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Notizie sull'operazione speciale condotta dall'esercito russo in Ucraina
Marzo 2021. In un controllo casuale spuntano duecento chili di banconote. Due quintali di bigliettoni fascettati, mica due buste della spesa. C’erano dentro 28,8 milioni di dollari e 1,3 milioni di euro. Destinazione Ungheria, viaggio di sola andata. Era solo l’antipasto, la portata principale doveva ancora arrivare. Erano passate solo 4 settimane dall’inizio dell’operazione Militare Speciale russa in Ucraina e già la tribù di Zelensky cominciava a mettere al sicuro parte dei finanziamenti europei e statunitensi stanziati per far sì che gli...
Tassare di più gli ultraricchi (non genericamente i ricchi, né tanto meno i benestanti) è perfettamente giusto. Ma politicamente molto difficile. E inutile, se non si accompagni a un blocco della circolazione dei capitali all’estero. Proposte per un prelievo mirato sui milionari affermano quindi un sacrosanto valore di principio, almeno in un’ottica anti-liberista di redistribuzione delle ricchezze. E possono di conseguenza rappresentare armi di contrasto all’immagine di mondo oggi, purtroppo, comune e vincente: quella per cui le immani...
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite lunedì doveva votare su una bozza di risoluzione presentata dagli Stati Uniti per approvare il piano di Trump per Gaza. Il testo prevede in particolare un mandato fino alla fine di dicembre 2027 per un “comitato per la pace” che dovrebbe essere presieduto dal presidente degli Stati Uniti e da Toni Blair e autorizza l’invio di una “forza internazionale di stabilizzazione”. Ma il sito statunitense Axios fa sapere che la Russia ha di fatto già respinto la bozza di risoluzione degli Stati Uniti su...
Mentre proseguono i combattimenti tra l’esercito e le cosiddette “Forze di Supporto rapido” (RSF) e altre milizie in diverse zone del paese, le notizie che provengono dal Sudan sono sempre più terribili. Un’organizzazione medica locale ha accusato le milizie di aver portato avanti un “tentativo disperato” di nascondere le prove delle uccisioni di massa nel Darfur bruciando i corpi delle vittime o seppellendoli in fosse comuni. La “Sudan Doctors Network” ha dichiarato che i paramilitari stanno raccogliendo “centinaia di corpi” dalle strade di...
Dopo l’entrata in vigore della tregua, 10 ottobre, Israele ha violato il cessate il fuoco almeno “282 volte”, uccidendo 242 persone e ferendone altre 622. Né si arrestano le violenze in Cisgiordania, dove gli squadristi israeliani attaccano impunemente i civili che cercano di raccogliere le olive. Ieri, per la prima volta, gli Stati Uniti hanno rotto il silenzio sulle violenze dei coloni: il Capo del Dipartimento di Stato Marco Rubio ha dichiarato che potrebbero mettere in discussione il cessate il fuoco. Una querula, quanto tragicamente...
Questa settimana, l’amministrazione Trump sta promuovendo una risoluzione elaborata da Israele presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) volta a eliminare la possibilità di uno Stato di Palestina. La risoluzione ha tre obiettivi. Stabilisce il controllo politico degli Stati Uniti su Gaza. Separa Gaza dal resto della Palestina. E consente agli Stati Uniti, e quindi a Israele, di determinare la tempistica del presunto ritiro di Israele da Gaza, il che vuol dire: mai. Questo è imperialismo mascherato da processo di pace. Di per...
È uscita la Relazione Tecnica della Ragioneria dello Stato: un testo che conferma l’orientamento liberista della Legge di Bilancio 2026. Leggendolo risulta evidente la continuità con le Finanziarie degli anni precedenti, segnate da un sostanziale equilibrio tra la riduzione dei costi e l’utilizzo della leva fiscale per evitare leggi patrimoniali e progressività delle imposte. Ancora una volta, risorse sempre maggiori andranno alle imprese, specie sotto forma di sgravi contributivi e fiscali, mentre il welfare state viene rifinanziato...
Nei giorni scorsi Abu Mazen è stato a Roma, a rapporto prima dal duo Mattarella-Meloni, poi dal neo-crociato amerikano Leone XIV. Cosa sia venuto a fare non è un mistero per nessuno: è venuto ad assicurare l’Italia (lo stato, le banche e le imprese italiane) che la sua “Autorità nazionale” si muoverà integralmente e fedelmente all’interno del piano neo-coloniale e schiavista di Trump, ma senza dimenticare gli “amici italiani” negli eventuali affari della ricostruzione di Gaza. E lo farà in totale contrapposizione alla resistenza palestinese...
Tra i classici intramontabili della fintocrazia non c’è soltanto la pantomima del conflitto tra politica e magistratura, ma anche il fasullo dibattito sulla patrimoniale, nel quale la destra può recitare abusivamente la parte del baluardo anti-fiscale. In questo “evergreen” della mistificazione politica a fare da sponda al gioco delle parti c’è talvolta qualcuno della cosiddetta “sinistra” che evoca una mitica “tassa sui super-ricchi”, che in epoca di mobilità dei capitali e di concorrenza fiscale tra Stati è praticamente impossibile da...
Lo scandalo affaristico che sta interessando la “democrazia” nazigolpista di Kiev non sembra aver ricevuto la necessaria attenzione sui media italici. Ma, se non ne parlano i media di regime nostrani, lo fa il New York Times e lo fa – forse non casualmente - pressoché in contemporanea con lo svolgersi degli eventi. Dunque, nei giorni scorsi, l'Ufficio Nazionale Anticorruzione (NABU, quel fantomatico ufficio messo in piedi da Washington per il controllo sulle "élite" ucraine) ha condotto una perquisizione a casa del socio d'affari di Vladimir...
Una “cospirazione contro il processo elettorale”. Così, il consigliere honduregno, Marlon Ochoa, ha qualificato il simulacro del sistema di Trasmissione dei Risultati Elettorali Preliminari (Trep), svolto domenica scorsa dal Consiglio Nazionale Elettorale (CNE). Il simulacro del Trep è stato uno degli esercizi chiave per misurare la capacità tecnologica del sistema prima delle elezioni generali del 30 novembre, ma i guasti segnalati hanno generato preoccupazione tra i partiti politici e gli osservatori nazionali. Il CNE non ha ancora...
Il 7 novembre è morto Paolo Virno. Ho iniziato a leggerlo da studente, con i suoi editoriali sul Manifesto. Negli anni ho inseguito, con fatica, le pagine più ostiche dei suoi libri. È un percorso da lettore, non da addetto ai lavori. Non so se agli amici e ai custodi della sua opera piacerà che un lettore qualunque lo evochi, magari risultando irriverente. Ma a me interessa riportare una sua intuizione dentro il presente, farle provocare attrito con ciò che accade. Credo che questa vitalità discreta, più che la devozione, gli sarebbe...
In Materialismo ed empiriocriticismo (1908) Lenin pone le condizioni per la pensabilità della rivoluzione. Il marxismo dogmatico conduceva all’inazione, in quanto la storia era consegnata alle leggi supreme e positivistiche della storia speculari alle leggi di natura, per cui bisognava attendere l’ordine delle leggi. Una delle motivazioni del fallimento del biennio rosso in Italia fu l’attesa incrollabile negli eventi, per cui non ci si adoperò per coordinare le azioni tra operai e campagne, ma si attese la rivoluzione che non si...
Il Paese di Hollywood continua a fare cinema. Come ho scritto nel mio ultimo articolo, “[…] i suoi vertici ricreano ogni giorno un mondo magico e fasullo […]”. E questa è la volta del film sul nuovo sindaco di New York. Zohran Mamdani, che dichiara che i miliardari non dovrebbero esistere, è diventato sindaco della Grande Mela con il supporto di George Soros, il criminale multimiliardario filantropo che da decenni finanzia azioni e progetti sovversivi internazionali. Come dimostra il New York Post attraverso l’analisi di alcuni documenti...
Le parole dell’Ambasciatore Alberto Bradanini sull’inquinamento della politica estera può benissimo essere esteso anche ad altri aspetti del mondo contemporaneo, per esempio il mondo delle grandi opere inutili, imposte e anche molto opache; pure queste nascono da falsità che dopo decenni riempiono ancora la bocca di troppi. La principale è che i problemi economici dell’Italia nascano da un insufficiente sistema infrastrutturale, dall’eccessivo intervento dello Stato nel sistema economico, dagli ostacoli posti al libero dispiegarsi...
Le forze armate russe ormai controllano Pokrovsk dopo quasi venti mesi di combattimenti. La città ucraina è un nodo logistico fondamentale, un centro di controllo delle vie di trasporto e dei rifornimenti. Ora, però, la situazione è cambiata. E, secondo il think tank statunitense Institute for Study of War, conquistare o perdere la ‘fortezza’ non inciderà sullo sviluppo della guerra. Curioso che tale constatazione arrivi solo ora, quando la sorte della strategica cittadina ucraina appare segnato e non nei due anni o nei mesi trascorsi. Una...
L’Unione Europea affina le armi di guerra psicologica e stringe le maglie della repressione: la Commissione Von der Leyen definisce il “Centro per la Resilienza Democratica”, nuovo elemento chiave dello “Scudo della Democrazia”. È stato presentato nei giorni scorsi dalla Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen il documento preliminare che intende creare il cosiddetto “Centro per la Resilienza Democratica”, il nuovo apparato diventerà un elemento chiave del cosiddetto “Scudo della Democrazia” e riunirà esperti dei paesi UE e...
Alla Fiera del Libro di Caracas, Gabriela Jiménez Ramírez, Ministra del Potere Popolare per la Scienza e la Tecnologia e Vicepresidente Settoriale di Scienza, Tecnologia, Ecosocialismo e Salute, presenta i testi pubblicati dal Fondo editoriale del suo Ministero, diretto dalla giornalista Mercedes Chacín. Riflessioni che indicano gli assi attorno ai quali si articola il lavoro di ideazione, formazione e organizzazione del Ministero di Scienza e Tecnologia, e che si configura come uno dei principali motori del processo bolivariano, in...
Qual è la cifra etica dell’occidente contemporaneo? Rispondere non è difficile. È sufficiente cogliere il nesso tra le parole e le azioni. Parole molto note sino a essere inflazionate, sino ad aver perduto il loro spessore, significato e valore. Tra le tante, basterebbero le seguenti: pace, diritto, inclusione, giustizia, libertà. La pace è diventata una minaccia per la peggiore classe dirigente nella storia dell’Europa moderna dalle paci di Westfalia (1648) al presente; forse un analogo, ma in toni ancora alti rispetto al XXI secolo, si può...
Nell'era della disuguaglianza, la vittoria di Zohran Mamdani eletto sindaco di New York, è il segnale di una rivolta per ottenere un nuovo contratto sociale: un capitalismo temperato dalla consapevolezza del rispetto umano. La sua sfida è incommensurabile. Se fallisse, i conservatori rivendicherebbero la propria vittoria; se avesse successo, potrebbe ridefinire la "governance progressista" per le generazioni che si affacciano sul mercato del lavoro. Zohran Mamdani , deputato trentatreenne dell'assemblea statale è figlio dello studioso...
Prese le misure agli svarioni della “sinistra”, vediamo un attimo cosa sta succedendo tra gli opinionisti mainstream alle prese con New York che sarebbe caduta in mano al “socialismo islamico”. O come altro volete chiamare il “fenomeno Mamdani”… Semplice: è il panico totale. Qui in genere si va – specularmente alle paturnie sinistresi – dalla demonizzazione pura e semplice (i suprematisti reazionari) fino al sorrisetto di sufficienza liberale di chi spera che poi, alla prova del “governo”, gli altissimi ideali saranno ricondotti al tran tran...
Trump ha incontrato Viktor Orbán alla Casa Bianca. Un evento di rilevanza primaria se si tiene a mente che a metà ottobre era sul tavolo l’incontro con Putin a Budapest, con il primo ministro ungherese pronto a ospitare il summit. Eppure la visita ha avuto poca eco sui media mainstream dal momento che la distensione Usa-Russia e la conclusione del conflitto ucraino sono avversati con ferocia dal partito della guerra a trazione neocon. E, però, l’incontro segnala che l’opzione è ancora sul tavolo, come peraltro accennato anche dal presidente...
Il via alle elezioni di medio termine del 2026 negli Stati Uniti è stato dato questa settimana con tre elezioni importanti e una altrettanto importante per la ridefinizione dei distretti elettorali tenutasi in California. I Democratici hanno stravinto in tre importanti elezioni (New York, New Jersey, Virginia) così come hanno vinto la proposta di ridefinizione dei distretti elettorali in California. La ridefinizione dei distretti elettorali in California potrebbe garantire ai Democratici altri cinque seggi alla Camera. Ma la lente attraverso...
1) La civiltà umana a livello mondiale sta attraversando una profonda transizione che ha messo in crisi gli equilibri che caratterizzavano la fase precedente. 2) Questo cambiamento riguarda in primo luogo un fatto assolutamente positivo e cioè il venir meno della posizione di dominio del capitalismo occidentale sul resto del mondo. 3) Il declino dell’Occidente capitalistico si riassume nella fine di tre grandi cicli storici: a) In primo luogo è finito il ciclo politico breve, cominciato nel 1989 con il crollo dell’Unione Sovietica, che aveva...
«Una cosa è far finta di aver letto Schumpeter o Keynes e una cosa è far finta di aver letto il ‘Libretto’ di Mao» così, con la consueta divertita ironia, che nascondeva con fare dinoccolato e sorrisi velati da malinconia, Paolo Virno raccontava la postura teorica-politica di Potere operaio, gruppo al quale aderì da adolescente nel 1969. Lo diceva per esprimere ciò che ne aveva tratto: la larghezza degli orizzonti culturali, la necessità di misurarsi coi giganti, anche lontani o nemici, per andare alla radice delle contraddizioni. Con le...
Apprendo la notizia della morte di Paolo Virno. Ricordo che lo ascoltai una prima volta – ma non ricordo la data – a Cologno Monzese per una conferenza, quando la Biblioteca Civica era diretta sapientemente da Luca Ferrieri. Ricordo pure le sue battaglie con Franco Fortini ai tempi in cui facevano insieme ”La talpa”, inserto del “manifesto” e poi alla Casa della cultura di Milano su ”Sentimenti dell’aldiqua. Opportunismo, paura, cinismo nell’età del disincanto” (Theoria, 1990), un libro-manifesto delle generazioni, che Fortini chiamava dei...
Con l’approssimarsi di Halloween l’allarme si è fatto ricorrente. A farne le spese è stata Susan Fatayer, candidata alle elezioni regionali in Campania. La lobby sionista ha protestato presso i vertici di AVS reclamandone l’estromissione. Cosa aveva fatto di male questa signora di origine palestinese che fino a poco prima era una perfetta sconosciuta? Semplicemente una svista nella condivisione di un post, ma tanto è bastato perché si rispolverassero forme di dileggio personale che non si erano più udite dai tempi del Covid (“In leggerissimo...
Nelle democrazie esauste il popolo non vota più per cambiare la realtà, ma per interpretarla. È la finzione fondativa del nostro tempo, il trucco con cui la politica ha trasformato la partecipazione in spettacolo. La destra parla di sicurezza, la sinistra di diritti, ma in entrambi i casi si tratta di linguaggi sostitutivi, surrogati di un discorso ormai proibito: quello sul lavoro. Il lavoro non è più un tema, è una condanna silenziosa, e la povertà non è più un problema collettivo ma una colpa individuale, una macchia morale da nascondere....
Moni Ovadia qualche mese fa lo disse chiaramente che il periodo peggiore sarebbe stato subito dopo il cessate-il-fuoco. L’attenzione internazionale si sarebbe allentata e dopo la distruzione il piano di sostituzione etnica avrebbe avuto il suo acme. Aveva ragione, ma lo sapevamo bene anche noi che sarebbe successo. Come avrete notato la narrazione pubblica sulla Palestina è stata drasticamente ridimensionata dopo il cosiddetto cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Quello che si rivela un falso armistizio, una tregua solo nominale, ha...
La strategia di riavvicinamento al Brasile si basa proprio sullo sforzo di far uscire il Paese dall’“orbita cinese”. Un vizio comune tra analisti e giornalisti geopoliticamente anti-imperialisti è il tentativo di spiegare tutti i conflitti internazionali con la “causa unica” della ricerca imperialista di risorse naturali – quasi sempre il petrolio. È così che viene classicamente spiegata la guerra in Iraq, ad esempio: le “Big Oil” avrebbero sfruttato l’amministrazione Bush per riaprire i mercati, prima chiusi, attraverso bombardamenti e...
Le visioni della Rivoluzione d’Ottobre con cui abbiamo dovuto fare i conti nei decenni trascorsi, possono essere riassunte in almeno due narrazioni fuorvianti: 1) Per la borghesia è stato né più né meno che un colpo di mano, un colpo di stato, da parte dei bolscevichi che hanno così impedito una via d’uscita liberale al crollo dell’autocrazia zarista; 2) Per un bel pezzo della “sinistra” è stata invece una rivoluzione tradita dai suoi sviluppi successivi. Una visione da cui è nata l’ipocrisia dell’antistalinismo che ha impregnato gran parte...
Sarà il caso di fermarsi un attimo a ragionare, dopo aver letto e metabolizzato una buona parte dei commenti “sinistri” sulla vittoria di Zhoran Mamdani alle elezioni per il sindaco di New York. Inevitabile e persino giusto che ci siano molte opinioni diverse, che in tanti scavino tra le sue dichiarazioni – pre o in campagna elettorale – per trovare debolezze, ambiguità contraddizioni con la sua immagine ufficiale (auto-assegnata, e negli Usa era quasi un suicidio politico) di “socialista”. Inevitabile, comprensibile, ma per nulla giusto, che...
Nel caos d’ogni dì del nostro tempo, i fondamentali vanno spesso smarriti. È il caso del dibattito su Trump. Qualcuno lo voleva isolazionista, ripescando una ormai remota tradizione repubblicana. Altri addirittura “pacifista”, non foss’altro che per venire a patti con la realtà di un impero in decadenza. Dopo Gaza, le bombe sull’Iran e sullo Yemen, siamo adesso alle violente minacce al Venezuela. Forse è venuto il tempo di mettere alcuni puntini sulle “i”, di rimettere un po’ di ordine sulla sostanza delle cose. Che è poi l’unico modo per...
Un recente intervento del MIM (Ministero dell’Istruzione e del Merito) ha avuto il doppio merito di chiarire la funzione dei corsi di formazione a scuola e di togliere ogni residuo dubbio sul clima di mobilitazione bellicista cui dovremmo tutti adeguarci in un futuro così prossimo da essere già il nostro presente. Il Ministero ha soppresso un corso di formazione, cui avevano aderito più di un migliaio di docenti, organizzato per il 4 novembre dal Cestes (Centro Studi Trasformazioni Economico- Sociali), annullando l’accreditamento sulla...
Abbiamo seguito da vicino le vicende delle elezioni del nuovo sindaco di New York, Zohran Mamdani, perché sono sintomo, e forse anche un passo ulteriore, nel percorso di crescente conflitto sociale e politico interno agli Stati Uniti. L’arrivo ai massimi livelli della Grande Mela da parte di un musulmano con un programma di governo considerato ‘socialista’. Siamo ben consapevoli di tutte le ambiguità che rimangono, sul piano strategico, nei discorsi di Mamdani: sul ruolo imperialista degli USA nei confronti del ‘cortile di casa’...
Ci siamo, le conseguenze del fallimentare viaggio di Trump in Asia si stanno manifestando nella maniera più grave, quella dell’escalation nucleare. In un mondo in guerra convenzionale, calda e combattuta su più fronti, l’annuncio della ripresa dei test atomici da parte degli Stati Uniti non poteva passare senza conseguenze. Trump da parte sua, non essendo riuscito a sfondare il muro asiatico con i mezzi convenzionali della guerra commerciale, non poteva che tentare un’altra strada. Così ha scelto la via più pericolosa, ma inevitabile, dati i...
Si sente ripetere spesso che il Movimento Sociale Italiano, il partito neofascista che negli anni ’40 intese raccogliere l’eredità del fascismo e della Repubblica Sociale Italiana (RSI), fosse un partito dall’approccio internazionale “terzocampista” che rifiutava l’alleanza con gli americani per ragioni storiche (proprio gli USA erano stati tra gli artefici della caduta del fascismo) e a maggior ragione rifiutava l’alleanza con l’URSS per analoghe ragioni storiche e per evidenti ragioni ideologiche. Questa storiella del “terzaforzismo” inizia...
Il 26 ottobre il presidente russo Putin e il capo di stato-maggiore Valeri Gerassimov hanno annunciato di aver completato il progetto di miniaturizzazione di una centrale nucleare per installarla su un missile. Hanno dichiarato di aver lanciato un missile 9M730 Bourevestnik a una distanza di 14.000 chilometri. La particolarità di quest’arma a propulsione nucleare, quindi illimitata, è quella di poter essere guidata in modo da aggirare i siti d’intercettazione. Secondo le autorità russe, questo la rende non-abbattibile. Il 29 ottobre il...
Di rapporto in rapporto, mettere in evidenza la politica sistematica, deliberata di genocidio portata avanti dall’entità sionista che occupa da decenni la Palestina, è quanto sta facendo Francesca Albanese. Francesca Albanese, relatrice speciale ONU per i territori palestinesi occupati, è stata messa al bando, sottoposta a sanzioni imposte dagli USA. Sanzioni dovute a quanto da lei denunciato, come nelle ultime 24 pagine di Quando il mondo dorme, dove si evidenziano i legami militari, commerciali e diplomatici, perché – riprendendo l’ultimo...
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Aporie della giustizia: Marx a lezione da Rawls
di Ernesto Screpanti
Una teoria “marxista” della giustizia incontra grandi difficoltà a criticare il capitalismo. Per questo bisogna fuoriuscirne cercando di porre la libertà a fondamento della giustizia. In questo modo, si evita anche il rischio di un governo universale della ragione imposto forzosamente.
“Le mie riflessioni prendono le mosse da una constatazione di fondo: il marxismo è uno straordinario edificio che, negli ultimi due o tre decenni, ha mostrato tutte le sue crepe, il suo invecchiamento, le sue difficoltà e le sue aporie. Perciò se si vuole provare a valorizzare quell’eredità è necessario impegnarsi in un processo di ricostruzione di lunga lena”. Così Stefano Petrucciani nel suo ultimo lavoro, A lezione da Marx: Nuove interpretazioni, Manifestolibri, Roma 2012, un libro bello e importante.
Ben sapendo che oggi chi si vuole accostare a Marx da marxista non può limitarsi a rileggerlo ma deve in qualche misura tentare di riscriverlo, Petrucciani mette in chiaro sin dalla prima pagina qual è lo spirito del suo approccio: critico, libero e impegnato. Critico, per evitare ogni forma di dogmatismo e scolasticismo; libero, per trarre profitto dai contributi più validi della filosofia contemporanea; impegnato, per rendere la teoria utile nella prassi politica.
Il pensiero comunista post-sessantotto ha modificato radicalmente i metodi e i temi della teoria critica rispetto ai canoni delle vecchie scuole di partito ma anche rispetto a quelli del “marxismo occidentale”, e ha dato vita a due grandi filoni di pensiero altamente innovativi: il marxismo analitico e il marxismo ermeneutico.
Il primo filone affonda le radici nel contrattualismo e nell’utilitarismo di tradizione anglosassone, oltre che nel criticismo kantiano – radici che non sono del tutto estranee alla cultura dei padri fondatori, se si pensa che il giovane Engels individuava in Bentham la fonte filosofica del “comunismo inglese”, e che il giovane Marx almeno una volta ha civettato con l’imperativo categorico. Oggi convergono in questo filone studiosi come Roemer, Cohen, Elster da una parte e Habermas dall’altra. L’altro filone si riallaccia a una tradizione di pensiero realista che fu molto apprezzata da Marx, soprattutto nelle figure di Machiavelli e Spinoza. I marxisti che oggi si muovono in quest’ambito hanno fatto tesoro delle lezioni di Althusser (specialmente l’ultimo), di Foucault, di Derrida, di Ricoeur e di tutto il magma teoretico che ribolle nel mondo della filosofia post-filosofica.
I due approcci divergono radicalmente nelle impostazioni scientifiche e nei metodi di ricerca, tanto che sembrano costituire due paradigmi impossibilitati a comunicare nonostante il comune riferimento a Marx. Divergono anche nell’orientamento politico, ammesso che se ne possa enucleare uno comune a tutti gli esponenti di ognuno dei due approcci. Pur consapevole delle ire che mi attirerò con questa iper-semplificazione, direi che gli analitici propendono per strategie riformiste e gradualiste, gli ermeneutici per una prassi libertaria e radicale.
Petrucciani si colloca inequivocabilmente nel primo filone e anzi ne è uno degli esponenti più importanti, ché pochi come lui sono stati capaci di sviscerare e approfondire le implicazioni filosofiche dell’approccio. E ha molto da insegnare anche a chi non condivide quell’impostazione. In queste note vorrei tentare di rompere il muro d’incomunicabilità, se non altro per mostrare alcune idee che un comunista libertario può apprendere da uno in cerca di giustizia.
Petrucciani si pone il seguente problema: è possibile ricostruire il marxismo come teoria critica del capitalismo fondata su una dottrina universale della giustizia? Sa che se avesse rivolto la domanda a Marx avrebbe ottenuto una risposta negativa. Ma pensa che questa sarebbe un’incongruenza almeno parziale, ché in molte occasioni il Moro ha esibito atteggiamenti eticamente critici verso il capitalismo.
Prendiamo la teoria dello sfruttamento. I lavoratori lottano per rovesciare il capitalismo perché non vogliono essere sfruttati. Se lo sfruttamento è una forma d’ingiustizia, allora lottano per una causa morale? Lottano mossi da un interesse universale? Petrucciani sa che Marx, memore della teoria hegeliana dell’eticità e della connessa critica alla moralità kantiana, direbbe di no, direbbe che i principi di giustizia sono ideologicamente e storicamente determinati, che in un sistema capitalistico il salario “giusto” è quello determinato dal mercato e che non esistono classi universali.
Ma come si fa a fondare una vera critica al capitalismo come sistema d’ingiustizia sociale, se si cade nel relativismo etico? Petrucciani sostiene che i fondamenti morali della critica devono essere universali. Dunque si domanda: quale può essere una valida giustificazione etica della critica allo sfruttamento? Forse potrebbe essere una teoria basata sulle seguenti due proposizioni: 1) solo il lavoro crea valore, 2) solo il produttore di un bene ha titolo legittimo alla sua appropriazione. Senonché entrambe le proposizioni sembrano mal fondate in Marx.
La prima, secondo Petrucciani, è fallace in quanto è basata sulla teoria del valore-lavoro. Su questo punto però mi sembra un po’ precipitoso, e non perché questa teoria sia valida. Il fatto è che a volte Marx dà l’impressione di trattare la prima proposizione come un teorema e di usare il concetto di “lavoro contenuto” per dimostrarlo. Però la dimostrazione si risolve in una petizione di principio. Si dimostra che il plusvalore coincide con il pluslavoro perché si assume che il valore è “lavoro cristallizzato”. Allora tanto vale prendere quella proposizione come un assioma, invece che come un teorema. D’altra parte, se serve per fondare una teoria normativa, deve essere presa come un assioma. In quanto tale non ha bisogno di essere dimostrata. È valida per assunzione, qualunque sia l’unità di misura del valore, e quindi non è inficiata dai vizi analitici del valore-lavoro.
Più interessante la critica alla seconda proposizione. Richiamando argomentazioni elaborate da Gerald Cohen, Petrucciani suppone che essa potrebbe essere fondata su un principio di giustizia più profondo, quello che Robert Nozick, utilizzando un’idea di Locke, ha riformulato nei termini di un assioma di auto-proprietà: per diritto di natura ogni individuo è libero in quanto è proprietario di se stesso. Ebbene, la proprietà di uno stock implica quella del flusso da esso prodotto (il proprietario di un albero lo è dei suoi frutti). Quindi il lavoratore, se è proprietario del proprio “capitale umano”, ha titolo legittimo alla proprietà del suo prodotto e perciò è sfruttato se i capitalisti si appropriano del plusvalore. Ma c’è un problema. Il diritto di proprietà su una cosa implica, tra gli altri, il diritto alla sua alienazione. Dunque il lavoratore dovrebbe avere il diritto di vendersi come schiavo. Il ragionamento non fa una piega, tanto che Nozick, l’ultra-conservatore pseudo-libertario, non ha esitato a riconoscere che la propria teoria della giustizia deve ammettere la legittimità della schiavitù. Ora, che razza di critica universale allo sfruttamento capitalistico sarebbe una che legittimasse la schiavizzazione dei lavoratori?
Petrucciani conclude a malincuore che la teoria dello sfruttamento non può essere trasformata in una critica del capitalismo fondata su principi universali di giustizia. Qui però vorrei venirgli in soccorso. Le sue conclusioni negative derivano da due atti di generosità: quello di seguire Marx nel trattare la prima proposizione come un teorema e quello di seguire Locke nel fondare la seconda proposizione sull’assioma di auto-proprietà. Se fosse stato più cattivo, avrebbe riconosciuto che Marx sbagliava a credere di aver bisogno di dimostrare un teorema quando avrebbe dovuto limitarsi a postulare un assioma (il che, tra l’altro, ci avrebbe risparmiato tutta la farragine dialettica del primo capitolo del Capitale). Di Locke avrebbe potuto notare la fallacia del ragionamento che vorrebbe giustificare il principio di auto-proprietà: se uno schiavo non è libero in quanto appartiene a un’altra persona, allora un uomo è libero in quanto appartiene a se stesso. Ovviamente è un non sequitur, la conclusione corretta dovendo essere: è libero in quanto non appartiene a un altro.
La seconda proposizione però potrebbe essere fondata su un criterio di giustizia distributiva proveniente anch’esso, secondo alcuni, dal diritto naturale: il cuique suum, un principio che è presente in tutta la storia giuridica occidentale (si trova in Simonide, Platone, Aristotele, Ulpiano, Giustiniano, Tommaso, giù giù fino a Di Pietro, Berlusconi e l’Osservatore Romano). E si trova anche in Saint-Simon e Marx: a ciascuno secondo le sue capacità, almeno nella prima fase del comunismo. Dunque la critica moralista dello sfruttamento può essere fondata su una teoria universale della giustizia.
Ma sono sicuro che Petrucciani non gioirebbe per questo aiutino che gli ho dato. Infatti una tale eventuale teoria della giustizia verrebbe a trovarsi in contraddizione con il principio distributivo che Marx attribuisce al comunismo finale: da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni. Cos’è questa roba? Un’altra filosofia morale? Poniamo che lo sia. Ebbene, i suoi fondamenti giuridici sarebbero non meno universali di quelli del cuique suum, derivando non dal diritto naturale bensì niente meno che da quello divino: “adferebant pretia eorum quae vendebant et ponebant ante pedes apostolorum dividebantur autem singulis prout cuique opus erat” (Atti, 4:34-5). I credenti conferivano il valore di ciò che avevano venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli, dopo di che i soldi venivano distribuiti a ciascuno secondo il bisogno. E chi esitasse ad accettare un fondamento cristiano per un principio distributivo comunista, potrebbe riflettere sul fatto che tale principio regola l’allocazione delle risorse non soltanto nei conventi francescani o nella repubblica gesuita del Paraguay, ma anche in qualsiasi famiglia ristretta e in molte comuni anarco-comuniste fondate sull’amicizia.
Qui però emerge una contraddizione. Una certa teoria della giustizia “marxista” consente di criticare eticamente il capitalismo perché comporta lo sfruttamento dei lavoratori da parte dei capitalisti. Un’altra teoria della giustizia sempre “marxista” legittima una distribuzione dei beni che, in base alla prima teoria, deve essere interpretata come un caso di sfruttamento dei capaci da parte degli incapaci (i secondi, se hanno bisogni eccedenti ciò che producono con le proprie capacità, si appropriano di un sovrappiù estratto dal lavoro dei primi). Come se ne esce? Male, molto male. Marx postula che il cuique suum valga solo nella prima fase del comunismo, quando vigono ancora le leggi e l’etica della società borghese, e che il prout cuique opus est valga nel comunismo finale. Il che vorrebbe dire che il capitalismo viene criticato in quanto ingiusto in base a un principio che è ancora borghese, non comunista. Il principio etico superiore invece non potrebbe essere usato per criticare lo sfruttamento capitalistico perché si limiterebbe a sostituire una forma di sfruttamento con un’altra.
Secondo Petrucciani è per uscire da quest’ultimo tipo di difficoltà che Marx ha postulato che il comunismo finale potrà realizzarsi solo quando sarà stata superata la scarsità dei beni e il lavoro sarà diventato il primo bisogno dell’uomo. Nel qual caso bisognerebbe riconoscere che sarebbe alquanto stramba una filosofia della giustizia che può essere messa in pratica solo in un mondo in cui non serve. Infatti nel paese di Cuccagna non c’è bisogno di alcun criterio distributivo.
Conclusione: Marx non è un buon filosofo morale. Petrucciani ne deduce che per fondare una teoria “marxista” della giustizia bisogna cercare al di fuori del marxismo. Ma prima di entrare in questo campo voglio tornare indietro e porre la domanda: non sarà che il Moro non è un buon filosofo morale perché proprio non è interessato ai principi universali della giustizia? Petrucciani lo riconosce onestamente. È proprio così: Marx per lo più rifiuta ogni tentativo di fondare eticamente il socialismo e la critica al capitalismo. Il suo approccio è positivo, non normativo. La sua vuole essere una teoria scientifica della storia e della prassi politica. I principi etici, per lui, non hanno nulla di universale, poiché sono storicamente determinati e conformati dagli interessi. Non solo prevalgono norme morali differenti in diverse epoche storiche, ma accade che perfino in ogni determinata formazione economica esistono etiche contrastanti in funzione degli interessi delle classi in conflitto.
In questo tipo di approccio la teoria dello sfruttamento non serve a criticare eticamente il capitalismo. Serve ad analizzare le sue leggi di funzionamento e di movimento. E il criterio allocativo comunista non definisce il modo in cui beni devono essere distribuiti in un’ideale società giusta, bensì le modalità con cui i beni verranno di fatto prodotti e distribuiti in una società in cui non ci sarà più “scarsità” o qualcosa del genere.
Il che però solleva un altro ordine di problemi. Ha senso postulare una società in cui è stata abolita ogni forma di scarsità? Petrucciani, ragionevolmente, pensa di no. E si domanda quindi come potrebbe essere difeso quel criterio allocativo per usarlo come principio di giustizia senza ipotizzare sovrabbondanza di ogni bene. La risposta che propone è: Solidarietà. Poiché quel criterio di fatto opera già oggi entro ogni comunità fondata sull’amore, allora una società comunista potrebbe essere considerata giusta in quanto basata sulla fratellanza umana. Non a caso Petrucciani tende a rivalutare il Marx romantico degli scritti giovanili e a rifiutare ogni teoria della rottura epistemologica. Ma deve essersi reso conto che questa via d’uscita è piuttosto debole. Perciò non v’insiste molto e preferisce calcare altri sentieri. Il motivo per cui è debole è semplice: l’amore è un sentimento, e quindi non può essere una norma morale. Se lo si impone come regola di comportamento e come criterio distributivo lo si uccide. La solidarietà non può fondare alcuna teoria della giustizia. Una società basata su un obbligo di assistenza verso gli altri, entro un’economia in cui esiste scarsità, potrebbe ben mettere in pratica il criterio “da ognuno secondo le sue capacità e a ognuno secondo i suoi bisogni”. Per farlo, però, dovrebbe imporre il lavoro forzato, visto che i sentimenti di fratellanza non possono essere imposti normativamente.
Ad ogni modo non era questa l’idea di Marx. È probabile che la necessità della concisione e il rifiuto di scrivere ricette per l’osteria dell’avvenire abbiano indotto l’autore della Critica del programma di Ghota a esprimersi in modo impreciso quando ha voluto descrivere il comunismo finale. Ora proviamo a dargli credito, una volta tanto. E cerchiamo di essere un po’ più precisi di quanto è potuto essere lui. Non c’è bisogno di ipotizzare sovrabbondanza assoluta di ogni bene e assenza di disutilità in ogni tipo di lavoro. Si potrebbe però supporre che il progresso tecnico avanzi a tal punto che i beni necessari a condurre un’esistenza soddisfacente e una vita sociale decorosa possano essere accessibili a tutti e possano essere attribuiti, ad esempio, con un salario di cittadinanza e con dei servizi sociali gratuiti (i beni pubblici sono distribuiti in base al criterio del bisogno e finanziati in base al criterio della capacità contributiva). Che inoltre i robot riescano a svolgere buona parte del lavoro servile necessario per produrre i beni. Che molti processi lavorativi possano essere trasformati in modo che il lavoro umano divenga un mezzo di autorealizzazione. E che il residuo non automatizzabile di lavoro spiacevole e faticoso possa essere ripartito fra tutti i cittadini in modo da ridurlo a poche ore a settimana. A tal fine si potrebbe usare come motivazione la solidarietà dove possibile e, dove non possibile, il reddito come incentivo. È utopistico? Direi proprio di no. Keynes pensava che un mondo simile sarebbe stato tecnicamente accessibile ai suoi nipoti. Oggi i suoi pronipoti, quelli che non trovano lavoro neanche come precari superflessibili, sanno che un mondo migliore è possibile, ma anche che non si può realizzare nel capitalismo. Per tal motivo, poniamo, lottano per il comunismo. Questi giovani hanno bisogno di una teoria morale per indignarsi? O non hanno piuttosto bisogno di conoscenze scientifiche da poter usare per cambiare il mondo?
Devo ringraziare Petrucciani per avermi aiutato a capire perché la teoria di Marx non può essere riscritta come filosofia della giustizia: come tale, sarebbe piena di aporie. E lo comprendo, anche se non lo seguo, quando sostiene che per rifondare eticamente il “marxismo” bisogna fuoriuscirne. Le fuoriuscite esplorate da Petrucciani sono due, entrambe affollate di marxisti analitici.
La prima, aperta da Brenkert e da Lukes, conduce a rivalutare il Marx filosofo della liberazione e a porre la libertà a fondamento di una teoria “marxista” della giustizia. Ora, che il Moro fosse un filosofo della libertà non c’è dubbio. Questa è, diciamo così, la parola d’ordine che ricorre più frequentemente nei suoi scritti politici, molto più di quella inneggiante all’uguaglianza. E si capisce, dal momento che la stessa cosa accadeva in Hegel. Ciò però dovrebbe metterci in sospetto. Soprattutto negli scritti giovanili il Moro insiste sulla libertà e la intende proprio alla maniera di Hegel. Nella Sacra famiglia ad esempio scrive che un uomo è libero “non per la forza negativa di evitare questo o quello, ma per il potere positivo di far valere la sua vera individualità”. La libertà dell’uomo è la facoltà di autorealizzarsi, di attuare la propria vera essenza umana. L’hegeliano “uomo reale” è l’individuo che eleva la propria particolarità al riconoscimento dell’universalità dello Stato accettando liberamente il ruolo che in esso gli è imposto dalla ragione. Ebbene il giovane Marx si limita a sostituite, nella tesi di Hegel, il concetto di Stato con quello di Comunità, però l’idea di libertà è la stessa. Engels l’avrebbe poi sintetizzata in modo apodittico: libertà è la volontà della necessità.
Petrucciani si attacca a questa concezione giovanile e, utilizzando la dicotomia concettuale di Isiah Berlin, interpreta Marx come un filosofo della libertà positiva, libertà intesa come potere di autorealizzazione. Senonché il Marx maturo supera quella concezione, e la supera innanzitutto perché rifiuta la metafisica dell’essenza umana, dell’ente generico come soggetto universale, e poi perché cerca di capire come potrebbe essere concretamente concepito un modo di produzione in cui il lavoratore è libero, cioè non è fatto oggetto della sottomissione al capitalista. La risposta che trova è: “L’autogoverno dei produttori”, ovvero “lavoro libero e associato […] questo è il comunismo”. E qui siamo proprio lontani da Hegel.
Certo che il Marx maturo non sviluppa una teoria organica della libertà, ed è vero che le sue discussioni dell’argomento sono piuttosto estemporanee e non prive di ambiguità, tanto che un’esegesi attenta potrebbe far emergere più di una definizione di libertà, diciamo: almeno quattro. Una di queste – libertà collettiva come regolazione sociale cosciente della produzione – sembra risentire ancora di un’influenza idealista. Petrucciani ha buon gioco nel sostenere che una tale concezione potrebbe portare a esiti illiberali e utilizza un altro scritto giovanile (Sulla questione ebraica) come pezza d’appoggio per la tesi di un Marx poco sensibile alle problematiche dei pur fondamentali diritti civili. Ma in tal modo si preclude la possibilità di far tesoro di concezioni alternative che pure si trovano in Marx, non ultima quella, riproposta da Gramsci, di libertà come possibilità di scelta.
Come che sia, ha ragione Petrucciani: neanche il concetto di “libertà” può essere usato per fondare una soddisfacente teoria marxista della giustizia. Il punto è: come viene usato da Marx? La dicotomia concettuale di Berlin non ci aiuta a capirlo. Peraltro questa dicotomia è stata molto criticata e ampiamente superata dallo stesso pensiero analitico anglosassone. Un fondamentale contributo di MacCallum del 1967 ha aperto un filone di ricerca che, riconosciute le carenze definitorie che stanno all’origine della dicotomia berliniana, ha portato all’elaborazione del più moderno concetto di libertà come facoltà di scelta. Negli ultimi vent’anni poi vari economisti (di orientamento più o meno socialista), come Sen, Pattanaik, Xu, hanno sviluppato formalmente la teoria producendo raffinati teoremi matematici che il Moro avrebbe potuto far propri. Alla luce delle loro concezioni si potrebbero meglio apprezzare certe avanzatissime intuizioni di Marx. E si potrebbe capire che nei suoi scritti politici la libertà è una nozione di tipo descrittivo: serve a individuare le motivazioni che spingono i proletari a lottare per cambiare la propria vita abbattendo il sistema economico che li sottomette formalmente e realmente al capitale.
La seconda strada per rifondare Marx come teorico della giustizia è quella percorsa da quasi tutti i marxisti analitici americani. È una strada che è stata aperta da tre grandi pensatori liberali: Harsany, Rawls e Dworkin. Il secondo, che piace molto a Petrucciani, sviluppa una teoria che combina ecletticamente Kant e Bentham, l’uno per giustificare eticamente l’allocazione dei beni primari (e.g. la libertà), l’altro per giustificare utilitaristicamente quella dei beni non primari (e.g. le patate). Pur polemizzando con Harsany (l’economista che meglio di ogni altro è riuscito a formulare un principio di giustizia universale su basi filosofiche utilitariste), Rawls usa il suo stesso metodo per definire la propria morale economica. Collocati dietro un velo d’ignoranza o in un ipotetico stato originario pre-sociale, tutti gli individui egoisti e razionali sceglierebbero di vivere in un mondo moderatamente egualitario (Harsany) oppure (se hanno un’assoluta avversione al rischio) in un mondo fortemente ugualitario (Rawls). L’universalità della giustizia egualitaria deriva dall’universalità della ragione strumentale: tutti gli uomini razionali, se sono egoisti, avrebbero quelle “preferenze etiche” sulla distribuzione dei beni non primari; nessuno vorrebbe vivere in un mondo competitivo in cui potrebbe nascere disabile o precario. Se si aggiunge kantianamente che anche la razionalità sostanziale è universale, si arriva alla conclusione che tutti gli individui nello stato originario decideranno che pure i beni primari debbano essere distribuiti in modo egualitario. Certo ci si potrebbe domandare che tipo di moralità sarebbe una che nasce dall’egoismo ontologico, e forse Petrucciani si sarà chiesto come conciliare questo tipo di filosofia della giustizia con una concezione della buona società fondata sulla solidarietà.
Ma a me sembra che il problema cruciale sia un altro. Le filosofie morali utilitariste sono molto sensibili alla variabilità degli assiomi. Basta un’ipotesi leggermente diversa, ad esempio sul grado di avversione al rischio degli individui, per avere teorie della distribuzione giusta radicalmente differenti. Nonostante l’universalità della ragione! Per Harsany (che assume una moderata avversione al rischio) sarebbe giusto che chi è dotato di scarse capacità produttive guadagni poco. Per Rawls sarebbe ingiusto. Per Dworkin (che non assume auto-proprietà) sarebbe giusto fornire un’universale assicurazione sociale contro le disabilità naturali. Per Nozick (che l’assume) sarebbe ingiusto far pagare l’assicurazione ai capaci che guadagnano molto.
Il fatto è che ogni teoria della giustizia deve essere fondata su assiomi universali; ma, per quanto è a mia conoscenza, non esiste un solo assioma che sia universalmente accettato. Ora, l’esistenza di una molteplicità di teorie morali non è un problema grave per chi lo affronta nell’ottica hegeliana dell’eticità. In un discorso di etica descrittiva si tratta di spiegare la molteplicità. E la spiegazione di Marx è materialista: esistono etiche diverse perché esistono classi con interessi, preferenze e ideologie contrastanti.
Quel fatto però costituisce un problema serio per i filosofi della giustizia. Le teorie morali sono elaborate nel mondo dell’astrazione, senza tener conto del mondo reale. Ogni filosofo della giustizia elabora la propria e, per definizione, la pone come l’unica giusta, altrimenti non potrebbe considerarla universale. Senonché, quando si confronta con la realtà si rende conto che ne esistono molte, e tutte pretendono di essere universali. E l’unico modo per dar conto della molteplicità è di giudicare erronee tutte quelle diverse dalla propria.
Non è un problema solo astratto, anzi qui risiede la radice filosofica del dramma di tutte le rivoluzioni fatte in nome della giustizia. Lo si capisce se si riflette sulla relazione tra socialismo e democrazia. Petrucciani ci fornisce tutti gli elementi per affrontare correttamente questo problema, senza però fare il passo decisivo per risolverlo. Sostiene, sulla scorta di vari filosofi che ama (Habermas, Rawls, Bidet), che “il senso normativo del concetto di socialismo non può vivere se non trasfondendosi in quello di una democrazia coerentemente pensata”. Ora, la democrazia implica che ogni individuo possa votare secondo le proprie preferenze personali (così Rawls definisce le preferenze non etiche), le quali sono eterogenee. La maggioranza potrebbe decidere, poniamo, che il bilancio pubblico deve essere in pareggio. Tutti devono rispettare le leggi e i disoccupati dovranno adattarsi. È la democrazia, ragazzi! – Direbbe Monti. Ma cosa accade quando si tratta di decidere su problemi di natura morale (supponendo che quelli fiscali non lo siano)? I cittadini dovranno poter votare secondo le proprie preferenze etiche. E anche queste sono eterogenee, pur pretendendo tutte di essere universali, assolute e moralmente vincolanti.
Qui emergono due difficoltà. La prima è che il governo dei filosofi (della giustizia) potrebbe voler imporre ai cittadini comportamenti contrari ai loro principi etici, ad esempio: tutte le donne devono indossare lo chador, anche quelle che non vorrebbero. Come se ne esce? Petrucciani propone rousovianamente che vengano stabilite delle condizioni imprescindibili della democrazia, delle condizioni riguardanti “ciò che nessuna maggioranza democratica potrebbe mettere in discussione, pena la distruzione della democrazia stessa e la sua trasformazione in dittatura”. Tra queste condizioni rientra, verosimilmente, il principio di laicità dello stato, ovvero la regola secondo cui ognuno deve poter seguire i canoni morali che preferisce. Dunque non ci può essere democrazia in uno stato dominato da cattolici integralisti. O gli omosessuali sono giustiziati o i credenti sono privati del diritto di voto. In entrambi i casi non sono soddisfatte le condizioni fondamentali della democrazia.
Il problema della rivoluzione cui accennavo sopra deriva da questo. Il partito rivoluzionario prende il potere e avvia un processo di trasformazione politica, sociale ed economica sulla base della propria teoria della giustizia. Poniamo che abbia il consenso della maggioranza e facciamo un esempio storico significativo. Il partito dei Piagnoni di Girolamo Savonarola rovescia la signoria dei Medici, restaura la Repubblica e la trasforma in una monarchia elettiva, innalzando al trono Cristo Re. Poi proibisce le scollature degli abiti femminili e altre scelleratezze simili. Infine stabilisce che il diritto di voto venga assegnato a un consiglio ristretto di Migliori. Il popolo approva – diciamo, con un contratto sociale originario – rinunciando una volta per tutte al proprio potere. Si tratta di una democrazia giusta? Presumo che Petrucciani risponderebbe di no, sulla base della propria teoria della giustizia. Tuttavia ciò che rileva è come risponderebbe il filosofo che ha preso il potere. E non c’è dubbio che risponderebbe di sì. Perché? Perché l’adesione a una filosofia morale universale implica l’obbligo di realizzarla. Robespierre era moralmente obbligato nel decretare il terrore, e Lenin nello sciogliere l’Assemblea Costituente. Che bisogno c’è di una vera democrazia quando i Migliori governano in nome della Verità e della Giustizia? Peggio: quando le preferenze etiche del popolo possono essere in contrasto con quelle “universali”?
Come si può uscire da questa difficoltà? Il giovane Marx liberale, sulla scorta della lezione di Spinoza, avanzò una sua proposta nell’articolo Sulle recenti istruzioni della censura in Prussia.
Lo Stato morale impone ai suoi membri le proprie intenzioni […], ma se in una società un organo si vanta di essere possessore unico ed esclusivo della ragione e della moralità dello Stato, se un governo si mette in contrasto di principi con il popolo e crede poi che le proprie intenzioni siano generali e normali, allora la cattiva coscienza della fazione crea leggi sulle tendenze.
Leggi sulle tendenze […] sono leggi del terrorismo quali le inventò la necessità di Stato sotto Robespierre […] Leggi che hanno per oggetto non già un’azione come tale, ma le intenzioni della persona che le compie. [Sarebbe] meglio, come quello zar, far tagliare la barba a tutti i cosacchi, anziché porre come criterio del taglio la mentalità con cui io porto la barba.
Come dire: uno stato etico non può essere democratico; o meglio, una vera democrazia non deve essere governata in nome di una filosofia della giustizia. La proposta del giovanissimo Marx per uscire da quella difficoltà era semplice: “La cura radicale per la censura sarebbe la sua abolizione.” Io personalmente sarei ancora più drastico, e proporrei di includere nelle condizioni imprescindibili della democrazia un articolo che toglie i diritti politici ai filosofi della barba universale.
Ernesto Screpanti è Professore ordinario di Economia politica all’Università di Siena. Fra i suoi libri più recenti Comunismo libertario. Marx Engels e l’economia politica della liberazione (Manifestolibri, 2007).
Enrico Grazzini è giornalista economico, autore di saggi di economia, già consulente strategico di impresa. Collabora e ha collaborato per molti anni a diverse testate, tra cui il Corriere della Sera, MicroMega, il Fatto Quotidiano, Social Europe, le newsletter del Financial Times sulle comunicazioni, il Mondo, Prima Comunicazione. Come consulente aziendale ha operato con primarie società internazionali e nazionali.
Ha pubblicato con Fazi Editore "Il fallimento della Moneta. Banche, Debito e Crisi. Perché bisogna emettere una Moneta Pubblica libera dal debito" (2023). Ha curato ed è co-autore dell'eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro" ” , 2015. Ha scritto "Manifesto per la Democrazia Economica", Castelvecchi Editore, 2014; “Il bene di tutti. L'economia della condivisione per uscire dalla crisi”, Editori Riuniti, 2011; e “L'economia della conoscenza oltre il capitalismo". Codice Edizione, 2008
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