la conseguenza di questa strategia delle dosi crescenti di droga per mantenere almeno stabile il paziente. Il paziente siamo noi. Siamo noi che bombardiamo Gaza, noi che ci prepariamo alla guerra Russo-Ucraina, noi che contrastiamo l’inevitabile multipolarità a cui è destinato un mondo di 7-10 miliardi di individui. Noi stessi siamo quelli che hanno contribuito a creare questa recente inflazione di complessità, non calcolando che avremmo creato le condizioni che rompevano il precedente quadro in cui siamo prosperati per un secolo e mezzo. Se non siamo noi in prima persona, siamo noi che permettiamo a qualcun’altro di farlo in nome e per conto nostro. E’ il nostro modo di stare al mondo che sta creando il problema che rischia non solo di eliminare il suo modo di stare al mondo, ma rischia anche di problematizzare il nostro semplice “esserci”. Il mondo è cambiato, noi ci rifiutiamo di farlo.

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La tensione è una energia creata per raggiungere quale obiettivo? L’obiettivo è innanzitutto perseguito da un agente e l’agente sono gli USA, poiché gli USA sono il principale soggetto intenzionale del mondo e dell’interesse occidentale e gli USA hanno un problema, un grosso problema. Gli USA possono solo perdere, perdere quote di mercato, di potere, di controllo, di influenza, quindi in una parola di “potenza”. Non possono accrescere quella potenza poiché viene da un cinquantennio in cui già raggiunse i suoi massimi. Non possono mantenerla a quel livello perché il mondo è cambiato ed oggi sono tanti i soggetti stato-nazionali, dotati di forza militare, con interessi economici-finanziari concorrenti con quelli americani ed occidentali in genere. Se gli USA continuassero a favorire l’espansione di questi soggetti continuerebbero a travasare potenza da loro a questi e questa non è certo una via perseguibile. Se gli USA decidessero di combattere tutti i competitor contemporaneamente perderebbero prima di iniziare poiché il problema è tropo grosso e complesso per un solo soggetto ordinatore. Lo stesso fatto che le trame di spionaggio elettronico abbiano in target “tutto&tutti” dice: a) che non esiste una struttura più semplice del grande complesso, non esiste cioè qualcosa controllato il quale si controlla il tutto; b) il tutto è più della somma delle parti perché gli Stati Uniti già controllano molte parti come buona parte della banco-finanza, la moneta internazionale, il potere militare, la cultura di massa, ma evidentemente non basta; c) gli Stati Uniti hanno vitale necessità di controllare questo tutto perché è dal suo precedente controllo che hanno tratto la qualità del loro modo di stare la mondo. Ma sia a), che b) che soprattutto c), dicono anche che per loro la situazione è disperata, semplicemente perché il tutto ha una complessità non più controllabile gerarchicamente da un soggetto unico.

La strategia americana è allora non troppo misteriosa e per certi versi assai razionale, in pratica, l’unica cosa possibile da fare: contenere il declino. Contenere il declino significa reificare lo stato delle cose dal punto di vista USA, o con noi, o contro di noi. Dicotomizzare il mondo è la via più tradizionale della cultura occidentale da quando i zoroastriani ipostatizzarono il Bene ed il Male. S’intenda il modello dal punto di vista analitico, lasciamo perdere il suo contenuto di giudizio e della pretesa morale oggetto di propaganda infantile ed ideologia mass market, concentriamoci sulla forma semplificante: Io – non Io. Il mondo è diventato troppo grande e complesso per esser controllato in via strettamente gerarchica da un soggetto solo, bene, dividiamolo in due parti e manteniamo il controllo su una parte, sperabilmente e nella intenzioni, la parte più grande e succosa. Dall’altra parte ci saranno i due soggetti più irriducibili, quelli che gli USA non potranno mai controllare: i russi ed i cinesi.

Si prendono tutti gli amici degli USA e tutti i potenziali nemici della Cina e si offre loro un trattato economico-finanziario che accresca il livello di globalizzazione quanto ad intensità anche se dentro una areale inferiore al mito del pianeta-unico-villaggio. La globalizzazione prima versione era stata una risposta per altro non troppo meditata, all’improvvisa caduta del Muro di Berlino che tutti ricorderanno esser stato un evento non previsto. Nel tempo, dopo una prima illusoria fase di successo e gloria, la globalizzazione ha favorito la crescita dei competitors e la decrescita di chi l’aveva promossa. Dentro questo piccolo mondo del Pacifico, varrebbe la indiscussa leadership USA, sia militare, sia geopolitica, sia finanziaria (incluso lo standard del dollaro), quindi economica, quindi politica. Si creeranno continui e crescenti momenti di tensione tra questo “piccolo mondo” e la Cina, s’inviteranno i soggetti di questo “piccolo mondo” ad investire in armi (che verranno gentilmente offerte dagli americani stessi con beneficio in entrata per via delle vendite ed in uscita per via del risparmio del’investimento in prima persona, si vedano le recenti accorate televendite europee di Obama) e tanto più tensione si creerà e tanta più tensione porterà i vicini della Cina ad armarsi, tanto meno la Cina potrà allargare la propria area d’influenza economica e tanto più sarà costretta a deviare spesa interna per armarsi a sua volta. Questo, non solo contiene l’espansionismo economico cinese, ma crea le premesse per un auspicabile collasso interno poiché se la Cina dovesse rallentare o addirittura sospendere la sua crescita, deviando investimenti dal produttivo al difensivo, si creerebbero retroazioni devastanti per il sempre complicato ordine iper-complesso del  Paese di Mezzo. Col tempo, si può addirittura sperare di aiutare da fuori, il crearsi di questi focolai di disordine interno, accelerando la creazione di una ragnatela di caos che impigli per molto tempo, il competitor più temibile. “From behind” significa che formalmente gli USA non compariranno e i cinesi non potranno inondare il mercato con i loro titoli di debito pubblico di cui sono i maggiori detentori, senza con ciò, formalizzare una Pearl Harbour. E comunque a quel punto andrebbe anche bene, tanto quei titoli di debito sono inestinguibili.

L’altro competitor, la Russia non è tra l’altro da intendere da solo ma come minaccia del venirsi a creare di una pericolosa ed esiziale relazione Europa-Russia. Di per sé la Russia non è un competitor economico e finanziario, lo è in minima parte dal punto di vista geopolitico e lo è precipuamente da punto di vista dell’armamento non convenzionale e come produttore di energia da esportazione (sopratutto ora che si potrebbe pensare ad un collocamento estero di un po’ di shale gas/oil). Basta che la Russia dica no, questo non potete farlo, come accadde l’altro anno in Siria e i margini di manovra americani si riducono drasticamente e si rimediano anche vistose figuracce che erodono credibilità di potenza. E si ricordi che il concetto di potenza vive di un nucleo duro di realtà oggettiva ma soprattutto di una ampia corona di credibilità e potenzialità. Il lato più preoccupante per gli americani è il venirsi a creare di una naturale rete di relazioni tra Europa e Russia, anche perché sarebbero di modello per le altre ed ancor più preoccupanti possibili relazioni Europa-Cina. Ci manca solo che si venga a creare un megareticolo di scambi di energia e tecnologia, investimenti e compravendite, culturali ed umani tra Europa, Russia e Cina, intorno ai quali ruoterebbero Giappone, India, Africa e Sud America  per fare degli Stati Uniti, la isolata periferia del mondo. E’ tra l’altro proprio questo che sognano di fare russi e cinesi, cooptare la ricca e poco militarizzata Europa, in una formazione reticolare comune che travasi ricchezza, mezzi, innovazioni e destini, di qua e di là, con enormi e longevi benefici comuni per i prossimi decenni. A quel punto, si dovrebbero unire anche gli Stati Uniti e tutto continuerebbe come negli ultimi felici anni. Pace e prosperità, quale condizione migliore per darsi un futuro?

La stessa questione ucraina da molti descritta come un O.K. Corral USA vs Russia, ha forse più contenuti strategici rivolti a gli europei di quanto non si noti. E’ il modello di pacifiche relazioni economiche (energetiche, finanziarie) tutti vs tutti il target, modello di cui oggi il grande beneficiario europeo è la Germania. E’ la Germania, passiva se non contraria in tutti i recenti atti di guerra verso Iraq, Libia, Siria, la Germania rivolta all’Europa dell’Est, alla Russia, alla Cina, il possibile terminale delle due nuove vie della seta che i cinesi stanno stendendo per mare e terra (nonché terminale dell’ipotetica rotta artica di recente segnata da un primo cargo cinese accompagnato da rompighiaccio russi). E’ quella stessa politica di austerità che la Germania impone a tutta Europa, una politica simmetrico contraria a quella della Fed, una politica che rende l’Europa a-sincrona rispetto a gli USA. Quale TTIP funzionerebbe con una Europa depressa e in recessione? Come potrebbero gli europei dedicarsi all’acquisto di armi con lo spettro del pareggio di bilancio? Per questo Merkel ha dato grande risalto alla faccenda spionistica che era per altro ben nota da tempo, c’è un attrito radicale USA vs Germania dietro la faccenda Ucraina e la facciata dell’accordo sulle sanzioni.

Gli Stati Uniti quindi non vogliono la coppia aperta e vogliono  costringere gli europei alla monogamia occidentale, suggellata da un pari trattato, Tpp per l’area del Pacifico, Tttip per l’area dell’Atlantico. Gli strateghi americani individuano allora facilmente l’hot spot del dove far accadere il punto di svolta che inverta il corso della storia: l’Ucraina. L’Ucraina ha il suo peso demografico ed ha una contrastata storia di relazioni problematiche con i russi, recenti e lontane , è parte di quella area di mezzo tra l’occidente europeo e la Russia sovietica nella quale si trovano non solo i più motivati alleati anti-Russia e quindi i più motivati potenziali alleati per la NATO, è l’area su cui si posano le mire espansionistiche tedesche che è il soggetto dominante di quella dissennata macedonia che è “Europa”. L’Ucraina è l’area su cui transitano le vie gasifere che sempre più collegano Europa e Russia e se si risolve il problema energetico per gli europei, creando un incidente che interrompa o riduca la fornitura russa, si crea un danno gigantesco al soggetto russo ed assieme ad altri incidenti che nel frattempo avranno messo sotto tensione i reciproci rapporti, sarà facile spingere al dis-fidanzamento euro-russo e soccorrere la vecchia signora con una bella proposta di matrimonio finanziario-energetico-economico-militare che chiuda per sempre con la fase della globalizzazione planetaria ed apra a quella “o con noi o contro di noi”. Sarà poi facile ripetere il modulo anche con gli approcci cinesi che sono ancora ad uno stadio di corteggiamento.

Fatto ciò, separata l’Eurasia, costruite due reti afferenti al centro statunitense, una orientale, l’altra occidentale, contenuti e problematizzati da continui incidenti, tensioni, sanzioni, accuse, i due soggetti russi e cinesi, si procederà con il divide et impera e con il nemico del mio nemico è mio amico. Il divide et impera sarà la strategia verso il Sud America, buoni e cattivi, soldi ed aiuti ai buoni (ad esempio il Cile e il Perù nel TPP), difficoltà e problemi per i cattivi, a partire dall’Argentina e dal Venezuela (sulle quali volteggiano da tempo i corvi del rating). Lo stesso per l’Africa che è il terreno di competizione più aperto e nuovo per il confronto USA vs Resto del Mondo. La strategia del nemico-amico tenderà di coinvolgere ad esempio l’India in funzione anti-cinese e renderà perennemente instabile il Medio Oriente.

E’ una strategia razionale?

Diciamo innanzitutto che per fare una corretta analisi geopolitica occorre svestirsi delle preferenze ideologiche. Questo ambito è forse quello che più di ogni altro risponde al realismo (metodologico) politico  e richiede il massimo di avalutatività weberiana4 o meglio, richiede di -provare- a tenere distinte le analisi dai giudizi.

Innanzitutto occorre comprendere che per gli USA il declino di potenza ha una misura quantistica. Se ne può sopportare gli effetti ma solo fino ad un certo punto. Ad esempio, dentro un mondo di tutti con tutti allacciati in una rete complessa di scambi globalizzati o gli USA mantengono il dominio di ruolo dato dal dollaro, dal Fmi e WB e WTO vecchia maniera o quella stessa rete che venne stesa per accrescere il controllo, la potenza e la ricchezza degli americani, diventa il veicolo per l’ascesa di altri e la discesa che ad un certo punto diventerebbe precipitazione per gli americani stessi. La nuova dottrina Obama, annunciata come “pivot to Asia” nel senso del contenimento della Cina risponde alla logica idraulica per la quale la crescita cinese, oltre un certo limite (che ha già raggiunto dopo la prima fase della globalizzazione) è decrescita americana. L’idea speranzosa di Stati Uniti saggi e paterni che rimangono primus inter pares a governo della rete mondiale degli scambi di tutti con tutti, è wishful thinking, il contrario cioè del realismo. Quando come già è successo, gli Altri si domandano sulle politiche Fmi-WB o WTO o notano il famoso “esorbitante privilegio” del dollaro e cominciano a compiere passi concreti per la messa in discussione di questi parametri arbitrali in mano ad un giocatore, l’idea di continuare sulla via del tutti assieme appassionatamente perde ragione. Si deve cioè comprendere che entro una certa misura per i più può valere l’idea di cooperare per crescere tutti assieme con mutuo beneficio, ma oltre una certa misura, per chi dipende dal controllo esecutivo delle dinamiche dell’intero sistema, la crescita altrui è la propria decrescita.

Si  deve poi capire cosa c’è dietro il concetto di potenza. Per uno stato-nazione se le cose vanno bene sopra un certo limite, allora il sistema stato-nazionale è stabile, ordinato, prevedibile, governabile, se le cose vanno male oltre un certo limite, il sistema diventa instabile, disordinato, imprevedibile ed ingovernabile. Alle volte, la guerra verso l’esterno è l’unica alternativa alla guerra civile, lo stato stazionario è di nuovo “wishful thinking”. Non lo è forse in assoluto ma le cose che andrebbero cambiate strutturalmente nella costituzione degli attuali stati nazione occidentali sono talmente tante e radicali, da mettere l’idea astratta dello -stato stazionario-, fuori gioco, non perseguibile oggettivamente, non immediatamente e non senza una profonda rivoluzione strutturale. O si cresce o si decresce e si può decrescere solo fino ad un certo punto ed ad una certa velocità, ovvero gestendo l’intensità, la velocità e sopratutto il limite al quale deve potersi arrestare il processo di contrazione.

Capire che la potenza è una quantità a pacchetti e ha un limite inferiore e che oltre quel limite inferiore si disgrega caoticamente il sistema di riferimento, serve per capire la differenza tra necessità e possibilità e per leggere la realtà per quello che è e non per quello che ci piacerebbe che fosse.

Gli Stati Uniti quindi non possono né accettare più il sistema tutti con tutti perché gli altri crescerebbero e loro decrescerebbero ed oltre certe soglie precipiterebbero, né possono fatalisticamente ritirarsi dal mondo e curare il proprio orticello casalingo perché gli Stati Uniti dipendono strutturalmente dalla ricchezza che è fuori del loro orticello. Né possono ipotizzare di controllare il mondo recalcitrante inviando forza militare ad ogni angolo del pianeta che si ribella al loro controllo, la misura del mondo e la misura della pur straordinaria forza militare americana non collimano di vari gradi. Sono decenni che gli americani fanno piccole guerre qua e là e o perdono il confronto militare diretto o perdono la pace ed il controllo successivo alla vittoria militare. Anche  i Romani arrivarono alla propri soglia di impossibilità, quando cresce la complessità del mondo oltre una certa soglia, l’Uno non può più controllare Tutto, questa è legge di natura materiale, quindi inappellabile.

Accettare e pilotare la decrescita di potenza, la cosiddetta “ritirata strategica”, ridurre il complesso ad un più semplice, il troppo al meno è allora l’unica via possibile. Perimetrare un nuovo mondo americano includendo gli europei da una parte e i preoccupati dalla Cina dall’altro, nevrotizzare i competitors con un continua strategia della tensione e competere direttamente nei teatri sud americani ed africani lasciando l’entropia mediorientale svolgere il ruolo di sacro fuoco eterno che sempre brucia e si autodistrugge ricordando al mondo cos’è il caos non è a nostro avviso la migliore strategia, è l’unica possibile, credibile e perseguibile, dal punto di vista americano. Quindi sì, questa è una strategia razionale.

Funzionerà?

No. C’è un grosso problema oggettivo. Oggettivamente parlando, tutti e s’intende proprio tutte le entità geopolitiche del pianeta, grandi e piccole, nuove e vecchie, inclusa l’Europa ed alla sola esclusione degli USA, avrebbero interesse e mutuo beneficio a continuare a tessere reti di scambio e relazione pacifica ancorché a volte in competizione, alla Montesquieu. Non è questo il cantico dei cantici della globalizzazione, di interrelazioni econo-politiche se ne possono avere di vari tipi, il modello ’80-’90 era il modello formato sugli interessi anglosassoni, ce ne possono essere molti altri.  Nessuno di questi soggetti è ontologicamente necessitante del controllo del mondo, nessuno sarebbe in grado, nessuno ha tradizioni in tal senso e nessuno sta facendo alcunché per mirare a questa posizione. Nessun analista serio, pensa che il recente accordo russo-cinese sul gas preluda ad un matrimonio organico tra quelli che rimangono due confinanti, quindi due competitor naturali. Se la Russia si rivolge all’Asia, Giappone, Corea e Vietnam hanno subito ed immediato interesse ad avere relazioni coi russi in chiave di riequilibrio della potenza cinese, così l’India. Così la Cina ha immediato interesse a tessere relazione con l’Europa, sia in sé, sia in chiave anti-russa, non si sa mai. Così la Russia ha immediato interesse a tessere relazioni col Sud America, in chiave di bilanciamento del peso di certe esportazioni europee e la stessa Europa se esistesse, avrebbe naturale interesse a mostrarsi più amica ed affascinante a gli occhi sud americani corteggiati da tempo anche dai cinesi. Così per l’Africa, mentre tutto il mondo avrebbe naturale interesse a piombare in forza nel Medio Oriente e mettere le cose in modo tale che quel pezzo di mondo la smetta di destabilizzarsi e destabilizzare tutto il suo intorno. Basterebbe controllare Arabia Saudita ed Israele e lasciar gli arabi trovare il loro modo di stare al mondo, commettendo anche i propri errori così come li hanno compiuti tutti nella Storia.

Detto altrimenti, il mondo multipolare è il modo naturale di funzionare di una entità molto complessa, così in fisica, in biologia, in psicologia, nella sociologia, in economia etc. . Il mondo multipolare è come una festa in cui il totale è collegato dalla stessa intenzione, trarre il massimo beneficio da molteplici relazioni, tutti sono spinti ad avere relazioni con tutti o in sé per sé o per contro pesare i problemi di relazione con alcuni dei tutti. Lo stile di queste relazioni sarebbe rendersi gradevoli, più gradevoli degli altri (dei competitors) e nessuno potrebbe obbligare qualcun altro a fare ciò che non vuole perché tutti gli altri lo soccorrerebbero per farselo amico e depotenziare colui che sta alzando un po’ troppo la cresta. Inoltre, le prime reazioni non ufficiali dei cinesi all’affaire ucraino ed in particolare alla secessione della Crimea, reazioni negative poiché dichiaranti il diritto di qualcuno fuori della tua giurisdizione stato-nazionale di riconoscere coloro che vogliono secessionare mettendo in crisi il principio di sovranità (immaginiamo la secessione del Tibet prontamente riconosciuta ad esempio dagli USA o quella del Xinjang), dicono di quanto sia oggettivamente conveniente per tutti rispettare una qualche forma comune di chiaro diritto internazionale. Del resto, la stessa riserva, i cinesi l’ avevano sull’intervento della CIA nel movimento di piazza Maidan.

Questo reciproco limitarsi che porta ad un dinamico equilibrio, è lo stesso percorso che portò alla formazione delle prime società complesse e secondo il Kant dell’Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico (1784, VIIa tesi) è il fine che la natura implicitamente impone a gli uomini ed alle loro istituzioni statali: “…reperire in questo loro inevitabile antagonismo una condizione di pace e sicurezza…“, che giunga, dopo un lungo e disperante processo di guerre, indigenza reciprocamente patita, devastazioni, tentativi ed errori ad “uscire dalla condizione senza legge dei selvaggi ed entrare in una lega di popoli” (a riguardo, si veda il concetto di anfizionia) in cui ci si possa aspettare sicurezza e diritti non dalla propria unilaterale potenza o impianto giuridico ma da una “potenza unificata e dalla decisione secondo leggi della volontà unificata“. Un mondo multipolare è premessa sistemica per la formazione di questa condizione di reciprocità che formi un equilibrio, diciamo così “naturale”, ancorché come tutti gli equilibri umani, imperfetto.

Con falso acume si sostiene che non c’è alternativa al dollaro, proponendo con ironia lo yuan o il rublo. L’alternativa alla moneta unica di riferimento in mano ad un giocatore è un sistema concordato e controllato da tutti, in cui tutti hanno il pari interesse a renderlo riferimento convenzionale. Non sarebbe un mondo hobbesiano, ma un mondo che si auto organizza come si auto organizza qualsiasi entità molto complessa. Non sarebbero certo rose e fiori, ma non sarebbero neanche spine e funghi (atomici). Inoltre, occorre darsi la prospettiva storica del tempo se si vuole costruire futuro e non pretendere di trovare sistemi d’ordine nuovi, subito pronti a sostituire i vecchi. Vale qui la stessa forma a priori che si usa nella teoria politica del semplice spazio stato-nazionale. Se non c’è qualcuno che comanda c’è il caos, la convinzione antica che legittima la gerarchia sociale e il comando delle élite. Se non c’è qualcuno che comanda (male), l’organismo si autogoverna (meglio), è così che funzionano tutti i sistemi complessi e non per preferenza ideologica ma perché è solo così che può funzionare un sistema complesso a partire da noi stessi, dal nostro corpo e dalla nostra mente che ha una gerarchia assai variabile proprio perché è adattativa.  In pura teoria, in questo stesso mondo ed a queste condizioni potrebbe esserci spazio anche per l’America, senza alcun problema. Il problema è che gli USA non possono accettarlo senza accettare una drastica e repentina riduzione di potenza che retroagirebbe su di loro in forme forse ingovernabili per qualsiasi buona volontà, buona volontà che comunque, e per questioni culturali, e per peso e forma delle élite statunitense, è assai improbabile si venga a manifestare.

Molti analisti sono ciechi di fronte alla complessità. Ragionano con schemi otto-novecenteschi per cui se non c’è l’Uno gendarme, razionale, iperpotente, c’è caos. Ma dal cosmo all’organismo, non c’è nulla in Natura che funzioni in maniera così primitiva. Così funzionava il mondo dei faraoni, degli imperatori, dei cesari e dei kaiser, dei re e delle regine, ma questi sono la preistoria della complessità.

La complessità è auto-organizzazione, le parti hanno relazioni tra loro e tra loro e il loro tutto, non è semplicemente vero che le parti non trovano l’ordine delle interrelazioni senza un imperio ordinativo, è esattamente il contrario. Nessun principio oggettivo, nessuna mente soggettiva ha la capacità di ordinare un complesso, l’unica forma di ordine del complesso e quella che il complesso si dà da sé, per tentativi ed errori, oscillazioni contenute, auto poiesi, adattamenti reciproci che tendono alla stabilità dinamica. Questo è ciò che s’intende quando si dice che la complessità si trova al margine del caos. Il caos è da un parte, l’irrigidimento mortifero minerale è dall’altra, in mezzo a queste due sentenze di morte c’è la pericolosa ed affascinante danza della vita.

A questo valzer delle interrelazioni, sono invitati i popoli con le loro forme stato-nazionali non le aziende o i detentori di capitali o i credenti in un certo dio o qualsiasi altra forma ridotta di comunità umana. Intendiamo dire che la logica degli attori e delle relazioni deve essere sempre politica, poiché è la logica politica quella propria dell’autogoverno delle comunità umane. Logica politica, significa logica sommante gli aspetti economici, sociali, geostorici, culturali, religiosi e non uno di questi dominante su tutti gli altri. La globalizzazione recente è stata invece il tentativo di regolare l’interrelazione planetaria secondo le sole logiche econo-finanziarie, la formazione delle crociate medioevali e l’appello alla difesa dei “valori occidentali” che oggi sostiene il trattato Ttip sono forme solo culturali o religiose o pseudoculturali a sostegno delle sole logiche economiche di potenza.

La filosofia politica moderna nacque nel XVII° secolo, proprio per affermare la logica politica contro l’unilateralità di quella religiosa che aveva dominato il medioevo. Oggi si richiede una filosofia geopolitica che si affermi contro l’unilateralità di quella economica che ha dominato sino ad oggi la modernità occidentale.

La spinta all’assetto multipolare che è ciò che gli americani cercano di contrastare è di natura oggettiva e necessaria, dal punto di vista del complesso-mondo. Per questo, non si vede alcun progresso nella stipula del Tpp del Pacifico, appena si passa dalle dichiarazioni d’intenti alla scrittura dei patti, com’è nel caso dell’import-export USA con il Giappone, le differenze si allargano, gli egoismi primeggiano. Oltretutto son tempo difficili per tutti e nessuno vuol investire impegno e promesse per esiti incerti, esiti economici che la ragione geo-politica tende a sottovalutare come si verifica nel caso delle sanzioni europee alla Russia o a sopravalutare come nel caso del Ttip. Tempi così incerti e fluidi sono semmai da fidanzamento e poi vediamo come va, non da matrimonio ed infatti se il Tpp singhiozza ecco che accordi molto meno vincolanti nella cornice dell’ Asean+3 o del Recp potrebbero essere una alternativa ben più semplice, flessibile e conveniente per tutti.  Per questo la Germania (appena entrata in stallo) non  credo accetterà mai di trovarsi senza Russia e Cina e con l’Est Europa pieno di aziende e banche americane, per questo c’è già la fila a fare accordi con la Russia da parte degli asiatici non cinesi, per questo i russi vanno in soccorso dei sud americani, per questo i cinesi ridono del tardivo interesse obamiano per “gli uomini e le donne africani” ed intanto stendono pazienti le loro vie della seta dirette all’Europa (e comprano di tutto ed a man bassa in Grecia ed Italia) e progettano alacremente la nuova linea superveloce di terra che potrebbe portare da Pechino a Berlino (via Mosca) in poche ore. I francesi consegnano regolarmente portaelicotteri Mistral ai russi, la tedesca Rheinmetall prosegue indefessa i lavori per la consegna di una base addestramento truppe ai russi, i Brics continuano nell’idea di farsi una banca mondiale alternativa, gli indiani approcciano un ipotetico disgelo addirittura coi pakistani, un Putin attivissimo dopo Cina, Argentina e Cuba, stringe accordi anche con l’Iran e così via.

Sia in America che nel Vecchio Continente, le resistenze economico-sociali-politiche ad una nuova infornata di de-regolamentazioni e distruzione non creatrice di interi settori produttivi, inevitabili conseguenze dei nuovi trattati (Ttip), sono un ostacolo difficilmente aggirabile. Continuare a distorcere la natura intrinsecamente politica delle comunità umane, per farle ordinare da un paradigma economico-finanziario che ha e sta mostrando tutti i suoi limiti di adattabilità al mondo complesso, sarebbe l’ultimo passo sulla scala del suicidio storico dell’Occidente.   E’ nell’interesse oggettivo di tutti, tranne che degli americani, tenere aperta la rete delle relazioni politiche multipolari e non fissarsi in alcunché di esclusivo e monotono.

Insomma il disegno bipolare americano ha senso ed è l’unica cosa che possono credibilmente tentare, solo che è assai improbabile che funzionerà per come se lo aspettano gli americani stessi. I prossimi mesi saranno decisivi. Si vedrà che intenzioni ulteriori hanno gli ucraini, quanto gas russo arriverà loro e quanto ne passerà per gli europei, come questi reagiranno alle contro sanzioni russe ed alle pressioni dell’escalation di tensione che gli americani proveranno a mettere in atto, vedremo il comportamento di una Germania che sta pericolosamente rallentando il suo sviluppo e che si troverà di fatto impedita nelle sue relazioni strategiche e vedremo gli sviluppi delle tensioni cino-giapponesi. Vedremo anche quanta fog of war è stata alzata in vista delle elezioni di mid-term americane che si terranno il prossimo Novembre5 e quanto “vediamo un po’ che succede” è stato invero il primo movente dell’acuire la crisi ucraina.

Al bivio, una guerra tiepida con confronti regionali caldi ma convenzionali che però coinvolgerebbero potenze con armamenti non convenzionali  e confronti freddi sul piano finanziario ed economico, una Russia strangolata, una Cina evirata e una Europa che rientra supinamente nei ranghi della nuova NATO economica rivoluzionando i propri assetti interni economici e finanziari, oltreché politici e così gli scontenti del Pacifico, da una parte. Dall’altra una silenziosa defezione generalizzata tanto dal patto TPP che dal patto TTIP, l’infittirsi delle relazioni tra BRICS e non solo, qualche altro incidente di intelligence che potrebbe rivelare apertamente l’unilateralità statunitense. Che la transizione di stato generale del mondo passi per un fase per quanto confusa e disordinata, comunque pacifica o prenda ad oscillare sempre più vistosamente arrivando ai margini del caos superandoli, dipende solo e soltanto da come gli USA ed alcuni avanguardie occidentali, gestiranno il proprio tramonto.

Io ho una dubitabonda preferenza per l’ottimismo. Per fare una grande guerra bisogna essere al minimo in due se non di più e qui, di una grande guerra, hanno apparentemente bisogno solo alcuni  americani. Ciò che può spostare l’ago della bilancia, ciò che pone la mia opinione sul crinale del dubbio è l’interesse del sistema generale occidentale e la natura insocievole, sociopatica ed aggressiva delle élite anglosassoni. Se il sistema generale decide che non c’è altro modo di resettare l’insostenibile bolla di ricchezza fittizia, che questa non è possibile mantenerla in vita ancora per molto, che il suo probabile collasso non controllato getterebbe nel caos più totale tutto il sistema ed in particolare la già provata nostra occidentalità, che l’unica strada perseguibile è “buttarla in caciara”, allora potrebbe concretizzarsi l’ennesimo fallimento catastrofico del nostro modo di stare al mondo.

Se la situazione degenererà non sarà per unilaterale colpa degli USA, ma per una precisa scelta di tutto l’Occidente che è, in questo preciso momento storico, di fronte alla scoglio adattativo del se accettare o meno dei limiti, il che per una forma di civilizzazione basata sull’illimite è scoglio irto, viscido ed aguzzo.  Sarebbe il terzo fallimento in un solo secolo. Nel Grande libro della Storia, rimarremo un trafiletto che cita quella forma di incivilizzazione irrazionale che di sé pensava di essere il massimo compimento della razionalità.

Saremo all’altezza della nostra stupidità?

 

1 F. Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, Milano, 1992.
2 O Spengler, Il tramonto dell’Occidente, Longanesi, Milano (originale 1918-1922). Occidente viene dal latino -occido- cioè cadere (dal Sole che cade). Uccidere, tramontare-cadere ed occidente sono legati dalla stessa radice, quando si dice l’etimologia…
3 Limes; Cina, Russia, Germania, unite da Obama, Agosto 2014
4 Alla quale non si attenne neanche l’autore: “This war in all its atrociousness is still a great and wonderful thing. It is an experience worth having“ dichiarò lo stesso a gli albori del Primo conflitto mondiale. Citazione tratta da questo interessante articolo: http://www.handelsblatt.com/meinung/kommentare/essay-in-englisch-the-west-on-the-wrong-path/10308406.html. Handelsblatt è il principale quotidiano economico tedesco.
5 https://www.aspeninstitute.it/aspenia-online/article/obama-e-la-sfida-del-midterm

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