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Gli inganni della propaganda intellettuale odierna    

Franco Soldani

Chi non conosce la scienza,
sa ben poco del mondo contemporaneo.

Roland Omnès

In questi mesi a Bologna, per iniziativa del fisico Bruno Giorgini, si stanno svolgendo alcuni incontri intitolati Scienza & Democrazia. Ci si può fare una sommaria idea del carattere degli incontri scorrendo le pagine del blog dedicato all'iniziativa: http://scienzademocrazia.wordpress.com.

Leggendo la traccia preparata dallo stesso Giorgini, Voci per un seminario, siamo rimasti colpiti dal numero e dalla qualità dei luoghi comuni, dalla selva di idee depistanti e dai trucchi cui egli ricorre pur di costruire l'ennesima immagine stereotipata della scienza, ancora una volta del tutto funzionale alla riproduzione del dominio e perciò lontana, troppo lontana da un qualsiasi discorso su cosa possa mai essere oggi la democrazia. Con una scienza come questa e con uomini come questi che la fanno non è possibile alcuna forma di democrazia...

Nello scritto che segue, che proponiamo diviso in sette puntate, Franco Soldani muove dalla critica  all'impostazione degli incontri bolognesi e arriva a disegnare un quadro ben diverso della comunità scientifica occidentale e delle sue prassi. Un quadro dove risaltano le forti compromissioni degli uomini di scienza con i funzionari dei media e con quel cielo invisibile sotto il quale scienza e teologia - dato in pasto alle plebi acculturate dell'Occidente il mito della loro irriducibile querelle - si sono invece sempre rincorse ed abbracciate fuori scena allo scopo di scongiurare un qualsiasi salto di consapevolezza circa l'effettivo stato delle cose da parte dei dominati...

Gli inganni della propaganda intellettuale odierna è uno scritto che contiene una prima articolata presa di posizione di Faremondo in quanto rete di studiosi e luogo per approfondimenti miranti a rendere possibile il salto mentale fuori da questa civiltà.

Indice:

1. Premessa

2. Gli argomenti del cliché

3. Il mondo alla rovescia della propaganda

4. Le imposture dei media e dei loro funzionari

5. I castelli in aria della scienza

6. Scienza e teologia

7. Disegni convergenti


1. Premessa

   Di norma, quando si pensa alla scienza ci si immagina una sorta di regno del rigore concettuale, della dimostrazione impeccabile, della logica geometrica e del nitore intellettuale. Di solito, questo è il ritratto della conoscenza razionale che affiora nell´immaginario sociale. Un sapere rigoroso, testato da ripetute esperienze empiriche, che ci svela il comportamento dei fenomeni naturali. Del resto, che una spiegazione scientifica della natura debba essere in sé coerente, e non possa fare a meno di questo suo status preliminare, è un fatto che discende dalla stessa ragion d´essere della scienza e dai suoi scopi istituzionali. Come potremmo, infatti, mai sottoporre a controllo sperimentale una teoria che fosse contraddittoria? Poiché ex falso quodlibet, il principio di coerenza, oltre ad essere un prerequisito basilare dell´intendersi reciproco, costituisce una premessa irrinunciabile di qualunque rappresentazione scientifica del mondo reale.

   È sempre rispettato questo principio negli ambienti scientifici odierni? Poiché è la cartina di tornasole di ogni spiegazione razionale, dovrebbe esserlo ed inoltre dovrebbe rappresentare un imperativo professionale ed etico degli scienziati nel loro complesso. In fin dei conti, come ha asserito un noto fisico statunitense, Frank Tipler, la scienza implica l´etica e non può farne a meno. A quanto pare, tuttavia, le cose non stanno affatto così. Prendiamo ad esempio il caso di Bruno Giorgini, un ricercatore del Dipartimento di Fisica dell´Università di Bologna (forse poco diverso in questo da qualsiasi altro dipartimento italiano e forse occidentale di fisica). In questi giorni, Giorgini ha pubblicato un documento – Scienza & Democrazia – che fa da cornice d´insieme ad un ciclo di seminari che avranno luogo in città nel corso del 2010 e che saranno «un´occasione», così si dice, «per studiare, approfondire e riflettere». Vale la pena commentare brevemente l´immagine della scienza che emerge dal pensiero di questo studioso. Per cinque ragioni sostanzialmente:

    °    sia perché l´Università di Bologna è pur sempre un´istituzione pubblica e le opinioni che circolano al suo interno, come quelle di qualunque altra importante università italiana ed europea, si espongono istituzionalmente al dibattito e all´analisi;

    °    sia perché del resto, come si avrà modo di vedere più avanti, la discussione pubblica del pensiero scientifico, «per mostrarne le nervature strutturali», qualunque cosa ciò voglia dire, «e le contraddizioni» interne a tutti gli interlocutori, è precisamente uno dei fini dichiarati dell´impresa;

    °    sia perché quello che viene detto a Bologna potrebbe esser detto dappertutto e dunque a modo suo rappresenta un vero e proprio case study;

    °   sia perché si presume che rappresenti le tendenze prevalenti della comunità scientifica di cui fa parte o in subordine, quanto meno, della fisica odierna;
 
    °    sia infine perché il paesaggio scientifico disegnato dalla sua interpretazione delle cose costituisce un modello insuperabile di dissimulazione e di depistaggio.
 
   In questo ultimo addebito non c´è niente di personale naturalmente. Al contrario, anzi. Assumo infatti che il rendiconto in causa sia pur sempre l´espressione di un punto di vista disinteressato e fedele, non artefatto né mendace, sullo stato dell´arte all´interno della disciplina. La sua natura paradossalmente fittizia, come si vedrà, emerge piuttosto da sola, di fatto, dal complesso delle ragioni di cui si nutre il suo dire. Proprio perché sono vere, in altre parole, si dimostreranno false alla prova dei fatti.
      
    
2.    Gli argomenti del cliché


    A fini di chiarezza e per meglio comprendere i sottili significati di cui si sostanzia l´interpretazione in oggetto, distinguo la complessa spiegazione di Giorgini in una sorta di rubrica ragionata in cui vengono inventariati i diversi argomenti addotti per supportarla.

                                  Figure di una mitologia scientifica

                                                             I
In primo luogo, la scienza «è fondata su determinazioni e simmetrie eterne ed oggettive, eternamente ordinate e ripetibili, quindi prevedibili»;

                                                             II
da questo punto di vista, la scienza si differenzia dal regno del «desiderio, del caso, del libero arbitrio, della soggettività, in ultima analisi della politica»: questi domini, infatti, rappresentano «le scienze delle narrazioni tipicamente umane, dove regnano l´unicità, il caso, l´imprevedibile, l´irreversibile»;

                                                            III
la scienza fa tesoro del «metodo critico dialettico» di Karl Popper, metodo «che s´invera nella possibilità di falsificazione» delle nostre spiegazioni dei fenomeni da parte di teorie alternative o da parte dell´esperienza: lo scienziato è una persona che «tenta di falsificare o corroborare la tesi esposta» dal proprio interlocutore o da un´altra scuola di pensiero;

                                                            IV
«La ricerca scientifica e l´invenzione tecnologica sono state lo strumento principale per l´evoluzione umana», in quanto «la strategia evolutiva inventata dall´umanità» – vale a dire, la «strategia del dominio dell´uomo sulla natura» – ci ha permesso «di piegare la natura ai nostri bisogni e di costruire una seconda natura», un grembo artificiale (urbano, biologico e tecnologico) entro il quale la nostra specie ha potuto prosperare per migliaia di anni;

                                                             V
la scienza ha potuto conseguire questi risultati perché in fin dei conti, così perlomeno si afferma sulla scia di Freeman Dyson, è sempre stata «un´alleanza di spiriti liberi», sia in lotta «contro la tirannide» (e «la scienza come sovversione ha una lunga storia»), sia capace di scoprire la natura delle cose tramite «l´invenzione di un linguaggio», fatto che tanto rappresenta «uno straordinario esempio di metodo scientifico», quanto la fonte da cui «si dipana la filosofia naturale fino ai nostri giorni». Con le classiche parole di Einstein, si potrebbe forse dire, a questo punto, che tutte le teorie scientifiche sono sempre state «libere invenzioni della mente umana»;

                                                             VI
da questo punto di vista, si sostiene, il metodo scientifico prende le mosse «dalla critica galileiana del principio d´autorità», si assoggetta esclusivamente al responso dell´esperienza – la cosiddetta «court of last resort» delle teorie, come recita la formula canonica della fisica ufficiale – e si presenta dunque come un sapere che gode di una «totale o quasi libertà intellettuale di ricerca»;

                                                            VII
di conseguenza, la scienza rappresenta anche una grande scuola di democrazia, perché in fin dei conti in origine «scienza e democrazia nascono insieme, intrecciate», all´interno dell´agorà e nel «cuore della polis» greca d´epoca classica, e di pari passo possono nuovamente sviluppare la loro tendenze naturali «in un concreto dispiegarsi di programmi e azioni»;
 
                                                           VIII
il solo modo di corrispondere alla natura più autentica della scienza e fronteggiare i problemi emergenti è quello di introdurre «la scienza, le scienze, nello spazio del dibattito pubblico e della critica sociale». Insomma, si sente «la necessità di una mediazione teorica e critica» che consenta «la trasformazione della scienza, delle scienze, finanche dei suoi metodi e della sua organizzazione» attraverso «una politica democratica di partecipazione alla costruzione e diffusione della conoscenza scientifica». In altri termini: «I cittadini devono entrare nei laboratori e i ricercatori tornare nelle strade, parlando la lingua del popolo»;

                                                            IX
nonostante il fatto che l´esistenza di una «authority scientifica», di «una razionalità condivisa tra i cittadini», persino la promozione del «progresso tecnico scientifico», vengano ostacolati dalla «ideologia e/o dagli interessi di parte» che si annidano nei «semplici rapporti di forza accademici (che possono essere molto brutali nonché ottusi)», è comunque possibile una «politica di cooperazione» tra tutti i cittadini che porti ad «una politica di diffusione dei risultati delle ricerche scientifiche e della conoscenza, nonché dei programmi di ricerca»;

                                                             X
l´etica insita nella scienza, se ha permesso ad una parte della comunità scientifica, all´epoca del “progetto Manhattan”, di manifestare «il suo dissenso» nei confronti «dell´uso dell´arma atomica», nello stesso tempo ci consente oggi di opporci al «delirio» della biotecnologia e dell´ingegneria genetica, interessate a realizzare sperimentazioni «nei laboratori di mezzo mondo», che vorrebbero «manipolare la coscienza» dell´uomo.

   I «seminari di scienza e democrazia» dovrebbero dunque essere i «motori» culturali di questo «nuovo contratto» tra scienza e cittadini, la fonte che ci potrebbe consentire «di tornare alla sovversione galileiana, alla Rivoluzione Copernicana» e sottoscrivere così «un contratto di equità», ovvero di uguaglianza, «tra l´uomo e la natura non più basato sul dominio» e sull´esistenza solitaria della nostra specie come signora e padrona del mondo.

 

3.    Il mondo alla rovescia della propaganda

Il quadro di sintesi sopra descritto costituisce un sistema di enunciati estremamente fitto e solidale, in cui i singoli anelli della catena si tengono insieme l´un l´altro. In linea di principio, se il primo saltasse, si avrebbe un effetto domino epistemologico, a conclusione del quale ci ritroveremmo solo con un cumulo di polvere. È possibile dimostrare che si tratta di un unico, immaginario castello di sabbia? Si, lo è. Per poterlo provare nella maniera più semplice e chiara, conviene prendere in considerazione i diversi argomenti uno per uno e mostrarne la natura intimamente doppia.

 

Primo enunciato

A) Se fosse vera, visto che presume l´esistenza di un ordine deterministico del reale, la prima statuizione entrerebbe subito in rotta di collisione tanto con la teoria del caos, la scuola scientifica capeggiata a suo tempo da Ilya Prigogine, quanto ancor di più con la teoria quantistica odierna (QT), il paradigma attualmente dominante all´interno della fisica internazionale. Entrambi gli indirizzi infatti, e si tratta di due correnti prevalenti della comunità scientifica ufficiale, comprendenti fisici internazionali come Roland Omnès e premi Nobel per la fisica come Georges Charpak, sostengono che il determinismo della natura è morto e sepolto e la conoscenza umana oggi ha carattere solo aleatorio e stocastico, basato su algoritmi e ricette matematiche di tipo probabilistico. L´evoluzione temporale dei fenomeni naturali diventa così in sostanza imprevedibile con assoluta certezza. Il che mette nelle nostre mani un sapere fondamentalmente provvisorio e fallibile (per quanto determinato e umanamente affidabile o FAPP come diceva John Bell, vale a dire utile For All Practical Purpose). Cosa di più paradossale che sostenere l´ordine deterministico della natura in un contesto quantistico che lo proscrive?

B) D´altro canto, esistono scuole scientifiche, interne ed esterne alla QT, che sostengono apertamente la forma deterministica del mondo fisico, giacché senza questa premessa addirittura la scienza risulterebbe impossibile come conoscenza razionale dell´universo. Ne fanno, cioè, una ragion d´essere della sua stessa esistenza e del suo status privilegiato nell´ambito dei saperi sociali. Nell´Ottocento questa convinzione era oro colato per la comunità scientifica del tempo e rappresentava il fondamento primo della sua logica induttiva e del suo apparente successo esplicativo. Tra Ottocento e Novecento Max Planck, Henry Poincaré, lo stesso Einstein, probabilmente l´ultimo fisico classico del XX secolo, e poi René Thom, Henry Stapp, John S. Bell, David Bohm, in tempi più recenti hanno più volte confermato l´attualità e financo la necessità del determinismo per ogni spiegazione conseguente della natura.

C) Il profilo altamente contraddittorio delle due tendenze, entrambe nate e cresciute entro la scienza contemporanea e spesso interne l´una all´altra, oltre a metterci di fronte ad una situazione davvero paradossale per il presunto regno dello spirito razionale, nondimeno smentiscono ambedue lo stesso il primo enunciato che si sta discutendo. La prima scuola lo fa in modo diretto non appena formula i suoi ultimi principi epistemologici. D´altro canto, lo farebbe ugualmente anche se si dimostrasse che ha torto, come ora vedremo. La seconda, d´altra parte, nel mentre sembra corroborare, a rovescio, la tesi di Giorgini e refutare per converso l´altra tendenza, in realtà invalida da sola i propri argomenti, mettendo capo per di più ad esiti eversivi per la scienza nel suo complesso. Vediamo i singoli bandoli di questa matassa.

In primo luogo, la morte del determinismo postulata dalla prima tendenza assume a sua volta che il soggetto scientifico abbia a che fare solo con i fenomeni osservabili e misurabili constatabili nel dominio dell´esperienza. Tuttavia, nella stessa misura in cui assume che esistano solo i fenomeni, visto che questi ultimi, come recita il loro stesso nome, debbono essere l´apparizione e la manifestazione di qualcosa, deve presupporre e non può fare a meno di farlo che essi emergano da un qualche loro fondamento sottostante di natura legisimile. Senza un qualche loro ordine sovrano implicito, i fenomeni non avrebbero mai potuto dar vita al mondo organizzato che vediamo e che è indispensabile all´esistenza della vita sul pianeta (inclusa la nostra specie). Ergo, gli argomenti di cui si nutre la prima scuola implicano il loro contrario e dunque si contraddicono, dovendo presupporre come vero e necessario ciò che invece, per essenziali ragioni di principio, avrebbero voluto vietare. Ciò tuttavia, al colmo del paradosso, non significa affatto che diventi confermata automaticamente la tesi opposta. Se è certo surreale che la QT confuti se stessa, non per questo tale inatteso e indesiderato approdo autentica l´altra tendenza. Tutto il contrario semmai.

* In secondo luogo, infatti, il determinismo della natura, per quanto pensabile da parte della nostra mente e financo indispensabile alla scienza per poter immaginare l´esistenza di un mondo fisico ordinato e stabile, la cui stoffa consta di regolarità monotone e provvidenziali, non è tuttavia in alcun modo testabile e ne è dunque impossibile – in linea di principio e non per ragioni accidentali – il controllo sperimentale. Ergo, ci troviamo nella condizione di doverne supporre l´esistenza, ma nella contemporanea impossibilità di poterne provare la presenza. Il fatto è che se il determinismo è vero, è indimostrabile, e se non ce ne fosse bisogno, ci sarebbe necessario, giacché anche solo poter presumere che esistano unicamente i fenomeni osservabili, è un atto che implica ed esige che si postuli un secondo livello di realtà sottostante al mondo visibile degli enti fisici, al loro apparente ordinamento sistematico.

D) Se le cose stanno così, è allora evidente intanto il fatto che con l´insieme concatenato di questi vincoli, contrariamente a quanto si riteneva, non ci è letteralmente più possibile mettere capo:

I. né a verità «eternamente ordinate»,
II. né tanto meno a teorie «eterne ed oggettive»,
III. né infine ad alcuna spiegazione di «regolarità ripetibili e quindi prevedibili».

Nessuna di queste statuizioni supera il test di controllo del principio di coerenza e quindi debbono tutte ritenersi inesistenti. Oltretutto, poiché presuppongono un fondamento legisimile del tutto inconoscibile, le regolarità osservabili nel dominio empirico dei fenomeni non possono essere ritenute ricorrenze effettive. Per poterle considerare tali, infatti, avremmo prima dovuto dimostrare che rappresentano effetti ordinati di una causa causarum anteriore e più profonda rispetto al loro immediato carattere visibile e additabile. Siccome non possiamo farlo innanzitutto in ragione dello stesso motivo per cui dovremmo, ecco che quella strada ci è preclusa e non potremo mai calcarla. Stando così le cose, come ci ha spiegato David Bohm in un suo splendido aforisma, ogni qualvolta la scienza dice che qualcosa è, non è. E d´altronde, se le fondamenta dell´intero edificio e financo i suoi mattoni constano di materia immaginaria, si potrà mai pretendere poi che i suoi singoli piani e le sue diverse, opulente suite – classiche, moderne, barocche, postmoderne, ecc. – siano fatte di oggetti fisici e arredi reali, tangibili?

E) I multipli riscontri succitati, qualunque sia poi la strada imboccata dalla scienza – esistono solo i fenomeni osservabili oppure essi presuppongono un ordine sovrano sottostante alla loro esistenza –, ci impongono di constatare il fatto che in tutti i casi in questione noi abbiamo a che fare solo con complessi set di nostre assunzioni, con una sorta di pangea cognitiva ed un variopinto universo d´idee avente le sue origini esclusivamente nella nostra mente. Questa fonte e questa natura della scienza sanciscono la fine di ogni mito dell´oggettività e di ogni conoscenza avalutativa, super partes, non arbitraria, indifferente ai valori societari e disinteressata, completamente disincarnata e avente come proprio esclusivo fine la comprensione della verità, la definizione di un sapere senza l´osservatore.
Gli scienziati, anche se sono restii, comprensibilmente, viste le implicazioni di una tale ammissione, a riconoscerlo apertamente, lo sanno bene. Sin dagli inizi.

* Perlomeno sin da quando William Whewell, sulla scia del resto di un classico come Isaac Newton e persino del materialista Thomas Henry Huxley, sulla carta «il rottweiler di Darwin» e dell´evoluzionismo, spiegava al pubblico colto europeo dell´Ottocento che «la natura della scienza è puramente intellettuale e solo la conoscenza è il suo oggetto».
* Sin da quando un fisico del calibro di Erwin Schrödinger, in pieno Novecento, ci faceva sapere che «la mente ha fatto emergere il mondo esterno oggettivo del filosofo naturale dalla sua propria materia», tanto che la presunta differenza tra le due sfere di realtà «non esiste».
* Sin da quando un fisico quantistico di fama internazionale come Bernard d´Espagnat, eminente esponente di punta della comunità scientifica dell´Occidente, ci ha reso noto che «tutta la conoscenza umana è costituita da assunzioni».
* Sin da quando comunque, in tempi a noi ancora più vicini, Humberto Maturana, il famoso scienziato cileno inventore dell´autopoiesi, ci ha spiegato che nella scienza «tutto è cognitivo», incluso il Big Bang, gli innumerevoli enti esotici che popolano la fisica delle particelle e naturalmente le sofisticate categorie della biologia nel suo complesso.
* Sin da quando, l´altro ieri si potrebbe, dire un Accademico di Francia autorevole come François Jacob ci ha infine rivelato una conclusiva verità: «tutto ciò che pensiamo di conoscere in merito al mondo è basato su assunzioni». Vale a dire, si noti la cosa, su principi di ragione indimostrabili, e in quanto tali non-scientifici, giacché in nessun modo assoggettabili ad un qualche controllo da parte di nostri test sperimentali (circostanza che d´altro canto, se fosse realizzabile, avrebbe ben poco senso, giacché qualunque set di concetti non dedotto dall´esperienza, non avendo alcun legame di sangue con questo suolo induttivo, nemmeno potrebbe mai essere sottoposto al suo vaglio, in quanto incommensurabile con la sua natura).

F) Questo inconfessabile e inammissibile sfondo concettuale, inconcepibile per la celebrata logica razionalistica della ragione formale, ma emergente comunque dal suo stesso seno, si trova all´origine anche della logica versatile che si annida all´interno del pensiero scientifico e che si esprime, come si è visto, in una rete flessibile di concetti in grado di fronteggiare più dispute, tra l´altro simultanee, con paradigmi diversi e di far ricorso ad uno sciame di argomenti per tutelare il suo status e scongiurare in anticipo ogni sua, sempre possibile, confutazione da parte di concezioni avverse.
Inoltre, tramite il suo congenito eclettismo intellettuale la scienza, al colmo del suo potere di dissimulazione, è in grado di secernere dal proprio interno anche una varietà di scuole e di tendenze che sembrano presentarla, e di fatto la configurano agli occhi dei soggetti sociali e dell´opinione pubblica domestica e planetaria, come un dominio in cui proliferano in continuazione alternative epistemologiche e modelli esplicativi che la fanno apparire a loro volta come la quintessenza del sapere critico per eccellenza, dinamico, fertile e in costante divenire.
La nascita di questa essenziale forma mentis nell´ambito della scienza, impagabile per le funzioni a cui adempie, rappresenta un fatto che, per un verso, ci è provato dal timore di Einstein di veder svanire con la QT lo status impersonale e oggettivo, e in questo senso aristocratico, della fisica classica e della scienza occidentale più in generale rispetto a tutte le altre forme della cultura sociale. La sua insistenza sul ruolo dell´osservatore tanto nell´organizzare le esperienze, quanto nel determinare i risultati dei test, sembrava infatti portare al tramonto della conoscenza senza l´osservatore e di conseguenza pareva inoculare nella scienza i suoi punti di vista, le sue idiosincrasie, la sue preferenze personali, ecc., reincorporando così l´arbitrario e il soggettivo nel tempio della conoscenza disinteressata. Per l´altro verso, viene comunque portato in primo piano dall´esistenza, a prima vista incomprensibile e financo pregiudiziale per l´unità della scienza, di tutti quegli indirizzi in apparente conflitto reciproco tra loro, tanto all´interno della comunità scientifica nel suo complesso tra una scuola e l´altra (tra neurobiologia e QT ad es.), quanto all´interno di una medesima disciplina (la fisica odierna ad es., e in quest´ambito sia tra tendenze diverse afferenti alla QT, sia tra quest´ultima e l´impostazione classica).
D´altra parte, un panorama intellettuale così variegato e complesso, più simile ad un fiume carsico che ad un pensiero condiviso da tutti gli interlocutori, è la condizione anche che spiega il successo della strategia attivata dalla scienza sin dai suoi esordi nel mondo occidentale. Si faccia mente locale, ad esempio, alle seguenti sue caratteristiche:

* In primo luogo, nel contesto sopra descritto la supposta esistenza soltanto dei fenomeni permetteva alla scienza d´eleggere a incontrastato principio epistemologico regnante l´aforisma principe del positivismo e del pragmatismo tipici dell´Ottocento e del Novecento, rappresentati in modo esemplare oltretutto dal Circolo di Vienna e dalle sue distinzioni cosiddette antimetafisiche: si può conoscere solo ciò che si può misurare ed è vero ciò che funziona. Ripetuto talis et qualis dalla fisica ancora oggi, questo duplice enunciato permetteva in qualche modo di salvare il volto avalutativo della scienza, giacché in questo nuovo, astuto stato delle cose il reale finiva con l´essere reso identico all´osservabile e la spiegazione di quest´ultimo tramite i sistemi di equazioni della QT equivaleva di fatto ad una spiegazione dei fenomeni fisici e della natura, giacché quest´ultima, preventivamente, era stata a sua volta fatta diventare uguale ai dati e ai fatti tangibili. In questa surreale notte intellettuale d´impronta scientifica, tutte le vacche potevano diventare grigie e si poteva con agio far sparire dalla scena la crux rappresentata dall´esistenza di un ordine sovrano del mondo sottostante l´esperienza ordinaria. Per poter immaginare il suo straordinario rilievo, è sufficiente del resto fare mente locale al fatto che esso doveva essere dato per scontato persino quando si presumeva di poterne fare a meno. Farlo scomparire dal novero delle cose degne di considerazione era dunque essenziale per il successo della dissimulazione.

* In secondo luogo, d´altro canto, per dire delle performance di cui è capace la ragione versatile in questione, la presenza di un ordine sovrano alle spalle dei fenomeni poteva convivere tranquillamente con l´altra impostazione, giacché essendo inconoscibile, per quanto pensabile, non avrebbe mai potuto essere testato e dunque lo si poteva considerare, in linea di principio, non vincolante per quanto indispensabile nell´analisi della realtà fisica. Oltretutto, per dire nuovamente del surreale ma estremamente disinvolto virtuosismo di questa logica, tale conclusione spalancava nuovamente le porte alla tendenza opposta, giacché ora paradossalmente si poteva concentrare tutta l´attenzione della ricerca solo sui fenomeni osservabili, in quanto la loro interpretazione poteva presumere come loro sfondo legiforme e fonte di regolarità la provvidenziale monotonia di quel sostrato, un “réel voilé”, per mutuare da d´Espagnat un´efficace formula di sintesi, che poteva fare da causa causarum al mondo empirico senza per questo poter o dover diventare oggetto di scienza (un´eventualità, questa, addirittura vietata dalla sua natura).
 Entrambe le strade del resto sono state percorse e vengono calcate ancor oggi, come si è visto, dalla comunità scientifica odierna, spesso entro una stessa scuola e sovente da parte di uno stesso scienziato (fisico, biologo, matematico, ecc., poco importa: le frontiere disciplinari evidentemente non sono muri invalicabili). Le due vie in questione, naturalmente, pur essendo afflitte dai rompicapo già additati, sono però estremamente funzionali ai fini che si volevano raggiungere:

    ° La prima, infatti, tende a liquidare esplicitamente il determinismo e non ne ha più bisogno perché può utilizzare per la propria corroborazione apparentemente impersonale il pragmatismo sperimentale, il successo probabilistico dell´esperienza organizzata in condizioni ripetibili ma confinata nel mondo dell´empiria. Poco importa al suo spirito positivistico, ovviamente, che l´intero sistema delle sue dimostrazioni rappresenti solo un enorme castello in aria di stoffa cognitiva. La cosa importante, dal suo punto di vista, è che sia stata scongiurata la crux insita nello stesso nome dell´oggetto – i fenomeni naturali, per definizione dipendenti dal loro sostrato ed emergenti da questo – che presume di aver spiegato;

    ° La seconda, del pari, scongiura le insidie annidate nel presupporre l´esistenza di un ordine sovrano – categoria questa eminentemente a-scientifica, di sicuro comunque, per gli stessi standard della fisica attuale, non-scientifica – alle spalle dei fenomeni postulandone la presenza e la funzione connettiva ma considerandola allo stesso tempo ininfluente, in quanto inintelligibile da parte del nostro intelletto e non assoggettabile in alcun modo alla court of last resort dell´esperienza. Circostanza, quest´ultima, che assimila tale tendenza, in definitiva, ad una diversa forma di pragmatismo epistemologico.


                                                 Endbahnhof

Alternando e intrecciando tutti gli argomenti appena visti, spesso usandoli contestualmente, con una disinvoltura e una nonchalance invidiabile, da vero doppiogiochista e opportunista concettuale: insomma truccando le regole del gioco prima, durante e dopo la partita, la scienza si è dotata di una flessibilità e versatilità intellettuali che le ha permesso finora di resistere ad ogni critica, di far fronte ad ogni obiezione e a ogni tentativo di confutazione. Anche se oggi è divenuto possibile additarne la natura contraddittoria e mostrarne l´ambiguo volto, funzionale è vero al suo primato sociale, tutte le prove che si sono accumulate in precedenza dovrebbero poter dimostrare che la fisica, o la scienza se si vuole, non è affatto un sistema di conoscenza oggettivo del mondo materiale, né tanto meno un pensiero disinteressato. Al contrario, rappresenta un pensiero preformato della società del capitale in cui è nata ed ha conosciuto la sua più rigogliosa fioritura fino a diventare l´Amazzonia concettuale che attualmente è. D´altro canto, se non lo è, non può in pari tempo più rappresentare un sapere neutrale e quindi, secondo il biologo Edoardo Boncinelli, nemmeno può più essere. Paradossale ma vero. In pieno accordo, per di più, con gli stessi severi enunciati della comunità scientifica ufficiale dell´Occidente.


Secondo enunciato

    Se veramente la scienza si differenziasse dal mondo della politica nel senso sopra definito e avesse effettivamente natura distinta dal regno delle passioni umane, in cui imperano il libero arbitrio, il caso, la soggettività, l´imprevedibile, ecc., diventerebbe impossibile affidare alla decisione politica, come invece si pretende di poter fare, «la missione» di realizzare, «costruire e sviluppare», nella società civile «una cultura tecnico-scientifico diffusa». Per due ragioni fondamentali sostanzialmente.
 
    ° Da un lato, perché saperi e condotte di specie diversa e con un genoma culturale realmente differente non possono in alcun modo fecondarsi a vicenda. Per poterlo fare, infatti, dovrebbero avere qualche tratto in comune. Ma non ne hanno, per definizione. Sarebbe come pretendere di poter veder nascere l´ippogrifo dall´accoppiamento tra un cavallo e un grifone reali;

    ° Dall´altro lato, dovremmo contestualmente ammettere, fatto che ha nuovamente del paradossale, che una logica occasionale ed erratica come quella del potere, in cui si gestiscono instabili rapporti di dominio tra i soggetti sociali e il governo delle moltitudini, in cui imperano la forza e l´astuzia, possa generare il suo contrario, vale a dire il tempio avalutativo della conoscenza oggettiva. Come ha notato il fisico statunitense Sidney Drell, «le leggi della fisica sono immutabili, quelle della politica cambiano tutto il tempo». Nel mondo della scienza, insomma, prosegue Drell, «le regole sono basate sulla logica», mentre nel mondo del potere «le regole sono basate sulla natura umana» e i suoi contegni arbitrari e perciò delle «decisioni debbono in ogni modo essere prese».

Alla luce di queste considerazioni, la pretesa in oggetto è destituita di ogni fondamento e nasce dunque confutata dai suoi stessi argomenti.


Terzo enunciato

    A differenza di quello che si crede o che si vorrebbe far credere, Karl Popper è stato più un maestro della dissimulazione epistemologica, interessata a vietare ogni comprensione della natura della scienza, che il fautore di un del resto inesistente «metodo critico dialettico». Oltretutto, che la sua concezione sia estranea agli ambienti scientifici ci è provato dagli stessi addetti ai lavori.

    ° Prima di tutto, la cosiddetta procedura di falsificazione del filosofo anglo-austriaco, dipendente a sua volta da una indimostrabile logica induttiva preliminare, risulta infatti essere disattesa, secondo Marcello Cini, un fisico di professione, proprio da coloro che per primi avrebbero dovuto praticarla: gli scienziati. Non solo.

    ° Ad avviso di François Jacob, infatti, è «un errore credere che nel dialogo tra la teoria e l´esperienza la parola spetti innanzitutto ai fatti! Una tale convinzione è semplicemente falsa. Nel mondo scientifico è sempre la teoria che ha la precedenza».

    ° Infine, a parere di Gerard Holton, il fisico statunitense che cura la pubblicazione degli scritti di Albert Einstein per la Princeton University Press, la convenzionale immagine dello scienziato che accetta la confutazione della sua teoria da parte di dati test d´esperienza è solo «uno stereotipo» senza riscontro alcuno nella realtà delle cose.

Ergo, anche il celebrato principio di Popper è solo «un mito» che non è mai esistito nella storia della scienza. Anche questo soggetto sparisce dunque dalla scena intellettuale dei sistemi di conoscenza dell´Occidente.


Quarto enunciato

Anche in questo contesto, in pratica, si sostengono due enunciazioni contraddittorie che si elidono a vicenda e vengono dunque rese false dagli stessi argomenti di cui consta la loro natura.

    ° Se infatti si presuppone che «la ricerca scientifica e l´invenzione tecnologica siano state lo strumento principale dell´evoluzione umana», si fa dipendere quest´ultimo processo naturale, retto da leggi bio-fisiche oggettive ed extra-umane, dalla cultura dell´uomo e della sua comunità, come se il nostro cervello, invece di essere l´incarnazione biologica della natura, potesse generare esso stesso, tramite i suoi artifici tecnici, lo sviluppo della nostra specie. Il che non può essere;

    ° D´altro canto, se si sostiene, come si è fatto, che le nostre facoltà cognitive e l´intera nostra sfera sensoriale sono «proprietà della natura (del mondo) che si esprimono nella specie umana», si mette capo ad un enunciato contrario a quanto prima statuito, smentendo in tal modo in questo approdo la premessa da cui all´inizio si erano prese le mosse.

Insomma, se si ritiene vera la prima tesi, non è poi più possibile sostenere la successiva. D´altra parte, se si assume la verità della seconda, ci è vietato per ragioni di coerenza poter dare per scontata quella di partenza e presupporla fondata. Come si dice, tra i due corni del dilemma, tertium non datur. Se nonostante tutto questo, cioè nonostante la conclamata contraddittorietà della spiegazione in questione, si sposano ad un tempo i due argomenti e li si presenta entrambi come veri, ciò può voler dire solo una cosa. La seguente. Che si secerne una spiegazione non valida dello stato delle cose e si mette capo solo alla sua refutazione da parte della stoffa di cui è fatto il suo habitus mentale.


Quinto enunciato


Se fosse vero che le teorie scientifiche sono interpretabili come «libere invenzioni» della nostra mente, da questo semplice punto di vista deriverebbe un intero sciame di constatazioni contrarie.

    ° In primo luogo, non sarebbe più possibile ritenere i nostri sistemi di conoscenza il frutto cognitivo più maturo della nostra evoluzione biologica.

    ° In secondo luogo, non sarebbe più possibile ritenere il pensiero scientifico un sapere induttivo che intrattiene un rapporto di filiazione con l´esperienza.

    °  Di conseguenza, in terzo luogo, ci diverrebbe paradossalmente vietato poter riferire le nostre spiegazioni dei fenomeni alla realtà osservabile, perché questa non potrebbe più essere ritenuta la loro fonte.

    ° D´altro canto, in quarto luogo, paradosso dei paradossi, se le nostre teorie fossero stati frutti intellettuali dell´osservazione, non potrebbero aver avuto origine dalla nostra mente.

    ° A seguire da tutto ciò, in quinto luogo, dovremmo mettere capo a descrizioni del mondo empirico che in ragione della loro natura non possono esserlo, giacché hanno avuto la loro origine da un'altra causa.

    °  Infine, ci diventerebbe impossibile persino poter procedere a controlli sperimentali delle nostre teorie, giacché i test d´esperienza hanno senso solo in presenza di una qualche parentela tra la natura delle due sfere, tra il mondo del pensiero e quello dei fenomeni.

Alla luce di questo folto corteo di paradossi e rompicapo insolubili, se ne deve concludere che anche questo argomento nasce confutato innanzitutto dai contraddittori significati di cui si sostanzia la sua analisi delle cose.

 

Sesto enunciato

   Se veramente si credesse che la scienza si fonda sulla negazione del «principio d´autorità» e s´identifica con una «totale libertà di ricerca», in pratica questa presunzione verrebbe smentita dalla stessa «court of last resort» dell´esperienza, l´assise suprema della dimostrazione, quanto meno nella variante stereotipa della razionalità scientifica, che decreta la verità o meno di una data teoria.

    *    In primo luogo, giusto per prendere le mosse dal suolo italico, è indispensabile ricordare il fatto che quando Marcello Cini, agli inizi degli anni ´70, in un famoso saggio, mise in discussione la neutralità della scienza, osando correlarla alla società del capitale, fu subito bollato come un «epistemologo della domenica» dall´eminente storico della scienza Paolo Rossi. Al contrario di quanto si è affermato, non si sfida impunemente l´autorità della comunità scientifica, soprattutto se, a quanto sembra, se ne fa parte;

    *    in secondo luogo, non si può davvero fare a meno di menzionare il caso del grande fisico David Bohm, rappresentativo probabilmente di una intera generazione di giovani scienziati statunitensi degli anni ´30-40, prima perseguitato da MacCarthy per le sue idee e il suo impegno politico, poi arrestato a Princeton il 4 dicembre 1950 per presunte attività antiamericane. Dopo essere stato sottoposto a processo e riconosciuto innocente, le autorità accademiche di Princeton, in ossequio ai diktat degli sponsor privati dell´Università, nella fattispecie del miliardario Robert Wood Johnson di Johnson & Johnson, non gli rinnovarono il contratto d´insegnamento. Nell´ottobre 1951 Bohm partì per un lungo esilio in Brasile prima di far ritorno in Europa alla fine degli anni ´50;

    *    inoltre, in terzo luogo, come ci fa notare lo storico della scienza Stuart W. Leslie, nel decennio successivo alla fine della 2ª Guerra Mondiale «il Dipartimento della Difesa statunitense divenne il più grande, singolo padrone della scienza americana». In tale epoca, spiega Leslie, «i militari si comprarono la scienza americana a rate [on the installment plan]». Come ci spiega anche Richard Lewontin, in questo periodo «lo Stato divenne il principale padrone della scienza». Che cosa sia cambiato da allora, lo si può giudicare dal fatto che l´odierno «complesso militare-industriale-accademico», costituito tra l´altro da imprese giganti e «defense contractors» quali General Electric, Lockheed Martin, AT&T e numerosi altri, occupava allora e occupa ancora oggi, precisa Leslie, «un quarto degli ingegneri elettrotecnici della nazione e un terzo dei suoi fisici e matematici» (senza contare naturalmente gli innumerevoli scienziati che lavorano per i servizi civili di intelligence dello Stato). Evidentemente, anche per gli uomini di scienza pecunia non olet. Del resto, tramite lucrativi contratti con una miriade di industrie civili (i famosi contractors di cui sopra) – dall´alimentazione all´abbigliamento, dai prodotti per l´igiene personale agli elettrodomestici, dal cinema alla farmaceutica, dai computer alle fonti di energia, dall´informazione alle catene alberghiere e oltre – il DoD di Washington, secondo lo storico Nick Turse, è presente in ogni aspetto della vita quotidiana statunitense e occidentale e ne preforma loro tramite l´intero, più intimo, profilo;

    *    infine, in coerente connessione con quanto sopra, la crème de la crème della scienza statunitense, comprendente non meno di dieci premi Nobel per la fisica: da Murray Gell-Mann a Steven Weinberg, da Eugene Wigner a Henry Kendall, tanto per fare dei nomi noti, dagli anni ´50 in poi hanno lavorato per il DoD, sotto copertura di «top secret clearances», col fine di rendere più efficiente possibile la macchina militare del pentagono, mettendole a disposizione di fatto intere generazioni di nuove armi tecnologiche letali. Questa folla di «government´s science advisers» – da Edward Teller a Freeman Dyson e oltre – come li definisce nel suo studio Ann Finkbeiner, sulla scia del resto del progetto Manhattan (un´altra «very secret stuff»), di cui sarebbero «the inheritors», si sarebbe messa a disposizione del DoD per due motivi a quanto pare:

°    prima di tutto per ragioni etiche: come ha spiegato Dyson, se prendiamo per buona naturalmente la sua opinione, «diventammo politicamente impegnati perché la conoscenza implica responsabilità» …a quanto pare esclusivamente nei confronti delle numerose amministrazioni statunitensi succedutesi nel corso dei decenni, mentre il loro alto senso del dovere non contemplava naturalmente alcun obbligo di dire la verità all’opinione pubblica metropolitana e internazionale ► che un afflato etico potesse avere natura fittizia ed instaurare un doppio stato delle cose, uno per le moltitudini e uno per le élite, dovevamo ancora sentirlo dire;

°    secondo, per patriottismo, dimentichi forse del fatto che questo argomento, nelle parole di Samuel Johnson, di norma «è l´ultimo rifugio delle canaglie [is the last refuge of the scoundrel]» e si presenta dunque come l´esatto contrario di ogni nobile intento.

   Del resto, questa élite scientifica – mentre in ossequio ad una fittizia retorica di facciata proclama che «la scienza senza conoscenza condivisa non ha rigore, né fondamento né futuro», mentre disinvoltamente ci assicura che «i metodi del pensiero» tipici della «scienza sono i più verificabili, falsificabili e reciprocamente comprensibili dall´intera umanità» che siano mai esistiti – consegna allo stesso tempo bellamente all´oblio il fatto che le sue attività segrete di ricerca al servizio di fini bellici smentiscono in modo conclamato queste alate dichiarazioni di principio. D´altro canto, se si credesse di trovarsi di fronte all´ennesimo caso di un soggetto e di una comunità che predicano bene ma razzolano male, ci si sbaglierebbe di grosso. Al contrario. Quella doppiezza, infatti, è l´espressione conclamata della logica versatile di cui si nutre la loro mente, non un accidente di percorso emendabile. Se veramente «secrecy is antiscience», come ci fa notare la Finkbeiner, allora questa semplice constatazione riduce in polvere tanto le loro apparenti motivazioni, quanto soprattutto lo stesso presunto status avalutativo o neutrale del pensiero scientifico nel suo complesso. Cosa che, al colmo del paradosso, avviene tra l´altro in conformità col principio di controllo di una teoria mediante l´esperienza.


Settimo enunciato

   Ben difficilmente, alla luce di quanto sopra appreso, si potrebbe dire che vi sia mai stata una comunione tra scienza e democrazia. Quelle reali intendo, non i cliché correnti che si vorrebbero spacciare per veri. D´altro canto, se la scienza non è quella che si supponeva che fosse, sarà mai possibile poi che la democrazia, vista la simbiosi stabilita sin dall´inizio tra le due istanze, possa corrispondere alla sua presunta natura? Non vedo come possa. È più logico caso mai pensare il contrario. Ed in effetti, se si prende sul serio la simmetria presupposta tra i due domini, il fatto che la scienza possegga un duplice volto, uno pubblico, l´altro segreto e invisibile all´intelletto ordinario e alle persone comuni, ci fa capire che anche i sistemi politici democratici debbono ospitare al loro interno una doppia anima.
   Pubblica e visibile, la prima, additabile nelle cerimonie rituali dei soggetti sociali al potere o all´opposizione (Costituzione, elezioni, rappresentanza parlamentare, governo delle leggi, conflitti di interessi, alternative politiche, pubblica opinione, ecc.), amplificate del resto e presentate come sostanziali dai Megamedia occidentali (Networks, Accademia, Stampa, ecc.). Occulta e invisibile, segreta e circondata dall´anonimato la seconda. Un mondo coperto e illegale, dichiaratamente fuorilegge, che si nutre di servizi segreti, agenzie di intelligence, gruppi di pressione, propensioni a delinquere, omicidi su commissione, team di sicari prezzolati, terrorismo politico, e di quant´altro di simpatico l´arsenale degli arcana imperii mette a disposizione della Realpolitik occidentale.
   Cancellare questa parte della realtà istituzionale odierna per far apparire solo la facciata convenzionale delle cose, significa in ultima analisi mentire ai propri interlocutori e render loro impossibile comprendere, come nel caso della scienza, l´effettivo stato delle cose. Che i regimi democratici occidentali siano una sorta di eden comunitario, in cui si discute e ci si confronta in modo razionale come in una sorta di salotto illuministico, oltretutto facendo credere che scopo comune di tutti quanti sia solo la ricerca della verità, rappresenta solo uno stereotipo senza alcun riscontro nei dati di fatto disponibili. Dal che ne consegue, in altre parole, che si tratta di una vera e propria impostura.
   D´altro canto, è davvero oltremodo significativo che si sia ignorato totalmente l´11 settembre 2001. Poiché si tratta di un avvenimento che porta alla luce del sole, per chi è sinceramente interessato a capire il mondo in cui vive ovviamente, la doppia natura delle classi dominanti dell´Occidente, il loro nichilismo etico e la logica efferata che guida le loro azioni, in un certo senso doveva e deve essere messo da parte e se possibile cancellato da chi assume ancora oggi che la democrazia sia il regno dell´uguaglianza e di un´immaginaria ethica del bene e del buono. Come vedremo in uno dei prossimi paragrafi, non è un caso che la Chiesa postuli gli stessi principi. D´altro canto, si vedrà anche che negli stessi ambienti scientifici che ignorano l´11 settembre, vi sono degli scienziati che prendono pubblica posizione contro coloro che confutano la versione ufficiale dei fatti e propongono un´altra spiegazione degli eventi, completamente differente da quella ortodossa e di stretto imprimatur governativo che circola nei Megamedia dell´Occidente. Una concordanza profonda, quest´ultima, che getta un´altra lunga ombra inquietante ma rivelatrice sul reale rapporto degli uomini di scienza col potere (in fin dei conti, come ha fatto notare un fisico del MIT di Boston, Jerrold Zacharias, «science isn´t. It´s just us boys»).
   La doppia natura dello Stato e dei regimi politico-rappresentativi dell´Occidente è in fin dei conti simmetrica e inversa rispetto a quella della scienza e paradossalmente discende dalle loro comuni origini. Se la scienza non è per ben due volte quello che dice di essere – sia quando scopriamo che la sua natura più intima non corrisponde per nulla al suo status ufficiale, sia quando veniamo a sapere che i suoi vertici svolgono per tutto un cinquantennio una doppia attività, coperta dal segreto di Stato –, figuriamoci se la logica politica democratica, quella stessa in cui regnano sovrani il libero arbitrio degli uomini e la decisione imprevedibile e occasionale dei soggetti, non vincolata ad alcuna norma etica preventiva, potrà mai corrispondere all´idillica e in definitiva fittizia immagine che ci è stata presentata. Al contrario, la violazione dell´ordine giuridico, nazionale e internazionale, e del sistema delle norme nasce dall´interno dello stesso organismo politico, ad opera tra l´altro di quegli stessi soggetti che formalmente avrebbero dovuto rappresentarne i custodi e che al momento di assumere le loro funzioni istituzionali avevano giurato solenne fedeltà ai principi costituzionali dello Stato di diritto. La sovversione cruenta dell´ordinamento giuridico della società civile, in altre parole, a termini di codice penale tra l´altro, emerge dunque dal seno stesso dei regimi politici democratici e del potere pubblico e si presenta come una espressione, nell´ambito delle congiunture sociali, della logica decisionistica più profonda che governa la loro esistenza.

 

Ottavo e nono enunciato

   In maniera ormai via via sempre più evidente siamo con questi argomenti entrati nel dominio davvero poco simpatico della demagogia aperta. Anche abbigliata di vesti scientifiche, questo governo della plebe tramite imposture esplicite risulta ancora oggi francamente ripugnante. Che si tratti di populismo allo stato puro, dietro cui di norma si nascondono inconfessabili intenti, è un fatto che ci è stato provato naturalmente da quanto si è accertato finora. In un quadro quale quello che è emerso in precedenza, i fini enunciati dalle tesi in questione ci appaiono del tutto grotteschi e caricaturali, tra l´altro sotto le mentite spoglie di una patente mistificazione dell´effettivo stato delle cose, in fin dei conti. Essi ci appaiono come se fossero stati concepiti apposta per fuorviare, visto che scientemente sostituiscono al mondo reale un più comodo mondo di fumo (che invece di dover aspettare il tramonto per poter rendere nere tute le vacche, lo fa ogni giorno per tutta la durata del giorno, giacché può operare 24 ore su 24 indipendentemente dai cicli naturali). E del resto se non si trattasse di una impostura, un atto volontario che quanto meno richiede un´intenzione deliberatamente programmata (che di per sé configura comunque un dolo intellettuale ed etico), sarebbe se possibile ancora peggio. Equivarrebbe infatti ad ammettere di non conoscere né la storia interna della fisica né i suoi rapporti intimi col contesto che la circonda, né tanto meno lo stato delle cose attuale nell´ambito della scienza contemporanea, il proprio dominio professionale!
   Oltretutto, paradossalmente, sono proprio i «brutali e ottusi rapporti di forza accademici» – alias il potere di fatto gestito e personificato dai rettori e dalle autorità ai vertici cattedratici del sistema, dai singoli baroni e dalle loro clientele: si veda il degrado generale dell´istituzione, la sua corruzione e il nepotismo galoppante oggi nelle università italiane – a rendere comunque completamente velleitaria e financo impossibile la realizzazione degli intenti enunciati. Come tutte le solenni dichiarazioni di principio prima viste, anche quelle in causa nascono confutate dalla pratica ovvero dalla realtà dei fatti.
   Nondimeno, tre altre dirette testimonianze dall´interno stesso della comunità scientifica contemporanea riducono in cenere l´argomento ecumenico in discussione e le false piste che dissemina lungo la strada:

   ►in primo luogo, ci spiega Frank Tipler, i fisici sono arroganti, professionalmente e umanamente, perché sono convinti di avere nelle loro mani una disciplina in grado di spiegarci come il mondo è, la struttura stessa dell´Universo, e di poterla persino riassumere in una formula di sintesi;

  ►in secondo luogo, spiega Ann Finkbeiner, se «gli scienziati sono famosi per la loro arroganza», questo loro supponenza discende dalla convinzione di poter risolvere qualunque problema in ogni campo «a partire da primi principi [by figuring it out from first principles]», in questo somiglianti moltissimo, meno l´ironia dell´aforisma, a quei filosofi che hanno un problema per ogni soluzione. Il fatto, insomma, non turba i loro sonni. Anzi: «Per un fisico, essere chiamato “arrogante” non è necessariamente una critica. Per un fisico, arroganza è il felice effetto di avere a propria disposizione strumenti efficaci, sufficiente intelligenza, una prospettiva realistica e un soggetto di ricerca accuratamente definito»;

   ►se le cose stanno così, infine, come ci ha fatto capire Imre Lakatos, uno degli ideologi ufficiali dell´establishment occidentale, è allora evidente che «la scienza istituzionalizzata non è una democrazia partecipativa» e non può dunque in alcun modo ammettere alle sue aristocratiche assise il nostro povero intelletto plebeo. Punto e a capo. Se la constatazione può essere altamente sgradevole per la persona comune, in compenso essa fa però piazza pulita di ogni messinscena e ci riporta con i piedi per terra. Meglio far fronte ad una realtà indesiderata e sgradita piuttosto che vivere in mondi di fumo. Uno a mille che chiunque di noi avrebbe preso la pillola rossa di Morfeo!

 

Decimo e ultimo enunciato

   Arrivati al termine del nostro viaggio nei labirinti del sapere contemporaneo, un´ultima scoperta ci attende sulla soglia dell´uscita. Quella «manipolazione della coscienza» umana che veniva vista emergere dalle attuali tendenze della scienza e che veniva paventata come un pericolo incombente per la nostra specie, può ora essere vista sotto una luce ben diversa. Prescindiamo ovviamente, per carità di patria, dalla constatazione del fatto che quella stessa scienza che avrebbe dovuto sottoscrivere «un nuovo contratto uomo-natura basato sull´equità e non più sul dominio», è poi l´identico sistema di pensiero che fa dell´essere umano un «terreno di sperimentazione» e dunque lo trasforma in una cavia di laboratorio (con quali fini etici si può ben immaginare).
   L´aspetto più importante della questione, infatti, risiede nel fatto che per l´ennesima volta questa interpretazione consta di una serie di argomenti contraddittori e fuorvianti, addirittura contrari agli stessi intenti apertamente dichiarati, nel più classico stile molte volte ormai visto di questa logica.

   §    In primo luogo, astrazione qui fatta dalle sottili dimostrazioni della neurobiologia attuale, se il nostro cervello è il prodotto dell'evoluzione naturale della nostra specie, il frutto biologico più maturo e complesso di leggi «eterne ed oggettive, eternamente ordinate e ripetibili», indifferenti agli affari umani, come si assume esplicitamente che sia, come sarà poi posibile che un artefatto umano e culturale come la scienza possa davvero poi alterarne la natura e manometterne il carattere di materia organizzata? Se «la dittatura dei geni» è inflessibile, come ci spiega J.-P. Changeux, sarà ben difficile poterne violare le norme prescrittive. Pretendere di poterlo fare, è come ammettere che la tecnologia, una nostra creatura, possa modificare o trasformare il determinismo delle leggi di natura a propria discrezione. Il che, sulla base degli stessi principi dell'argomentazione, si noti la cosa, è impossibile;

   §    in secondo luogo, sulla scia degli argomenti suddetti si tende a far sparire dalla scena il fatto che gli attuali Megamedia dominanti nel pianeta il mondo dell´informazione stanno già ampiamente manipolando la coscienza individuale e il nostro ordinario modo di percepire la realtà. Sia mettendo in onda e diffondendo ai quattro angoli dell´orbe terracqueo, quotidianamente, dei fatti e degli eventi prefabbricati, in ogni caso edited, come dicono gli inglesi, sia addirittura creando dal nulla, loro tramite, l´opinione pubblica di cui le odierne élite al potere hanno bisogno. Nelle attuali condizioni di oligopolio, non c´è evento giornaliero sul globo, sia questo un fatto di cronaca o un avvenimento geo-politico, un evento locale o globale, che non venga filtrato dai moderni padroni della comunicazione (los señores de las sombras, come li ha definiti in una sua inchiesta  da poco pubblicata Daniel Estulin). O emergente di sana pianta da quello che i dominanti progettano e realizzano sull´arena mondiale e all´interno della società civile, o affiorante da quello che ogni giorno accade ai soggetti nella loro vita quotidiana privata, non c´è oggi un singolo bit di informazione che non venga prima opportunamente confezionato – vale a dire, sistematicamente ignorato, semplicemente soppresso o falsificato, in ossequio alla logica dei «deep events» descritta così bene da Peter Dale Scott – dalle potenti agenzie (di norma i Networks globali, i Governi, i cosiddetti servizi di Intelligence, militari e civili) che lo fanno arrivare, senza possibilità di replica, nelle case e nelle teste di tutti i soggetti odierni, preformando in tal modo la loro visione delle cose;

   §    in terzo luogo, da tempo ormai, come ha più di recente documentato Hans-Ulrich Grimm nel suo volume Die Ernährungslüge, la cosiddetta industria alimentare e della nutrizione, insieme del resto a Big Pharma, già ora manipola chimicamente il cibo e determina l´insorgere di una serie di patologie funzionali alla cura biomedica del paziente così evocato in vita. In altre parole, una gran parte dei disturbi della personalità, del linguaggio scritto e parlato, del comportamento e delle reazioni emotive delle giovani generazioni dell´Occidente, ci fa sapere Grimm, «nascono attraverso le sostanze chimiche contenute in quello che mangiamo [entstehen durch Chemikalien im Essen]», di modo che poi queste diverse ma diffusissime patologie possano essere trattate con appropriate terapie farmacologiche – di solito costosissime per il paziente, ma estremamente lucrative per le imprese del settore – che la grande industria farmaceutica mette a disposizione del grande pubblico…naturalmente a pagamento. D´altro canto, visto che tutte le nostre condotte, viscerali o razionali, fisiche o spirituali, siano esse passioni o emozioni, pensieri o sentimenti, emergono dalla nostra testa, influenzarne la natura significa indirettamente manipolare la nostra mente e indirizzarne i contegni presenti e futuri, l´intera architettura cognitiva. Chi poi eventualmente fosse dotato di uno stomaco forte, è proprio il caso di dire, potrebbe forse utilmente vedersi, in merito ai misfatti dell´industria alimentare odierna, il film-documentario Big Food Inc. di Robert Kenner, disponibile in rete;

   §    infine, se tiriamo le somme di tutte queste considerazioni, unitamente del resto a quanto si è documentato in precedenza, paradossalmente siamo costretti a concluderne che sono innanzitutto le stesse argomentazioni dell'analisi in discussione a manipolare e a prtare fuori strada la coscienza degli interlocutori a cui quest'ultima si rivolge. Nel più puro stile della logica eclettica di cui si nutre questo punto di vista, gli esiti insiti nella natura della sua descrizione delle cosa inficiano sin dalla radice gli argomenti che suo tramite si volevano invece corroborare. E questi approdi sono conseguiti mediante una molteplicità di vie.

  *   Innanzitutto, tramite l´immagine completamente fittizia della scienza che è stata disegnata sin dall´inizio:

    1.    contrariamente a quanto statuito, sulla base degli argomenti addotti non può esistere nessuna conoscenza oggettiva della natura;

    2.    del pari, non è possibile alcuna reale convalida delle teorie scientifiche da parte dell´esperienza, sia perché i test sperimentali sono organizzati da cima a fondo dall´osservatore, sia perché questi deve comunque assumere sin dapprincipio la validità del principio d´induzione;

    3.    oltretutto, per quanto ripetuti e riproducibili in linea di principio, tali test non potrebbero mai avere validità universale, né dunque possono pretendere di rispecchiare l’ordine invariante del mondo fisico ► per poter vantare entrambe le pretese, infatti, dovrebbero essere replicabili all’infinito e in maniera immutabile, il che è impossibile;

    4.    inoltre, la scienza non può in alcun modo rappresentare un´effettiva scuola di democrazia, giacché al suo interno, all´opposto, dominano sia l´arroganza della corporazione e degli addetti ai lavori, sia la ricerca segreta a scopi bellici e al servizio delle caste militari, a loro volta al servizio dei dominanti;

    5.    infine, perché la scienza non è affatto immune al principio d´autorità, sia perché lo pratica nei confronti degli altri saperi sociali, sia perché a sua volta, all´occorrenza, soprattutto nei confronti del potere economico-politico, vi si sottomette eccome, tra l´altro ammantando questa dipendenza di una fitta bruma ideologica (la sacra aura del patriottismo, la curiosità come fonte della conoscenza, la neutralità del sapere, la pura ricerca indifferente ai valori, e simili).

   *   In secondo luogo, a seguire linearmente dai punti precedenti, la demagogica e assolutamente fuorviante presentazione del rapporto tra scienza e soggetti sociali, una falsa pista in cui sparisce completamente nel nulla la vera natura della scienza istituzionalizzata e di conseguenza si mente, volens nolens, ai comuni mortali (detti anche, quando fa comodo, cittadini, tra l´altro invitati a «entrare nei laboratori» scientifici, invito che davvero non so se faccia più ridere o suscitare indignazione per quello che sottende a danno degli eventuali interlocutori).

    *   In terzo luogo, la folla di contraddizioni, formali e logiche, che emergono dal discorso in causa e che lo rendono totalmente inattendibile e in ultima istanza ne decretano la smentita, trasformandolo in un colabrodo intellettuale. Se nel mondo della scienza, come ci è stato sopra ricordato da Ann Finkbeiner, «le regole sono basate sulla logica», questo semplice fatto costituisce una confutazione inappellabile dell´ideologia in oggetto.

    *   Infine, l´occultamento conseguente del reale stato delle cose nei regimi liberal-democratici. Avendo equiparato la scienza ad un´agorà intellettuale democratica e avendo in sovrappiù identificato la democrazia con la partecipazione e il dispiegarsi del libero confronto di idee e programmi politici, l´interpretazione sotto esame ha di fatto cancellato e reso così impossibile capire l´ambiguo e doppio volto delle due istituzioni, nonché la duplice ed equivoca funzione che i loro soggetti e i loro funzionari svolgono all´interno di tali domini. Così facendo, ha piombato con sette sigilli il regno dello spirito chiamato scienza e vietato definitivamente ai comuni mortali qualunque comprensione della realtà. 

 

4.  Le imposture dei media e dei loro funzionari

La cosa sorprendente in tutto l´affaire è che ci si sbaglierebbe di grosso a credere isolato o confinato negli ambienti accademici, magari in posizione prevalente, un simile punto di vista. Certo, se lo fosse, e lo è, sarebbe comunque paradossale. Nondimeno, bisogna prendere atto anche del fatto che le condizioni al contorno sono persino più gravi di quello che si potrebbe pensare a prima vista. Si è infatti stabilita ormai da tempo una stretta alleanza tra scienza propriamente detta, discipline cosiddette umanistiche e media. Indifferentemente di destra, di centro, di sinistra, se mai oggi questi segnavia, più che altro ormai topografici, hanno ancora un senso (e non ce l´hanno).

Nel mondo della stampa, in particolare, si assiste continuamente ad una messa in scena che ha del surreale, ma che si rivela estremamente funzionale alla conservazione indefinita, ed estremamente preziosa da un punto di vista ideologico, del mito tipicamente occidentale interessato a presentare la scienza come il regno della conoscenza certa, oggettiva e super partes. Se si fa mente locale al folto grappolo di dissimulazioni e finzioni che emerge da questo presunto status del sapere, si dovrebbe avere un´idea più chiara della posta in gioco insita nell´impresa. Nonché delle ragioni che spingono gli intellettuali al servizio dei grandi gruppi editoriali e ai vertici dell´establishment accademico ad entrare a gamba tesa nella disputa e naturalmente nella mente della pubblica opinione. D´altra parte, quello che accade in Italia è davvero poco diverso da quello che accade in Europa e altrove più in generale. Per questo il nostro paese può essere considerato un campione rappresentativo dello stato delle cose in Occidente.

Secondo Gore Vidal un autore, a maggior ragione magari se appartiene al mondo illuminista delle scienze sociali o naturali, «dovrebbe sempre dire la verità ai suoi interlocutori…a meno che non sia un giornalista». A quanto pare, mai tale avvertenza si è dimostrata più lungimirante che ai giorni nostri. Se si aprisse infatti, ad esempio, il quotidiano “la Repubblica” del 3 gennaio 2010 si troverebbe a p.33 un interessante articolo di Umberto Galimberti, esimio accademico dell´Università di Venezia e noto filosofo e psicanalista, dedicato ad un´analisi di “Quel che resta di Freud” oggi, articolo nel quale si potrebbe leggere la seguente spiegazione:

        «A settant´anni dalla morte di Freud vien da chiedersi che cosa sopravvive della sua teoria e che cosa invece si è rivelato caduco. È questa una domanda legittima, ma che vale forse solo per le scienze esatte, dove verifiche oggettive e sperimentazioni sempre più approfondite consentono di validare o invalidare una teoria».

Indifferente a quanto pare alla storia della scienza e soprattutto all´opinione degli scienziati reali, sia al loro pensiero esplicito, sia alla loro epistemologia implicita, sia alle implicazioni della loro attività segreta, Galimberti non si fa scrupolo alcuno nel propinare ai lettori colti del suo giornale un cliché del tutto gratuito, senza alcun riscontro nello stato dei fatti. Se magari corrisponde in pieno ad una immagine stereotipa della scienza, quella accreditata ufficialmente dalla stessa comunità scientifica, nel contempo ignora totalmente sia la dimostrazione di Holton, sia le prepotenti tendenze che emergono dall´interno dell´attività professionale degli scienziati e dai sistemi di conoscenza che questa secerne. Ciò è comprensibile in fin dei conti. Se le avesse prese in considerazione, infatti, le sue due creature immaginarie si sarebbero sciolte come neve al sole.

Per converso, se la sua rappresentazione della scienza è completamente campata in aria, principio di simmetria vuole che anche la sua interpretazione dell´inconscio e della sua presunta teoria sia destituita di ogni fondamento. Oltretutto, Galimberti pare ignorare totalmente il fatto che esiste sia una psicologia freudiana nella fisica (David Peat), sia una scuola freudiana neurobiologica (Lionel Naccache) che equiparano le analisi e le intuizioni di Jung e di Freud a spiegazioni scientifiche e dunque all´esistenza di leggi naturali dell´universo (fisico e biologico, nelle due fattispecie summenzionate). Una circostanza, quest´ultima, che porta alla luce del sole il carattere del tutto inventato dell´enunciato di partenza e l´impostura insita nelle sue conclusioni. Sarà ignoranza dell´effettivo stato dell´arte, imperdonabile e financo letale comunque per un accademico e cultore della materia (per altro verso rivelatrice, invero, della fondamentale natura apocrifa e fittizia di questa cultura), oppure si è voluto intenzionalmente e scientemente ignorare la realtà dei fatti e lo stato delle cose? Oppure siamo in presenza di un mélange di entrambi? Scelga chi può tra le varie opzioni.

Nondimeno, se ci si chiedesse che cosa mai possa aver spinto questo studioso a commettere un falso in atto pubblico, tra l´altro in concorso con altri e per di più a mezzo della stessa carta stampata, come tra poco vedremo, la risposta non potrebbe che essere complessa. Come il disegno che sta alle spalle di quella impostura. Anche in questo caso, naturalmente, non c´è nulla di personale. Anzi anche qui assumo che Galimberti, come qualunque altro intellettuale dell´establishment odierno del resto, con cui presumo sia intercambiabile, abbia espresso una sua meditata convinzione. In quello che dice e pensa, insomma, presuppongo che ci venga esposta una forma mentis dell´Occidente e non solo l´opinione di un singolo individuo. Infatti, le stesse tesi, mutatis mutandis, le potrebbe sostenere sulla stampa internazionale un biologo di fama come Dawkins, non a caso definito proprio su “Repubblica” del 3 novembre 2006 uno degli intellettuali più influenti del mondo, oppure un fisico della nuova generazione come David Deutsch, o qualunque altro rappresentante di questi ambienti.

Detto questo, il problema piuttosto è capire perché lo facciano, perché nelle tribune TV o giornalistiche e in genere massmediatiche destinate al grande pubblico spariscano letteralmente dalla scena le nuances, le molteplici tendenze dell´argomentazione, le duplicità delle analisi, le scuole alternative che compaiono invece nei trattati e nei grossi tomi della comunità scientifica ufficiale, nelle “lettere diplomatiche” che circolano all´interno delle élite colte occidentali. Mentre in tutti questi documenti la logica versatile della scienza è in qualche modo additabile e la si può vedere, magari sepolta sotto la nebbia della dissimulazione che sempre l´accompagna, in tutti gli altri resoconti le ambiguità dell´argomentazione spariscono letteralmente nel nulla e quello che viene in primo piano sono esclusivamente gli stereotipi usuali, la mistificazione più spudorata e in definitiva l´inganno senza ritegno.

Il fatto è che la casta intellettuale dell´Occidente attualmente alla guida della formazione culturale delle nuove generazioni, non è altro che la personificazione, dotata oggi, sfortunatamente, di mezzi enormemente più potenti rispetto agli inizi dell´Ottocento, del pensiero di De Maistre. Secondo l´aristocratico francese, infatti, i sudditi (detti oggi cittadini) devono essere tenuti rigorosamente all´oscuro di quello che fanno i governanti:

«L´autorità deve essere tenuta costantemente al di sopra del giudizio critico mediante gli strumenti psicologici della religione, del patriottismo, della tradizione, del pregiudizio».

Se al posto di potere o «autorità» si mettesse conoscenza, se invece di «giudizio critico» si mettesse smascheramento, se si scrivesse dissimulazione al posto del letale quartetto di cui constano gli «strumenti psicologici» succitati, temibili di per sé del resto (si ricordi, a questo proposito, l´esemplare “patriottismo” dei Jasons), avremmo un quadro fedele dell´attuale condizione del soggetto contemporaneo. In effetti, il personale dei dominanti che lavora nel settore dei media – dall´Accademia ai Networks: dal presunto regno del sapere alla fabbrica delle imposture, per ragionare formalmente in termini di estremi – adempie oggi ad una funzione radicalmente diversa rispetto a quella che gli intellettuali una volta svolgevano a corte.
Il loro status ha così subito nel corso del tempo una sorta di mutazione genetica. Al presente, sono divenuti, di fatto, gli ideologi moderni ed estremamente spregiudicati del Sovrano. Loro compito essenziale, a differenza di quanto la gente normalmente crede, non è affatto quello di illuminare le menti degli individui per portare la luce dell´intelletto nelle tenebre dell´ignoto, bensì all´inverso impedire loro di pensare e comprendere, di poter financo immaginare qualcosa di diverso rispetto a quello che i cliché loro somministrati ogni giorno gli presentano come verità definitiva e indubitabile. L´intellettuale odierno – scriva sulla carta stampata, sieda nelle Accademie, compaia in TV, insegni nel sistema dell´istruzione pubblica ai suoi diversi livelli, si trovi ai vertici del CNR o in prestigiose istituzioni internazionali (al CERN di Ginevra, alla SISS di Trieste o in qualunque altro consimile luogo dell´Occidente), ecc. –, invece di secernere conoscenza del mondo deve oggi al contrario dissimulare la realtà delle cose e renderla letteralmente inconoscibile.

Alla luce di questa constatazione, si capisce meglio perché gli intellettuali di sistema, includendo in questa rubrica tutti gli agenti dei media (e sono una folla!), diffondano a ogni piè sospinto e a piene mani immagini fittizie della realtà e propalino dei miti funzionali al disegno di De Maistre:

«Non bisogna coltivare la ragione del popolo.
Esso deve essere tenuto nel suo stato naturale di debolezza: conoscere e capire non conviene alla sua felicità fisica e morale, anzi non corrisponde nemmeno al suo interesse».

Punto e basta. Un imperativo a cui oggi tutti debbono sottostare. Magari organizzando dei seminari come quelli bolognesi in cui si possa comodamente coltivare la nostra ignoranza sotto le mentite spoglie di programmi che sembrano ispirarsi ai narodniki russi dell´Ottocento (un conclamato anacronismo storico, spiegabile evidentemente solo con l´esistenza di secondi fini dietro quel fondale di cartapesta). Magari nello stile surreale più classico della propaganda moderna, che mentre somministra a dritta e a manca ideologicissimi mondi di nebbia lo fa naturalmente contro la logica di ogni propaganda! Si tratta, in effetti, di un´alleanza tra saperi e dipartimenti dell´Occidente che allestiscono un regime di doppia verità per le masse planetarie. Alla superficie delle cose, un palcoscenico all´aria aperta in cui si rappresenta una pièce surreale e completamente fittizia per le moltitudini (cioè per noi, perché questo siamo per loro), che così potranno essere fatte vivere in un altro mondo di fumo culturale senza che possano rendersene conto. Nel mondo esclusivo delle élite, un backstage a cui hanno libero accesso solo gli addetti ai lavori e i dominanti, in cui si sviluppa una frenetica attività, si concepiscono dei piani e si creano tutte le condizioni al contorno più opportune per la loro realizzazione. Un retroscena, quest´ultimo, che deve rimanere invisibile e incomprensibile ai subalterni e alla plebe del globo, precondizione indispensabile questa per poter poi lasciare mano libera al potere e scongiurare preventivamente l´insorgere di qualunque tentazione giacobina, o politica o cognitiva, dal seno dei dominati.

 

5.  I castelli in aria della scienza

   Per documentare ancora meglio e con prove aggiuntive la insostituibile, nuova funzione dei cortigiani odierni, conviene far ricorso ancora una volta agli articoli che compaiono ciclicamente, con cadenza calcolata, su “Repubblica”. Ovviamente, il giornale romano non è l´unica né forse la principale fonte della dissimulazione di cui si è discusso sopra. Esso fa parte infatti di un sistema più vasto e complesso che, a differenti livelli e con intenti in parte diversi, persegue gli stessi obiettivi di fondo. Da questo punto di vista, certamente tutta la grande stampa nazionale – dal “Corriere della sera” alla “Stampa”, insomma il monopolio dell´informazione, scritta quanto meno, fino a tutto l´arcipelago del giornalismo “di sinistra”, quotidiano “il Manifesto” incluso – fa parte del gioco e ne verga le regole. Nondimeno, si può esser certi del fatto che la presse italiana, a sua volta, è parte integrante di un mosaico più vasto ancora che comprende in pratica tutto l´Occidente. Viste le cose da questa prospettiva, l´Italia non è certo diversa dalla Francia, dalla Germania o dalla Gran Bretagna, e si può assumere anzi che quello che accade in ognuno di questi paesi accada anche nell´altro. Vediamo allora l´orto di casa nostra.
   Su “la Repubblica” del 22 dicembre 2009, a p.47, un articolo di Piergiorgio Odifreddi protestava contro la presenza alla vicepresidenza del CNR (la «massima istituzione pubblica di ricerca del nostro paese») di un creazionista, il Prof. Roberto De Mattei, perché questi sia si sarebbe reso responsabile, il 23 febbraio 2009, dell´organizzazione di un convegno internazionale di studi sul tramonto dell´evoluzionismo, sia «della disinformazione più grossolana e presuntuosa a proposito di Darwin, del darwinismo e della scienza» che si sia mai vista, sia perché la sua vicepresidenza rappresenta uno dei «più riusciti tentativi di infiltrazione fondamentalista e antiscientista [sic!] dell´Ente».
   Lo scienziato italiano rappresenta senz´altro uno studioso le cui affermazioni vanno prese sul serio. Ammettiamo dunque, sulla sua scia, che i creazionisti ci mettano davanti ad una spiegazione inverosimile della vita, della sua nascita sulla terra e dei meccanismi che hanno generato l´evoluzione delle specie. Bene. Il problema, tuttavia, è capire se gli argomenti che si contrappongono al «mito del creazionismo», al presunto «rigurgito di cultura anti-scientifica in Italia» e a teorie «in aperta contraddizione con l´evidenza scientifica» (si veda di nuovo “la Repubblica” del 3 dicembre 2009), siano logicamente coerenti ed effettivamente alternativi  rispetto alla conclamata visione teologica della scuola avversata. Dopo tutto quello che è venuto a nostra conoscenza nelle pagine precedenti, qualche dubbio in proposito, per dire il meno, è più che legittimo naturalmente.
   Ed in effetti Odifreddi si lascia andare ad alcune affermazioni che, al di sotto dello stile approssimativo e sommario tipico del linguaggio giornalistico, lasciano intravedere la sostanziale natura fittizia della sua argomentazione. Ai due supposti «problemi senza risposta» che secondo i creazionisti sarebbero insiti nell´evoluzionismo, «quello fisico dell´origine dell´universo (mai sentito parlare del Big Bang?) e quello chimico dell´origine della vita», Odifreddi infatti replica nel modo seguente: «nessuno dei due ha ovviamente [I.] nulla a che vedere con la teoria biologica di Darwin, che si interessa di come la vita si è evoluta sulla Terra [II.] una volta che abbia avuto origine».
   Le cose, come si può facilmente immaginare, stanno invece esattamente al contrario. Non occorre far ricorso qui all´argomentazione tacita dei fisici e dei biologi di professione, quasi tutti darwiniani questi ultimi del resto, per provare il carattere sostanzialmente falso e fuorviante insieme delle due asserzioni del professore torinese (cioè i succitati I. e II.). Il farlo ci porterebbe troppo lontano. D´altro canto, anche nel suo caso non c´è niente di personale. Le cose che sostiene Odifreddi vengono sostenute anche negli Stati Uniti e in genere in tutto l´Occidente dall´establishment accademico. Cosa del resto puntualmente fatta dal biologo evoluzionista Jerry Coyne dell´Universitá di Chicago in una sua lettera al CNR del 20 dicembre 2009 (si veda in rete l´originale della sua indignata missiva, fittizia come una falsa promessa). Nessuna crepa, infatti, deve se possibile incrinare la dissimulazione. Vale la pena solo ricordare alcune questioni di fatto che fanno venire alla luce tutto ciò che è invece stato cancellato nella duplice enunciazione di Odifreddi:

***  in primo luogo, è indispensabile chiedersi come mai la questione delle origini venga considerata un argomento tabù da cui guardarsi a tutti i costi, per quale ignota ragione la si ritenga, per citare qui un'evocativa formula di Ernst von Glasersfeld, «un vespaio metafisico» assolutamente da scansare;

***  in secondo luogo, sulla scia di Karl Popper e dello stesso Edoardo Boncinelli, in effetti, Odifreddi l'ha evitata per ben due volte:

 *  sia quando ha sostenuto che il problema in causa «non ha nulla che vedere con la teoria biologica di Darwin»,

 *  sia quando ci ha spiegato che il naturalista inglese si è interessato «di come la vita si è evoluta sulla terra una volta che abbia avuto origine».

    In tutte e due le statuizioni, come si vede, la questione scivola fuori del quadro e diventa ininfluente. D´altra parte, la prima rappresenta un altro puro e semplice falso in atto pubblico, giacché l´origine svolge invece una funzione cruciale in tutta la scienza, come fra poco vedremo. Mentre la seconda si presenta come un comodo escamotage, del tutto effimero del resto, per eludere la crux insita nell´argomento addotto. Come si ammette, infatti, una qualche fonte il mondo del vivente deve averla avuta perché lo si sia potuto assumere come oggetto di studio. Ergo, deve aver avuto un suo inizio da un qualche dirimente evento interno all´universo fisico, costatazione che paradossalmente dunque emerge dalla stessa argomentazione di chi avrebbe voluto ignorarla.

***  Ora, in terzo luogo, è evidente il fatto che Darwin - come tutto il pensiero scientifico di epoca vittoriana, specialmente in Inghilterra che allora rappresentava forse, con le sue grandi e floride istituzioni ufficiali, dal British Museum alla Royal Society, il «Temple of Knowledge» dell'Occidente per eccellenza - dava per scontata l'esistenza di un ordine della natura in grado di fornire alla realtà osservabile, e in particolare al regno biologico, la sua regolarità organizzata.
   Come al pubblico colto dell´epoca spiegava infatti Thomas Henry Huxley, «il comune fondamento di tutto il pensiero scientifico è dato precisamente dall´ordine invariante della natura», tanto che il primario obiettivo della scienza è precisamente «la scoperta dell'ordine razionale che pervade l'intero universo». La vita, così come la struttura della materia, non potevano essere emerse che dalla provvidenziale monotonia insita in quel sostrato legisimile che aveva creato tutte le condizioni bio-chimiche e fisiche iniziali della loro stabile configurazione;

***  in quarto luogo, l´unico, ciclopico e cruciale problema connesso con questa confessione è ovviamente il fatto che tale ordine sovrano, come lo ha definito la meccanica quantistica, ovvero la forma deterministica delle leggi di natura, può solo essere assunto dal soggetto scientifico con un atto di ragione. Se è da noi pensabile, del pari ci è inconoscibile, e dunque può rappresentare solo un postulato della nostra mente, un´idea regolativa dell´osservatore che come tutti gli enti di pensiero degli esseri umani può constare solo di stoffa cognitiva;

***  in quinto luogo, la sgraditissima e da tutti avversata conseguenza di questa ultima constatazione è naturalmente il fatto che l'intero set d'idee di Darwin nasce e può nascere unicamente da quella preliminare assunzione del tutto ingiustificata e non controllabile da parte di nessuna esperienza concepibile, come vorrebbe invece il cerimoniale della scienza. In al tre parole, si tratta di un presupposto arbitrario e dunque eminentemente non-scientifico che in pratica diventa la pietra miliare e l'arco di volta dell'intero sistema di conoscenza che poi la sua prolifica natura secerne, dando vita ad una progenie di concetti in grado a sua volta di far fiorire i mille fiori del sapere contemporaneo;

***  in sesto luogo, allora, a seguire rigorosamente da questo sciame di constatazioni deriva il fatto che l'intero continente scienza rappresenta un'unica pangea virtuale che in pratica non è in grado di spiegare  alcunché, in quanto non è assoggettabile ad a nessun accertamento sperimentale degno di questo nome, che come sappiamo costituisce la precondizione di ogni dimostrazione corroborata da evidenze empiriche. La sorprendente deduzione che si deve trarre da questi ulteriori riscontri è dunque chiaramente che l'intero scibile scientifico rappresenta un'enorme sfera di nozioni del tutto sconosciute. Che il regno dello spirito chiamato conoscenza potesse essere partorito dall'inintelligibile e constare di materia onirica, nemmeno Shakespeare, immagino, avrebbe potuto sospettarlo.
    È portando alla luce questo sconcertante fatto e spiegando al colto e all´inclita l´insospettabile natura della scienza che il famoso fisico statunitense David Bohm, con un aforisma geniale, ha potuto darci un flash di sintesi della controversa natura di tale oggetto:

«La conoscenza scientifica è un processo di pensiero basato sull´ignoto».


   ***  In settimo luogo, al lume di questa rivelazione, sicuramente intollerabile e altamente sgradita per la comunità scientifica occidentale, sappiamo adesso cosa dobbiamo pensare della trionfale (e del tutto fittizia anch'essa) ultima esternazione di Odifreddi, che ci appare come l'ennesimo falso in atto pubblico. L'intellettuale torinese, infatti, sovranamente indifferente a prima vista nei confronti della grande fisica del Novecento, non si perita di asserire che «l'assolutismo [sic] matematico [è] fondato sulle rocce della dimostrazione e della sperimentazione». La cosa veramente paradossale all'estremo di tale presunzione, oltre al fatto che nasce confutata da Bohm e da tutte le prove in contrario accumulatesi in precedenza, è il fatto che viene contraddetta sia dal platonismo matematico sia dagli stessi matematici di professione. Sarà un po' difficile, penso, sottrarsi al fuoco incrociato di ben tre refutazioni.

   Innanzitutto, infatti, il platonismo matematico, attraverso la voce autorevole di Alain Connes, uno dei suoi massimi esponenti, ci spiega che il mondo delle matematiche non ha alcun rapporto con la realtà fisica e non può dunque essere né corroborato né falsificato dall´esperienza. L´origine divina della macchina simbolica delle matematiche non può intrattenere alcun rapporto con gli enti fisici della materia corruttibile.
   D´altro canto, se si credesse di poter sostenere che le matematiche, magari tramite l´evoluzione naturale del cervello umano, riflettono proprietà del mondo materiale e possono dunque essere controllate su questo, anche tale enunciato farebbe davvero ben poca strada. Per poter essere ritenuto vero, dovrebbe infatti assumere l´esistenza di un universo ordinato e dunque o cadrebbe inevitabilmente anch´esso nei rompicapo insolubili già visti, oppure dovrebbe convenire con la tesi di Bohm. In tutti e due i casi verrebbe comunque smentito.
   Infine, oltretutto, e qui varchiamo la soglia di un nuovo teatro intellettuale dell´assurdo, Ian Stewart afferma precisamente il contrario di quanto dichiarato da Odifreddi. «Non potendo permettersi il lusso dell´osservazione e dell´esperimento», ci spiega infatti lo scienziato inglese, «il matematico deve verificare la bontà del suo lavoro sulla base della coerenza logica interna» delle proprie analisi, esattamemte ciò che sono obbligate a fare anche le teorie fisiche interessate a descrivere la natura. Fine della controversia, e ovviamente ulteriore dimostrazione, da parte di un accademico proveniente dai vertici della comunità scientifica ufficiale dell´Occidente, delle imposture che circolano liberamente nell´editoria italiana e nella pubblicistica (inter)nazionale.

   *** Nondimeno, in ottavo luogo, se si credesse che il Big Bang, come esplicitamente, di contro a De Mattei, ci vorrebbe far credere Odifreddi, abbia veramente risolto il rompicapo degli inizi e costituisca sul serio una spiegazione obiettiva delle origini, ebbene ci si sbaglierebbe completamente. Inutile dire, naturalmente, che questa constatazione rende nulla anche la presunzione di Odifreddi.
Intanto, ad avviso dello scienziato inglese David Peat, la creazione subitanea di materia da un vuoto indifferenziato rappresenta soltanto «un mito della fisica moderna», equivalente in questo ad altre grandi narrazioni dell´umanità senza possibilità alcuna di verifica da parte di qualsivoglia esperienza concepibile. D´altro canto, in sovrappiù il Big Bang è di fatto un´allegoria multiforme della ragione scientifica per una folla di motivi.

    A)    Per un verso, perché rappresenta un oggetto di cui «non si potrà mai avere una conoscenza empirica», spiega l´astrofisico John Barrow, per cui è destinato «a rimanere per sempre nel dominio della filosofia e della teologia», due complementari dipartimenti dell´ideologia contemporanea nell´accezione già precisata.

    B)    Per l´altro verso, a seguito della sua stessa natura surreale. Se infatti l´universo apparisse letteralmente dal nulla, come sostiene la fisica odierna, sia classica sia quantistica, tramite A. D. Linde e Alan Guth; se si presentasse come puro e semplice «risultato di una fluttuazione quantistica» del vuoto di tipo «spontaneo» – vale a dire, si noti la cosa, «senza cause ben definite» – come sostiene Davies, allora saremmo davvero conciati per le feste:

    1.    dovremmo infatti considerare l´origine della materia, dello spazio e del tempo, contestualmente, sia come effetti o risultanze di una loro qualche fonte, sia come entità reali incausate;

    2.    vale a dire, ora dovrebbero essere fenomeni osservabili emergenti da una loro previa causa, ora dovrebbero esistere senza alcuna causa e dunque non potrebbero rappresentare delle manifestazioni di alcun loro principio sottostante.

    C)    Non solo. Per un altro verso ancora, in questo discorso, che di per sé costituisce già un bell´esempio di labirinto argomentativo e di logica versatile in cui tutte le vacche, di nuovo, diventano grigie, da un evento che emerge dal caso e dal contingente, da un´aleatoria e accidentale rottura di simmetria, da una discontinuitá insomma ignota, dovrebbe scaturire poi per magia e con un semplice fiat la nostra conoscenza del mondo.

    D)    D´altra parte, sia come un effetto che proviene da una causa sconosciuta, sia come evento emerso dal nulla, il Big Bang, in conseguenza diretta anche di A), non è assoggettabile ad alcun test né può essere reso intelligibile da alcuna teoria fisica nota — dunque non può rappresentare in alcun modo un qualcosa di scientifico ed è anzi dichiaratamente non-scientifico, se con il fisico statunitense Menam Kafatos ammettiamo che «misurazione o osservazione in condizioni sperimentali controllate e ripetibili sono necessarie per confermare la validità di ogni teoria scientifica».

    E)    Infine, come conseguente conclusione di quanto sopra, poiché non può rappresentare in nessun modo un oggetto d´esperienza, un fatto reale e tangibile, osservabile e misurabile, il Big Bang può essere solo una creatura del nostro intelletto, un´altra assunzione della nostra mente, un ente di ragione senza alcuna esistenza additabile nel regno delle cose palpabili.

***  Oltretutto, come dovrebbe essere evidente, l´intero ragionamento in questione raggiunge sublimi vette paradossali quando al fitto sciame dei suoi argomenti surreali, giusto per farci ancor meglio apprezzare Jonesco, aggiunge anche due finali pennellate magistrali:

    °    Da un lato, infatti, come si è visto in A), viola senza ritegno e con una nonchalance che avrebbe fatto invidia a Epimenide, quel principio di non contraddizione che invece la scienza sia prescrive rigorosamente per tutti gli altri saperi sociali, sia ritiene la cartina di tornasole delle sue dimostrazioni razionali, delle sue spiegazioni oggettive;

    °    Dall´altro, infine, dato che ciò che non è osservabile e quantificabile non esiste per i canoni positivistici della scienza, questo postulato sia confuta a priori ogni possibilità che il Big Bang possa emergere dalla natura, sia con pari disinvoltura il pragmatismo classico e quantistico in oggetto vieta tassativamente l´esistenza congetturale di quell´ordine sovrano dell´universo che il pensiero deve presupporre per potersi rendere intelligibile la realtà fisica e spiegarla!

   Con questo finale pirotecnico, siamo infine giunti al capolinea del regno surreale che è stato sopra disegnato dalla stessa scienza ufficiale tramite alcuni dei suoi rappresentnti più autorevoli. Certamente, stando le cose come stanno, nessun filo di Arianna tridimensionale potrebbe mai farci uscire da un labirinto che farebbe spavento anche ad Asterione. Alla luce di quanto accertato, diventa quasi impossibile credere che proprio dal grembo del tempio della conoscenza per eccellenza sia affiorato un simile teatro intellettuale dell'assurdo, con un suo appropriato script e degli attori professionali in grado d'interpretarne adeguatamente e con maestria insuperabi9le i difficili ruoli. Eppure è evidente che deve esistere, da qualche parte, una data ragione in grado di render conto di quel moderno "regno di Danimarca" che sembra essere diventato l'intelletto occidentale.

   In effetti, tutto nasce e in un certo senso doveva nascere dal presunto emergere del Big Bang out of nothing, una statuizione che la fisica contemporanea e la scienza più in generale ripetono dappertutto come un mantra cerimoniale ed un esorcismo liturgico. Quella fonte, infatti, in luogo di spiegare le origini del nostro mondo fisico, aveva invece come sua primaria e pressoché esclusiva funzione quella di renderne irrapresentabili i caratteri, di modo che non vi fosse più alcun bisogno di questionarla e di approfondire il suo status effettivo. La fitta ed impenetrabile nebbia che tutti i discorsi prima visti secernono copiosa e densa aveva ed ha ancora oggi come suo fine principale proprio quello di rendere invisibile e se possibile far sparire dalla scena la natura esclusivamente virtuale ed eminentemente cognitiva, emergente dall´interno della nostra mente, di quegli inizi del tutto.

Se fosse venuto infatti in primo piano e si fosse rivelato alla luce del sole il fatto che rappresentava una nostra assunzione ingiustificata e indimostrabile con i consueti canoni logici e sperimentali della scienza ufficiale, quella fonte d´ordine avrebbe trascinato con sé, nel vortice della sua natura apocrifa, l´intera scienza contemporanea. Il maestoso castello in aria delle sue costruzioni intellettuali, insieme al principio di oggettività e al suo privilegio istituzionale tra i diversi saperi sociali, avrebbe rischiato di esser travolto da una sorta di tsunami culturale inarrestabile. Un cataclisma concettuale di questa portata non avrebbe mai potuto esser tollerato né ammesso, nemmeno come ipotesi remota, ancor meno addirittura come possibilità, dalla comunità scientifica occidentale. Ogni prezzo poteva e doveva essere pagato pur di scongiurarlo. E come si è visto, non si è certo fatta economia di mezzi. Il gioco evidentemente valeva la candela. 

 

6. Scienza e teologia

   Le opinioni di Odifreddi, che qui sono interessanti nella misura in cui rispecchiano un´attitudine profonda di tutti gli intellettuali ufficiali dell´establishment e sono dunque rappresentative di una loro generale forma mentis, hanno avuto modo di venire alla luce anche per spiegare al grande pubblico il rapporto scienza-religione.

   Usando di nuovo anche “la Repubblica” del 18 maggio 2002 e altri media della carta stampata come la “Rivista dei libri” del marzo 1996 per far conoscere al colto e all´inclita il vero stato della questione, Odifreddi ha sostenuto più volte che Dio è stato da tempo, perlomeno dall´epoca di Laplace, espunto dalla scienza, la quale perciò consta oggi solo di pensiero laico e nient´altro, non occupandosi che dei fenomeni osservabili e delle leggi che ne governano la regolarità. La scienza, dunque, sarebbe al momento presente un sapere in cui in pratica «si formulano ipotesi da sottoporre poi al vaglio dell´osservazione e dell´esperimento».   

  Noncurante degli stereotipi che lei stessa fa circolare nel corpo sociale, la comunità scientifica odierna ha poi più recentemente confermato, per mezzo del Prof. Umberto Veronesi, l´interpretazione del matematico torinese. In una intervista a Sky Tg24 del 4 febbraio 2010, riportata poi dal “Corriere della sera” nel quale la leggo, il famoso oncologo e scienziato di chiara fama ha infatti dichiarato che «scienza e fede non possono andare insieme», giacché la religione a suo avviso è integralista e «la fede presuppone di credere ciecamente in qualcosa di rivelato nel passato, una specie di leggenda che ancora adesso persiste, senza criticarla, senza il diritto di mettere in dubbio i misteri e dogmi che vanno accettati o, meglio, subiti». Al contrario, «la scienza vive nel dubbio, nella ricerca della verità, nel bisogno di provare, di criticare se stessa e riprovare».

  Benché abbia ricordato di provenire da una famiglia religiosissima – ed anzi probabilmente, come dice Gaber in una sua toccante canzone, ironica e amara ad un tempo, proprio perché ha avuto un´educazione troppo cattolica –, Veronesi pensa oggi che scienza e fede rappresentino «due mondi e concezioni del pensiero molto lontani l´uno dall´altro, che non possono esser abbracciati tutti e due» dallo stesso soggetto in un unico credo. Una convinzione che è stata del resto prontamente smentita dall´opinione del chimico quantistico inglese Peter Atkins, per il quale «chiaramente si può essere scienziati e avere una fede religiosa», salvo poi, col tipico stile eclettico della comunitá di cui fa parte, asserire in un altro suo scritto che non esiste «un´effettiva compatibilità tra scienza e religione»!

   Col consueto pragmatismo della corporazione, il fisico italiano Nicola Cabibbo su “Repubblica” del 3 dicembre 2009 sembra intanto, quanto meno a prima vista, dare ragione a Veronesi quando critica l´antidarwinismo e implicitamente De Mattei, dando per contro ragione a Odifreddi, sostenendo che «il creazionsimo non è scienza». Poi veniamo a sapere però, nello stesso articolo, che attualmente «presiede la Pontificia accademia delle scienze» avente sede in Vaticano, circostanza che di fatto contraddice Veronesi e Odifreddi perlomeno due volte:

*  sia perché si trova alla guida di un´istituzione che è la fucina culturale del creazionismo e il suo maggiore centro di diffusione nel mondo,

*  sia perché incorpora nella sua persona precisamente due figure che dapprima si ritenevano inconciliabili: quella dello scienziato e quella del funzionario pontificio. In un solo organismo.

   Francamente, alla luce di quanto sopra asserito da Veronesi, pare davvero difficile poter immaginare una simbiosi più controversa di questa, annunciata del resto, a ben vedere le cose, dallo stridente ossimoro insito nello stesso nome dell´accademia che il fisico italiano si trova a dirigere. Se il reale empirico fosse sul serio la pietra di paragone delle teorie, ebbene anche questa volta la stessa esperienza avrebbe confutato le pretese in causa.

   Invece di rappresentare l´ennesima incarnazione del soggetto che predica bene ma razzola male, oppure di un trasformismo intellettuale che nella vita dell´Italia e dell´Occidente ha una lunga storia, il caso di Cabibbo, insieme del resto a quello di Veronesi e Odifreddi, costituisce al contrario una importante prova aggiuntiva delle imposture che tramite i media vengono a gettito continuo propinate alle moltitudini italiche e più in generale planetarie. Niente di personale naturalmente, inutile persino dirlo, anche in questa occasione. Anzi, proprio perché sono tipiche di tutti gli accademici e gli intellettuali di sistema dell´Occidente, si può con buona approssimazione e penso fondatamente assumere che le loro descrizioni del problema siano rappresentative di tutta un´élite e non di singoli individui.

   Del resto, tutte le condotte, intellettuali e no, di questi soggetti non fanno altro che ripetere uno stereotipo classico delle nostre società: l´idea, cioè, come ha sottolineato per l´ennesima volta Horace Judson nel suo volume The great betrayal, che la scienza rappresenti un sapere oggettivo che ha espulso per sempre dal suo seno il sovrannaturale, la magia e la religione, e s´identifica soltanto con la comprensione razionale della natura, con la descrizione di come il mondo reale è. Da Newton a John William Herschel, da Darwin a Marx ed Engels addirittura, da Max Weber a Robert Merton, da Talcott Parsons a Vannevar Bush (dal 1941 sotto Franklin D. Roosevelt fino alla presidenza di Harry Truman direttore dello statunitense “Office of Scientific Research and Development”) – giusto per attraversare con questi nomi epoche cruciali del mondo contemporaneo e culture a prima vista diverse, financo formalmente alternative –, il pensiero contemporaneo ha a lungo coltivato con inconfessabili secondi fini quella fittizia convinzione. Ancora oggi, d´altro canto, con evidenti intenti di dissimulazione, ci propina imperterrito quel ritratto immaginario.

   Precisato tutto ciò, si può a buona ragione, e di contro a tutto quello che è stato detto in precedenza, sostenere che la scienza ospita – eccome – al suo interno la teologia e il divino. Innanzitutto perché sono gli stessi fisici di punta della comunità scientifca occidentale a dichiararlo.

*  Ad avviso di Davies, infatti, «la ricerca religiosa» è sempre stata parte integrante del «progetto scientifico»: «Questo non dovrebbe sorprenderci. La scienza è nata dalla teologia, e tutti gli scienziati, siano essi atei o deisti, accettano una visione del mondo essenzialmente teologica».

*  Del resto, sin dall´alba della scienza occidentale, come ci fanno sapere alcuni studiosi anglosassoni, «tutti gli scienziati studiavano il mondo precisamente con lo scopo di dimostrare la sapienza di Dio».

*  È dunque logico, a questo punto, che Jean Largeault si lasci andare alla seguente constatazione: «Dio è una componente indispensabile dei sistemi scientifici, siano essi idealisti o realisti», senza distinzione alcuna tra le due scuole.

*  Stando così le cose, aveva forse torto Émile Durkheim quando ci spiegava che «la scienza non è nient´altro che una forma più perfetta di pensiero religioso»?

   Anche se la scienza intrattiene profondi legami di fatto con la teologia, in particolare cristiana, anche quando si dichiara laica e realista, persino quando si immagina di essere atea, l´aspetto forse più sconcertante dell´intera questione risiede tuttavia in un´ulteriore constatazione. La scienza, infatti, incoropora il Divino e il Sacro, e deve farlo financo contro la sua volontà, perché l´ordine sovrano dell´universo da cui emergono l´organizzazione del mondo, le sue regolarità osservabili e le leggi di natura, rappresenta sin dall´inizio un principio determinante di forma eminentemente cognitiva, integralmente partorito dalla fervida mente del soggetto scientifico ed avente lo stesso status apocrifo della sua fonte. Costituisce, in altri termini, una variante secolare di Dio. Come questo, in effetti, tanto possiede le stesse caratteristiche trascendenti e invisibili, quanto soprattutto viene presentato dalla stessa scienza, alla medesima stregua dell´Altissimo, come un sostrato inconoscibile dall´umano intelletto.

   Se è senz´altro vero, come ci spiega di nuovo Davies, che «l´intera impresa scientifica si regge sull´assunzione della razionalità della natura», se non vi sono dubbi in merito al fatto che «tutta la scienza si fonda sull´assunzione che il mondo fisico sia ordinato», duplice presupposto indispensabile alla nostra specie per potersi rendere intelligibili le cose, allora è evidente che la scienza, sotto le mentite spoglie dell´ordinamento oggettivo del cosmo, incorpora nel suo pensiero il sovrumano e non può farne a meno.

   La cosa è persino apertamente confessata, col disinvolto candore dell´élite accademica ufficiale da cui proviene, da due fisici quantistici di fama internazionale come Omnès e Charpak. Secondo i due scienziati francesi, infatti, «siamo noi ad attribuire un carattere sacro e trascendente alle leggi di natura», tanto che queste ultime discendono «dall´ordine della nostra mente» e non possono dunque inerire in alcun modo alla realtà (se hanno forma onirica, difatti, non possono averla fisica). Ora sappiamo cosa dobbiamo pensare sia dei vari Traité d´athéologie alla Michel Onfray e di consimili manuali, sia dei materialisti di qualsiasi scuola e tendenza.

   Del resto, le imposture insite negli stereotipi diffusi nella pubblica opinione, a piene mani, dagli uomini di scienza dell´Occidente rifulgono in piena luce, di nuovo, nei documenti – vere e proprie pietre miliari della dissimulazione – che quasi quotidianamente, con ciclica e studiata regolarità, compaiono sulle colonne di “Repubblica”, questo portavoce italico delle classi dirigenti statunitensi. È qui infatti che laici e teologi mettono in mostra il terreno condiviso che accomuna il loro pensiero in un solo fascio.

   In un´intervista del 2 febbraio 2010 a sua eminenza il Cardinale Martini, il «non credente» Eugenio Scalfari si presenta di fronte all´alto prelato come una sorta di materialista sui generis, quando di contro alla fede confessa di credere alla natura «indistruttibile» della materia e all´eterno «ritorno agli elementi» fisici dell´universo della energia che s´incarna nei nostri corpi e nei fenomeni del mondo più in generale. La cosa ha persino del comico perché l´arcivescovo subito ci fa notare, in una sorta di inconscia confessione dell´effettivo stato delle cose, come i loro punti di vista, in apparenza lontani e opposti, in realtà – queste sono le sue parole – «si possano alimentare dalla stessa fonte» e in un certo senso, al di sotto della facciata di superficie, coincidano.

   L´illustre esponente della «Chiesa spirituale» e «grande dignitario della cattolicità» sa benissmo, è di nuovo lui a chiarircelo, che tramite la sua azione ecumenica «la Chiesa persegue la tutela dei suoi interessi di potere». In fin dei conti, si ammette, «è sempre stato così». C´è persino «una ragione perché sia così». Dal suo punto di vista, infatti, la Chiesa ufficiale si comporta in ultima analisi come un organismo che coltiva «l´istinto di sopravvivenza», vale da dire «la forza della vita, che è una forza che ogni creatura umana porta dentro di sé» sin dalla nascita. Un fatto che viene financo compendiato in un aforisma di sintesi: «l´istituzione deve sopravvivere». A leggere Martini, davvero sembra di sentir parlare Thomas Hobbes! È persino inevitabile che le cose stiano in questo modo: «La sopravvivenza individuale genera sentimenti di egoismo ed è naturale che sia così, è fisiologico che sia così».

   Con la mirabile arte del retore pastorale, appresa del resto lungo un training spirituale durato oltre duemila anni, intesa a disdire quello che si dice nel mentre lo si dice, tramite le sue alate parole in pratica il Cardinale ci fa sapere che la Chiesa per eccellenza dell´Occidente:

*  sia è un´istituzione di potere,

*  sia che la sua fonte è un istinto di sopravvivenza di origine naturale,

*  sia che i sentimenti di egoismo che esso secerne sono anch´essi «naturali e fisiologici»,

*  sia infine che questo suo carattere non le vieta di prestare la sua vigile attenzione «a tutto ciò che viola il principio dell´uguaglianza, cioè della pari dignità degli uomini». Se «il peccato del mondo è l´ingiustizia», la Chiesa è il suo redentore.

   Inutile insistere oltre, mi sembra, sulla sottile logica versatile insita in queste argomentazioni astutamente doppie. In sostanza, veniamo messi di fronte ad una serie di mistificazioni che con la disinvoltura dell´impunità cultu(r)ale propria della dottrina ci vengono a rovescio presentate come se fossero oro colato. Infatti:

*  sia ci si dice che la fede è potere,

*  sia che questo è un fatto naturale,

*  sia che la sua tendenza a riprodursi come sistema di potere è fisiologica,

*  sia infine che contro la sua natura più autentica la fede persegue la giustizia e l´uguaglianza degli uomini.

   A quanto pare, Valéry aveva perfettamente ragione: «La teologia gioca con la verità come il gatto col topo». Sarebe inutile e del tutto superfluo, penso, far notare al Cardinale che se la Chiesa fosse un sistema di potere per decreto di natura, visto che il mondo è una creatura di Dio, ne dovremmo dedurre di conseguenza perlomeno due conseguenze, entrambe paradossali e devastanti per il credo cristiano.

*  Per un verso, o che l´Altissimo l´ha voluta così contravvenendo al messaggio evangelico e dunque contraddicendo la sua parola. Il che è impossibile per l´Onnipotente. Se l´ammettessimo, infatti, dovremmo dedurne che Dio, in quanto vuole necessariamente solo quello che vuole (il dantesco volsi così colà dove si puote ciò che si vuole), ha voluto ciò che non poteva volere. Oppure che l´ha concepita sin dall´eternità in questo modo perché così voleva che le cose fossero e per sempre rimanessero. Il che è di nuovo impossibile. Se l´ammettessimo, difatti, dovremmo questa volta dedurne che invece dell´Amore universale e del Bene illimitato e assoluto il Signore avrebbe preferito mettere al mondo una fonte di ecumenica disuguaglianza, tra l´altro dotando gli uomini del libero arbitrio perché necessariamente contravvenissero alle sue intenzioni! Se la Chiesa è il corpo di Dio, semplicemente non è possibile che sia identica ad un regime del tornaconto, ad una sorta di signoria confessionale, ad «interessi di potere».

*  Per l´altro verso, anche a prescindere dalle due alternative in oggetto, entrambe vietate e smentite dagli approdi assurdi che secernono, un organismo gerarchico di formazione naturale non potrebbe mai perseguire fini contrari al suo status originario, giacché essendo venuto al mondo per incarnare la volontà di Dio non potrebbe in alcun modo né cambiare la sua natura, né tanto meno tendere a realizzare scopi diversi da quelli che la sua esistenza deve necessariamente dettargli e imporgli. Ergo, è impossibile, fatta salva comunque l´esistenza degli altri paradossi, che la Chiesa possa perseguire ideali di giustizia e di uguaglianza tra tutti gli uomini. Un simile evento, infatti, implica l´annullamento di ogni differenza tra gli esseri umani e quindi anche la demolizione, per ragioni di dottrina e non per altri motivi occasionali o contingenti, della gerarchia vaticana. Il che è di nuovo impossibile, visto che il suicidio è contro natura (ovvero avverso, nella fattispecie, all´istinto di «sopravvivenza dell´istituzione»).

*  Se poi, al culmine di questi argomenti apocrifi si fa mente locale al fatto che Dio rappresenta soltanto una immaginaria per quanto di sicuro potente icona della mente umana, si dovrebbe avere un´idea più chiara anche del fatto che sia le innumerovoli atrocità di cui si è resa responsabile la Chiesa ufficiale nel corso dei secoli, sia la piramide di comando che ha ben presto partorito dal suo grembo – gerarchia, organigrammi, soggezione, obbedienza, silenzio, e quant´altro – sono solo l´incarnazione drammaticamente reale della sua natura integralmente profana. Per questa ragione, ben al di là delle apparenze di superficie, il Cardinale Martini ragiona precisamente come faceva Thomas Hobbes nel 1600 quando doveva corroborare la nascita, le funzioni e il governo assoluto del Leviatano. Da questo punto di vista, al contrario di quanto normalmente si crede e appare sulla scena sociale, l´autorità spirituale del Vaticano non è nient´altro che il volto visibile di un invisibile potere di fatto saldamente nelle mani della sede pontificia e dei suoi selezionati funzionari.

   D´altro canto, l´intima simmetria tra mente laica e fede in Dio, se il realismo del primo e la trascendenza del secondo secernono finzioni funzionali a dati scopi, implica che entrambe ci somministrino le stesse massicce dosi d´impostura giornaliera. Facciamo astrazione, per un momento, da quelle insite nel discorso di Martini. Possiamo infatti considerarle, a tutti gli effetti, conseguenti frutti fisiologici della Chiesa ufficiale, visto che quest´ultima – come ci è stato spiegato dallo stesso alto prelato – è un sistema di potere che come ogni sistema di potere di questo mondo deve secernere regni apocrifi per vietare preventivamente al gregge qualunque comprensione di alcunché. Del resto, «i traffici loschi della Santa Sede», come recita una seconda canzone di Gaber, bella quanto la precedente, oltre ad essere «parte integrante della fede», sono anche un’altra prova provata, dedotta dall’esperienza questa volta, dell’effettiva natura dello Stato pontificio. Resta il fatto, a questo punto, che il quotidiano romano, per voce del suo stesso fondatore, poco diverso in questo, è bene ricordarlo, dalle altre testate giornalistiche dell´Occidente, avrebbe avuto l´intenzione di farci bere quanto meno due altri calici di ambrosia ideologica.

*   In primo luogo, sull´autorevole scia degli scienziati prima visti, alcuni dei quali come Odifreddi ad esempio, non a caso evidentemente, hanno rubriche fisse sul suo giornale, avrebbe voluto farci credere che il pensiero laico e persino ateo è differente da quello teologico e possiede una sua distinta natura rispetto a quest´ultimo. La stessa scienza, pur cercando anch´essa di avvalorare la tesi del giornalista italiano, tipico funzionario della specie descritta da Gore Vidal, ha dimostrato oltre ogni lecito dubbio la falsità di tale pretesa. Teologia e Scienza, nonostante le (in)equivoche tendenze degli addetti ai lavori che incarnano quest´ultima, hanno di fatto un nucleo concettuale comune sottostante ai cliché ordinari con cui vengono di solito dipinte. Suo tramite, di contro ad ogni altra lettura interessata, sono in simbiosi ed estrememente solidali tra loro.

*   In secondo luogo, ha intenzionalmente cancellato dalla scena intellettuale del colloquio con l´arcivescovo, oppure l´ha bellamente ignorata, il che mette capo allo stesso risultato, la natura profondamente ambigua degli argomenti addotti dal Cardinale per corroborare la sua interpretazione delle cose. In un certo senso, doveva farlo, e coerentemente l´ha fatto, perché solo presentandoli come degni di considerazione e consistenti con la presunta missione della Chiesa, poteva a sua volta convalidare la fittizia distinzione del suo punto di vista terreno da quello celeste di Martini. Che così facendo si sia messo capo solo ad una duplice impostura, è un fatto che rientra appieno naturalmente nei compiti pubblici delle due istituzioni di cui sono illustri rappresentanti.

 

7.    Disegni convergenti

   Se dovessimo tirare le somme di quello che è emerso alla luce del sole in questo non breve viaggio nelle brume dell´ideologia contemporanea, tra l´altro attraversando continenti scientifici, inoltrandosi in malsane paludi mediatiche che avrebbero fatto invidia allo Stige e avventurandosi nei meandri imperscrutabili della teologia, si potrebbero forse tratteggiare alcune possibili letture di quello che si è scoperto, in grado magari di renderne conto in qualche modo.

 
Primo disegno

 

*  In prima approssimazione, si potrebbe anche pensare che tutti i soggetti qui presi in considerazione – da Giorgini al Cardinale Martini – ci abbiano semplicemente presentato dei cliché preconfezionati diciamo a scopo didattico e pedagogico, per menti semplici di persone ordinarie quali noi siamo, in modo che tutti potessero capire i rudimenti delle rispettive dottrine, in accordo naturalmente con quello che ne pensano i loro ministri.

*  Nondimeno, in seconda battuta si potrebbe anche immaginare che questi stessi individui non siano perfettamente al corrente di quello che dicono e fanno i vertici delle rispettive Chiese e sappiamo ben poco, in definitiva, di quello che accade veramente all´interno della loro comunità. Ciò pare particolarmente evidente, di primo acchito perlomeno, soprattutto per quei numerosi soggetti che, come si è visto, provengono da certi ambienti scientifici.

*  Una tale impressione, in terzo luogo, potrebbe inoltre anche essere confortata dal fatto che i diversi resoconti presi in esame, come si è visto, non corrispondono in nulla all´effettivo status degli oggetti analizzati e paiono descrivere più la fervida immaginazione dei diversi personaggi, il loro universo onirico e il mondo prolifico dei loro desideri, che lo stato delle cose.

*  Infine, si potrebbe senz´altro sostenere che ciascuno di loro, rappresentando in questo l´animus della rispettiva parrocchia, abbia mentito sapendo di mentire. Se lo avessero fatto, in fin dei conti sarebbe comprensibile. Infatti, una simile mossa risulta loro indispensabile per difendere lo status privilegiato e superiore del sapere scientifico e della teologia rispetto a tutte le altre forme di cultura. Vale a dire, serve per tutelare la loro esistenza sia in quanto categoria professionale specialistica, sia in quanto funzionari del sistema in possesso di una quota parte di potere personale (pastorale, spirituale, accademico, stipendiale, professorale, ecc.) nella gerarchia sociale complessiva. Scelga chi può tra le diverse alternative.



   D´altra parte, se non fingessero intenzionalmente, mentirebbero comunque in un certo senso, giacché la realtà dei fatti è completamente differente dalle loro narrazioni edulcorate. Dunque, è come se mentissero. In ogni caso, se lo facessero veramente non ci sarebbe niente di strano. Per comprendere infatti fino in fondo la natura estremamente fisiologica del dolo intellettuale in genere nella società contemporanea, è sufficiente fare mente locale alla diffusa pratica della frode nella scienza odierna. Poiché si tratta pur sempre di un reato perseguito dalla legge e dunque di un misfatto, la sua analisi dovrebbe aiutarci a capire meglio perché falsare lo stato delle cose e secernere imposture risultino in fin dei conti del tutto funzionali all´establishment scientifico dominante. In ogni caso, essi emergono in maniera ricorrente dal suo seno e sono dunque da considerarsi parte integrante del suo status.

   Intanto, nota Judson, i grandi tenori accademici e istituzionali dell´Occidente ritengono che la scienza rappresenti un sistema in grado di autocorreggersi e di governarsi da solo. Da questo punto di vista, la frode sarebbe rara e solo una patologia psicologica di alcuni individui e non «un reale problema» per gli scienziati nel loro insieme. Questi esponenti di vertice della comunità scientifica, rimarca ancora Judson, enunciano i loro giudizi in maniera «dogmatica» e come se fossero «articoli di fede», finendo col somigliare in questo ad una sorta di variante laica del clericalismo classico. Se questo costituisce all´interno della gerarchia ecclesiastica e della Chiesa una cultura «del segreto, dell´immunità, del privilegio e dell´impunità [lack of accountability]», anche nella scienza pare allignare un contegno simile (come Jason, è bene ricordarlo, ci ha mostrato in lungo e in largo). Paradossalmente, oltretutto, aggiunge Judson, «le loro dichiarazioni in merito alla scienza sono antiscientifiche», giacché l´esperienza dimostra piuttosto il contrario delle loro pseudo spiegazioni. Le loro prese di posizione sono quindi dettate più da aspettative della corporazione che da altro e «nascono da ovvi interessi privati» più che da un´attenta disamina dei fatti constatati.

   La frode e le «correlate forme di malgoverno», all´opposto di quello che si vorrebbe far credere, rappresentano invece un fenomeno endemico ed «epidemico» nel seno della scienza, non eventi casuali ed effimeri attribubili a soggetti affetti da una qualche sindrome. Fabbricazione o «dry labbing», falsificazione e plagio (ben distinto dalla mera copiatura) sono le più comuni e frequenti forme di dolo osservate negli ambienti scientifici. La prima è identica alla pubblicazione di un falso vero e proprio e significa «faking data entirely». La seconda equivale ad una manipolazione dei dati posta in essere per raggiungere certi scopi e conclusioni desiderate. L´ultima infine costituisce una appropriazione indebita e naturalmente illegale di proprietà intellettuale altrui ad uso personale fraudolento. Il fatto è talmente grave e rilevante che persino la «National Science Foundation» USA nel 2001 ha postato sul suo sito (www.nsf.gov) un importante documento in cui si classificano quelle forme di «misconduct» e si fornisce alla pubblica opinione una loro definizione ufficiale.

   Recensendo lo studio di Judson nella «New York Review of Books» del 18 novembre 2004, in un articolo intitolato significativamente Dishonesty in science, il famoso biologo Richard C. Lewontin ha a sua volta additato al colto e all´inclita il fatto che l´elite scientifica dell´Occidente, che si ritiene «la fonte di una conoscenza privilegiata» di cui essa avrebbe in pratica il monopolio, si è resa più volte responsabile di condotte fraudolente invece che di una disinteressata ricerca della verità. A questo proposito, un articolo pubblicato sullo ”International Herald Tribune” del 30 giugno 2008 sottolineava in effetti il fatto che «gli scienziati ricorrono alla frode più spesso di quanto normalmente si pensi» nel corso del loro lavoro. Secondo Lewontin lo fanno in genere per ragioni extrascientifiche. Comunque lo fanno nell´ambito della loro attività professionale per i motivi più svariati. «La ricerca del successo economico, del potere personale, e la gratificazione del proprio ego», spiega Lewontin, «hanno ripetutamente portato alla disonestà, alla frode, all´immoralità negli affari, nella Chiesa e nello Stato. Perché dovremmo pensare che i devoti delle leggi newtoniane siano più santi di quelli governati dal cardinale Law?» (l´alto prelato statunitense che ha coperto lo scandalo degli abusi sui minori nella Chiesa cattolica USA). Ed in effetti non ve n´è necessità. Proprio per questo, si precisa, occorre vigilare:

«Ogni scienziato dovrebbe essere d´accordo nel definire una frode conclamata un fatto indecente. Prescindendo da questioni di moralità, la ricerca scientifica sarebbe distrutta in quanto vitale impresa umana e gli scienziati perderebbero ogni diritto a reclamare risorse sociali se le falsificazioni non fossero denunciate. Per questo gli scienziati debbono stare in guardia, pronti a rilevare le imposture emergenti dall´interno delle loro istituzioni».

   Nondimeno, proprio nel caso dell´11 settembre 2001 gli scienziati dell´agenzia governativa NIST che nel 2005 hanno redatto il rapporto sulle Twin Tower e nel 2008 sul WTC 7 hanno bellamente ignorato le ammonizioni di Lewontin, dimostrando ancora una volta quanto una grande parte della comunità scientifica attuale sia comunque propensa ad incorrere nel dolo intellettuale sistematico formalmente stigmatizzato dalle stesse autorità di controllo dell´amministrazione USA. La cosa è del resto provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, dalla copiosa documentazione apportata in proposito dal recente volume, appena pubblicato e da non perdere, di David Ray Griffin – The mysterious collapse of World Trade center 7. Why the final Official Report about 9/11 is unscientific and false –, a conferma ulteriore e pressoché definitiva di tale deplorevole ma ormai acclarato stato delle cose. Del resto, se persino la pretesa di Science, la celebre rivista della «American Association for the Advancement of Science», secondo cui il 99.9999% – alla lettera! – dei report scientifici «sono accurati e veritieri», è essa stessa a parere nuovamente di Lewontin «either a fabrication or a falsification», allora ben si capisce l´effettiva natura del problema e il reale stato dell´arte.

   D´altro canto, lo stesso Lewontin, a sua volta, lamenta l´esistenza ancora di un´altra «pervasiva disonestà nella pratica della scienza che rende un certo livello di corruzione intellettuale caratteristico dell´istituzione» e non dovuto affatto a circostanze esterne o a fattori occasionali e contingenti. In pratica, spiega il biologo statunitense, i direttori di ricerche scientifiche nei grandi laboratori degli attuali centri di ricerca dell´Occidente si attribuiscono d´autorità la paternità dei risultati di un lavoro d´equipe, spesso senza avervi minimamente preso parte, e risultano quindi ufficialmente i titolari della eventuale scoperta e comunque del successo dell´impresa. «È un´esazione», dice Lewontin, «che il potente impone al più debole». Lo scienziato che dirige queste imprese collettive «ha un incondizionato diritto di proprietà intellettuale sul progetto, così come un proprietario fondiario ha sovrani diritti di proprietà nei confronti del prodotto dei servi o dei contadini che occupano terre signorili». Si tratta di una vera e propria «intellectual fraud» a danno degli altri membri del gruppo di lavoro. Conclusione:

«La fabbricazione e la falsificazione di risultati scientifici che condanniamo come frode sono una conseguenza del desiderio di notorietà, di status e di ricompense economiche. Ma l´appropriazione  indebita di reputazione scientifica da parte di esimi scienziati nasce dalle stesse ragioni. Come ci si può aspettare dagli scienziati, in guisa di inviolabile standard, una stretta adesione al criterio di verità nello studio della natura, quando essi partecipano in massa ad una consapevole falsificazione quotidiana nella produzione di quella verità?»

   Come se queste constatazioni non bastassero, l´intera questione assume tuttavia un aspetto oltremodo paradossale non appena Lewontin, dopo averci fatto notare come Judson abbia mancato ogni spiegazione di questi fatti, ignora egli stesso per primo qualunque analisi e financo l´esistenza di “Jason”. La cosa diventa ben presto surreale perché Lewontin rtiene che il rapporto – Scientific Integrity in Policymaking – pubblicato nel febbraio 2004 dalla “Union of Concerned Scientists”, e i cui firmatari comprendono venti Premi Nobel e diciannove beneficiari della statunitense «National Medal of Science», sia rappresenti un documento «che parla in nome della oggettività scentifica disinteressata», sia costituisca una critica dell´amministrazione Bush e delle sue intenzioni «di utilizzare la scienza a fini politici ed economici». Oltretutto, Kurt Gottfried, un fisico della Cornell University, replicando a Lewontin nella «New York Review of Books» del 10 febbraio 2005 e parlando a nome e per conto della UCS, sostiene che l´amministrazione statunitense allora in carica avrebbe «spesso violato il codice etico che fa da fondamento a tutte le scienze».

   L´insieme di queste considerazioni, come dovrebbe esser chiaro, ci fa entrare subito in una sorta di nuovo teatro dell´assurdo. In pratica, per un verso, gli stessi scienziati che prima facevano emergere la frode dal seno stesso della loro comunità, dovrebbero ora essere capaci di partorire analisi oggettive e disinteressate del reale. Per l´altro verso, scienziati che per decenni hanno lavorato, in segreto, indistintamente per tutti i diversi governi USA dovrebbero essere ora divenuti critici inflessibili di quello stesso potere che hanno così ben servito nel passato e che oggi continuano a servire. Infine, quella stessa comunità scientifica che per numerosi lustri ha infranto ogni norma deontologica e professionale, sia con le sue attività segrete di ricerca al servizio del DoD, sia con le condotte messe in luce da Lewontin, sia con i casi rivelati da Judson, vorrebbe ora fare appello, in guisa di custode della Carta Costituzionale della conoscenza, a presunti «codici etici» che lei stessa ha ignorato e infranto ripetutamente nel corso del Novecento (si noti poi il fatto che, al colmo dei colmi, tra gli insigni firmatari del succitato rapporto, caso mai fossimo stati assaliti da qualche dubbio, figurano prominenti “Jasons” del calibro di Murray Gell-Mann, Steven Weinberg, Marvin Goldberger, Walter Munk, Edwin Salpeter, Richard Garwin e Val Fitch, giusto per citare solo la sommità dell´iceberg). Stando così le cose, confrontati con un simile scenario, si capisce forse meglio perché la science fiction, solo una forma di letteratura in fondo, non possa in alcun modo competere in invenzione creativa con la sfrenata immaginazione apocrifa degli scienziati reali.

   Oltretutto, la cosa importante da rilevare in questo contesto è il fatto che la falsificazione e la fabbricazione delle prove così diffuse negli ambienti scientifici, ed emergenti dal loro grembo, non riguardano esclusivamente le scienze sperimentali o più direttamente legate al mondo dell´industria e degli artefatti tecnologici (se mai è esistita una qualche distinzione tra scienza pura e applicata). Come si è avuto modo di vedere, falsificazione e fabbricazione hanno luogo forse prima di tutto, volontariamente o meno, nell´ambito dei dati intellettuali di partenza del pensiero scientifico, dei sistemi d´idee di cui si nutre e di cui consta il sapere dell´Occidente. Da questo punto di vista, la forgery avviene a monte e s´insinua sin dall´inizio nella cornice concettuale della scienza fino a coincidere con questa, nella forma mentis più profonda del suo intelletto apparentemente formale e avalutativo, preformandone ab ovo i suoi più intimi significati cognitivi.
   Del resto, è sufficiente fare mente locale alla impressionante concordanza tra il contratto di equità di Giorgini e il principio d´uguaglianza di Martini per capire come stia veramente la questione. La perfetta simmetria tra scienza e teologia – un vero e proprio ricalco, nella fattispecie, che somiglia molto da vicno ad una emulazione (ad una copia perfetta, cioè, dell´originale) – ci dimostra perlomeno due cose:

   *   innanzitutto, a dispetto di quanto avrebbero voluto farci credere, la profonda e forse a prima vista invisibile simbiosi dei due regni;

   *   inoltre, se è vero che la prima incorpora la seconda, il fatto che entrambe secernono imposture come una tartaruga le sue uova.

   Nondimeno, la natura apocrifa della scienza e financo della teologia viene ancora meglio in luce se, come sostenuto sin dall´inizio, si assume che i funzionari di entrambi i domini asseriscano la verità quando ci presentano lo status del loro rispettivo universo di pensiero. Se ad un´analisi più ravvicinata e dettagliata quest´ultimo si rivela surreale e finto, con una natura ben diversa da quella immaginata, cosa dovremmo poi pensare di due sistemi dogmatici che sono falsi proprio perché sono veri? Se nel paese in cui si avventura, ad Alice tutto appare sottosopra e financo irriconoscibile a causa del suo viaggio onirico nel mondo dell´inconscio, in quello della scienza e della teologia invece di per sé le cose non sono quelle che sono. Il perché è presto detto.

   L´intenzione di tutti quanti è infatti sempre stata quella di far sparire dal davanti della scena il reale stato delle cose attraverso una presentazione apocrifia e fittizia di entrambi, in modo che questa simulazione e tendenziale emulazione prendesse il posto dell´originale, che sarebbe così rimasto invisibile e inaccessibile ai comuni mortali per i secoli avvenire, come infatti è successo fno ad oggi. Da questo punto di vista, autentica e sinceramente mendace è sempre stata l´aspirazione a cancellare dalla faccia della terra le caratteristiche più intime di quei due regni, facendo in modo che si potesse osservare soltanto la loro immagine più stereotipa e convenzionale, una icona del tutto fittizia che però si è rivelata estremamente funzionale al conseguimento dei fini programmati (perseguiti, naturalmente, col concorso e l´intervento estremamente attivo ed efficace di tutti gli interessati, che per l´occasione hanno dispiegato i grandi mezzi della propaganda di cui disponevano).

   In fin dei conti, la posta in gioco, ne fossero coscienti o meno, rappresentava per tutti i soggetti in causa una sorta di prova del fuoco intellettuale. Senza quell´operazione, infatti, né la scienza né la teologia avrebbero potuto sopravvivere in un ambiente avverso, né avrebbero più potuto aspirare a ricoprire quel ruolo sovrano che ancora oggi svolgono nei rispettivi ambiti di competenza.

Secondo disegno


   D´altro canto, il fatto che tutti quanti facciano sparire dalla loro argomentazione e letteralmente ignorino i rompicapo che emergono, fitti, dai loro discorsi mostra una stupefacente simmetria con la logica della «deep politics» tramite cui i dominanti danno forma alla realtà – sociale, geopolitica, finanziaria, ideologica, ecc. – loro più conveniente o che meglio si accorda con le loro strategie globali. Se è vero che le imposture, come asserisce Roberto Scarpinato, «costruiscono invisibli gabbie mentali che impediscono la visione del reale», allora è naturale che tutti i domini presi in esame abbiano messo al mondo i complessi set di finzioni che si sono visti.

   In un certo senso, il fatto che detti domini siano tutti agenzie della dissimulazione li ha obbligati a cancellare dalla scena pubblica visibile le insostenibili tendenze di cui si sostanzia la loro interpretazione delle cose. Senza questa preventiva profilassi concettuale non avrebbero mai potuto assolvere correttamente alle loro funzioni, né giustificare in maniera adeguata la loro esistenza. Oltretutto, questa constatazione spiega anche perché si comportino in modo coordinato, convergente e integrato nel secernere i mondi di fumo che si sono visti. Sono infatti parti funzionali di un sistema che ha bisogno della loro sinergia per poter funzionare in maniera indefettibile e assicurarsi così una sorta di vita eterna (rispetto ovviamente alla nostra scala temporale). Da questo punto di vista, potere, scienza e teologia esibiscono una simmetria che ha davvero pochi riscontri altrove e possono forse essere considerati arti diversi di un unico organismo. In ognuno di essi, infatti, dominano omissioni intenzionali, imposture vere e proprie, censure preventive e infine anche il crimine naturalmente (e in senso allegorico anche la soppressione delle evidenze contrarie, nella scienza, potrebbe essere ritenuto un misfatto intellettuale).

   Alla luce di questi dati di fatto, non è certo un caso che pressoché tutti i soggetti visti in precedenza, e in particolare tra loro gli scienziati, abbiano sostenuto apertamente la versione ortodossa o governativa dell´11 settembre, inclusi Dawkins ed Eco, due tra gli intellettuali più influenti del pianeta, secondo di nuovo “la Repubblica”, che del tutto casualmente li annovera tra i suoi più prestigiosi collaboratori. Giusto per dare un´idea della stabile alleanza di questi ambienti col potere per eccellenza dell´Occidente, vale a dire gli USA, basti pensare al fatto che Odifreddi ed Eco, con la disinvoltura tipica dell´accademia e dunque dell´establishment ufficiale, hanno curato la pubblicazione di un volume – La cospirazione impossibile – confezionato apposta non per addurre dimostrazioni e documentazioni forensi magari atte a corroborare una data descrizione dei fatti, bensì col solo intento di screditare la comunità dei critici e la convinzione di chi, più in generale, la pensa diversamente dalle spiegazioni preconfezionate dell´amministrazione statunitense (divenute nel frattempo un vero colabrodo politico-ideologico tanto sono state confutate dagli studiosi internazionali più seri). La prova provata di queste intenzioni, al di là degli argomenti apocrifi addotti, ci è del resto data dal fatto che anche in tale testo si è fatto largo uso, more solito, dei metodi tipici della «deep politics»: ignorare dati eventi, sopprimere fatti sgraditi, falsificare la realtà. Come ulteriore esempio luminoso di intellettuali interessati unicamente alla “ricerca della verità”, per riprendere qui l´ispirato ma del tutto fittizio aforisma di Veronesi, non c´è davvero male.

   Oltretutto, la loro operazione mostra un impressionante parallelismo molto stretto con la campagna di stampa orchestrata e portata avanti, col tempismo degno delle loro funzioni, dai servizi segreti francesi nel 2002, quando due agenti professionali del depistaggio istituzionale come Dasquiè e Brisard hanno pubblicato un libro contro Thierry Meyssan, prontamente tradotto in italiano ovviamente nel 2003 con l´entusiastica prefazione di Lucia Annunziata (un´altra giornalista ancora! Che ha cominciato per di più la sua brillante carriera di pennivendola nel “Manifesto”!), allo scopo si screditarne, con tale dossier prefabbricato, le analisi e metterne in dubbio le conclusioni. Che si potesse chiamare La clamorosa menzogna un documento espressamente confezionato allo scopo di fuorviare l´opinione pubblica internazionale, solo la logica più intima e perversa della propaganda moderna poteva inventarselo. Vale la pena leggerlo solo per comprendere questo fatto. D´altro canto, se tanto mi dà tanto, il volume di Eco e Odifreddi differisce ben poco dall´originale transalpino.

   Per dire infine delle sottili e sotterranee parentele transoceaniche tra tutti questi diversi ambienti, a prima vista lontani e differenti tra loro, basti pensare in ultimo alla opinione di un altro scienziato statunitense, William Happer, membro autorevole ancora attivo naturalmente di Jason (vi ha speso infatti 28 anni della sua carriera di fisico a Princeton), in merito agli avvenimenti dell´11 settembre 2001, questa sorta di “macchina della verità” intellettuale per i funzionari dell´attuale establishment occidentale. A suo avviso, infatti, come ci spiega nuovamente Ann Finkbeiner, l´attività segreta di tutti gli scienziati al servizio del DoD avrebbe «mancato» ai suoi scopi istituzionali perché non avrebbe saputo prevenire «gli attacchi terroristici» di quel giorno. Leggere per credere.

   A provvisoria conclusione di queste considerazioni, si potrebbe forse dire che i modus operandi e la natura di tutti questi ambienti e soggetti sociali sono riassumibili in almeno cinque (5) caratteristiche fondamentali:

    1.    pensano e agiscono di conseguenza sulla scia della deep politics;

    2.    secernono imposture anche quando dicono il vero e lo dicono solo a questo fine;

    3.    operano con studiato sincronismo e ubiquità in tutti gli ambiti sociali, creando la pubblica opinione occidentale e tendezialmente planetaria;

    4.    assumono spesso e volentieri condotte intellettuali da agenti degli arcana imperii;

    5.    infine, sono presenti in maniera folta e diffusa anche all´interno dei domini scientifici classici propriamente detti.


   D´altra parte, a ben riflettere, c´è ben poco da meravigliarsi del fatto che anche gli scienziati contemporanei, nell´immaginario collettivo gli alfieri del pensiero illuminista e della dimostrazione impeccabile, possano possedere una forma mentis di tal fatta. Se si pensa alle conclamate contraddizioni insite nei loro discorsi, se si fa mente locale alla versatile logica eclettica di cui si nutre la loro mente, se ci si sovviene della loro labirintica e persino surreale argomentazione – un dedalo di vie e di incroci di cui non si poteva non avere consapevolezza e che perciò deve avere uno scopo –, non dovrebbe essere poi così difficile immaginare un simile stato delle cose. Se il tempio della conoscenza per eccellenza dell´Occidente è quell´apparente teatro dell´assurdo che è, questa realtà deve avere una ragione dirimente alle spalle della sua esistenza. Precisamente quella, sofisticata e paradossale, che è emersa nelle pagine precedenti. Se la parte più importante del quadro, come diceva Chesterton, è la sua cornice, quella che la scienza ci ha squadernato davanti non avrebbe potuto essere più eloquente.

  A questo punto, potrebbe forse essere di una qualche utilità per il lettore veder riassunta in un diagramma di sintesi la molteplice e doppia natura del pensiero scientifico, così almeno com’essa emerge da quanto si è appurato:

---------------------------------Scienza-------------------------------

-------------------------------------------------------------------------------------------                                         

1° livello

a) primo strato:

lo stereotipo visibile presentato dalla propaganda, ovvero

la sua natura pubblica, i cliché correnti che si possono

osservare alla superficie della società;

b) secondo strato:

le frodi intellettuali che sia nascono all'interno della comunità

scientifica, sia sono in genere ignote alla gente comune

----------------------------------------------------------------------------------------------

2° livello

L'attività segreta, invisibile come qualsiasi altra pratica

degli arcana imperii, al servizio:

1. sia del potere politico, sia della war machine del Pentagono;

2. sia delle diverse agenzie di intelligence (CIA, NSA, ecc.);

3. sia delle corporations legate alla industria degli armamenti.

A sua volta, questa attività ignota al grande pubblico e conosciuta

solo dalle élite al potere, ha luogo e si svolge all'interno e

all'ombra della prima immagine di facciata.


-------------------------------------------------------------------------------------------------

3° livello

lo staus interno anch'esso invisibile

ovvero la natura apocrifa occulta e

dissimulata dalla logica versatile

----------------------------------------------------------------------------------------------

Conclusioni

La scienza è il sistema integrato di questi tre livelli l'uno interno all'altro:

* il primo fa sparire dal davanti della scena gli altri due e così li tutela entrambi;

* nondimeno, mentre il secondo è protetto consapevolmente e by design,

come si è visto, dal primo, il terzo è schermato soprattutto da quella forma

mentis dell'Occidente, o macchina logica buona à tout faire, che è l'eclettismo

intellettuale più intimo della ragione scientifica.


---------------------------------------------------------------------------

 

Terzo e ultimo disegno


  La via maestra della complessa «road map» che ha preso forma sotto i nostri occhi in tutte le analisi prima viste è tuttavia rappresentata dai fini occulti, semi invisibili ai più, che sottostanno alla cultura dell´Occidente, in particolare scientifica.

  In tutti i documenti presi in considerazione finora, infatti, siano stati stesi in prima persona da importanti scienziati o siano stati vergati da altre mani, si è sempre allestito un duplice spettacolo sulla scena intellettuale e politico-ideologica delle nostre società. Il duplice regime di verità di cui si è sempre fabulato nella storia occidentale, imperante al loro interno e tipico della loro natura, evidentemente non è una chimera. Lo show a cui abbiamo assistito ha infatti riservato alle masse popolari e alla plebe contemporanea, a tutti noi insomma, una rappresentazione fittizia delle cose e l´ha presentata nel contempo alla pubblica opinione, perché le sia impossibile questionarla, come se fosse oro colato.

  Le primedonne, i protagonisti e le comparse di questa modernissima charade ad uso e consumo esclusivo di noi tutti, sono stati e sono precisamente tutti quegli uomini di scienza, funzionari dei media e sacerdoti dell´ideologia che con mestiere insuperabile recitano quotidianamente i loro ruoli sul teatro della cosideta informazione, calcando le scene di mezzo pianeta e intossicandoci la mente coi loro mondi di fumo. Sono questi spregiudicati cortigiani, in effetti, a rappresentare il motore vivente di una infernale macchina della propaganda che con l´aggressività patologica di un virus, e rund um die Uhr, sistematicamente invade e colonizza la nostra vita senza possibilità di replica, senza che ci sia data alcuna possibilità di obiettare. In pratica, è un rullo compressore che ci riduce al silenzio pubblico e che possiamo fronteggiare solo col nostro povero ingegno, alzando la nostra flebile ma indignata voce intellettuale tramite la rete, i nostri dispacci senza corriere che li faccia viaggiare, che possa portarli dove vorrebbero andare e arrivare.

  Simili condizioni al contorno, in un certo senso, sono peggiori della censura di regime di una volta (anche se, ovviamente, non la si disdegna a seconda delle occasioni e se ne fa largo uso all´occorrenza), perché alternano continuamente e sistematicamente occultamento delle cose e teatro pubblico all´aria aperta, platea massmediatica per i poveri di spirito (cioè sempre noi) e liquidazione preventiva della loro logica contradittoria più intima. Insomma, la macchina propagandistica di cui abbiamo accertato l´esistenza e a cui siamo confrontati:

    1.   Per un verso presenta alle masse e alla pubblica opinione, tramite i massmedia che controlla e che costituiscono il suo modernissimo braccio armato, un´unica rappresentazione stereotipa della natura della scienza, in modo che alle moltitudini solo questa appaia e possa essere introiettata dai singoli come la sola spiegazione autentica, e autenticata dalla stessa comunitá scientifica uffficiale dell´Occidente, del pensiero razionale e del sapere oggettivo;

    2.    per l´altro verso, contestualmente cancella e fa letteralmente sparire sotto i suoi capaci tappeti, di norma tramite la sua logica versatile e quel cliché, la profonda ambiguità della scienza, il suo status equivoco e duplice: in ultima analisi, il suo carattere controverso e di fattura preformata, in modo che diventi impossibile poterne mettere in discussione, anche solo come eventualità ancora di là da venire, la natura;

   3.    in ultimo, si può anche permettere di far comparire alla luce del sole le sue molteplici e doppie tendenze negli argomenti professionali e specialistici dei suoi rappresentanti accademici, destinati tra l'altro ad una élite colta di suoi soggetti sociali, perché alle spalle di quest'ultimo atto ha ormai la tutela di quelle due potenti mediazioni, che vietano tassativamente alle masse qualunque eventuale scoperta del vero stato delle cose.

Un quadro di questo tipo, così diferenziato e variopinto, potrebbe essere compendiato in una sola chiave di lettura che condensa nei suoi sofisticati significati tutto quanto:

dissimulazione


nel doppio e sofisticato significato di questa voce fondamentale del loro lessico politico-ideologico e intellettuale, tanto astuta da risultare in pratica quasi indistruttibile, visto che sia occulta e dissolve, sia contestualmente fa apparire alla superficie del mondo – visibile in primo piano come unico oggetto osservabile, illuminato dalla luce abbagliante dei riflettori ufficiali dell´establishment dominante, quello che fa opinione e certifica la conoscenza effettiva del reale – soltanto la sua parte fittizia e artefatta. Oltretutto, nel duplice senso di quest´ultima categoria:

    I.    fatta ad arte, con tutti i crismi del mestiere e della competenza, per risultare inconoscibile o irriconoscibile nella sua vera identità da parte dei diversi attori sociali;

    II.    creatura artificiale e artificio essa stessa, messa al mondo unicamente per depistare, portare fuori strada e rendere impossibile qualunque eventuale scoperta del suo effettivo status.

  Nondimeno, se si immaginasse di dover far fronte solo a questa enorme macchina, potente e in grado di mobilitare grandi mezzi, ma purtuttavia singola e solitaria, si rimarrebbe ben presto delusi. In effetti, il suo potere è ormai dilagato in tutta la cultura sociale e ha in pratica colonizzato financo quel pensiero che, perlomeno sulla carta, avrebbe dovuto rappresentare il suo contraltare. Nessun settore della mente societaria è ormai immune dalla sua capillare ramificazione: né il pensiero cosiddetto progressista, né quello democratico, né tanto meno quello cosiddetto “di sinistra”, ancora meno quello marxista, e in genere qualunque tendenza che si presenti con fattezze a prima vista alternative rispetto alla ragione dominante. Tutti questi ambienti e cervelli, anzi, sono ormai stati stabilmente incorporati negli ingranaggi ideologici di quell´onnipresente ordigno intellettuale. Due esempi italici conclamati, sui tanti che si potrebbero addurre a prova di quanto sostenuto, dovrebero essere sufficienti per dimostrare la cosa:

# il primo riguarda l´impostura diffusa a suo tempo dall´economista Giovanni Mazzetti, in un saggio non a caso dato alle stampe dal quotidiano “il Manifesto”, questa holding cooperativa della CIA in Italia da più di quarant´anni, nel 1993, notoria data d´inizio del pensiero unico e del luminoso avvenire democratico dei paesi occidentali.

Celebrando l´apoteosi di queste icone apocrife dell´Occidente, con la irresponsabile noncuranza dell´accademico, per di più marxista, certo dell´impunità (e a cui mai nessuno chiederà conto dei propri spropositi fuorvianti), Mazzetti rivelava al volgo e all´inclita che ormai la regolazione keynesiana dell´economia, essendosi spinta «al di là della concorrenza», «non perseguendo più scopi di profitto» e generando così nella società «una base ormai non più capitalistica [sic!]», rendeva di fatto «inarrestabile il processo di superamento positivo del modo di produzione capitalistico [sic!]». Per poter capire fino in fondo il perfido inganno inoculato nella mente del lettore, e consumato disinvoltamente a suo danno, da questi personaggi, basti pensare al fatto che qualche anno dopo l’élite USA architettava, organizzava e realizzava infine l’11 settembre, dimostrando al colto e all’inclita quanto davvero fosse in stato di avanzato sviluppo “il processo di superamento” del potere dei dominanti! Tra l’altro, la “sinistra” (democratici, progressisti, alternativi, antagonisti, ecc.), i marxisti tutti, “il Manifesto”, la Rossanda e la sua degna coorte usavano di nuovo gli stessi argomenti dell’amministrazione statunitense per corroborare l’interpretazione ufficiale di quell’avvenimento cruciale: vale a dire, una versione dei fatti concepita, messa al mondo e fatta circolare a livello planetario come unica spiegazione possibile dagli stessi perpetratori di quel crimine! Si poteva immaginare qualcosa di più surreale?;

# il secondo invece ci porta direttamemte ai giorni nostri e come se il tempo fosse passato invano e financo non esistesse, come se la storia non insegnasse niente a questi funzionari di regime, il giovane saggista Sergio Bellucci, «specializzato nei temi dell´innovazione tecnologica legata alla comunicazione», come recita la sua nota biografica annessa al volume di cui è autore Lo spettro del capitale, ci rende partecipi, nel 2009, di un´altra buona novella. Lo fa per l´occasione, spigliatamente, nelle briose vesti di un moderno dottor Pangloss massmediatico, che vedrebbe radiosi sol dell´avvenire e il migliore dei mondi possibili anche in fondo a una fogna. Citando a sua volta Carlo Vercellone, col quale evidentemente concorda, veniamo così a sapere che si è ormai realizzato nelle società dell´Occidente «un terzo stadio della divisione del lavoro che comporta un superamento tendenziale della logica della divsione del lavoro smithiana, propria del capitalismo industriale e pone la possibilità di una transizione diretta al comunismo [sic!]».

  Ora, sarebbe certo interessante, antropologicamente parlando intendo, capire quale divino senno (magari di lingua anglosassone) abbia ispirato simili finzioni visionarie (nel senso clinico della sindrome) formato ricalco, ma a malincuore sono costretto ad abbandonare tali propositi perché il farlo ci porterebbe via troppo tempo. Noto soltanto che gli pseudo argomenti in causa, oltretutto, sono solo una sfrontata brutta copia, priva di qualunque pathos rispetto alla loro fonte originaria, di certe idee (nate comunque datate già all’epoca) di Engels del 1876! Il che ne fa tra l’altro un evidente anacronismo vivente, il fossile intellettuale di un passato remoto ormai lontano anni luce dal nostro presente. Circostanza che a sua volta, caso mai ce ne fosse bisogno, conferma nuovamente il fatto che la storia si ripete per l’ennesima volta in farsa. Naturalmente, il fatto che Bellucci sia anche un giornalista potrebbe spiegare di per sé tutto quanto. Non essendo tenuto a dire la verità ai suoi ignari lettori, in ossequio al principio di Vidal, ha potuto a cuor leggero propinare loro, anch´egli, una bella impostura a tutto tondo. Il ritratto della professione disegnato sin dagli inzi degli anni ´50 da Billy Wilder con Asso nella manica (1951) e da Fritz Lang con Quando la città dorme (1955) non avrebbe potuto essere più profetico.

  Ora, certamente il fatto che a distanza di sedici lunghi anni si celebri la stessa cerimonia fittizia, senza neanche un tocco di maquillage, tanto per salvare la faccia (e dio solo sa se ce ne sarebbe stato bisogno!), la dice lunga in merito all´onestà intellettuale di questi ambienti e alla loro indifferenza per le innovazioni concettuali, per ogni accertamento degli enunciati propri e altrui tramite l´esperienza, due obblighi per i quali non hanno alcun interesse, fondamentalmente perché non è certo questo l´oggetto in cima ai loro pensieri e preoccupazioni.
Nondimeno, l´aspetto più sconcertante dell´intero affaire è soprattutto dato dal fatto che queste due, diciamo così, scuole di pensiero:

    ï‚·    tanto mettono in campo solo due colossali imposture intellettuali, e non possono non sapere che lo stanno facendo: d´altro canto, se non lo sapessero dovrebbero saperlo comunque perché storicamente non possono non essere al corrente delle cose, dunque lo sanno di sicuro;

    ï‚·    quanto lo fanno e lo possono fare solo al servizio dei dominanti di cui rappresentano, volenti o nolenti, dei funzionari istituzionali, sia perché avrebbe ben poco senso mentire se non si avesse un fine in testa e una missione da compiere e una funzione da svolgere, sia perché in ogni caso di fatto lo sono, tramite paradossalmente gli stessi argomenti addotti, talmente contraddittori da risultare patentemente falsi, per rappezzare le loro pseudo analisi e presentarle alla pubblica opinione, a rovescio, come vere e conformi a reali stati di cose.

  Alla luce anche di queste ultime constatazioni, dunque, si può agevolmente comprendere quanto sia vasto e in pratica senza limiti oggi il raggio d´azione della propaganda di sistema, quanti ambienti e soggetti ufficiali, istituzionali e no, essa metta attivamente in moto per vietare agli individui societari qualunque percezione del problema e della realtà effettiva dietro la facciata di cartone delle cose e sotto la loro superficie. Il mondo dell´ideologia contemporanea, nel suo più sofisticato signifcato qui ripetutamente sottolineato, non conosce confini né teme confronti. Dispone di mezzi massmediatici spropositati e di un´armata intellettuale, sia accademica sia no, sia temporale sia spirituale, del tutto spregiudicata né vincolata ad alcun codice etico. Il che potrebbe farci venire in mente, per concludere, o Pascal o la filosofia zen.

  In uno stupendo apologo tipico di questa antica cultura, una persona si getta in un dirupo per sfuggire ad una tigre. Cadendo nell´abisso riesce ad afferrare con una mano il ramo di un ciliego cresciuto negli anfratti del terreno sottostante e rimane dunque sospeso nel vuoto. Improvvisamente, un topolino comincia a rosicchiare imperterrito la sua esile ancora di salvezza e prima che si spalanchi sotto i suoi piedi il regno del nulla, l´uomo allunga la mano rimastagli libera per cogliere una fragrante ciliegia rossa e godere così del senso della vita anche nell´avvento della sua imminente scomparsa.

  Nell´intellettuale francese, invece, l´individuo si trova confrontato con un universo indifferente ai suoi affari e ai suoi affanni, ad una ciclopica macchina disincarnata capace di stritolarlo con noncuranza disumana. Eppure, benché a cospetto di questo meccanismo senz´anima né scrupoli egli sia come un esile giunco in balia di eventi atmosferici avversi, come questo con precarie radici in un suolo esiguo e senza riparo alcuno dalle intemperie, l´uomo ha un vantaggio enorme nei confronti del suo signore e padrone. Sa infatti di poter pensare rispetto a questo ed è consapevole persino della sua infinita superiorità a confronto delle nostre insignificanti forze, mentre la materia insensibile non ne sa niente. Se questa è una splendida allegoria del potere, forse Blaise Pascal è la persona giusta per noi.


München, 13 febbraio 2010                                                  

 
Piccolo kit bibliografico di sopravvivenza cognitiva
(Per nuocere gravemente all´ignoranza in cui vorrebbero tenerci)

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